Il caso di Alexander Belya, l'ex archimandrita deposto dalla ROCOR, ha preso una pericolosa piega di diritto processuale. Dopo essere stato "salvato" dal Fanar, messo a capo di un vicariato "slavo" in America e addirittura proposto per l'episcopato (tutte cose che per un esperto di diritto canonico sono passi da gigante nell'illegalità), Belya ha fatto un'altra azione che calpesta ogni lettera e spirito dell'ecclesialità ortodossa (e che non a caso è stra-vietata dal diritto canonico): ha trascinato la sua ex giurisdizione in una causa civile per diffamazione. La ragione per cui un chierico non dovrebbe MAI trascinare altri chierici in tribunale è che queste azioni minano alla radice l'indipendenza della Chiesa dai sistemi giuridici dei singoli stati. Se questo contenzioso passasse a ruolo in un tribunale civile, il sistema giuridico degli Stati Uniti avrebbe un precedente per ingerirsi in ogni bega giudiziaria che coinvolge il diritto canonico della Chiesa ortodossa, e possiamo solo immaginare quante interferenze si avrebbero con la gestione interna della Chiesa. Per questo, la ROCOR e tre altre giurisdizioni ortodosse del Nord America (serbi, romeni e antiocheni) hanno chiesto di essere ascoltate in qualità di amicus curiae per evitare il passaggio del caso di Belya in sede processuale.
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