Per avere una visione d'insieme dell'organizzazione dei Concili ecumenici, compilerò, secondo i documenti ufficiali dei Concili e le descrizioni storiche *, alcune informazioni che ho considerato rilevanti per la questione del Concilio pan-ortodosso a Creta e le prospettive per la sua ricezione o riconoscimento. Per esempio:
I Concilio ecumenico
Fu organizzato da Costantino il Grande nel palazzo imperiale di Nicea, tra il 14 giugno e il 25 agosto del 325. Presidente onorario del Sinodo era l'imperatore stesso, ma i lavori stessi sono stati guidati da diversi presidenti (proedrois): Osio di Cordova (che era il principale consigliere dell'imperatore e firmò per primo gli atti del Concilio), Eustazio di Antiochia e di Eusebio di Cesarea (anch'egli vicino all'imperatore). I delegati di Papa Silvestro (quattro vescovi e due preti) apposero la seconda firma, ma senza impegnarsi seriamente nel dibattito. Inizialmente al Concilio avevano partecipato circa 250 vescovi, ma al termine il loro numero salì a 318. Essi rappresentavano un sesto di tutto l'episcopato cristiano di allora (circa 1000 vescovi in Oriente e circa 800 in Occidente).
II Concilio ecumenico
Fu organizzato a Costantinopoli da Teodosio I il Grande tra il maggio e il luglio del 381. L'imperatore non annunciò neppure a papa Damaso l'organizzazione del Concilio, e quindi ale riunioni parteciparono solo 150 vescovi dall'Oriente. I lavori furono presieduti da Melezio di Antiochia (che morì proprio durante il Concilio), poi da Gregorio Nazianzeno (che fu costretto a ritirarsi dopo alcuni giorni), e si conclusero sotto la presidenza di Nettario di Costantinopoli. Anche se i vescovi occidentali non avevano partecipato al Concilio, questo è sempre stato riconosciuto e accettato dalla Chiesa di Roma.
III Concilio ecumenico
Il Concilio di Efeso, che si tiene dal giugno al settembre del 431, fu convocato dall'imperatore Teodosio il Minore in occasione della festa di Pentecoste. Ma passarono altri 16 giorni finché Cirillo d'Alessandria aprì i lavori sinodali (22 giugno), senza attendere gli assenti. I 3 delegati del papa Celestino arrivarono solo alla seconda sessione, il 10 luglio, e Giovanni di Antiochia e altri 33 vescovi siriani arrivarono a Efeso il 26 giugno, non parteciparono al Concilio presieduto da Cirillo, ma organizzarono un concilio alternativo, a cui aderirono nove altri vescovi che sostenevano Nestorio esso. Infine, dopo aver comandato la rimozione di Cirillo dal Concilio e l'arresto di Nestorio, l'imperatore approvò i decreti del Concilio di Efeso. La condanna di Nestorio fu firmata da quasi 200 vescovi, ma alle ultime sessioni partecipò un numero più piccolo.
È interessante notare che, in assenza dei vescovi di Antiochia, il Concilio di Efeso diede l'autocefalia alla Chiesa di Cipro, che fino a quel tempo dipendeva da Antiochia.
IV Concilio ecumenico
Si tenne a Calcedonia (oggi nella parte asiatica di Istanbul), essendo stato convocato dall'imperatore Marciano a Nicea, ma prima dell'apertura fu trasferito più vicino a Costantinopoli, per essere controllato dall'imperatore. I lavori durarono per 17 sessioni, tra l'8 e il 31 ottobre 451. Le prime due sessioni furono guidate dal generale (magister militum) Anatolie, dal prefetto dell'Oriente Palladio e dal prefetto di Costantinopoli (praefectus urbis) Taziano. Le due sessioni seguenti furono guidate dal vescovo Pascasino di Lilibeo, delegato di papa Leone il Grande, insieme con il vescovo Lucenzio. Il patriarca Anatolio di Costantinopoli fu coinvolta seriamente solo a partire dalla quinta sessione sotto pressione dell'imperatore, che voleva quanto più rapidamente l'approvazione di un horos (decreto) dogmatico nello spirito della confessione di papa Leone.
