Limerick, Irlanda
La disputa principale teologica nell'Irlanda del sesto e del settimo secolo era la controversia sulla data corretta per la Pasqua. Il punto è che dal tempo di san Patrizio (390 circa – 461 circa o 492?) Le Chiese celtiche dell'Irlanda, della Gran Bretagna (specialmente del Galles) e degli emigranti britannici verso l'Armorica (ora Bretagna) sul continente usavano cicli pasquali basati su un ciclo di ottantaquattro anni, il che significava che la Pasqua poteva cadere al più presto il quattordicesimo giorno di Nisan e al più tardi il ventesimo giorno di Nisan (secondo il calendario lunare), o, in altre parole, tra il 25 marzo e il 21 aprile (secondo il calendario giuliano solare). Questo metodo di calcolo del giorno della Risurrezione di Cristo era diverso da quelli di Roma e Alessandria; secondo quest'ultimo, la Pasqua cristiana non poteva mai cadere prima della Pasqua ebraica, mentre a Roma si ignorava questa precauzione. Gli irlandesi cercarono di dimostrare la correttezza dei loro cicli pasquali facendo riferimento agli atti apocrifi del Concilio di Cesarea e a un trattato sul tempo delle celebrazioni pasquali, attribuito a sant'Anatolio di Laodicea.
Sant'Agostino di Canterbury, che tra il 597 e il 604 servì come missionario tra gli angli e i sassoni che avevano invaso parti della Britannia, attirò l'attenzione della Santa Sede sugli errori nei cicli pasquali celtici, che riteneva inaccettabili. Da quel momento in poi i papi di Roma, pur mantenendo i contatti con la gerarchia della Chiesa irlandese, insistettero affinché la Chiesa in Irlanda adottasse i cicli pasquali romani. Nel 628, papa Onorio I (che favorì l'eresia del monotelismo e alla fine fu anatemizzato per questo al sesto Concilio ecumenico) indirizzò ai vescovi irlandesi un messaggio, in cui chiedeva di adattare le tradizioni locali della Chiesa alle pratiche romane e di adottare il calcolo per le date della Pasqua, compilato da Dionigi il Piccolo († 550 circa). Secondo il Venerabile Beda, "Onorio scrisse agli scozzesi [gli irlandesi], che aveva scoperto errare nell'osservanza della santa festa della Pasqua..., con sottigliezza di argomenti esortandoli a non considerarsi, pochi come erano, e collocati ai più estremi confini della terra, più saggi di tutte le antiche e moderne Chiese di Cristo, in tutto il mondo; e a non celebrare una Pasqua diversa, contrariamente ai calcoli pasquali e ai decreti di tutti i vescovi sulla terra raccolti in sinodo". [1]
Verso il 630, si svolse a Old Leighlin, o Magh Lene, un Sinodo della Chiesa che inviò una delegazione a Roma per discutere dei cicli pasquali. In seguito alcuni vescovi, monasteri e parrocchie d'Irlanda adottarono i cicli pasquali romani, mentre altre comunità li respinsero, scegliendo di attenersi alla loro tradizione nazionale. Tra i sostenitori della tradizione irlandese c'era la comunità del monastero più celebrato e influente nel mondo celtico, vale a dire Iona in Scozia. Difendendo tale tradizione, l'abate Segeno di Iona (623-652) si riferì ai precetti del venerabile Colombano, il fondatore del monastero. Nel 632, san Cummiano, abate di un altro monastero, situato a Dermagh (ora Durrow, in Irlanda), nella sua lettera indirizzata al confratello abate Segeno e al santo eremita Beccano li invitò ad adottare il metodo romano di calcolo della Pasqua per amore dell'unità della Chiesa e della pace. Affermò inoltre con ironia: "Ci può essere qualcosa di più assurdo che dire ... Roma sbaglia, Gerusalemme sbaglia, Antiochia sbaglia, e tutto il mondo sbaglia, e solo gli irlandesi e gli inglesi hanno ragione?" [2]
