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  Mt 27:46: Perché mi hai abbandonato?

dal blog di padre John Whiteford, 16 ottobre 2020

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Qual è la comprensione che la Chiesa ha di Matteo 27:46? Ho fatto qualche ricerca io stesso e ho visto di tutto, dall'idea che Cristo è stato abbandonato dal Padre, alle argomentazioni che Cristo non è stato abbandonato, né era angosciato, ma stava proclamando che anche nell'ora più buia, per così dire, il Padre era ancora con lui.

Troviamo il testo a cui lei fa riferimento in Matteo, così come in Marco 15:34, ma è anche chiaro che Cristo sta citando il Salmo 21:1 (che è il Salmo 22:1 nelle Bibbie protestanti e cattoliche). L'intero Salmo 21[22] è visto da parte dei Padri come una profezia della morte e risurrezione di Cristo, come è chiaramente suggerito o reso esplicito nei racconti della crocifissione in tutti e quattro i Vangeli. Salmo 21[22]:16-17 ("hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano") a cui si allude in Giovanni 19:37 e nel Salmo 21[22]: 18 ("si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte") è citato direttamente da Matteo 27:35 e Giovanni 19: 23-24, e vi si allude chiaramente in Marco 15:24 e in Luca 23:34 .

E quindi per trovare la risposta a questa domanda dobbiamo vedere cosa dicono i Padri di questi passi.

San Gregorio il Teologo (329-390) sottolinea che queste parole sono pronunciate da Cristo a nostro favore, perché egli ha sofferto per noi, ma che non c'è stata separazione tra il Padre e il Figlio e che l'umanità di Cristo non è mai stata separata dalla sua divinità:

"Non fu lui che fu abbandonato, né dal Padre, né dalla sua stessa divinità, come alcuni hanno pensato, come se la divinità avesse paura della Passione, e quindi si fosse ritirata da lui nelle sue sofferenze (perché chi lo costrinse a nascere sulla terra o a essere innalzato sulla Croce?) Ma come ho detto, egli ci rappresentava nella sua persona. Perché prima eravamo abbandonati e disprezzati, ma ora dalle sofferenze di colui che non poteva soffrire allo stesso modo, egli fa sue la nostra follia e le nostre trasgressioni e dice quanto segue nel Salmo, poiché è molto evidente che il ventunesimo Salmo si riferisce a Cristo.

La stessa considerazione si applica a un altro passo, "Ha imparato l'obbedienza dalle cose che ha sofferto", e al suo "forte pianto e lacrime", alle sue "preghiere", al suo "essere ascoltato" e alla sua "riverenza", tutto ciò che ha meravigliosamente realizzato, come un dramma la cui trama è stata ideata per noi. Perché nel suo carattere della Parola non era né obbediente né disobbediente. Poiché tali espressioni appartengono ai servi e agli inferiori, e l'una si applica al tipo migliore di loro, mentre l'altra appartiene a coloro che meritano la punizione. Ma, nella forma di un servo, si accontenta dei suoi compagni di servizio, anzi, dei suoi servitori, e prende su di sé una forma strana, portando tutto me e tutto ciò che è mio in sé, affinché in se stesso possa esaurire il male, come il fuoco con la cera, o come il sole con le nebbie della terra; e che io possa prendere parte alla sua natura mediante la fusione. Così onora l'obbedienza con la sua azione e la prova sperimentalmente con la sua passione. Perché possedere la disposizione non basta, come non ci basterebbe, se non lo provassimo anche con i nostri atti; perché l'azione è la prova della disposizione.

E forse non sarebbe sbagliato presumere anche questo, che con l'arte del suo amore per l'uomo egli abbia misurato la nostra obbedienza e tutto il resto in confronto con le sue sofferenze, in modo che possa conoscere la nostra condizione con la sua, e quanto ci viene chiesto, e quanto restituiamo, tenendo conto, assieme al nostro ambiente, anche della nostra debolezza" (Quarta Orazione Teologica 5-6).

San Giovanni Crisostomo (347-407) aggiunge che Cristo, citando questa profezia dell'Antico Testamento, ha reso testimonianza all'Antico Testamento e ha mostrato che non era in opposizione ad esso, ma che gli rendeva testimonianza:

"E per questo motivo, anche dopo questo egli parla, affinché potessero apprendere che era ancora vivo, e che egli stesso ha fatto questo, e che potrebbero diventare anche in questo modo più gentili, e dice: "Eli, Eli, lama sabachthani?" affinché fino al suo ultimo respiro possano vedere che egli onora suo Padre e non è avversario di Dio. Pertanto pronuncia anche un certo grido del profeta, fino alla sua ultima ora, rendendo testimonianza all'Antico Testamento, e non semplicemente un grido del profeta, ma anche in ebraico, in modo da essere loro chiaro e comprensibile, e in tutto mostra come è unanime con colui che lo ha generato" (Omelia 88 sul Vangelo di Matteo).

San Girolamo (347-420), nel suo commento a Matteo, sottolinea il fatto che il Salmo 21 parla chiaramente di Cristo e di nessun altro, e che l'umiltà delle parole citate ci indica lo scandalo della Croce (di cui san Paolo parla in 1 Corinzi 1:18-2:5):

"Ha usato l'inizio del ventunesimo Salmo. Inoltre, tralascia ciò che viene letto a metà del primo versetto:" Guardami ". Per l'ebraico si legge:" Dio mio, Dio mio, perché hai mi hai abbandonato?" Quindi sono empi coloro che pensano che questo Salmo fosse pronunciato nella persona di Davide, o di Ester e Mardocheo. Gli evangelisti infatti comprendevano le testimonianze da esso tratte del Salvatore, come per esempio: " si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte"; e altrove: "hanno forato le mie mani e i miei piedi". Non meravigliarti dell'umiltà delle parole e del lamento dell'abbandonato. Poiché conoscendo la "forma di un servo", vedi lo scandalo della croce" (I Padri della Chiesa: San Girolamo, Commento a Matteo, 4:27:46, trad. Thomas P. Scheck, Washington, DC: Catholic University of America Press, 2008, p. 319).

