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  Una recente discussione con padre Makarios di Simonopetra

del vescovo Petru Pruteanu

Teologie.net, 30 novembre 2023

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Vi presento un'intervista condotta con padre Makarios di Simonopetra il 10 novembre 2023 presso il Monastero Simonos Petras sull'Athos. Le mie domande e i miei interventi sono scritti in corsivo e firmati con VP (= vescovo Petru), e le risposte di padre Makarios sono in carattere normale e firmate con MS (= Makarios di Simonopetra).

Buona lettura!

padre Makarios di Simonopetra

Reverendo padre Makarios, la ringrazio per le interviste che ho realizzato nel 2016 e nel 2018, che sono state apprezzate dal pubblico di lingua romena, ma anche per la gentilezza con cui mi ha accordato questa nuova intervista, che sono sicuro sarà altrettanto ben accolta. Ho proposto un dibattito su alcuni temi di attualità, ma anche su alcune domande pervenute da alcuni sacerdoti, alle quali le chiedo di rispondere, dopodiché verranno trascritte in romeno le risposte registrate ora sul telefono.

VP. Oggi (28 ottobre/10 novembre), il monastero Simonos Petras ha celebrato il venerabile Arsenio il Cappadoce (1924), al quale ha aggiunto anche la menzione del venerabile Paisio l'Aghiorita, passato alla vita eterna il 29 giugno/12 luglio 1994. Chi segue il nuovo calendario non ha problemi a commemorarlo nel giorno della sua morte, il 12 luglio, ma chi segue il vecchio calendario non può trascurare la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e, quindi, per la commemorazione del venerabile Paisio deve trovare un'altra soluzione. Abbiamo visto che il Nuovo Tipico del Monastero di Vatopedi (2023) ha istituito la commemorazione del venerabile Paisio il 2/15 luglio, quando si celebra la deposizione della Cintura della Madre di Dio a Vlaherne, ma anche il santo Stefano il Grande di Moldova e il santo Ioann Maksimovich. Poiché gli abitanti di Vatopedi onorano la santa Cintura il 31 agosto / 13 settembre, e gli altri due santi non sono onorati con un officio dedicato, probabilmente hanno pensato di collocare l'officio del venerabile Paisio 4 giorni dopo il giorno del suo passaggio al Signore. Altri hanno deciso di collocare la sua memoria un giorno prima della data della sua morte, il 28 giugno/11 luglio, nel giorno di un altro santo recentemente canonizzato e contemporaneo di san Paisio, il venerabile Sofronio dell'Essex (1993). Ci sono anche monasteri athoniti che, probabilmente non capendo come funzionano i due calendari, aggiungono altri 13 giorni al 12 luglio e commemorano il venerabile Paisio il 25 luglio. Perché il monastero Simonos Petras ha scelto questa particolare opzione di fissare la commemorazione di san Paisio l'Aghiorita nello stesso giorno di sant'Arsenio il Cappadoce, che battezzò san Paisio, ma morì solo tre mesi dopo?

MS. Di norma, la commemorazione di un santo avviene il giorno del suo passaggio al Signore e, se ciò non è possibile, esistono diverse opzioni per trovare un giorno adatto per la celebrazione. Nella tradizione slava, è consuetudine che un nuovo santo sia onorato nel giorno della commemorazione dell'antico santo omonimo; quindi la venerabile Xenia di Pietroburgo si celebra nel giorno della venerabile Xenia del V secolo (24 gennaio/6 febbraio), e il venerabile Giustino Popović nel giorno della festa di san Giustino martire e filosofo (1/14 giugno). C'è anche l'usanza di stabilire come giorno di festa il giorno del ritrovamento delle reliquie o il giorno della canonizzazione, e anticamente era possibile stabilire anche il giorno in cui era consacrata la prima chiesa dedicata al rispettivo santo. È nota anche la pratica di fare una memoria congiunta per alcuni santi che si conoscevano o avevano qualcosa in comune, come i santi Apostoli Pietro e Paolo (che molto difficilmente sono morti lo stesso giorno e lo stesso anno, come afferma la leggenda tardiva), i santi Tre Ierarchi o le sinassi dei santi di determinati paesi o regioni. In altri termini, ogni monastero, e soprattutto ogni diocesi e Chiesa locale, è obbligato a condividere con le altre Chiese le grandi feste, d'onore universale, ma può istituire celebrazioni locali diverse per la moltitudine di santi canonizzati in ciascuna Chiesa autocefala. Quando un patriarcato introduce la commemorazione di un santo straniero nel proprio calendario locale, può fissare una data speciale e anche un certo tipo di celebrazione di quel santo, tenendo conto delle possibili collisioni con altre festività. Così, per esempio, la Chiesa ha ordinato la commemorazione di san Giovanni Crisostomo il 13 novembre, perché il 13 e il 14 settembre non erano adatti a dargli il necessario onore, a causa della sovrapposizione con festività più grandi.