Il numero massimo di partecipanti a una riunione è stato di 630 vescovi, anche se l'horos dogmatico fu firmato solo da 454 vescovi. Questo avvenne in occasione della sesta riunione il 25 ottobre, presieduta dall'imperatore Marciano stesso, che si rivolse ai padri sinodali in latino e in greco, presentando se stesso come "nuovo Costantino" e sua moglie Pulcheria come "nuova Elena".
Particolarmente interessanti sono le decisioni dell'ottava sessione (settima nella traduzione latina) e dell'ultima, la diciassettesima (sedicesima in alcune traduzioni latine, e in altre inesistente).
Ancora al III Concilio ecumenico (quando ad Antiochia era stata presa Cipro) il patriarca Giovenale di Gerusalemme pretendeva, in aggiunta alla Palestina, di avere l'Arabia e la Fenicia. Ma a seguito di un'intesa con il patriarca Massimo di Antiochia, l'Arabia (compreso il Qatar di oggi) e la Fenicia rimasero nella giurisdizione di Antiochia, cosa confermato all'ottava sessione del IV Concilio ecumenico.
Un po' più complicata è la storia dell'ultima sessione, in cui fu emanato il Canone 28, come estensione del Canone 3 del II Concilio ecumenico. Questi canoni conferivano alla sede di Costantinopoli diritti simili a quelli della vecchia Roma, sulla base delle nuove condizioni politiche. Ecco cosa dice il testo:
"Seguendo in tutto le decisioni dei santi Padri e conoscendo il canone appena letto dei 150 vescovi amati da Dio, riunitisi nella imperiale Costantinopoli, la nuova Roma, sotto il grande Teodosio, il defunto imperatore di beata memoria, le stesse decisioni le prendiamo e le confermiamo anche noi, circa gli stessi privilegi della santissima Chiesa di Costantinopoli, la nuova Roma sin dai tempi in cui i Padri avevano giustamente conferito alla sede dell'antica Roma il primato perché quella città era la città imperiale. E i 150 vescovi amati da Dio, spinti dallo stesso obiettivo, hanno dato uguali privilegi al santissimo trono della nuova Roma, considerandola giustamente come la città onorata dal trono reale e dal senato, e che ha acquisito privilegi uguali a quelli dell'antica Roma imperiale; proprio perché anch'essa possa fare grandi cose nella Chiesa, essendo la seconda dopo questa. Inoltre [è stato deciso] che i metropoliti diocesani del Ponto, dell'Asia e della Tracia, e i vescovi delle diocesi chiamate prima terre barbare, siano consacrati dalla suddetta santissima sede della santissima Chiesa di Costantinopoli; e ogni metropolita delle diocesi menzionate, insieme con i vescovi della metropolia, ordini i vescovi della metropolia come decretato nei canoni divini; e i metropoliti delle suddette diocesi siano ordinati, come si è detto, dall'arcivescovo di Costantinopoli, dopo che è stata fatta secondo l'uso una scelta unanimr e i candidati sono portati alla sua attenzione".
Il vescovo Lucenzio era convinto che i padri sinodali stessero passando questa decisione (in particolare il passaggio delle tre province sotto Costantinopoli) sotto pressione dell'imperatore. Pertanto, il legato papale uscì dalla sessione, e Roma non ha mai riconosciuto il Canone 28 di Calcedonia.
Chiaramente, le attuali condizioni politiche rendono invalido il Canone 28 (Costantinopoli non è più la capitale dell'impero cristiano, il Ponto e l'Asia sono occupate dai musulmani e la Tracia è divisa tra le Chiese di Grecia e Bulgaria). Ma il patriarcato di Costantinopoli (come fa anche il Vaticano), trascurando il legame tra il "primato d'onore" e le condizioni politiche che le hanno dato il primato, non estende le "terre dei barbari" solo al Ponto, all'Asia e alla Tracia, ma tutta la diaspora al di fuori del territorio delle Chiese autocefale.
