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  Domenica 21 ottobre 2001 - 20a dopo Pentecoste (o dei Santi Padri del Settimo Concilio Ecumenico) La risurrezione del figlio della vedova di Nain (Luca 7:11-16)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi è la Ventesima Domenica dopo Pentecoste, ed è anche la domenica in cui celebriamo i Padri del Settimo Concilio Ecumenico (il Secondo Concilio di Nicea, in cui è stata stabilita in modo permanente la dottrina che la Chiesa aveva insegnato fin dal principio riguardo alle sante icone).

In questa domenica abbiamo letto la storia di uno dei miracoli più interessanti del nostro Signore Gesù Cristo: la risurrezione dai morti del figlio di una vedova. Il Vangelo ci racconta ben pochi casi di persone richiamate in vita dal Signore: oltre a questo ragazzo, ne abbiamo appena due: la figlia di Giairo, e Lazzaro. Anche l'Antico Testamento ci presenta pochi casi, come quello del ragazzo richiamato in vita dal Profeta Elia (se ricordate il passo, narrato nel capitolo 17 del Terzo Libro dei Re, anche questo ragazzo è il figlio unico di una vedova: notate il curioso parallelo con il Vangelo di oggi!)

Questi tipi di miracoli (che è più corretto chiamare "richiamo dai morti" piuttosto che "risurrezione", in quanto la risurrezione di Cristo ha ben altra portata ed efficacia) sono rari, perché il Signore non si rivela con gesti spettacolari e imponenti, ma piuttosto a piccoli gradi, passo dopo passo, iniziando dalla sua stessa nascita nella carne come un bambino in una grotta. Anche i miracoli del Vangelo non servono a impressionarci, ma a farci comprendere, a portarci alla salvezza (ricordiamolo: TUTTO ciò che è scritto nelle Sacre Scritture è finalizzato alla nostra salvezza): questo processo di rivelazione divina avviene gradualmente, per darci il tempo di comprendere pienamente la vita nello Spirito.

Anche l'episodio di oggi avviene per far capire a molte persone chi è l'uomo che ha parlato loro. Gesù arriva alla città di Nain circondato dai suoi discepoli e da molta folla. Questo episodio (così come quello immediatamente precedente, la guarigione del servo del centurione) avviene dopo il Discorso della montagna, in cui la folla ha ascoltato parole di insegnamento relative al Regno dei Cieli, e ne è rimasta attratta a tal punto da seguire questo maestro. Ora è dato loro di vedere CHI è questo Regno dei Cieli che è venuto ad abitare tra noi, e chi è Colui che ha il potere su tutte le cose (ecco il senso del termine "Pantocratore"), perfino sulla vita e sulla morte.

Il morto che è portato in processione è il figlio unico di una vedova. Oltre al terribile strazio di una madre che si vede costretta ad accompagnare il proprio figlio alla tomba (già questo, nell'ordine naturale delle cose, sembra ingiusto), immaginate il dolore di una donna che sa di non avere più una fonte di sostentamento. A quei tempi, una vedova senza figli rischiava facilmente di vivere una vita di VERA povertà, e da una normale vita di famiglia, poteva spesso ridursi a sopravvivere di elemosine.

Ora, il nostro Signore le si avvicina dicendole di non piangere. Chi si sentirebbe in diritto (anche nella nostra società, che per lo meno assegna alle vedove una certa sicurezza economica per la loro vecchiaia) di dire a una donna che ha perso l'unico figlio di non versare lacrime? Chi potrebbe negarle anche questa forma di sfogo emotivo e di consolazione? Sarebbe davvero una richiesta arrogante, se non venisse da una persona che ha compassione di lei, sa di cosa ha bisogno la donna, e che in verità è in grado di restituirle ciò che ha perduto.

Gesù ferma la bara, e vi mette sopra la mano. I Padri danno un grande significato a questo gesto, e lo paragonano all'atteggiamento che noi vediamo nelle icone della Madre di Dio. La stessa tenerezza che noi vediamo circolare tra la madre e il suo bambino, è l'atteggiamento che Cristo ha nei confronti del morto e della madre: un atto di tenerezza dettato dall'amore per gli uomini. Il Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato non è un Dio lontano e indifferente. Anzi, è un Dio che prende su di sé la nostra carne, che ci mostra solidarietà, che ci dà Egli stesso l'esempio di come vivere, che CI AMA. E mentre il Signore tocca la bara, i portatori si fermano. Si tratta di un gesto di obbedienza, che dovremmo imitare anche noi tutte le volte in cui Cristo ci si avvicina nella nostra vita: quando ascoltiamo le sue parole, quando vediamo il suo volto in un'icona, e in ogni istante in cui ci ricordiamo dei suoi insegnamenti.

Le parole dette da Gesù "Giovinetto, dico a te, alzati", ci sembrano forse un po' troppo imperiose e dogmatiche, in contrasto con quest'attitudine di compassione e di solidarietà. Perché non usare parole più dolci, tipo "ritorna alla vita"? Ricordate anche nella risurrezione di Lazzaro, quanto sembra imperioso quel "vieni fuori", soprattutto dopo le lacrime di compassione di Cristo per il suo amico? La risposta è semplice: perché Egli è il Signore della vita e della morte, Egli ha autorità (o per meglio dire, È autorità) in quanto Verbo increato di Dio.

Quando il comando di Cristo ha richiamato in vita il giovane, e prima ancora che il Signore lo dia a sua madre, questo giovane, curiosamente, si mette a parlare. Il Padri che hanno commentato questo brano ci spiegano che il suo mettersi a parlare era il modo migliore per dimostrare a quanti stavano intorno che il Signore non si era servito di trucchi o di artifici magici. Ecco una persona normale che riprende a vivere normalmente, senza dare l'impressione di essere ipnotizzato, o drogato, o con lo sguardo fisso. Non ci viene raccontato che cosa gli sia accaduto da quel momento in poi, ma sicuramente quel giovane ha avuto molte cose su cui riflettere per il resto della sua vita.

E a noi, invece, che cosa rimane su cui riflettere dopo il Vangelo di oggi? Intanto, il fatto che tutto quanto abbiamo ascoltato ci parla della nostra salvezza, e che se seguiamo Cristo, seguiamo la strada della nostra stessa salvezza. Quindi, scopriamo che il potere di Cristo si estende sulla vita e sulla morte, e che se, quando siamo afflitti, Egli ci dice "non piangere", è perché ha pronte per noi cose ancora più interessanti di quelle che crediamo di avere perduto. Poi, impariamo che, come i portatori, anche noi dobbiamo fermarci (per obbedienza, ma anche per fede) e lasciare che sia il Signore a operare quelle cose che non riusciamo a realizzare con le nostre forze. Ma "fermarci" non significa aspettare con  indolenza. Significa continuare a compiere quelle cose che ci sono state ispirate dallo Spirito Santo attraverso la Chiesa: la partecipazione alle funzioni sacre (e soprattutto ai Santi Misteri), il digiuno, la lettura delle Scritture e dei Santi Padri, lo studio delle dottrine e dei dogmi della Fede, e la pratica dei comandamenti. E quando sentiamo le parole di Cristo rivolte a noi, impariamo a considerarle così come ha fatto il giovane di Nain: non come dei suggerimenti, ma come ordini, giunti direttamente dal Sovrano della nostra vita.

Controlliamo sempre se siamo sulla via di Cristo e dei suoi comandamenti. Se deviamo dalla via di Cristo, allora non lo incontreremo. Ma se stiamo sulla sua via, sarà il Signore stesso a proteggerci, a trasformarci, a farci risorgere dai morti.

Amen.

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