Il nostro monastero ama e onora san Paisio l'Aghiorita, che la maggior parte dei padri più anziani ha conosciuto personalmente, ma spinti dalla tradizione eortologica monastica [NB eortologia = scienza delle feste], abbiamo scelto per il nostro monastero questa opzione, poiché la liturgia tipica un monastero si basa sui semplici offici quotidiani e non sui giorni festivi, come avviene nelle parrocchie. Dove c'è un officio quotidiano, non si può fare un Polieleo o una Veglia per ogni santo, ma si richiede una gerarchia delle festività e delle tipologie di servizio, secondo la tradizione monastica e le possibilità concrete di una comunità. Quando si canonizza un nuovo santo, l'innografo comporrà un officio completo, con Veglia, affinché possa essere celebrato nel luogo dove quel santo visse o morì, o dove vi siano parti delle sue reliquie. Ma questo non significa che ogni comunità monastica o parrocchiale, che vuole onorare quel santo, debba fare una Veglia per lui, ma deve adattare l'officio alla tradizione del luogo, rispettando la gerarchia delle feste e comprendendo che la celebrazione è un'eccezione, non una regola! Noi, per esempio, abbiamo messo i due santi monaci che abbiamo onorato oggi al rango di Grande Dossologia e permettiamo l'olio (anche se è venerdì), soprattutto perché abbiamo anche una parte delle reliquie del venerabile Arsenio. Ma di più non possiamo fare, perché due giorni fa abbiamo già avuto una Veglia in onore di san Demetrio.

VP. Ma cosa ne avete fatto dell'officio della santa martire Parascheva, anch'ella onorata in Grecia, e che cade nello stesso giorno dei santi Arsenio e Paisio? Le ponete l'officio alla Compieta? E come risolvere in generale le tipiche collisioni che si verificano quando si commemorano più santi in parallelo? Per esempio, i Minei romeni hanno tre offici paralleli il 15 settembre (san Giuseppe di Partoş, san Niceta il Romano e san Bessarione di Larissa), che a loro volta devono essere combinati con la post-festa dell'Esaltazione della santa Croce, e se la data cade di domenica, anche con l'officio domenicale dell'Ottoeco. Abbiamo qualcosa di simile il 16 agosto (Traslazione del Santo Mandilio, il santo martire Diomede + i santi Brâncoveni e il venerabile Giuseppe da Văratic + la post-festa della Dormzione), ma anche in altri giorni dell'anno. Come vede queste situazioni?

MS. Infatti, la prassi del tipico prevede questa soluzione, che i restanti offici siano cantati/letti alla Compieta della vigilia o del giorno successivo, ma questo appesantisce molto la Compieta, che si può svolgere in tal modo solo in monasteri molto grandi, dove ci sono abbastanza monaci e anche diverse cappelle, come nel caso di Vatopedi, dove si tengono in parallelo officiature per diverse icone della Madre di Dio. Bisogna conoscere il tipico, comprendere i principi liturgici della Chiesa, ma l'applicazione del tipico deve essere realistica e non rendere eccessivamente difficile la vita dei monaci, i quali, come ho detto, vanno agli offici ogni giorno, in tutta tutta la loro vita, ma non possono restare solo in chiesa, hanno anche altri servizi e bisogni. Pertanto, l'abate del monastero o il vescovo diocesano deve organizzare le cose in modo tale che gli offici siano svolti con riverenza e senza negligenza, ma non diventino un peso che tolga ogni gioia o desiderio di andare in chiesa.