A proposito, alla stessa diciottesima (diciassettesima) sessione, i delegati latini citarono il Canone 6 del primo Concilio ecumenico con l'aggiunta: "ecclesia romana semper habuit primatum". Costantino Notario cita invece l'originale greco, da cui manca la previsione di un primato permanente di Roma.
V Concilio ecumenico
Fu convocato dall'imperatore Giustiniano il Grande a Costantinopoli, ma egli stesso non partecipò ad alcuna sessione, mentre i suoi delegati, ogni volta, chiedevano ai vescovi il permesso di assistere, per sottolineare la non implicazione della corte imperiale negli affari della Chiesa, anche se tale implicazione era evidente e marcata nel Concilio e nella vita ecclesiale in quel periodo. I lavori furono estesi a 8 sessioni, dal 5 maggio al 2 giugno 553.
Parteciparono 153 vescovi, di cui: 83 del patriarcato di Costantinopoli, 10 da Alessandria, 39 da Antiochia, cinque da Gerusalemme 9 dall'Illiria (dipendente da Roma) e 7 dall'Africa occidentale (anch'essa dipendente da Roma). Papa Vigilio, anche se si trovava a Costantinopoli e fu ripetutamente invitato a partecipare, rifiutò categoricamente. Oltre alla riluttanza a condannare lo scisma dei "tre capitoli", il papa insisteva che fossero chiamati altri vescovi dall'Italia per una maggiore rappresentanza della Chiesa occidentale. La corte imperiale rifiutò questa richiesta del papa, ricordandogli che anche i delegati occidentali degli altri Concili erano in minoranza, e una possibile pari rappresentanza dell'episcopato avrebbe voluto dire non lo stesso numero di vescovi provenienti da Oriente e Occidente, ma un numero uguale di vescovi da tutti e cinque i patriarchi (pentarchia).
Alla settima riunione (26 maggio) il papa inviò al Concilio, per mezzo del suo suddiacono Servusdei, una lettera ( "Constitutium I") come soluzione di compromesso per i "tre capitoli", ma i padri sinodali la respinsero. Durante l'ultima riunione del 2 giugno, la decisione dogmatica fu firmata da 152 vescovi, ai quali si unirono in seguito altri 16 vescovi. Inoltre furono formulati 14 anatemi che in gran parte ripetevano la "confessione di fede" dell'imperatore Giustiniano (del 551). Papa Vigilio firmò gli atti del Concilio solo il 23 febbraio 554, dopo di che gli fu permesso di andare a Roma. Morì lungo la strada, a Siracusa, il 7 giugno 555.
È interessante il fatto che le riunioni del Sinodo non furono guidate da un solo vescovo, ma da un presidio formato da Eutichio di Costantinopoli, Apollinare di Alessandria, Domnino di Teopoli da parte del patriarca di Antiochia e, a sua volta, i vescovi Stefano, Giorgio e Damiano da parte del patriarca Eustochio di Gerusalemme.
VI Concilio ecumenico
Fu convocato dall'imperatore Costantino IV a Costantinopoli. Il Concilio ebbe 18 sessioni, tra il 7 novembre 680 e il 16 settembre 681 (con una pausa dal 26 aprile al 9 agosto), svolta nella sala delle torri del palazzo imperiale. L'imperatore stesso presiedette 12 sessioni (le prime 11 e l'ultima) e le altre sei furono guidate da due patrizie e da due consoli imperiali: Costantino, Anastasio, Polieucto e Pietro.
