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  I legami di Umberto Eco con il Monte Athos

Estratto da un articolo di Katerina Houzouri tradotto da John Sanidopoulos sul blog Honey and Hemlock

20 febbraio 2016

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Prima di scrivere Il nome della rosa, Umberto Eco ha visitato il monastero di Vatopedi e la sua biblioteca, che conteneva una copia della "Geografia" di Claudio Tolomeo, uno dei manoscritti più rari al mondo, datato dal XIII ai primi del XIV secolo, e comprende le sezioni "la guida geografica" di Claudio Tolomeo, "L'epitome della Geografia di Strabone", e la "Geografia" di Strabone.

Per quanto riguarda la visita di Umberto Eco al monastero di Simonopetra, Theodoros Ioannidis ha scritto nel numero 33 del dicembre 1988 della rivista Tetarto (Trimestre):

"...Al porto di Dafni siamo ancora nel mondo esterno. Il nostro. Ma, dopo l'ultimo tornante della strada in salita vediamo il monastero di Simonopetra, e ci rendiamo conto che presto dovremo accettare il fatto che qui sono in vigore altre misure, un po' diverse.

Umberto Eco a Simonopetra nel 1988

Si può rimanere in silenzio per ore sui balconi del monastero, oppure perdersi in chiacchiere senza fine. E Umberto, poliglotta e di solito loquace, cerca nel più breve lasso di tempo possibile di chiacchierare con i monaci e di incontrarne il maggior numero possibile. E naturalmente, in una discussione senza un tema le questioni iniziano con l'infallibilità del papa e arrivano fino al maggio del 1968, intervallate a un certo punto da un tema che lo ha sempre affascinato: l'eresia. Quindi, in modo piuttosto spontaneo, gli 'scappa' che nel suo nuovo libro (Il Pendolo di Foucault) ci sono diverse pagine dedicate a questo tema.

a Karyes nel 1988 con l'abate Eliseo di Simonopetra

A Karyes, dopo una breve visita al monastero di Iveron, presso la dipendenza di Simonopetra, il monaco Eliseo non è solo un perfetto padrone di casa. È molto giovane, serio e tollerante, ha studiato gli scrittori ecclesiastici latini, parla lentamente e con calma, non si fa impressionare né vuole impressionare. Commenta modestamente le opinioni di Agostino o di Tommaso d'Aquino e le nostre piccole domande quotidiane. I monaci assaggiano la grappa (raki) – che a Umberto Eco è piaciuta così tanto – quando la preparano. Non ne bevono, però, perché l'alcol altera il loro pensiero. E per quanto riguarda le preoccupazioni del famoso professore sulla manutenzione e la conservazione dei preziosi manoscritti, le considera quasi irragionevoli. La tradizione non si mantiene preservando codici o icone e mettendo in mostra i propri tesori per attirare i turisti. Questa tradizione non è interessante. La tradizione vivente, l'unica che vale la pena conservare, si trova all'interno di ogni monaco, dal momento che ognuno ha dentro di sé, vivo, il Nazareno...".

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