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  Documento sulla situazione della Chiesa in Moldova
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Patriarcato di Mosca

Servizio di Comunicazione del Dipartimento delle Relazioni Ecclesiastiche Esterne

Dichiarazione riguardo alle argomentazioni dei rappresentanti della Chiesa Ortodossa Romena a giustificazione della decisione di stabilire diocesi della Metropolia di Bessarabia

I 21 febbraio 2008, il sito ufficiale del Patriarcato di Romania ha pubblicato un comunicato con 'spiegazioni del riconoscimento giuridico della Metropolia di Bessarabia e delle sue diocesi.' Nel dicembre 2007, lo stesso sito ha pubblicato un comunicato stampa del Dipartimento delle Relazioni Ecclesiastiche Esterne della Chiesa Ortodossa Romena, che spiegava le argomentazioni che hanno portato alla decisione del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena di stabilire nuove diocesi nella cosiddetta Metropolia di Bessarabia. Gli stessi punti di vista erano stati presentati ai rappresentanti del Patriarcato di Mosca dalla delegazione romena ai colloqui del 22 novembre 2007 in Bulgaria.

In seguito all’annuncio pubblico fatto dalla Chiesa Ortodossa Romena delle argomentazioni a sostegno della sua recente decisione, Il Servizio di Comunicazione del Dipartimento delle Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca è autorizzato a presentare le seguenti spiegazioni.

Un esame delle argomentazioni dei suddetti documenti mostra un numero di discrepanze con la tradizione ortodossa generalmente accettata. Per esempio, dice che mentre 'il Canone 2 del Secondo Concilio Ecumenico, il Canone 8 del Terzo Concilio Ecumenico, e i Canoni 13 e 22 del Concilio locale di Antiochia regolano le situazioni concrete che emergono nella Chiesa’, questi non hanno un carattere universale e perciò non sono applicabili alla situazione ecclesiastica in Moldova. Tuttavia, la storia testimonia che la santa Chiesa ha adottato tutte le regole canoniche per ragioni concrete, siano esse una nuova eresia o vari problemi nelle relazioni tra le chiese. Nondimeno, nel corso dei secoli queste regole sono sempre state il modello per la risoluzione di dispute ecclesiali.

Si sostiene inoltre che 'anche nel primo secolo la pratica ecclesiale e la dottrina canonica santificavano l’ordine secondo il quale ogni Chiesa deve avere vescovi del proprio popolo, tenuti a organizzare la vita della Chiesa (34° Canone Apostolico).'

Eppure, è comunemente noto che il Pleroma dell’Ortodossia non ha mai approvato il principio di organizzare le Chiese su basi etniche, dato che questo non concorda con lo spirito stesso del cristianesimo, poiché 'non può esserci greco né giudeo' (Col 3:11). Il 34° Canone Apostolico non può essere compreso nel senso che ogni nazione dovrebbe avere vescovi della stessa origine etnica. Questo canone regola la vita di ogni Chiesa, coordinando le azioni dei suoi vescovi e quelle del loro primate (si vedano le interpretazioni di Zonaras, Balsamone e Aristino). Questo diviene evidente quando il 34° Canone è paragonato ad altri canoni, incluso il Canone 9 del Concilio di Antiochia. 'Conviene che i vescovi di ogni provincia riconoscano il vescovo che presiede nella metropoli […] secondo l’antico canone prevalso dai [tempi dei] nostri padri.' Nel 1872 una dottrina dell’etnofiletismo, che giustifica il sacrificio degli interessi della Chiesa per gli interessi nazionali-politici, fu condannata dal Concilio Locale di Costantinopoli in cui presero parte anche i Patriarchi delle Chiese orientali.