Il papa Agatone era rappresentato da due sacerdoti e un diacono. Per il resto, al Concilio parteciparono da 43 vescovi (alla prima sessione) fino a 163 (all'ultima). A causa delle occupazioni arabe allora all'inizio, le diocesi d'Oriente erano molto poco rappresentate. Il Concilio cita solo Macario di Antiochia e il suo consigliere il monaco Stefano, entrambi finiti sotto anatema come monoteliti, e in campo ortodosso lo ieromonaco Giorgio, segretario del reggente patriarcale di Gerusalemme. Da Alessandria, allora occupata dagli arabi, ma anche per la maggior part fedele al monofisismo e al monotelismo, sembra che non abbia partecipato nessuno.
Anche se il Concilio durò più a lungo degli altri concili, non ratificò alcun canone. Pertanto, oltre 10 anni dopo il sesto Concilio ecumenico, l'imperatore Giustiniano II convocò una nuova assemblea, nella stessa sala delle torri del palazzo, a cui parteciprono 227 vescovi guidati da patriarchi Paolo III di Costantinopoli, Pietro I di Alessandria, Giorgio II di Antiochia e Anastasio II di Gerusalemme. Come delegati del Papa Sergio II parteciparono due vescovi, anch'essi dall'Oriente. Questo Concilio fu chiamato 'in Trullo' o Quinisesto (perché diede 102 canoni disciplinari, completando i Concili ecumenici V e VI) e durò esattamente un anno (1 ° settembre 691 – 31 agosto 692). Nei successivi scritti ecclesiastici, sia in Oriente sia in Occidente, i canoni di questo Concilio disciplinare sono chiamati "del sesto Concilio ecumenico". Dal momento che tre dei 102 canoni condannano alcune pratiche occidentale (13 – il celibato, 55 – il digiuno al sabato, 73 – la rappresenta della croce sul pavimento), diversi papi e teologi occidentali hanno messo in discussione l'autorità del sinodo ecumenico in Trullo e la sua relazione con il sesto Concilio ecumenico.
VII Concilio ecumenico
Questo Concilio fu convocato dall'imperatrice iconodulia Irene e si svolse dal 24 settembre al 23 ottobre dell'anno 787. Le prime 7 sessioni ebbero luogo nella chiesa di Santa Sofia a Nicea (24 settembre – 13 ottobre) e la riunione finale del 23 ottobre si è tenuta al Palazzo Magnavru di Costantinopoli, divenuto in seguito l'Università della capitale.
La storia dell'organizzazione di questo Concilio è particolarmente interessante. Il patriarca Tarasio di Costantinopoli (ordinato il 25 dicembre 784) e l'imperatrice Irene si rivolsero nell'agosto 785 a papa Adriano I, invitandolo a un Concilio per condannare l'iconoclastia. Il papa rispose solo il 27 ottobre 785, dichiarandosi d'accordo con l'organizzazione del Sinodo, se Costantinopoli si fosse conformata alle seguenti quattro condizioni: 1) anatema del sinodo iconoclasta ufficiale del 754 in presenza dei delegati papali; 2) garanzie scritte dall'imperatrice, dal patriarca e dal senato per la libertà e la sicurezza dei delegati papali (un prete e un abate, entrambi di nome Pietro), anche se essi non fossero stati d'accordo con le decisioni del Sinodo; 3) restituzione alla Chiesa di Roma delle diocesi del Sud Italia (date da Leone III l'Isaurico al patriarca di Costantinopoli); e 4) la rinuncia del patriarca di Costantinopoli del titolo di "ecumenico".
Il Concilio fu convocato per il 7 agosto 786, ma dopo una protesta iconoclasta alla vigilia, l'organizzazione del Concilio non fu possibile. Con alcuni trucchi politico-militari, l'imperatrice riesce a organizzare il Concilio a Nicea, in modo pienamente sicuro. Il numero dei partecipanti variò da una sessione all'altra: alla prima parteciparono 257 vescovi e delegati (esclusi abati e monaci), alla quarta riunione parteciparono 458 persone, di cui 330 erano vescovi, e alla settima riunione parteciparono 339 vescovi, mentre il documento finale fu firmato da 308 vescovi, che riuscirono a venire a Costantinopoli il 23 ottobre.
