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  Perché in chiesa si prega senza inginocchiarsi in tutte le domeniche e da Pasqua fino a Pentecoste?

Da Orthodox Life, vol. 27, n. 3 (maggio-giugno 1977), pp 47-50.

http://orthodoxinfo.com/praxis/kneeling.aspx

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Come è evidente dalle Sacre Scritture, ci si inchinava, ci si inginocchiava e si facevano prosternazioni durante la preghiera, anche nell'Antico Testamento. Il santo profeta e re Davide si riferisce al gesto di inchinarsi a Dio o nel suo tempio in molti salmi, per esempio: "prosterniamoci al Signore nei suoi santi" (Salmo 28:2), "Mi prosternerò nel tuo santo tempio, nel tuo timore"(Salmo 5:8), "Venite, adoriamo e prosterniamoci a lui "(Salmo 94:6), "Procediamo nei suoi tabernacoli, inchiniamoci nel luogo in cui i suoi piedi si sono posati" (Salmo 131:7), e così via.

Quanto al gesto di inginocchiarsi, è noto che il santo profeta Daniele, per esempio, per tre volte al giorno "si inginocchiava, pregava e rendeva grazie al suo Dio" (Dn 6,10). Anche le prosternazioni complete sono menzionate nei libri dell'Antico Testamento. Per esempio: i profeti Mosè ed Aronne pregarono Dio, dopo essersi prosternati "con la faccia a terra" (Numeri 16:22), di essere misericordioso verso i figli d'Israele che avevano peccato gravemente. Nel Nuovo Testamento, inoltre, l'abitudine di eseguire genuflessioni, prosternazioni e, naturalmente, inchini era stata conservata e aveva ancora un posto nel corso della vita terrena del nostro Signore Gesù Cristo, che ha santificato quest'usanza dell'Antico Testamento con il suo esempio, pregando in ginocchio e con la faccia a terra. Così, sappiamo dai Santi Vangeli che prima della sua passione, nel Giardino di Getsemani, egli "si inginocchiò e pregò" (Matteo 26:39), "cadde a terra e pregò" (Marco 14:35). E dopo l'ascensione del Signore, al tempo dei santi apostoli, questa usanza, di cui parlano anche le Sacre Scritture, rimase invariata. Per esempio, il santo protomartire e arcidiacono Stefano "si inginocchiò," e pregò per i suoi nemici che lo lapidavano (Atti 7:60); l'apostolo Pietro, prima di risuscitare Tabitha dai morti, "si inginocchiò e pregò" (Atti 9:40), ecc. E' un fatto indiscutibile che, come sotto i primi successori degli apostoli, così anche in periodi molto successivi dell'esistenza della Chiesa di Cristo, le genuflessioni, gli inchini e le prosternazioni fino a terra sono stati sempre impiegati dai veri credenti nelle preghiere domestiche e nei servizi divini. Nell'antichità, tra le altre attività corporee, inginocchiarsi era considerata la manifestazione esteriore di preghiera più gradita a Dio. Così, sant'Ambrogio di Milano dice: "Al di là di tutto il resto delle fatiche ascetiche, inginocchiarsi ha il potere di placare l'ira di Dio e di evocare la sua misericordia" (Libro VI, I sei giorni della Creazione, cap. 9).