Il desiderio di applicare un’interpretazione etnica del 34° Canone Apostolico alla situazione ecclesiastica in Moldova con riferimento ai fedeli ortodossi in questo stato, che sono 'in maggioranza romeni e, in accordo con il canone summenzionato dovrebbero avere clero e gerarchia della propria nazionalità in comunione con la Chiesa Madre, vale a dire la Chiesa Ortodossa Romena’ è ancor più inappropriato a causa del censimento generale del 2004, in cui quelli che si riconoscono come romeni comprendono solo il 2,2% della popolazione della Repubblica di Moldova. I moldavi, russi, ucraini, gagauzi e bulgari, che sono pure loro ortodossi, comprendono assieme oltre il 96% della popolazione della repubblica.

Desta perplessità l’asserzione che 'da un punto di vista giuridico, queste diocesi della Metropolia Autonoma di Bessarabia sono state riattivate sul territorio canonico della Metropolia Autonoma di Bessarabia [….] senza negare il diritto all’esistenza della Metropolia ‘russa’ di Chisinau e di tutta la Moldova.’[…] La coesistenza delle due Metropolie ortodosse nella Repubblica di Moldova oggi è dovuta al fatto che questo territorio non è più parte dello stato romeno né dello stato russo, ma è un nuovo stato indipendente.' La Chiesa Ortodossa ha tradizionalmente regolato tali problemi in accordo con il Canone 2 del Secondo Concilio Ecumenico, il Canone 22 del Concilio di Antiochia, il Canone 16 del Concilio di Costantinopoli dell’861, il Canone 3 del Concilio di Sardica e a altri canoni di concili che proibiscono 'la compresenza di Chiese' e le installazioni di due vescovi 'in una città,' ovvero sullo stesso territorio.

Il riferimento al 'presente contesto, in cui vivono i cristiani ortodossi in tutto il mondo (per esempio, tre metropoliti ortodossi in una grande città come Tessalonica, o diverse giurisdizioni ortodosse in un paese che non è territorio canonico di una sola Chiesa autocefala)’ è privo di fondamento in questo caso, dato che le summenzionate metropolie a Tessalonica forniscono cura pastorale a fedeli di territori differenti, benché contigui. Inoltre, queste diocesi sono nel seno della singola Chiesa di Grecia, che è perfettamente nel proprio diritto di fissare i confini delle diocesi nel proprio territorio canonico a propria discrezione.

La parte romena permette la coesistenza delle strutture ecclesiastiche parallele in Moldova 'nonostante la loro giurisdizione canonica abbracci lo stesso territorio' sulla base che queste strutture, stando a quanto si sostiene, 'si occupano di differenti greggi di ortodossi.' Eppure è evidente che nella situazione della Repubblica di Moldova abbiamo a che fare con un singolo gregge la cui maggioranza assoluta consiste di fedeli di nazionalità moldava.

Dato che la popolazione della Repubblica di Moldova è stata ortodossa da tempo immemorabile, e tradizionalmente unita in una singola Chiesa Ortodossa, i principi che regolano temporaneamente le relazioni tra le Chiese Ortodosse in diaspora non sono applicabili in questo caso. L’Ortodossia nella Repubblica di Moldova è radicata tanto fortemente quanto in Romania o in Russia e ha pure una lunga storia e tradizioni originali quanto l’Ortodossia nei paesi confinanti.

Serie questioni sono sorte dalla seguente asserzione: 'per ragioni pastorali-missionarie, due chiese autocefale sorelle possono, per mutuo accordo, permettere eccezioni a quanto previsto dal Canone 22 del Concilio di Antiochia' che proibisce di installare due vescovi nella stessa sede.

Prima di tutto non è chiaro quale genere di ragioni pastorali-missionarie possano provocare un desiderio di dividere il gregge ortodosso di un paese, sia su basi etniche o politiche. Tale azione, che divide il corpo della Chiesa, può solo rendere la testimonianza e l’opera pastorale ortodossa più difficile.