Particolarmente importante è il fatto che a causa dell'occupazione araba, i tre patriarcati orientali (Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) erano rappresentati solo da due monaci: Giovanni, ex sincello (segretario) del patriarcato di Antiochia, e Tommaso, abate del monastero di sant'Arsenio dell'Egitto (in seguito divenne metropolita di Salonicco). Questi vennero al Concilio con una lettera da "vescovi, preti e monaci d'Oriente", che lessero al terzo incontro. Ricordando la difficile situazione in cui i cristiani erano resi schiavi dagli arabi, gli autori della lettera sollecitavano i padri sinodali a non tenere conto della mancanza di patriarchi e vescovi dall'Oriente, soprattutto se avessero partecipato i delegati papali. È invocato come precedente il sesto Concilio ecumenico, al quale allo stesso modo i vescovi orientali erano in un numero molto piccolo.
I vescovi greci nei Balcani non poterono partecipare al Concilio a causa delle ripetute invasioni di slavi, allora non ancora battezzati. Pertanto, la maggior parte dei vescovi veniva da Costantinopoli, dall'Asia Minore e dal Sud Italia, dove erano fuggiti molti monaci iconoduli.
Anche se i delegati papali firmarono le decisioni papali del settimo Concilio ecumenico, il re Carlo Magno si mostrò scontento dell'inferiorità dell'Occidente di fronte all'Oriente e negò l'ecumenicità del Concilio, definendolo "un concilio locale dei greci". Il suo documento iconoclasta, i Libri Carolini, fu approvato in occasione del Concilio di Francoforte (anno 794), alla presenza dei delegati del papa Adriano, che temeva l'ira dei franchi, poi dal Concilio di Parigi (anno 825), in un momento in cui in Oriente era stata ripristinata l'iconoclastia. Al Concilio di Costantinopoli degli anni 869-870, che a torto condannò il patriarca Fozio, i delegati papali ribadirono la venerazione delle icone, ma quando questo Concilio fu annullato nell'879, quando fu riabilitato Fozio e fu condannata l'eresia del Filioque, i Latini hanno considerato i decreti del Concilio di Nicea nel 787 come relativi e opzionali.
È interessante notare che, nel 1448, al Concilio di Ferrara-Firenze, gli occidentali hanno presentato ai greci una pergamena con la traduzione latina dei documenti del settimo Concilio ecumenico, realizzata presumibilmente da Anastasio il Bibliotecario (morto nell'878, un anno prima del Concilio foziano), che menzionava il Credo letto alla settima sessione (13 ottobre) del settimo Concilio ecumenico con l'aggiunta del Filioque. Ma il delegato greco Giorgio Gemisto Pletone smascherò la falsità di questa pergamena, notando che se il documento fosse stato vero, sarebbe stato necessariamente citato da Tommaso d'Aquino (sec. XIII) e da altri teologi occidentali.
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Da quanto menzionato sopra concludiamo che:
1) Le tensioni, pretese e incomprensioni tra le Chiese locali crescevano da un Concilio a un altro;
2) La situazione del Concilio di Creta (2016) è molto migliore di quella di qualsiasi Concilio Ecumenico dei sette (ri)conosciuti finora. Non so tuttavia se questa ovvia costatazione possa servire come vera speranza per la sinodalità e l'unità della Chiesa dei nostri giorni.
3) Le commemorazioni dei "santi Padri" dei Concili ecumenici (come quelle che abbiamo nel Sinassario) sono un modo di dire che è stato preso troppo sul serio. Dalle forme di indirizzo che abbiamo osservato al Concilio di Creta capisco che anche i padri sinodali di oggi si vedono pressoché canonizzati ed entrati nella storia, semplicemente perché hanno assistito / partecipato.
* Principale fonte bibliografica: "Enciclopedia ortodossa (Православная Энциклопедия)", vol 9, pp 556-660
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