Oggi, concretamente, abbiamo omesso l'officio della santa martire Parascheva, che si celebra nelle parrocchie, e non lo abbiamo trasferito nemmeno alla Compieta, poiché il tempo e il numero dei fratelli non ce lo permettono, e poiché preferiamo, secondo la più generale tradizione athonita, inserire alla Compieta l'inno Acatisto. Naturalmente, al Sinassario e al Congedo commemoriamo tutti i santi del giorno, anche quelli che non hanno nemmeno un tropario, ma per quanto riguarda gli offici ci limitiamo a quello che possiamo. Questa è la tradizione della Chiesa e, fin dall'antichità, le Chiese locali avevano sistemi eortologici diversi. E se il Sinodo che opera una canonizzazione dovesse constatare che questi principi non sono conosciuti o non sono rispettati, potrebbe determinare con maggiore precisione come un determinato santo debba essere celebrato in una determinata regione e come o se debba essere celebrato in tutte le regioni o diocesi della propria Chiesa autocefala. La venerazione di alcuni santi non deve essere imposta dall'alto, con offici non compresi, ma solo nella misura in cui la vita e le opere di un santo sono amate e apprezzate in una determinata regione, devono anche suscitare una corrispondente celebrazione liturgica. Non possiamo forzare la venerazione di alcuni santi di cui non si sa nulla in certe regioni o che non sono rilevanti per la storia della Chiesa di quel luogo. Come dice anche San Paolo (Rm 10,2), lo zelo senza conoscenza è pericoloso e, nel caso dell'onorare i santi, ciò non porta a una sana riverenza per i santi.

VP. Visto che parliamo ancora di nomi e memorie, voglio farle una domanda da parte di un sacerdote della Romania, che la stima. La Liturgia romena prevede che al Grande Ingresso, a ogni funzione, il sacerdote menzioni per nome tutti gli ex patriarchi della Chiesa ortodossa romena. Come vede questa pratica?

MS. Non avrei mai immaginato che qualcosa del genere potesse accadere da qualche parte. Dal mio punto di vista è tutto molto semplice. Se ciò avvenisse negli antichi patriarcati, dove si sono susseguiti nel tempo centinaia di patriarchi, ci si rende conto che queste commemorazioni durerebbero più di mezz'ora. E se non in tutte le diocesi si commemora un patriarca vivente, perché si dovrebbero commemorare quelli dormienti? Capisco che la Chiesa ortodossa romena è il patriarcato più giovane e i nomi di cinque patriarchi non sarebbero tanti (il Patriarcato di Costantinopoli ha avuto 270 patriarchi, quello di Alessandria 125, la Serbia più di 50, la Bulgaria più di 30), ma questo è contrario al diritto canonico e alla tradizione ortodossa universale. Il massimo che si può ammettere, e questo accade in diverse Chiese, è che nei primi 40 giorni dopo la morte, al Grande Ingresso venga menzionato il vescovo che ha guidato quella diocesi o anche il patriarca di una Chiesa locale. Ma a livello generale questo è esagerato e penso che dovrebbe essere ridotto solo alla cattedrale patriarcale, dove sono sepolti i patriarchi, ma non nelle migliaia di parrocchie e monasteri sparsi in tutto il Paese e nella diaspora. Probabilmente la pratica è iniziata proprio lì, dalla cattedrale patriarcale, per poi diffondersi, per esagerata pietà, al resto della Chiesa romena. Lo ripeto ancora una volta: il desiderio o il tentativo di standardizzare tutti i dettagli del culto non è conforme alla Tradizione della Chiesa e il più delle volte crea problemi simili a quello di cui mi chiede adesso. Per esempio, sul Monte Athos, al Grande Ingresso si dice solo "Di tutti voi..." e solo nelle funzioni più solenni o quando presta servizio un vescovo si aggiungono altri memoriali, ma comunque non troppi e senza altri nomi rispetto a quello del vescovo in questione. Enfatizzare o imporre alcuni elementi secondari della funzione non solo porta a una saturazione eccessiva, ma finisce anche per mettere in ombra le parti più importanti, e i fedeli non sanno più cosa stia succedendo. E il ruolo dei vescovi non è quello di frenare la pietà dei sacerdoti e dei credenti, ma di metterla in ordine, di mantenerla entro i limiti della Tradizione ortodossa.