In secondo luogo, di che sorta di mutuo accordo tra le due chiese possiamo parlare, quando il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena ha preso unilateralmente la decisione di istituire le nuove strutture ecclesiastiche senza cercare di discutere a suo tempo con la Chiesa Ortodossa Russa e perfino senza darne preavviso? Quanto alle recenti azioni in tal senso, una di esse è l’inclusione della cosiddetta 'Metropolia di Bessarabia nel rango di esarcato' tra le diocesi della Chiesa Ortodossa Romena nei suoi nuovi Statuti.

È evidente che la presente situazione in cui alcuni membri del clero della Chiesa Ortodossa di Moldova sono ricevuti senza appropriato congedo canonico da parte delle loro autorità ecclesiali in comunione con i rappresentanti del Patriarcato di Romania, rende sia i ricevuti sia quelli che li ricevono pienamente responsabili per la violazione delle norme canoniche istituite nel Canone 17 del Sesto Concilio Ecumenico, nel Canone 54 del Concilio di Cartagine, e nel Canone 15 del Concilio di Sardica.

Quanto allo 'stato di autonomia o di autocefalia acquisito da certe Chiese dopo che i loro stati sono divenuti indipendenti' , noto nella storia, si deve notare che nel 1992 la Chiesa Ortodossa Russa ha accordato alla Chiesa Ortodossa di Moldova tutti i necessari diritti al proprio autogoverno interno. Quanto all’ipotetica questione di una possibile riconsiderazione dello stato canonico della Chiesa nella Repubblica di Moldova, questa rimane una prerogativa riservata alla plenitudine della Chiesa Ortodossa Russa, tenendo conto dell’opinione della gerarchia, del clero e dei laici della Chiesa Ortodossa di Moldova.

L’asserzione che la maggioranza dei cittadini della Repubblica di Moldova 'per ragioni politiche non può liberamente esprimere la propria identità spirituale, culturale ed etnica' è motivata dalle opinioni politiche private dei suoi autori e non ha nulla in comune con il diritto canonico.

Le argomentazioni di natura storica esposte nei suddetti documenti sono non meno controverse.

Per esempio, vi si dice che il territorio della moderna Repubblica di Moldova 'abitato dai predecessori dei romeni, già dal III e IV secolo d.C., dipendeva, da un punto di vista canonico-spirituale, dal Patriarcato di Costantinopoli.'

È noto che i semi del cristianesimo furono portati sulle regioni del basso Danubio da coloni romani nei secoli I-III. Tertulliano lo testimonia, nel suo trattato Adversus Iudaeos, menzionando 'i Daci convertiti al cristianesimo.' Lo testimoniano allo stesso modo le tombe ritrovate nella regione di martiri cristiani che patirono il martirio sotto il regno degli imperatori Traiano (98-117) e Diocleziano (284-305).

La provincia della Dacia, che copriva anche il territorio tra i fiumi Prut e Nistru presso il Mar Nero (situati solo parzialmente sul territorio della moderna Repubblica di Moldova) fu inclusa nella regione dell’Illiria. Perciò i suoi vescovi fino al V secolo erano stati nella giurisdizione dell’Arcivescovo di Sirmio che, a sua volta, era sotto la giurisdizione di Roma. Dopo che gli unni ridussero Sirmio in rovine, la provincia ecclesiastica della Dacia fu posta sotto la giurisdizione dell’Arcivescovo di Tessalonica, che era ora sotto la giurisdizione di Roma, ora sotto quella di Costantinopoli. Nel VI secolo l’imperatore Giustiniano I stabilì nella sua città nativa – Iustiniana Prima – un centro di amministrazione ecclesiale, e la Dacia assieme a diverse altre province fu posta sotto questo centro.

Fu solo nell’VIII secolo che l’imperatore Leone il Siro pose la Chiesa di Dacia sotto la completa giurisdizione di Costantinopoli. Incidentalmente, il territorio tre i fiumi Prut e Nistru presso il Mar Nero cessò di essere una parte amministrativa della Dacia nel IV secolo.