I canoni relativi agli inchini e alle genuflessioniormai accettati dalla Chiesa ortodossa e che si trovano nei libri dei servizi divini, e in particolare nel Tipico della Chiesa, si osservano nei monasteri. Ma in generale, ai cristiani ortodossi laici pieni di zelo è permesso di pregare in ginocchio in chiesa e fare prosternazioni complete ogni volta che lo desiderano, con la sola eccezione dei momenti in cui si leggono il Vangelo, l'Apostolo, le letture dell'Antico Testamento, e i sei salmi e durante le prediche. La Santa Chiesa guarda a queste persone in modo amorevole, e non vincola i loro sentimenti di devozione. Tuttavia, le eccezioni per quanto riguarda la domenica, e i giorni tra Pasqua e Pentecoste, si applicano in generale a tutti. Secondo l'antica tradizione e una legge chiara della Chiesa, non ci si deve mettere in ginocchio in questi giorni. La radiosa solennità degli eventi che la Chiesa commemora per tutto il periodo da Pasqua a Pentecoste e alle domeniche preclude, in sé e per sé, ogni manifestazione esterna di dolore o di lamento dei propri peccati: poiché Gesù Cristo "avendo cancellato il documento dei nostri peccati... inchiodandolo alla sua Croce, e sconfitto i principati e le potenze, li ha sconfessati apertamente, trionfando su di loro" (Col 2,14-15), da allora "non esiste, pertanto, alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1). Per questo motivo, è stata osservata nella Chiesa fin dai primi tempi, e indubbiamente tramandata dagli apostoli, la pratica per cui in tutti questi giorni, consacrati alla commemorazione della gloriosa vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte, si richiedeva compiere il servizio divino pubblico in modo lieto e con solennità, e in particolare senza inginocchiarsi, che è un segno del dolore e del pentimento per i propri peccati. Nel secondo secolo lo scrittore Tertulliano testimonia questa pratica: "Il giorno del Signore (cioè la domenica) riteniamo improprio digiunare o inginocchiarsi, e godiamo anche di questa libertà da Pasqua fino a Pentecoste" (Sulla corona, 3 cat.). San Pietro di Alessandria (III sec., cfr. il suo Canone XV nel Pedalion), e le Costituzioni Apostoliche (Libro II, cap. 59) dicono la stessa cosa.

In seguito, il Primo Concilio Ecumenico ha ritenuto necessario rendere questa abitudine giuridicamente vincolante con un canone speciale obbligatorio per tutta la Chiesa. Il canone del Concilio afferma: "Dal momento che ci sono alcune persone che si inginocchiano in chiesa la domenica e nei giorni della Pentecoste, con l'obiettivo di preservare l'uniformità in tutte le parrocchie, è sembrato migliore al santo Concilio che le preghiere siano offerte a Dio stando in piedi "(Canone XX).

Sottolineando questo canone, San Basilio il Grande spiega in questo modo le motivazioni e il significato della prassi consolidata: «Ci alziamo in preghiera il primo giorno della settimana, anche se non tutti ne conosciamo la ragione. Non solo ci serve a ricordarci che, una volta risorti dai morti insieme con Cristo, dobbiamo cercare le cose dall'alto, nel giorno della resurrezione di grazia che ci è dato, stando in piedi in preghiera, ma questo sembra anche servire in un certo modo come prefigurazione dell'era prevista. Perciò, essendo anche il punto di partenza dei giorni, anche se non il primo per Mosè, è stato tuttavia chiamato il primo. Si dice infatti: 'E fu sera e fu mattina: primo giorno' (Gen. 1:5), per il motivo che ritorna ancora e ancora. L'ottavo, quindi, è anche il primo, tanto più per quanto riguarda quel vero e proprio primo e ottavo giorno, che il Salmista ha menzionato in alcune delle introduzioni dei suoi salmi, per esporre lo stato di ciò che sarà dopo questo periodo di tempo, il giorno incessante, il giorno senza notte che segue, il giorno senza successore, l'era che non finisce mai e non invecchia. Necessariamente, quindi, la Chiesa insegna ai suoi figli ad adempiere ai loro obblighi di preghiera in questo giorno, stando in piedi, in modo da ricordare loro costantemente la vita immortale e di non far loro trascurare di fare provviste per il viaggio verso quel giorno. E ogni Pentecoste è un ricordo della risurrezione prevista nel tempo che verrà. Quel giorno, moltiplicato per sette, costituisce le sette settimane della santa Pentecoste. Iniziando dal primo giorno della settimana, si arriva nello stesso giorno... Le leggi della Chiesa ci hanno insegnato a preferire la postura eretta in preghiera, trasportando così la nostra mente, per così dire, come risultato di suggerimenti vividi e chiari, dal tempo presente alle cose a venire in futuro. E durante ogni momento in cui ci inginocchiamo e ci rialziamo di nuovo in piedi mostriamo di fatto con le nostre azioni che è stato a causa del peccato che siamo caduti a terra, e che attraverso la bontà di Colui che ci ha creati siamo richiamati al cielo ... "(Canone XCI di San Basilio il Grande). Le tre ben note preghiere in ginocchio della Pentecoste, composte da questo grande Padre della Chiesa, non sono quindi lette all'ora Terza, quando lo Spirito Santo discese sugli apostoli, né alla Liturgia di Pentecoste, ma dopo l'ingresso del Vespro, che è già parte del giorno successivo. Il santo Padre era determinato a non rompere l'antica consuetudine della Chiesa.