VP. Altra domanda, da un altro sacerdote romeno: nel 2024 la Pasqua ortodossa sarà celebrata il 5 maggio e la Pentecoste il 23 giugno. Pertanto la festa dei santi Apostoli (29 giugno) cade di sabato, nel giorno della Restituzione della Pentecoste, e solo il 1 luglio dovrebbe iniziare il digiuno dedicato ai santi Apostoli, come faranno le Chiese del vecchio calendario, che nel 2024 avrà 12 giorni di digiuno. La Chiesa ortodossa romena, seguendo una vecchia decisione del proprio Sinodo, ha deciso per l'anno 2024 che nel giorno di Pentecoste si farà anche la vigilia del digiuno, che inizierà dal lunedì, nel giorno dello Spirito Santo (o per i romeni, della santa Trinità), anche se comunque in quel giorno ricorre anche la Natività di San Giovanni Battista e il permesso del pesce. Come vede questa regolamentazione e cosa sarebbe preferibile in questa situazione: il digiuno o il festeggiamento della Pentecoste, compresa l'eliminazione del digiuno il mercoledì e il venerdì, come previsto dal Tipico e dalle vecchie ordinanze?

MS. È diritto e autorità dei vescovi decidere queste cose e spero che sappiano perché le hanno ordinate in questo modo e non in altro modo. Per quanto mi risulta, l'istituzione di questo digiuno aggiuntivo potrebbe essere collegata alla concezione errata secondo cui i laici possono partecipare solo ai quattro digiuni, e se mancasse uno di questi digiuni (come talvolta accade nelle Chiese che hanno adottato il digiuno aggiuntivo) calendario corretto, ma mantengono il vecchio pasquale), allora anche i cristiani perdono una delle poche comunioni eucaristiche. Pertanto, se i vescovi hanno provato, ma non sono riusciti, a portare i fedeli alla mentalità ortodossa e a praticare la comunione sistematica, che non può essere legata solo ai quattro digiuni, allora l'istituzione di un tale digiuno ha una giustificazione pastorale importante e sono lieto che gli ortodossi in Romania ascoltino i loro vescovi e vogliano digiunare.

Tuttavia, secondo me, sarebbe stato un segno di maggiore maturità teologica e spirituale se gli ortodossi in Romania avessero mantenuto la libertà generale dal digiuno nella settimana dopo Pentecoste e avessero eventualmente istituito una settimana di digiuno successiva o, come le altre Chiese di nuovo calendario, si astenessero da questo digiuno, che solo nominalmente è legato ai santi Apostoli, ma inizialmente era visto come un semplice ritorno al ritmo del digiuno del mercoledì e del venerdì, poiché allora durante tutto il periodo della Pentecoste (da Pasqua alla Domenica di Ognissanti) non c'era nessun tipo di digiuno, così come facciamo attualmente durante la Settimana Luminosa.

Non escludo che la gerarchia abbia pensato anche al fatto che i gruppi dei vecchi calendaristi li accusassero di sopprimere in certi anni, con la correzione del calendario, il digiuno dei santi Apostoli, ma se i vescovi e i sacerdoti spiegassero alla gente come stanno le cose sono e raccontassero la storia di questo digiuno, allora sarebbe diverso. Quindi il problema non è nel sopprimere o istituire il digiuno, ma nel fatto che non c'è catechesi e i pastori non si sentono obbligati a spiegare alla gente perché si comportano in un modo o nell'altro.

VP. Prendendo spunto dal titolo dell'opera più famosa di George Florovskij, "Vie della teologia russa" (Parigi, 1937), volevo chiederle se vede oggi delle "vie della teologia panortodossa"? Il Sinodo di Creta (2016) ha contribuito o no a formare alcune linee teologiche della Chiesa ortodossa contemporanea?