Il punto di vista ufficiale della Chiesa Romena su tale questione fu formulato nel suo atto sinodale del 1882, 'I romeni non ricevettero l’insegnamento cristiano e il battesimo, così come i loro primi vescovi, da Costantinopoli. Il battesimo della Romania precede la stessa Costantinopoli. I principati romeni avevano dapprima la loro Chiesa indipendente, e il Patriarcato di Costantinopoli fece il proprio primo tentativo di porre i principati romeni sotto la sua giurisdizione solo nel tardo XIV secolo.'

Quanto al resto del territorio tra i fiumi Prut e Nistru, abitato all’inizio dell’era cristiana dai geto-daci e dai discendenti degli sciti, non era mai stato parte di alcuna provincia dell’Impero Romano, e l’influenza di Roma su di esso fu minima. Tuttavia, si può supporre che le prime notizie di Cristo raggiunsero quest’area dalla Dacia nel secoli I-III.

Nel periodo tra i secoli IV e X, le tribù pagane di slavi, germani, unni e avari ebbero una parte rilevante nella formazione etnogenica del territorio tra i fiumi Prut e Nistru. Come risultato, le tracce precedenti di cristianesimo nella regione furono quasi obliterate.

Nei secoli XII-XIIII il territorio dal Nistru ai fiumi Danubio e Siret fu controllato dal Principato di Galizia, che era una parte della Russia. In quel periodo la giurisdizione della Chiesa Russa, che era una parte del Patriarcato di Costantinopoli, si estendeva su questo territorio in modo naturale.

Il territorio tra i fiumi Prut e Nistru divenne parte del Principato di Moldova nel XIV secolo. I moldavi avevano avuto in quel tempo una loro Chiesa. Il Metropolita Antonio di Galizia consacrò i primi vescovi della Chiesa di Moldova, Giuseppe e Melezio, rispettivamente nel 1371 e 1376 (o più tardi, secondo altre fonti) su richiesta del sovrano Latsko. Nel 1387, il successore di Latsko, Pietro I Musat, nominò il Vescovo Giuseppe a capo della Chiesa Moldava con la benedizione del Metropolita Antonio.

Nel 1401 il Patriarcato di Costantinopoli riconobbe Giuseppe come Metropolita di Moldova, e la Metropolia di Moldova si mise volontariamente sotto la giurisdizione della Sede di Costantinopoli con diritti di autonomia. Per molti anni i gerarchi moldavi furono eletti dal proprio clero e approvati dal sovrano. Un noto leader della Moldova, Dimitrie Cantemir, che fu sovrano del principato moldavo nel 1693 e nel 1710-11, testimoniò in modo eloquente lo status della Chiesa moldava, 'il Metropolita di Moldova gode di un onore particolare nella Chiesa orientale a paragone di altri. Anche se non ha il titolo di Patriarca, ed è chiamato Metropolita di Moldova e di Suceava, non è sottoposto ad alcun Patriarca. Benché riceva la benedizione del Patriarca di Costantinopoli, non può essere eletto da quest’ultimo e non è obbligato ad attendere l’approvazione della Grande Chiesa… È completamente esente dal tributo che tutti i Metropoliti pagano al Patriarca; nessuna legge lo obbliga a chiedere che cosa fare nella Chiesa moldava e come farlo; gode della stessa grande autorità nella sua metropolia di quella che il Patriarca ha nel suo dominio.' In seguito, il Metropolita Gabriel (Banulescu-Bodoni), il vescovo Neofit (Scriban) e storici ben noti hanno scritto dell’effettiva indipendenza della Chiesa moldava dal Patriarcato di Costantinopoli.

