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  Il vescovo del Mar dei Caraibi

Dmitrij Rebrov - Neskuchnyj Sad 17/05/12

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Caracas - la capitale del Venezuela. Il vescovo di Caracas Ioann (Berzins) gestisce la più inquieta diocesi estera, l’eparchia del Sud America della Chiesa russa all’estero (ROCOR). Una parte significativa delle parrocchie dell’America Latina, che facevano parte della Chiesa russa all’estero, è andata in scisma alla vigilia della firma dell'atto di comunione canonica con il Patriarcato di Mosca con la ROCOR il 17 maggio 2007.

 

- Gli emigrati che hanno fondato la Chiesa all'estero nel secolo scorso sono fuggiti dalla Russia sovietica per salvarsi dai socialisti. La ROCOR ha tradizionalmente accusato il Patriarcato di Mosca di collaborazione con i comunisti. Hugo Chavez, presidente del Venezuela, è un socialista, che qualche anno fa, ha nazionalizzato l'industria mineraria. Come si svolgono i vostri rapporti?

- Gli emigrati russi che hanno fondato la nostra Chiesa non scappavano dal socialismo, ma dall'empietà, dall'ateismo militante e dalla persecuzione. Le persone che gestiscono oggi il Venezuela non sono un potere sovietico. Sì, il presidente Chavez è un socialista. Ma non è un ateo. Inoltre, egli stesso si definisce credente, non opprime la Chiesa, non promuove l'ateismo. Il Venezuela è ora in una profonda crisi sociale, e bisogna fare qualcosa, quindi sono propenso a simpatizzare con Chavez. Non è compito della Chiesa interferire nella politica o decidere se sia meglio il socialismo o il capitalismo. Il Salvatore ha comandato di prendersi cura degli altri, di aiutare i poveri e gli orfani. Il cristianesimo non è estraneo al concetto di giustizia sociale, se questa non comporta l'ateismo. Allo stesso tempo, molti dei nostri membri hanno una chiara diffidenza nei confronti dei socialisti, è tipico della ROCOR. I cristiani ortodossi in America Latina sono molto politicizzati, e lo sono sempre stati. Ad esempio, ai tempi di Allende hanno lasciato in massa il Cile.

 

- Oggi alcuni dei parrocchiani della Chiesa all’Estero vanno in scisma, dichiarandosi contrari all'unione...

- Vi correggo subito. Pensare alla riconciliazione tra la Chiesa all’estero e la Chiesa in Russia come a una "unione" non è corretto. Forse a qualcuno questo sembrerà semplicemente un gioco di parole, ma quello che è successo quattro anni fa, si chiama più propriamente "riconciliazione", e non "unione". E insisto sulla parola. Non ci siamo mai considerati scismatici, non ci siamo mai separati dalla Chiesa ortodossa russa. A causa dell’incapacità di comunicare con la Chiesa in patria, per decreto del patriarca Tikhon, abbiamo creato una amministrazione provvisoria della chiesa per la cura delle parrocchie russe all’estero, e dopo la dichiarazione del metropolita Sergio (Stragorodskij) siamo stati costretti a vivere in modo indipendente. Più di recente, abbiamo rinnovato la nostra comunione eucaristica con la Chiesa "madre". Ma abbiamo sempre continuato a considerarci parte della Chiesa russa, e quest’autonomia per noi non è mai stata fine a se stessa. Al contrario, in tutti i documenti abbiamo sottolineato che era solo temporanea. Quando la situazione è cambiata e la Chiesa in Russia si è liberata - abbiamo rinnovato il nostro legame.

Quei chierici che oggi hanno respinto la riconciliazione, non hanno continuato il percorso storico della Chiesa all'estero, come alcuni di loro affermano, non sono "rimasti" nella divisione, ci si sono buttati, mettendosi contro a una decisione conciliare della Chiesa all'estero e rompendo la comunione eucaristica con tutto il mondo dell’Ortodossia.

Per me questo non è un problema teorico teologico, ma una ferita viva, stiamo parlando della Chiesa di Cristo! Non capisco che cosa pensano queste persone. Vi chiederete il motivo per cui sono andati in scisma? Non vi posso rispondere, perché non lo so. Con i vecchi credenti a volte mi è più facile trovare un linguaggio comune, perché pensano in modo ecclesiale. Ma questi dissidenti pensano diversamente. Ambizioni personali, politica, questioni di proprietà - probabilmente tutti insieme sono stati il motivo. Inoltre, le parrocchie della ROCOR in Sud America hanno sempre avuto una disposizione ribelle. Erano insoddisfatte del primo vescovo sudamericano, il vescovo Panteleimon (Rudyk), non piacevano loro i vescovi ordinati dalla Chiesa di Polonia durante la guerra. Hanno litigato con il vescovo Atanasio (Martos), amministratore della diocesi dal 1955 al 1983. Poi si sono risentiti a lungo del vescovo Alexander (Mileant), che per motivi di salute, negli ultimi anni, è vissuto al di fuori del Sud America. Tutto questo ha favorito una specifica mentalità nelle parrocchie sudamericane della ROCOR. I parrocchiani della cattedrale della Trinità nella capitale argentina di Buenos Aires sono orgogliosi di aver spostato la tavola dell'altare a est, cosa che non dà spazio al trono alto su cui si siede il vescovo durante le funzioni.

