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  Recensione: Santi di tutti i giorni

di Mario Marchisio

Archimandrita Tichon Ševkunov, Santi di tutti i giorni, Rubbettino 2015, pp. 506, Euro 19,50

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A libro chiuso, la prima sensazione che si prova è d'intensa, commossa gratitudine. Non solo nei confronti dell'autore, ma altresì del piccolo e coraggioso editore che ha pubblicato la versione italiana di Nesvyatye Svyatye. Chi scrive queste righe deve però confessare che nell'accingersi a leggere Santi di tutti i giorni era un poco insospettito dall'ondata d'entusiasmo che il libro dell'archimandrita Tichon [1] ha suscitato e continua a suscitare in Russia. «Milioni di lettori per l'opera di un monaco» pensavo; «vuoi vedere che si tratta di qualche brodaglia spiritual-sentimentale, simile a certi scritti autobiografici che riscuotono tanti applausi qui in Occidente?». Mi sbagliavo, e di grosso.

Anzitutto, nel libro di padre Tichon l'io narrante è totalmente al servizio delle persone e degli eventi narrati: è un "io", per così dire, che vorrebbe dissolversi agli occhi del lettore. L'equivalente di un testimone muto che si limiti a indicare i fatti e gli individui, le loro idee e le loro azioni, mettendo se stesso fra parentesi e quasi chiedendoci scusa della propria presenza. Ed invece è questa presenza - discreta fino ad autocancellarsi -, è questa anima schietta e umile che dà sapore ad ogni pagina e rende Santi di tutti i giorni qualcosa di davvero indimenticabile. Come sono e saranno sempre le testimonianze preziose di chi ha conosciuto e guardato negli occhi gli amici di Dio. Non importa se tali soltanto in articulo mortis, come il regista Sergej Bondarčuk, maestro conosciuto e giustamente ammirato dal giovane Georgij quando studiava cinematografia all'Univestità. La descrizione della conversione di Bondarčuk, assillato da visioni demoniache fino al momento in cui decide di confessarsi e comunicarsi, fa accapponare la pelle e mostra, nella sua cruda verità, la sostanza tragica di cui si nutrono le illusioni umane e l'onnipotenza folgorante della misericordia divina.

Il secondo motivo di gratitudine deriva dalla possibilità di scoprire una Russia che molti davano per estinta ben prima della Rivoluzione bolscevica. Ci fu addirittura chi aveva pontificato sul tramonto della fede ortodossa fin dal XVIII secolo, come se il comunismo si fosse soltanto limitato a porre la pietra tombale sul cristianesimo in Russia nel fatidico ottobre 1917. Certo è nota la canonizzazione di Nicola II e della famiglia imperiale: ma quella notizia è stata da molti incasellata sotto la voce «eccezioni», alla stregua della figura di Dostoevskij, grande faro nell'Ottocento pietroburghese.

Santi di tutti i giorni è dunque anche fonte di stupore per aver richiamato alla memoria distratta di troppe persone quella schiera di indomiti monaci e laici alle prese con l'oppressione sovietica, spesso in condizioni inumane e aberranti (si pensi al nonnulla che poteva costare fino a dieci o più anni di reclusione!), eppure saldi nella fede, alla stregua dei cristiani perseguitati nei primi secoli. Sebbene il racconto di padre Tichon parta dai primi anni Ottanta, vale a dire da una fase in cui l'apparato statale aveva sporadicamente diminuito la repressione nei confronti dell'Ortodossia, il lettore incontrerà più di un confessore della fede, appellativo riservato a coloro che muoiono non di morte violenta – come i martiri – bensì in seguito ai maltrattamenti subiti a causa della propria fede.