Mente cercano di provare che il territorio della Moldova 'non è mai stato un territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa,' gli autori dei documenti pubblicati da parte romena dicono che 'quando la Chiesa Ortodossa Russa ha eletto il proprio metropolita nel 1448, […] considerandosi autocefala, non aveva alcuna giurisdizione canonica sul territorio tra i fiumi Prut e Nistru.' Tuttavia, questa argomentazione non prova alcun privilegio della Chiesa Ortodossa Romena, che è stata organizzata molto tempo dopo. È noto che l’atto del Concilio di Costantinopoli del 1593, che confermava lo status del Patriarcato di Mosca, non definisce in senso stretto i suoi confini, e descrive la sua giurisdizione su 'Mosca, la Russia e tutti i paesi settentrionali.' Questa formulazione non può essere vista come qualcosa che esclude a priori il territorio della moderna Repubblica di Moldova, che è situato molto a nord di Costantinopoli. Al contrario, nel Tomo di Autocefalia inviato nel 1885 da Sua Santità il Patriarca Gioacchino IV di Costantinopoli alla Chiesa Ortodossa Romena, questa è espressamente chiamata 'la Chiesa Ortodossa del regno romeno,' e, come si sa, il territorio tra i fiumi Prut e Nistru non era incluso nei confini del regno, né allora né in precedenza.

I rappresentanti romeni dichiarano che la Chiesa Ortodossa Russa ha istituito la Diocesi di Chisinau nel 1813 'con lo scopo di russificare la popolazione romena nella parte orientale della Moldova.' Eppure gli storici moldavi sottolineano che fu dal tempo in cui la Diocesi di Chisinau fu istituita che ebbe inizio la rinascita della vita culturale nazionale in Moldova dopo una lunga crisi nel periodo di dipendenza dalla Turchia. La Chiesa Ortodossa Russa e lo stato russo ebbero una parte sostanziale nell’organizzazione di un sistema di istruzione religiosa e secolare in Moldova. Scuole primarie, distrettuali e superiori furono aperte in tutte le principali città distrettuali. Fino al 1858 si aprirono in Bessarabia circa 400 scuole di ogni tipo con oltre 12.000 studenti.

Il primo capo della Diocesi di Chisinau della Chiesa Ortodossa Russa, il Metropolita Gabriel (Banulescu-Bodoni) aprì a Chisinau nel 1813 un seminario teologico, sola istituzione educativa della regione. Un convitto che forniva istruzione secolare fu aperto nel 1816 su richiesta del Metropolita Gabriel fu aperta nel 1814 una stamperia per la Bessarabia.

L’Arcivescovo di Chisinau Dimitri (Sulima, 1821-1844) fu famoso per il suo zelo nel tradurre libri liturgici e di testo in lingua moldava. Aprì molte scuole gratuite in città moldave. La Cattedrale della Natività di Cristo fu costruita a Chisinau nel 1836. È tuttora il centro spirituale della capitale moldava.

Gli Arcivescovi di Chisinau Irinarco (Popov) e Antonio (Shokotov), che guidarono la diocesi negli anni 1844-71, fecero grandi sforzi e investirono i propri fondi personali per lo sviluppo dell’istruzione in Moldova. A loro cura furono pubblicati libri liturgici in lingua moldava, e si aprirono nuove scuole parrocchiali e un collegio diocesano per ragazze. 

In seguito, i vescovi di Chisinau furono pure coinvolti nell’opera di attività educative e si occuparono dello sviluppo dell’Ortodossia in Moldova. All’inizio del 1918 la diocesi moldava aveva 1084 parrocchie, 27 monasteri e conventi, 7 eremi, e tre seminari teologici. La Chiesa pubblicava la rivista 'Luminatorul' in lingua moldava e 'La gazzetta diocesana di Chisinau' in russo e moldavo. Gli offici divini erano tradizionalmente celebrati nelle lingue moldava e slavonica ecclesiastica.

Sfortunatamente, la fine del XIX secolo vide alcuni incidenti che mostravano la mancanza di rispetto per la lingua e cultura locali, e tuttavia questi fenomeni furono eliminati all’arrivo del XX secolo. Oggi, gli offici divini sono celebrati in lingua moldava in quasi tutte le chiese della Chiesa Ortodossa di Moldova.

