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  La Fede dei nostri padri: mio nonno non era un ambientalista

di padre Geoffrey Korz

Da Pravmir

Pubblicato originariamente in Orthodox Canada

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Da bambino ridacchiavo quando mio nonno riutilizzava le buste. Quando trovava qualche pezzo di umorismo sagace o qualche connessione ancestrale in un giornale del paese, il nonno ritagliava l'articolo, e lo fissava saldamente con una nota all'interno di una busta di banca riciclata, sigillandola per bene con un pezzo di scotch ingiallito.

Le macchine postali avrebbero senza dubbio odiato mio nonno per il suo metodo inefficiente di conservazione della posta, ma non sono sicuro che il nonno abbia mai incontrato una macchina postale. Andava all'ufficio postale del paese, acquistava i suoi francobolli, e faceva timbrare a mano ogni nuova lettera sul posto. Le macchine potevano non essere sue amiche, ma tutti all'ufficio postale lo conoscevano per nome.

Da contadino, e da figlio di un sostenitore dell'UFO (Unione dei Fattori dell'Ontario – la voce politica delle popolazioni rurali durante la grande depressione), il nonno si sentiva più a suo agio su un trattore che in una macchina, e molto più comodo in un frutteto che davanti alla televisione. Si metteva a ridere all'idea che le persone iniziassero a lavorare alle nove del mattino – il giorno è mezzo andato, diceva. Andava a letto subito dopo il tramonto ogni sera. (Immaginate l'impatto sul consumo di energia se tutte le luci si spegnessero oggi alle 9 di sera).

Si poteva prevedere lontano un miglio la sua routine serale: due luci nel buio della fattoria significavano che era seduto nella sua poltrona in salotto, a leggere qualcosa come L'almanacco del contadino, il giornale locale, o un libro sull'Inghilterra; una sola una luce accesa significava che era nella sua stanza, a recitare le sue preghiere. L'assenza di luci significava che la giornata era finita: inutile chiamarlo, perché spesso non alzava il telefono. Quelli erano affari per il giorno: non aveva senso accendere una luce durante la notte per quelle cose.

Il nonno guidava la stessa vettura per vent'anni di fila. Era sempre pulita e pronta per la chiesa la domenica mattina, in modo da poter arrivare presto a suonare la campana – una campana suonata a mano con una vecchia fune. Quando l'auto diventava troppo vecchia per un uso regolare, la riciclava per uso agricolo, o la passava a qualcuno che ne aveva bisogno.

Per il nonno, sei giorni ogni settimana significavano lavoro. Anche se aveva solo una o due ore al giorno di tempo libero, si teneva al corrente su attualità, politica, e sulle questioni spirituali e religiose, che discuteva ai pasti in famiglia tre volte al giorno. La domenica non lavorava, a meno che non ci fosse qualche emergenza, il che succedeva a ogni morte di papa, non ogni settimana. Le parole "emergenza" e "crisi" in realtà significavano qualcosa per mio nonno.

Il nonno non usava mai la parola riciclo: lo faceva. Per lui "lasciare un'impronta" era qualcosa che facevi con lo stivale nel fango, mentre lavoravi fuori dalla stalla. Il riscaldamento globale era una cosa che avveniva in estate, e che richiedeva pause pomeridiane più lunghe e bicchieri di limonata per gli ospiti. L'inquinamento era qualcosa che un giovane irresponsabile faceva a se stesso con una bottiglia di liquore, e il verde era il colore della sua tuta da lavoro, non la sua politica né la sua spiritualità. Acquistava prodotti locali, non perché il pianeta aveva bisogno che lo facesse, ma perché gli piacevano i suoi vicini, e lui piaceva a loro.

Oggi, mentre leggiamo di fedeli e gerarchi ortodossi che cercano di condividere il "lato" ambientalista del cristianesimo ortodosso, mi viene spesso in mente mio nonno. Anche se non era un cristiano ortodosso, le sue opinioni sull'ambientalismo erano più ortodosse di quelle di molti scrittori contemporanei nella Chiesa. Come i Padri della Chiesa, vedeva la nostra crisi ambientale come logica conseguenza della caduta, non come il meccanismo per l'Apocalisse. Avrebbe detto la gente della città per semplificare la loro vita, di smettere di ascoltare scrittori fantasiosi che fanno tour di conferenze, di vivere tranquillamente, di dire le proprie preghiere e di non attirare l'attenzione su se stessi. Avrebbe scosso la testa di fronte ai leader della Chiesa che saltano sul carro ambientalista.

Mi ricordo di una volta (penso di aver avuto circa nove anni) in cui il nonno scrisse a una società di vendita per corrispondenza che vendeva dolci alla frutta (che poi sono divenuti famosi come rotoli alla frutta, dopo che vi hanno aggiunto un sacco di zucchero). Penso che odiasse l'idea di distribuire ai suoi nipoti montagne di caramelle. Non faceva niente di tutto ciò come dichiarazione politica, o come tentativo di far parte di un movimento sociale: era semplicemente un uomo tradizionale, che rifiutava il ritmo della vita moderna, il consumismo ateo e la mente del mondo moderno.

Mentre sono seduto nella sua sedia a scrivere questi ricordi, mi viene in mente la lezione che ci insegnava con l'esempio: che le cose buone, siano esse i mobili o la fede o il modo in cui si vive, sono tutte ereditate. Non sono fatte, o comprate, o ideate da persone intelligenti in aule di conferenze o sale stampa o agenzie di pubblicità o anche nei cosiddetti monasteri "progressisti". Sono il nostro legame con l'eredità del passato, l'esperienza delle generazioni dei santi passati prima di noi, che hanno vissuto vite fedeli in luoghi invisibili, senza mai sapere di comunicati stampa, o siti web, o di ferie per far passare lo stress, perché la vita anonima non ha bisogno di nessuna di queste cose.

Quando da cristiani ortodossi consideriamo come dobbiamo vivere, è questa eredità, questo esempio nelle piccole cose, che cerchiamo di emulare: l'esempio dei nostri santi progenitori, non un adattamento delle "tendenze" del mondo, al fine di far sì che in qualche modo assomiglino alla Chiesa.

Questa è la fede degli apostoli. Questa è la fede dei padri. Questa è la fede che ha illuminato l'universo.

Festa di san Nicola, 2007

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