Subito dopo la sua elezione alla cattedra papale, Giovanni IV mandò un'epistola in Irlanda, "Ai nostri amatissimi e santissimi Tomiano, Colombano, Cromano, Dinnao e Baitano, vescovi; a Cromano, Erniano, Laistrano, Scellano e Segeno, sacerdoti; a Sarano e al resto dei dottori e abati scozzesi... Abbiamo scoperto che alcuni nella vostra provincia, sforzandosi di far rivivere una nuova eresia da una vecchia, contrariamente alla fede ortodossa, attraverso l'oscurità delle loro menti rifiutano la nostra Pasqua, quando Cristo fu sacrificato; e sostengono che la si debba celebrare con gli ebrei il quattordicesimo del mese lunare." [3] Riconosciamo bene questo tono imperioso e il modo didattico di parlare dei funzionari della sede romana che erano diventati comuni dai tempi di papa Gelasio I. La riluttanza ad adottare i cicli pasquali romani fu chiaramente e rigorosamente etichettata come "eresia" in questo messaggio, insieme all'altra grave accusa dell'eresia del pelagianesimo, che tuttavia era stata completamente eliminata in Gran Bretagna e in Irlanda molto tempo prima. "E abbiamo anche appreso che il veleno dell'eresia pelagiana sorge di nuovo tra voi; noi, quindi, vi esortiamo ad allontanare dai vostri pensieri tutta questa malvagità velenosa e superstiziosa. Non potete infatti ignorare come sia stata condannata quell'eresia esecrabile; perché non solo è stata abolita in questi duecento anni, ma è anche condannata quotidianamente da noi e sepolta sotto il nostro divieto perpetuo..." [4] Anche se oggi questa tirata può sembrare troppo emotiva, la lettera papale procedeva a esporre correttamente l'errore dell'insegnamento di Pelagio. Ma in realtà queste accuse "mancarono il bersaglio" e arrivarono con un ritardo di 200 anni: "Chi non detesterebbe quell'asserzione insolente e empia, che 'l'uomo può vivere senza peccato di sua spontanea volontà, e non attraverso la grazia di Dio?'... Ed è follia blasfema dire che l'uomo è senza peccato: nessuno può esserlo, tranne l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, l'Uomo Cristo Gesù, che è stato concepito e nato senza peccato; poiché tutti gli altri uomini, essendo nati nel peccato originale, sono noti per portare il segno della trasgressione di Adamo, anche quando non hanno veri e propri peccati, secondo il detto del profeta: "Ecco, io sono stato concepito nell'iniquità; e nel peccato mi ha partorito mia madre'." [5] Questo è un eccellente argomento contro il falso insegnamento della "Immacolata Concezione" della Vergine Maria, proclamato da Papa Pio IX come dogma della Chiesa cattolica. A proposito, questa preoccupazione della Chiesa romana sull'apparente rinascita del pelagianesimo in Irlanda indicò indirettamente che la soteriologia dei suoi teologi (irlandesi) era strettamente connessa con l'insegnamento di san Giovanni Cassiano, che fu accettato dal cristianesimo orientale e respinto dal cristianesimo occidentale come semi-pelagianesimo.
L'ammonizione di Giovanni IV ebbe solo un successo limitato. In ogni caso, il monastero di Iona non cambiò in quel periodo la sua abitudine di calcolare la Pasqua.
Alla fine del settimo secolo, al Sinodo di Birr (Irlanda) nel 697, il santo abate Adomnano di Iona insistette sull'adozione dei cicli pasquali romani nelle chiese di Ulaid (un regno gaelico nell'Irlanda nord-orientale). A quel tempo la maggior parte dell'Europa occidentale osservava la pratica romana del calcolo della Pasqua, tuttavia i suoi fratelli del monastero di Iona non cambiarono idea e continuarono a sostenere le usanze celtiche. Sant'Adomnano si addormentò nel Signore nel 704 o 705 all'età avanzata di ottant'anni. Secondo la sua vita, "Sfortunatamente Adomnano non visse per vedere il momento in cui Iona accettò il metodo romano del calcolo della Pasqua – questo accadde nel 716." [6] Nel menzionato Sinodo di Birr, la "Legge degli innocenti" di sant'Adomnano, nota anche come "Cáin Adomnáin" ("Legge di Adomnan"), fu adottata con il pieno appoggio di Loingsech mac Oengusso, re di Ulaid. Con questa legge il santo ottenne l'esenzione del clero, delle donne e dei bambini dal servizio militare obbligatorio. Vietava inoltre l'uso della violenza nei confronti di persone disarmate durante le ostilità.