MS. Negli anni '70 del secolo scorso abbiamo sperimentato un vero e proprio rinnovamento della teologia, basato sul ritorno alle fonti patristiche della Chiesa e sullo studio delle fonti liturgiche e canoniche. Questo fenomeno, spinto dalle scuole teologiche cattolica e protestante, è stato un fatto molto positivo, che ha aiutato sia gli occidentali che gli orientali a conoscere le radici dell'Ortodossia. Ma, oltre a questo sano rinnovamento, ci sono state correnti che hanno promosso una sorta di "rinnovamento per il rinnovamento", senza una causa e un obiettivo pastorale chiari. Ci sono stati anche teologi ortodossi che, lasciandosi affascinare e influenzare dalla teologia occidentale della "postmodernità", hanno cercato di proporre tali idee anche all'interno della Chiesa ortodossa. C'erano e ci sono ancora voci che credono che dovremmo abbreviare o addirittura cancellare certi digiuni, abbreviare le funzioni, accettare i preti risposati, ecc. Li considero pericolosi e distruttivi, e l'esempio dell'Occidente dopo l'aggiornamento ci mostra chiaramente che la secolarizzazione della Chiesa non attira le persone a Cristo, ma le allontana. La forza dell'Ortodossia sta nel conoscere e vivere l'autentica Tradizione, senza paura di affrontare i problemi che abbiamo di fronte, ma con la consapevolezza che le soluzioni formulate e applicate devono servire alla salvezza ed essere in accordo con la Tradizione viva e dinamica della Chiesa.

Da questo punto di vista, secondo me, il Sinodo di Creta non può neppure chiamarsi "Sinodo", perché non è riuscito a riunire tutte le Chiese ortodosse né a decidere nulla di rilevante, ma al contrario ha escluso dall'ordine del giorno tutto ciò richiede dibattiti, trattative e decisioni scomode per alcuni o per altri. In altre parole, il Sinodo di Creta non ha fatto altro che rivelare l'incapacità intellettuale e spirituale della gerarchia, ma soprattutto il profondo caos istituzionale della Chiesa ortodossa. Davvero non capisco chi nel 2023 si batte ancora contro il Sinodo di Creta, e invece di seppellire i morti, litiga con lui...

Il fatto che alcune decisioni della gerarchia causino scismi deriva innanzitutto dalla mancanza di trasparenza nelle discussioni e nelle decisioni, ma anche perché le cose non sono spiegate con tatto pedagogico, e ai preti e ai fedeli non viene permesso di parlare o non vengono ascoltati. Naturalmente occorre un dialogo con la società contemporanea e non possiamo trascurare i problemi che essa si trova ad affrontare, ma facciamolo con attenzione e in spirito di amore e di umiltà, perché altrimenti si finisce con scismi difficilmente sanabili.

VP. In Occidente, sempre più persone sono interessate all'Ortodossia, ma, allo stesso tempo, hanno paura del numero e della lunghezza dei digiuni, della complessità delle funzioni e della poesia innografica orientale, ecc. Pensa che in certe situazioni si potrebbe celebrare secondo un rito ortodosso occidentale, come hanno fatto Evgraf Kovalevskij (ordinato vescovo da san Giovanni Maximovici) e altri vescovi ortodossi in Occidente?

MS. In effetti, per l'uomo occidentale il digiuno non è facile da osservare, soprattutto se solo alcuni membri della famiglia si sono convertiti o desiderano osservarlo. A questo proposito, credo che la regola generale debba rimanere normativa per tutti, e le dispense dovrebbero essere fatte privatamente da ciascun sacerdote e per un determinato periodo di tempo, non come una liberazione automatica per tutta la vita.

Per quanto riguarda il cosiddetto "rito occidentale ortodosso", qui sarò più categorico. Ritengo scorretto e addirittura impossibile far rivivere un rito liturgico scomparso da secoli o decenni. L'autorità del rito bizantino non risiede solo nella forma e nel contenuto dei suoi servizi, ma soprattutto nella sua continuità e universalità. Non sono contrario a riportare alla luce diversi elementi degli antichi riti occidentali, ma la celebrazione di questi riti oggi sarebbe in realtà una mescolanza soggettiva di testi, rubriche e gesti liturgici, in cui si fa molta improvvisazione e invenzione, proprio perché quel rito ha perso non solo la sua purezza dogmatica, ma anche la sua continuità storica. Penso che sia sufficiente tradurre le funzioni bizantine nelle lingue occidentali e spiegarle, piuttosto che fare esperimenti liturgici a piacimento. È molto importante per noi sacerdoti capire, ma anche far capire ai credenti, che non si può vivere la propria fede se non si hanno radici, anche se sembrano molto intricate e troppo profonde per essere scoperte appieno. Un occidentale che cerca e si converte sinceramente all'Ortodossia, lo fa proprio perché il cattolicesimo romano, per non parlare del protestantesimo, si è staccato dalle sue radici e non vuole più nutrirsi di esse. Dobbiamo invece offrire loro una fede con radici vive e sane.