Nel Canone XC del Concilio trullano, organizzato in concomitanza con il sesto Concilio ecumenico, si legge: "Abbiamo ricevuto i canoni dei nostri Padri teofori che portano a non piegare le ginocchia alla domenica, quando onoriamo la risurrezione di Cristo. Dato che questa osservazione può non essere chiara per alcuni di noi, cerchiamo di chiarire ai fedeli che, dopo l'ingresso dei chierici nell'altare sacrificale, alla sera del sabato, che nessuno di loro pieghi le ginocchia fino a sera della domenica seguente, quando, in seguito all'ingresso dopo l'accensione delle luci, piegando di nuovo le ginocchia, ricominciamo a offrire le nostre preghiere al Signore. Infatti, in quanto ci è stato tramandato che la notte dopo il sabato è stata il precursore della risurrezione del nostro Salvatore, iniziamo i nostri inni a questo punto in un modo spirituale, terminando la festa con un passaggio dalle tenebre alla luce, in modo da poter quindi celebrare la resurrezione insieme per un giorno intero e una notte intera". Giovanni Zonaras, spiegando il canone, dice: "Vari canoni hanno stabilito di non inginocchiarsi la domenica o durante i cinquanta giorni della Pentecoste, e Basilio il Grande ha pure fornito le ragioni per le quali questo era vietato. Questo canone decreta solo per quanto riguarda la Domenica, e indica chiaramente da che ora e fino a che ora inginocchiarsi, e dice: 'Al sabato , dopo l'ingresso dei celebranti all'altare nel Vespro, nessuno può piegare il ginocchio fino al Vespro della domenica, quando, cioè, ancora una volta avviene l'ingresso dei celebranti: noi non lo trasgrediamo piegando il ginocchio e pregando in ginocchio da quel momento in poi. La notte del sabato è considerata la sera del giorno della risurrezione, che secondo le parole di questo canone dobbiamo passare nel canto dei salmi, portando la festa dalle tenebre alla luce, e in tal modo celebrare la resurrezione per tutta la notte e il giorno" (Libro dei Canoni con interpretazioni, p. 729).

Nel Tipico della Chiesa c'è un'istruzione riguardo a come il sacerdote deve avvicinarsi e baciare il Vangelo dopo averlo letto durante la Veglia notturna della risurrezione: "Non fate prosternazioni fino a terra, ma piccoli inchini, toccando il suolo con la mano. Alla domenica e alle feste del Signore e durante tutti i 50 giorni tra la Pasqua e la Pentecoste non si piegano le ginocchia" (Tipico, cap. 2).

Tuttavia, stare in piedi ai servizi divini alla domenica e nei giorni tra la Pasqua e la Pentecoste era il privilegio di coloro che erano in piena comunione con la Chiesa; i cosiddetti "penitenti" invece non erano dispensati dallo stare in ginocchio, anche in quei giorni.

Chiudiamo con queste parole del famoso interprete dei canoni ecclesiastici, Teodoro Balsamo, Patriarca di Antiochia: "Mantenete i decreti canonici, dovunque e comunque siano stati formulati, e non dite che ci sono contraddizioni tra loro, poiché lo Spirito tuttosanto li ha formulati tutti" (Interpretazione del Canone XC del Concilio trullano).

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