L'avventura spirituale di padre Tichon inizia nel monastero di Pskov, non lontano dal confine con l'Estonia. E la memoria dell'autore torna continuamente a quell'oasi di preghiera e santità e agli infiniti insegnamenti – e soprattutto esempi – forniti dagli «starcy» che onorarono le Grotte di Pskov della loro presenza luminosa: padre Ioann (Krest'jankin), padre Serafim, padre Nafanail (l'antipatico tesoriere del monastero), padre Melchisedek, padre Kiprian, padre Nikolaj, e così via... Anime davanti alle quali, come sperimenterà a sue spese l'allora novizio Georgij Ševkunov, non è possibile nascondere alcunché. Neanche il minimo, segreto pensiero di rivalsa. Infatti, quando padre Nafanail gli passa accanto, ecco fioccare puntuale un rimprovero, in forma d'estemporanea osservazione: «Che volevi dire con "Meglio di tutti, padre namestnik! Grazie alle vostre sante preghiere"? [...] Guarda, Georgij, che l'insolenza non ha ancora condotto nessuno al bene». Padre Nafanail gli ha appena ripetuto le esatte, ironiche parole che il novizio rigirava da tempo nella mente, pronto a gettarle in faccia al namestnik (reo a suo giudizio d'avergli imposto una penitenza eccessiva [2]), qualora, incontrandolo, l'anziano gli domandasse: «Come va, Georgij?».

Il libro, corredato da numerose fotografie in bianco e nero, abbonda di eventi prodigiosi narrati senza enfasi, con quella semplicità che contraddistingue le anime libere dalla pesante catena del peccato: salvataggi in condizioni climatiche proibitive, improvvise agnizioni, premonizioni grazie alle quali ci si salva da morte certa, conversioni che sembrano piovere dal cielo, ritrovamenti a dir poco inattesi di reliquie... A proposito di questi ultimi, si pensi alla scoperta del feretro del patriarca Tichon, morto nel 1925 e sepolto nel monastero Donskoj di Mosca. Oppure ai resti di san Serafino di Sarov, il cui ritrovamento (nel 1990) non viene descritto nel libro ma solo accennato, e costituisce un altro indubbio segno dell'avvicinarsi di una per molti versi miracolosa rinascita della fede in Russia. Con la traslazione delle reliquie al monastero di Diveevo, alla presenza di matuška Frosja, si realizza inoltre una profezia di padre Serafino.

Chi avesse creduto che dopo l'espatrio in Occidente di teologi come Sergej Bulgakov o Pavel Evdokimov, o dopo la fucilazione di padre Florenskij e delle altre vittime dell'anticristianesimo staliniano, si fosse formata una vile nube di acquiescenza, troverà in Santi di tutti i giorni una smentita clamorosa.

Prima di avviarmi alla conclusione, vorrei citare uno dei non rari esempi di gustoso umorismo che costellano il libro dell'archimandrita Tichon. «Un comunista finlandese fece a padre Alipij, in presenza dei suoi amici sovietici, la domanda tipica degli atei di quell'epoca: – Potreste spiegarci perché gli astronauti hanno volato nel cosmo ma non hanno visto Dio?». Ed ecco la risposta: «Questa disgrazia può capitare anche a voi: andare a Helsinki e non vedere il presidente».

Non solo ai santi, ma anche agli impostori vengono riservati ritratti memorabili. Come al falso monaco Augustin, o al contabile d'origine tedesca che ruba invano tutti i risparmi destinati ad acquistare una mietitrebbia. Sono tuttavia le anime belle a far la parte del leone in questo specchio del monachesimo ortodosso che ci ha donato padre Tichon. Come dimenticare il modo con cui padre Rafail invitava ogni suo interlocutore a bere insieme a lui una tazza di tè? O padre Dosifej, asceta su un isolotto a due chilometri dal villaggio di Borovik? Quest'ultimo, come un novello Macario l'Egiziano, autorizza i ladri a derubarlo di tutti i suoi averi, ponendo tuttavia una condizione che metterà in fuga i malfattori: «Prendete quel che volete. Però prima vi benedico».

Note

[1] Al secolo Georgij Ševkunov, è nato a Mosca nel 1958. Dal 1995 è abate del monastero Sretenskij; dal 2011, membro del Consiglio superiore della Chiesa Ortodossa russa.

[2] «spazzare la neve da tutta la piazza della Dormizione per tre giorni».

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