VP. Ma cosa pensa che dovremmo fare con coloro che vogliono convertirsi all'Ortodossia, ma non vogliono fare un processo di catechizzazione più lungo, e invece vorrebbero essere ricevuti in 2-3 mesi? Alla fine non è un problema riceverli formalmente, e ho visto che i monaci athoniti spesso battezzano gli occidentali senza un catechismo serio, ma è molto più difficile diventare ortodossi nella realtà e avere la mentalità e lo stile di vita adeguati. Cosa ne pensa, soprattutto dal momento che lei stesso si è convertito dal cattolicesimo romano all'Ortodossia?

MS. Dopo aver deciso di diventare ortodosso ho aspettato cinque anni per essere battezzato e non mi pento affatto di questa attesa, anzi lo considero un tempo benedetto. Penso che anche per gli altri convertiti tre anni di catechesi e assimilazione, come si faceva ai vecchi tempi, sarebbero un termine ragionevole. Un ragazzo che ama una ragazza, la chiede in sposa, si fidanza con lei, le scrive poesie, le offre fiori; non si unisce subito a lei, ma è pronto ad aspettarla tutto il tempo necessario; e se non l'aspetta, vuol dire che non l'ama. Sappiamo che nella società moderna i giovani non sono più pazienti e spesso hanno rapporti anche dopo il primo incontro, ma questo non vuol dire che dobbiamo fare altrettanto nella Chiesa. Di solito, coloro che si convertono e vengono accolti velocemente, hanno letto solo 2-3 libri e pensano di sapere tutto, diventano fanatici e osano correggere i preti e anche i vescovi, pensando di essere i più informati difensori dell'Ortodossia. Ma questo fanatismo è ancora più pericoloso del modernismo e del liberalismo dell'altro estremo, perché il liberalismo sarà criticato e avrà la possibilità di essere corretto, mentre i fanatici e i fondamentalisti si comportano come popolo eletto ed elitario, non accettano alcun tipo di critica o di osservazione e le loro possibilità di correzione sono minime. L'Ortodossia è la via di mezzo, la via regale, e un vero ortodosso non può essere né troppo modernista e al passo con il mondo, né fanatico e fondamentalista, credendo che il suo ruolo non sia quello di cercare la propria salvezza, ma solo di giudicare e condannare gli altri.

VP. E, in questo caso, pensa che le persone in cammino per una lunga catechesi dovrebbero uscire dalla chiesa all'esortazione del diacono "Voi catecumeni, uscite"?

MS. No, certo che no. Si tratta di un momento simbolico, attraverso il quale si mostra che il seguito della Liturgia è riservato solo ai fedeli, ma poiché non tutti partecipano, ma frequentano comunque la Liturgia e non escono insieme ai catecumeni (come suggerisce Giovanni Crisostomo), allora si lasciano restare tutti gli altri che sono in processo di catechizzazione, proprio per vedere la bellezza della Liturgia. Nell'epoca in cui le liturgie vengono trasmesse integralmente su Internet e in televisione, della disciplina dell'arcano non c'è più nemmeno traccia. Ci sono molte altre situazioni in cui i santi Misteri vengono profanati, ma non credo che un catecumeno che assiste all'intera Liturgia sia un caso del genere.

VP. Parlando della profanazione dei Misteri, ho visto, soprattutto in Russia, la pratica di confessarsi tutti prima di ogni comunione. Spesso il sacerdote non trascorre nemmeno due minuti con quel penitente e non di rado è consentito di comunicarsi a persone che hanno commesso peccati molto gravi dei quali, apparentemente, si sono pentiti. Cosa ne pensa di questa pratica?