Il beato Teofilatto (1050-1107) espande il commento di san Giovanni Crisostomo, e poi aggiunge alcune intuizioni aggiuntive:

"Gesù parla profeticamente in lingua ebraica per mostrare che non è in conflitto con l'Antico Testamento. Dice: "Perché mi hai abbandonato?" Per mostrare che era veramente uomo, e non solo in apparenza. Perché l'uomo desidera ardentemente la vita e ne ha un appetito fisico. Proprio come Cristo agonizzò ed era profondamente turbato davanti alla croce, mostrando la paura che è nostra per natura, così ora dice: "Perché mi hai abbandonato?", mostrando la nostra naturale sete di vita. Era veramente uomo e come noi sotto tutti gli aspetti, ma senza peccati. Alcuni lo hanno capito in questo modo: il Salvatore ha parlato a nome degli ebrei e ha detto: "Perché hai abbandonato la razza ebraica, o Padre, che dovrebbe commettere un tale peccato ed essere consegnata alla distruzione?" Infatti, poiché Cristo era uno dei giudei, disse "mi hai abbandonato", intendendo,"Perché hai abbandonato i miei parenti, il mio popolo, affinché si portino addosso un così grande male?" (La spiegazione del santo vangelo secondo Matteo. Trad. p. Christopher Stade, House Springs, MO: Chrysostom Press, 1992, p. 247f).

Il beato Teodoreto (393-458), nel suo commento al Salmo 21[22] sottolinea il fulcro profetico del Salmo nel suo insieme:

"Questo Salmo predice gli eventi della passione e risurrezione di Cristo Signore, la chiamata delle nazioni e la salvezza del mondo" (I Padri della Chiesa: Teodoreto di Ciro, Commentario sui Salmi, 1-72, trad. Robert C. Hill, Washington, DC: Catholic University of America Press, 2000, p. 145).

E sul versetto specifico in questione, scrive sulla falsariga di san Gregorio Teologo:

"Ora, fu mentre era fissato al legno che il Signore pronunciò questo grido, usando la stessa lingua degli ebrei, "Eli, Eli, lema sabachthani?" Quindi come potrebbe la testimonianza della verità stessa essere ritenuta inammissibile? Egli dice di essere stato abbandonato, tuttavia, poiché, nonostante non abbia stato commesso alcun peccato, la morte prevale su di lui dopo aver ricevuto autorità sui peccatori. Quindi chiama abbandono non una qualche separazione dalla divinità alla quale era unito, come alcuni sospettavano, ma il permesso dato per la Passione: la divinità era presente in forma di schiavo nella sua sofferenza e gli ha permesso di soffrire per procurare la salvezza per tutta la natura. Certo, non è stato influenzato dalla sofferenza di quella fonte: come poteva soffrire la natura impassibile? È Cristo il Signore come uomo, al contrario, che pronuncia queste parole..." (I Padri della Chiesa: Teodoreto di Ciro, Commentario sui Salmi, 1-72, trad. Robert C. Hill, Washington, DC: Catholic University of America Press, 2000, p. 146).

Cassiodoro (485-585), nel suo commento al Salmo 21 [22] fa eco agli altri Padri, e cita san Cirillo d'Alessandria per rafforzarli:

"Chiede al Padre perché è stato abbandonato da Lui. Queste e simili espressioni cercano di esprimere la sua umanità, ma non dobbiamo credere che la divinità fosse assente in lui alla passione, poiché l'apostolo dice: Se avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria [1 Corinzi 2:8]. Sebbene fosse impassibile, soffrì per l'umanità che aveva assunto e che poteva soffrire. Era immortale, ma è morto; non muore mai, ma è risorto. Su questo argomento il padre Cirillo espresse questo bellissimo pensiero: per la grazia di Dio ha gustato la morte per tutti, abbandonando il suo corpo sebbene per natura fosse la vita e la risurrezione dei morti "[Cirillo di Alessandria, Ep.17 (MG 77.113B)]... Trasmette le esperienze dell'umanità che ha assunto, respingendo le parole di bestemmia e le parole empie, perché dice che le parole generate dai peccati sono lontane da lui. La salvezza della sua santa anima non consisteva nell'abbracciare il discorso dei peccatori, ma nel sopportare volentieri in virtù della pazienza ciò che egli soffrì per dispensazione di Dio" (Cassiodoro: Spiegazione dei Salmi, Vol. 1, trad. P.G. Walsh, New York: Paulist Press, 1990, p. 217).

Quindi, in sintesi, Cristo stesso, citando le prime parole del Salmo 21 dalla Croce, ci ha indicato le parole di questo Salmo profetico, in modo che potessimo comprendere il significato della sua morte, che ha sofferto per noi e al posto nostro. Non nel senso che Cristo sia stato separato dal Padre mentre era sulla Croce, ma che ha volontariamente sofferto l'abbandono della pena per i nostri peccati nella sua umanità. E sebbene questo Salmo inizi con parole che parlano di abbandono e di sofferenza crudele, terminano con parole che parlano della risurrezione di Cristo, della sua vittoria sulla morte e della salvezza della Chiesa, composta da tutte le nazioni:

Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea. Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito. Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: Viva il loro cuore per sempre. Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: Ecco l'opera del Signore! (Salmo 21: 23-31).

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