Lo sviluppo della cultura e spiritualità della Moldova e della Russia entro un singolo stato dal 1812 al 1918 continuò buone tradizioni che in tempi passati erano solite unire i loro popoli con legami vivi. Tradizioni ecclesiali comuni a moldavi e slavi iniziarono a formarsi nel periodo in cui i principati del Danubio erano sotto l’omoforio della Chiesa bulgara. A quel tempo i moldavi e i valacchi che non avevano linguaggio scritto adottarono l’alfabeto inventato dai santi fratelli Cirillo e Metodio pari agli Apostoli, e la lingua slavonica come lingua ecclesiastica. La lingua slavonica rimase la lingua letteraria in Moldova fino al XVI secolo. L’interazione tra le due culture non si fermò neppure quando la lingua moldava rimpiazzò nelle funzioni lo slavonico ecclesiastico.

Icone e vasi sacri furono portati in Moldova da Mosca. I sovrani moldavi invitarono iconografi russi a dipingere le chiese. Una scuola in cui insegnavano monaci moldavi e russi fu aperta alla cattedrale dei Tre Ierarchi a Iasi nel 1640.

La pubblicazione di libri era di grande importanza per lo sviluppo della cultura nazionale in Moldova. Dopo il 1640, su richiesta dell’Archimandrita Barlaam (in seguito Metropolita di Moldova) i macchinari di una stamperia furono portati a Iasi da Kiev, Leopoli e Mosca, assieme agli stampatori. In questa stamperia furono pubblicati i 'Cazania', un libro di sermoni ed esortazioni del Metropolita Barlaam (1643); 'I sette Misteri della Chiesa' tradotto da Eustrazio il Logoteta (1645) e 'Le Regole' del sovrano Vasile Lupu (1646) – il primo codice a stampa in Moldova. Nel 1679, su richiesta del Metropolita Dositeo di Moldova, il Patriarca di Mosca Gioacchino aiutò a organizzare la seconda stamperia a Iasi.

In uno dei versetti di dedica il Metropolita Dositeo scrisse del ruolo della Russia nello sviluppo dell’istruzione in Moldova, 'La luce risplende da Mosca spandendo lunghi raggi e sottile gloria sulla terra.'

Molti libri di testo in lingua moldava furono in seguito pubblicati anche a San Pietroburgo. Libri di testo di storia, geografia e aritmetica furono tradotte dal russo e da altre lingue europee in moldavo negli anni 1770. Le relazioni con la Russia aiutarono la cultura nazionale moldava a entrare nel processo culturale europeo.

li autori dell’accusa di 'ingiusta annessione' della Moldova nel 1812 sembrano dimenticare che la Russia ha portato al popolo della Moldova la liberazione dall’oppressione degli infedeli durata tre secoli con persecuzione della cultura nazionale, violenze e ruberie da parte dei poteri turchi. Si copre sotto silenzio il fatto che le 'annessioni' furono precedute da secoli di appelli dei sovrani, metropoliti e boiari moldavi di ricevere i loro paese nella Russia.

Esistono ancora diversi documenti ufficiali del sovrano Stefano III del XV secolo, in cui si chiede l’aiuto dello Zar Ivan III. Il trattato di alleanza tra la Moldova e la Russia concluso nel 1529 salvò per un certo tempo i confini della Moldova da incursioni straniere. La Russia ha sempre fornito aiuto finanziario, diplomatico e militare alla Moldova nel difficile tempo del dominio turco.

Fu per la prima volta nel 1654 che il sovrano moldavo Gheorghe Stefan chiese allo Zar Alexis Mikhailovich di accettare la Moldova nella Russia. La grande ambasciata guidata dal Metropolita Gedeone e dal Logoteta Grigorie Neanul arrivò da Iasi a Mosca nel 1656. Il 7 giugno 1656 il Metropolita Gedeone fece un voto di lealtà a Sua Santità il Patriarca Nikon di Mosca e di tutta la Rus’ a nome del clero moldavo, del sovrano e degli abitanti del principato. L’accordo non fu tuttavia messo in pratica a causa della complicata situazione internazionale.