MS. Innanzitutto bisogna dire che questo tipo di confessione non ha nulla in comune con il vero pentimento, e uno degli aspetti gravi di questa pratica è la perdita della dimensione personale. Il prete non conosce quella persona e non la consiglia adeguatamente, e il credente non si sente legato a un certo prete come padre spirituale (anche se può chiamarlo così) e molto facilmente può andare da un altro a dirgli che " ha peccato con parole, azioni e pensieri". È bene confessarsi prima della comunione se si ha commesso qualche peccato, ma ciò va fatto al di fuori delle funzioni o almeno la sera, al Vespro, quando la persona viene aiutata a riprendersi dalla caduta attraverso consigli e spiegazioni. Rimango inorridito quando vedo anche la pratica greca, nella quale chiunque si comunica quando vuole, senza che il sacerdote chieda nulla sulla confessione o sulla preparazione, ma neanche il formalismo dei russi dovrebbe essere preso come norma. Come ho detto prima, la confessione è assolutamente necessaria per coloro che si comunicano molto raramente, ma per coloro che si comunicano ad ogni Liturgia o ogni domenica, si può accettare una singola confessione ogni poche settimane – e questo è un modo piuttosto equilibrato, che ci rende credenti che cercano una crescita spirituale responsabile.

VP. Un'ultima questione, che mi sembra anch'essa legata al tema della profanazione, è quella della rimozione delle particole. Ci sono situazioni in cui il sacerdote deve menzionare per ore centinaia e migliaia di nomi e perfino estrarre una particola per ciascuno; alcuni addirittura insistono sull'idea che per ogni nome sia necessaria una particola. Naturalmente, in questo caso, il sacerdote non è in grado di ascoltare nemmeno parzialmente il Mattutino, e tra i russi le particole cominciano a essere estratte già al Vespro, al di fuori del rito della Proscomidia. Pensa che si potrebbe introdurre nelle parrocchie la pratica aghiorita di suonare la campana prima della fine della Proscomidia e lasciare che ciascuno citi da solo tutti i nomi dei vivi e dei dormienti, senza scrivere fogli con decine di nomi che spesso non significano nulla nemmeno per loro, lasciati solo per il sacerdote, che menzionerà durante una funzione decine di Giovanni e di Maria e di altre persone che non conosce?

MS. La pietà dei credenti per farsi ricordare e per dare i nomi dei parenti da ricordare è buona e non va biasimata, ma solo messa in ordine. Non c'è bisogno di estrarre particole separate per ogni nome: sull'Athos nessuno lo fa, e la commemorazione non deve essere percepita come magia, né mettere le particole nel calice lava automaticamente tutti i peccati e santifica automaticamente chi è menzionato, soprattutto se non è nemmeno presente alla funzione e magari non sa nemmeno di essere menzionato o non lo vuole. Allo stesso tempo, bisogna insegnare alle persone a scrivere solo i nomi delle persone a loro più vicine, non l'intero villaggio, e non le persone che hanno visto solo una volta nella vita.

La pratica athonita è certamente buona e non viene fatta perché il sacerdote che serve sia pigro, ma anche per coinvolgere tutti i monaci e i visitatori in questa funzione del sacerdozio universale, ma anche con la consapevolezza che se tu vieni in chiesa, i tuoi parenti saranno ricordati e, se non verrai, rimarranno non menzionati.

Capisco che alcuni preti possano pensare che in questo modo i fedeli non daranno più i soldi per le commemorazioni, ma se la gente viene catechizzata, capirà che il prete in quel momento tira fuori le particole per tutti insieme, e il suo compito è non solo leggere il nome, ma pregare. I fedeli possono ringraziare il sacerdote anche fuori dalla Liturgia, non necessariamente quando porta il sacrificio eucaristico "per i peccati di ignoranza del popolo" né mettendo soldi nel piatto e disturbando il sacerdote quando deve pregare. Anticamente i doni eucaristici e le penitenze dei fedeli venivano ricevuti dai diaconi in un annesso della chiesa, dopo di che sceglievano il pane e il vino per il santo Sacrificio, commemoravano i vivi e i dormienti, e il sacerdote si preoccupava esclusivamente della preghiera e della predica. Attualmente, in mancanza di diaconi, il ministero del sacerdote è denigrato da cose che lo distraggono dal lavoro della preghiera. E, paradossalmente, pregare per se stessi o per qualcuno è molto più difficile che semplicemente ricordarlo e aspettarsi effetti magici da un simile ricordo. In altre parole, arriviamo allo stesso problema di catechizzare e differenziare il principale dal secondario.