Dal momento che la cattedrale della Trinità è andata in scisma insieme con altre parrocchie, il gregge della Chiesa all'estero in Sud America è diminuito, ma in qualche modo è più facile gestire la diocesi rispetto ai miei predecessori, perché tutti coloro che si sono si sono formati come ribelli se ne sono andati.

 

- La ROCOR nel continente sudamericano è una Chiesa "russa"? I nativi vengono all’Ortodossia?

- La maggior parte delle nostre parrocchie è stata fondata da immigrati russi - quindi sostanzialmente riuniamo persone dalla Russia. Il paese missionario di maggior successo è il Cile, dove ha servito un sacerdote molto attivo, di nazionalità cilena, e molti abitanti di questo paese si stanno muovendo verso l’Ortodossia, ma è piuttosto un'eccezione alla regola. In generale, i paesi dell'America del Sud sono caratterizzati da una inversione di tendenza: la gente se ne va - entra in matrimoni misti, si assimila.

 

- Le tradizioni liturgiche della Chiesa all'estero sono diverse da quelle in Russia?

- La Chiesa all’estero riunisce persone provenienti da diverse parti dell'ex impero russo. Inizialmente, ogni gruppo ha mantenuto le sue tradizioni locali, ma con il tempo questa iniziale molteplicità è passata in secondo piano: tutti i sacerdoti giovani hanno studiato allo stesso seminario a Jordanville. Il monastero, dove si trova questo nostro unico seminario, è stato fondato agli inizi del XX secolo da immigrati della Lavra di Pochaev. In un certo senso, queste tradizioni pre-rivoluzionarie si sono successivamente trasmesse a tutta la Chiesa all'estero. Qualcosa di simile è accaduto in Unione Sovietica, dove la tradizione della Lavra della Trinità e di San Sergio è passata al Seminario Teologico di Mosca.

 

- Lei ha anche la cura pastorale delle parrocchie di Vecchio Rito. Come è successo?

- In realtà, chi ama ed è interessato alle regole liturgiche, è già incline ai vecchi credenti. Il XX secolo è stata l'epoca del risveglio nella chiesa di nuovo rito di molte tradizioni antiche. L’icona canonica ha preso il posto del ritratto naturalistico. Passare dal canto di partitura al canto znamenyj è più difficile, ma anche questa tradizione viene ora ripresa sia nelle parrocchie all’estero, sia in alcune chiese russe. A suo tempo sono stato il segretario del vescovo Daniel (Alexandrov) di Erie, Vicario del primo ierarca del Sinodo della Chiesa russa all’estero per la cura pastorale del vecchio rito. Dopo la sua morte, per decisione del Sinodo dei Vescovi della ROCOR ho cura dell’edinoverie, cioè delle parrocchie di vecchio rito presenti nella nostra giurisdizione. Inoltre, sono l'unico vescovo canonico ordinato secondo il vecchio rito. Nella città nordamericana di Erie all’inizio del XX secolo, si è formata una comunità di vecchi credenti Pomortsy senza preti; nel 1983 hanno ricevuto il sacerdozio in seno alla Chiesa all'estero. La maggior parte dei nostri vecchi credenti non parla il russo, le funzioni si fanno secondo il vecchio rito, ma in inglese. La comunità di Erie unisce persone provenienti da Suwalki, una città situata sul territorio della Polonia di oggi. La vecchia generazione di parrocchiani usava il nome inglese della città, per analogia con Suwalki, al plurale: "Noi di Irjah..." Ora, però, questo non si sente più. Non è certo possibile parlare di inculcare in qualche altra parrocchia della ROCOR le tradizioni del vecchio rito. Le nostre chiese sudamericane hanno già le loro difficoltà con il Typicon che hanno.

 

- Quante parrocchie riunisce oggi l’eparchia sudamericana della ROCOR?

- Tutti i dati sono provvisori, perché non è ancora chiaro sino alla fine se contare i dissidenti. In caso contrario, abbiamo in Argentina una cattedrale e due parrocchie, tre parrocchie in Cile, una Paraguay, in Venezuela in tutto sei chiese. In Brasile, purtroppo, tutte le parrocchie sono andate in scisma, così come la nostra unica chiesa uruguayana. Ma oltre alla Chiesa Russa all’Estero, in America del Sud ci sono molte parrocchie ortodosse del Patriarcato di Antiochia. Sono cristiani emigrati in Sud America dai paesi arabi: in Argentina - siriani e libanesi, in Cile - palestinesi. Ci sono greci, alcuni serbi. Anche il Patriarcato di Mosca ha qui le sue chiese, il loro amministratore è il vescovo Platon, un mio buon vicino, a volte serviamo insieme. Purtroppo questo non accade spesso: mancano sacerdoti, e anche nella sua cattedrale di solito il vescovo celebra da solo, secondo il rito sacerdotale e senza diaconi. I sacerdoti anziani stanno morendo, e non ne arrivano di nuovi. Il nostro unico seminario si trova negli USA. I suoi laureati sono restii ad andare in Sud America: una lingua straniera, un basso tenore di vita. Mi ricordo che una volta ho celebrato da solo con il vescovo Platon. È stato un modello piuttosto particolare: un metropolita e un vescovo recitano alternativamente litanie e ecfonesi tutto da soli. Tuttavia, se siamo insieme, e Cristo è in mezzo a noi, di chi abbiamo ancora bisogno?

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