Nei secoli XVII e XVIII i sovrani della Moldova cercarono molte volte di unire il loro paese con la Russia. Notevoli sono le parole del Metropolita Dositeo di Suceava nel suo messaggio del 1684 agli Zar Ivan e Pietro a nome del suo sovrano, dell’alto clero, dei boiari e di tutti gli abitanti della Moldova, 'Siate misericordiosi e liberateci dai nostri nemici mandando truppe contro gli agareni. Affrettatevi, o periremo. Non abbiamo altra speranza di liberazione da alcun paese tranne che dal vostro santo impero.'

Nel 1711, durante la marcia del Prut intrapresa in alleanza con i sovrani moldavi e valacchi, l’armata di Pietro I si accostò a Iasi. I boiari, i cittadini d’onore e tutto il clero 'con a capo il Metropolita Gedeone lasciarono la città per un incontro cerimoniale con l’imperatore. Si inchinarono a Pietro, lodando e ringraziando Dio per la loro liberazione dal giogo turco,' come scrive il cronista I. Neculca. Migliaia di abitanti della Moldova si unirono all’esercito russo rispondendo all’appello del loro sovrano. La marcia del Prut fallì, ma diede inizio allo sforzo armato comune di Russia e Moldova contro l’Impero Ottomano.

Durante la guerra austro-turca del 1716-18 Dimitrie Cantemir, l’alto clero e i rappresentanti della famiglia Sturza chiesero all’imperatore russo di liberare la Moldova dal dominio ottomano.

Durante la guerra russo-turca del 1735-39 i boiari valacchi mandarono i loro inviati in Russia con una richiesta di marciare sui fiumi Nistru e Danubio, promettendo ogni possibile sostegno. Fecero anche un’intercessione per i moldavi, poiché, data la localizzazione geografica della Valacchia, la Russia non poteva proteggerla senza liberare la Moldova dal dominio ottomano.

I documenti di quel tempo testimoniano che mentre la Moldova divenne un teatro di operazioni belliche nel 1739 'non passava un singolo giorno senza che ufficiali e soldati valacchi e moldavi venissero al quartier generale annunciando il loro desiderio di entrare nell’esercito russo.'

Dopo lo scoppio della guerra russo-turca del 1768-74, una delegazione di rappresentanti guidata dal Vescovo Innocenzo di Husi e dal Metropolita Gregorio di Ungrovalacchia arrivò a San Pietroburgo dalla Moldova e dalla Valacchia e di nuovo informò l’Imperatrice Caterina II del desiderio di tutto il popolo di Moldova di entrare nella famiglia di nazioni che abitavano l’Impero russo.

Il Consiglio di Stato discusse il destino dei principati danubiani nella sua sessione del 16 settembre 1770. La Russia era preparata a cedere i suoi diritti a un’indennità di guerra da parte dei turchi nel caso che Moldova e Valacchia avessero ricevuto l’indipendenza. L’interferenza dei poteri occidentali nei negoziati russo-turchi del 1772-73 fece ritirare la Russia dai suoi propositi. Nondimeno, la Russia tentò di fare del proprio meglio per ottenere condizioni speciali per Moldova e Valacchia nel trattato che garantiva a questi principati il diritto di godere della propria sovranità politica interna entro l’Impero Ottomano.

Il Trattato di Kiuciuk-Kaynargia tra Russia e Turchia fu firmato il 10 luglio 1774. Le proposte russe furono prese in considerazione, e la situazione dei principati danubiani entro la Turchia migliorò considerevolmente. La Russia fu di fatto riconosciuta come una patrona delle sue popolazioni.

L’intesa di Aynaly-Kaivach tra Russia e Turchia fu firmata il 10 marzo 1779. Essa dava conferma legale alle concessioni fatte dalla Porta alla Moldova. Inoltre, il rappresentante moldavo a Istanbul riceveva l’immunità diplomatica, e la Porta prometteva di non violare la libertà della religione cristiana. 