VP. E pensa che una catechizzazione del genere potrebbe essere fatta attraverso libri come quelli di Alexander Schmemann, o ci vuole qualcosa di "più tradizionale"?

MS. Ebbene, Schmemann era un tradizionalista, perché auspicava la riscoperta della Tradizione ed era contrario alle forme rigide e ad ogni manifestazione "farisea". Vale a dire, è questo approccio che dovrebbe essere considerato tradizionalista, non quello degli ignoranti che lottano per preservare alcune usanze apparse qualche decennio fa o due o tre secoli fa. In effetti Schmemann ha avuto anche degli approcci più insoliti e discutibili, ma non era un modernista nel senso eretico del termine: voleva piuttosto togliere la polvere dalla coscienza liturgica della Chiesa. Un altro discorso è che i suoi scritti non possono essere considerati come manuali liturgici scientifici, ma come materiale catechetico, insieme ai libri di altri autori: io li consiglio senza riserve.

Sfortunatamente, ci sono alcuni che, senza comprendere il contesto e l'ambiente per il quale Schmemann scriveva, iniziarono a fare diversi esperimenti liturgici, cosa che lo stesso Schmemann non fece mai. Allo stesso modo, ci sono alcuni che assolutizzano le idee di Zizioulas o di altri teologi e cercano di dimostrare di comprendere qualcosa che gli altri non sono in grado di comprendere. A questo proposito occorre grande attenzione, perché ci sono "teologi", che, per ingenuità o meglio per una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dell'Occidente progressista, vogliono dimostrare che anche loro sono in una condizione di cambiamento, di riforma, di riconsiderazioni. All'estremo opposto ci sono i fanatici che non vogliono cambiare "una virgola" della tradizione del tipico o di una certa tradizione locale, anche se si tratta di cose molto lontane dalla Tradizione universale e bimillenaria della Chiesa.

Noi, grazie a Dio, abbiamo avuto un santo abate, gheronda Emilianos, che ci ha insegnato a mantenere l'equilibrio in ogni cosa, a non essere accigliati, ma felici, a non avere fobie e, allo stesso tempo, a fidarci delle gerarchie della Chiesa. Era un grande esicasta e asceta, quindi nessuno poteva accusarlo di liberalismo, ma ci ha insegnato a stare lontani da chi vede ovunque solo massoni ed ecumenisti o spaventa la gente con la fine del mondo, ma anche chi scende a compromessi con l'eresia o peccato – senza giudicare né l'uno né l'altro.

Dopo il 1965, quando il patriarca Atenagora e papa Paolo VI revocarono gli anatemi lanciati nel 1054, la maggior parte dei monasteri athoniti smise di menzionare il Patriarca di Costantinopoli, e la situazione fu corretta solo nel 1974, anche grazie al contributo e al bilancio di gheronda Emilianos, che non era un ecumenista, ma aveva fede e fiducia in Dio e nella Chiesa. Naturalmente, qualsiasi vescovo o patriarca può cadere nell'eresia o in peccati morali, ma ci sono sinodi che hanno l'autorità di individuare e punire queste cadute, e se ogni laico o sacerdote darà la sua opinione su ciò che sta accadendo nella Chiesa, noi saremo sempre sospettosi e applicheremo la presunzione di colpa ai vescovi, e allora saremo in un grande inganno. Il criterio della verità non può mai risiedere nel tuo pensiero, indipendentemente dal fatto che tu abbia trascorso 20 anni all'Athos o 15 anni nelle migliori biblioteche del mondo. La verità sta nell'umiltà e nell'obbedienza a Cristo e alla Chiesa, e coloro che sono nominati da Cristo a pascere la Chiesa sono i vescovi. Ricordo con quanta pietà il gheronda Emilianos baciò la mano a un vescovo che venne da noi, ma del quale il mondo parlava tante cose brutte. Ma lui non lo giudicò: lo onorò come Cristo stesso.

VP. Padre Makarios, grazie per questa bella ed edificante discussione! Si ricordi di noi nelle sue sante preghiere. Spero che questa intervista aiuti molti a rilassarsi e ci renda più aperti alla discussione di alcuni dei problemi che affrontiamo, creando diverse piattaforme di dialogo.

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