Il monastero di Iona, che si trovava su una piccola isola in quella che oggi è la Scozia, era il centro spirituale più influente per l'Irlanda. Vi abitavano uomini di preghiera e asceti, predicatori e missionari, scienziati e teologi, scribi e copisti di manoscritti in gaelico e latino; abili maestri intagliatori di legno e pietra insieme ad artigiani di metalli producevano croci, calici e patene; artisti di talento illuminavano manoscritti con miniature meravigliose e colorate. Giovani provenienti da tutta l'Irlanda, dalla Scozia, dal Galles, dai regni inglesi e sassoni e dal continente navigavano fino alla scuola di Iona per l'educazione spirituale, l'esperienza nella preghiera e la vita ascetica. Quando ricevevano la tonsura monastica, rimanevano nel monastero di Iona, o tornavano nelle loro terre natali, o viaggiavano in terre straniere per portare la luce della verità di Cristo ai loro popoli. La reputazione del monastero di Iona era tale che, finché questo rispettò le sue usanze nazionali in merito al calcolo della Pasqua, molti monasteri e parrocchie dell'Irlanda lo sostenessero. E non appena Iona adottò i cicli pasquali romani, fu seguito da altre chiese di Irlanda, Scozia e Galles che si erano rifiutate di farlo prima.
I monaci di Iona e di altri monasteri irlandesi dell'Irlanda e della Scozia operarono come missionari ben oltre i loro paesi e la vicina Gran Bretagna. Secondo il medievalista francese Jacques Le Goff (1924-2014), "Nel sesto e settimo secolo l'Irlanda 'esportò' circa 115 santi in Germania, 45 in Francia, 44 in Inghilterra, 36 nel territorio di quello che ora è il Belgio, 25 in Scozia e 13 in Italia". [7]
La regola monastica del venerabile Colombano (543 circa – 615 circa) adottata dai monasteri fondati da lui e dai suoi discepoli nel continente europeo rivaleggiava con quella di san Benedetto da Norcia. Secondo J. Le Goff, "La moderatezza della regola di san Benedetto era in qualche modo estranea al monachesimo irlandese... Vero, la preghiera, il lavoro manuale e lo studio erano la base della regola di san Colombano; ma, a parte tutto ciò, richiedeva un digiuno estremamente rigoroso e un'austera vita ascetica. La pratica di recitare preghiere in posizione eretta con le braccia incrociate per molte ore in successione stupiva i contemporanei. Per esempio, si diceva che san Kevin di Glendalough abbia pregato così, appoggiato a una tavola, per sette anni di seguito. In quel periodo non fece un solo movimento e non chiuse gli occhi né giorno né notte, così anche gli uccelli costruirono il loro nido su di lui." [8] Che fosse una leggenda o no, questo peculiare racconto è sicuramente tipico della mentalità religiosa di quell'epoca e di quella nazione. Possiamo tracciare un parallelo tra questo tipo di lavoro spirituale e lo stilitismo (ascetismo sulle colonne) dei monaci del cristianesimo orientale, di san Nilo dell'isola Stolobny [sul lago Seliger nella regione di Tver' a nord di Mosca]. Pertanto, ci sono molte somiglianze tra le tradizioni ascetiche dei primi santi irlandesi (sebbene possano sembrare un po' "eccentriche") e le pratiche monastiche della Chiesa orientale.
Note
[1] Venerabile Beda. Storia della Chiesa e del popolo inglese. Libro II, cap. XIX. Fonte della citazione: http://www.sacred-texts.com/chr/bede/hist055.htm
"Bede's Ecclesiastical History of England, ed. by A.M. Sellar, [1907], at sacred-texts.com".
[2] Patrologia Latina, LXXXVII, p. 974. Fonte della citazione: http://classicalchristianity.com/category/bysaint/
[3] Beda. Storia. Libro II, cap. XIX. Fonte della citazione: http://www.sacred-texts.com/chr/bede/hist055.htm
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] D. Lapa, V. Derzhavina. Lives of the Saints Who Shone Forth in the Lands of Britain and Ireland (edizione russa). Pubblicato dalla diocesi di Sourozh, Londra, 2012, p. 412.
[7] Jacques Le Goff. The Civilization of the Medieval West (edizione russa). Mosca, 1992, p. 115.
[8] Ibid.
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