Tuttavia, le autorità turche violarono ripetutamente i loro impegni. Un messaggio dal Metropolita e dai boiari della Valacchia con ancora un'altra richiesta di assistenza al principato Raggiunse San Pietroburgo nel 1802. Il 16 luglio 1802, l’ambasciatore russo a Istanbul consegnò al governo turco una nota con proposte concrete per la risoluzione della situazione nei principati. Questa diede inizio ai negoziati che portarono all’accordo russo-turco sui diritti di Valacchia e Moldova. Con questo accordo i diritti e privilegi dei principati danubiani entro l’Impero Ottomano furono non solo confermati, ma verificati ed estesi considerevolmente. Eppure, uno stato pacifico di risoluzione del problema ebbe fine nel 1806, quando la Russia fu di nuovo forzata a difendere i diritti delle nazioni fraterne di Moldova e Valacchia con l’aiuto delle armi.

Il 27 giugno 1807, il Metropolita Veniamin (Costachi) di Iasi e venti autorevoli vescovi e boiari si appellarono all’Imperatore russo Alessandro I, 'Sterminate l’intollerabile dominio turco che opprime il nostro povero popolo – i moldavi. Unite questa terra con la vostra potenza custodita da Dio… Che siano un solo gregge e un solo pastore… questa è la preghiera che viene dal cuore di tutta questa nazione.’

Ancora una volta i sogni secolari dei moldavi non si avverarono, ma una parte della Moldova storica fu presa sotto la protezione russa nel 1812, venedo così liberata dalla violenza degli infedeli. Un’altra parte della Moldova assieme alla Valacchia divenne in seguito il singolo stato romeno. La sua indipendenza fu otternuta con l’attivo coinvolgimento della Russia, che sostenne il legittimo diritto della nazione fraterna all’autodeterminazione dopo la guerra russo-turca del 1877-78. 

entre accusa la parte russa di espansionismo territoriale, la parte romena cita il fatto che nel XVIII secolo il Santo Sinodo della Chiesa Russa 'nominò vescovi nei principati romeni conquistati per dirigere {…} le due metropolie sotto la giurisdizione del Patriarcato Ecumenico anche senza il consenso di quest’ultimo.' 

nvero, durante la guerra russo-turca il Santo Sinodo della Chiesa Russa stabilì temporaneamente l’Esarcato di Moldova-Valacchia che fu ricostituito nel 1808-12 e infine abolito nel 1821. Eppure non si dovrebbe scordare che ciò fu fatto secondo la volontà dei valacchi e moldavi. Secondo il summenzionato atto del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena del 1882, 'la storia della lotta [della popolazione locale] con i monaci fanarioti è un vero dramma che causa dolore a tutti i cuori cristiani. C’è franchezza da una parte […]; ma dall’altra – ingratitudine, cura dei propri interessi, e il desiderio di opprimere e di avere potere assoluto, in breve, lo sfruttamento di tutta la nazione.' Il Metropolita Gabriele (Banulescu-Bodoni), un moldavo, fu posto a capo della diocesi nel 1792. Fece del suo meglio per rimediare alle conseguenze della precedente gestione dei principati, ma fu presto arrestato dalle autorità turche e imprigionato a Istanbul per un certo tempo.

Nel 1812 il territorio dell’attuale Moldova in termini ecclesiastici era un ‘appezzamento’ di parrocchie sotto la giurisdizione di diverse Chiese, che vantavano tutte i loro diritti su di esse. Nel 1813, Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa consolidò tali parrocchie, ravvivando in tal modo e rafforzando la Chiesa Ortodossa di Moldova. Il Patriarcato di Costantinopoli non ha mai contestato la fondazione della Diocesi di Chisinau della Chiesa Ortodossa Russa, che ebbe luogo nel 1813 per ardente desiderio dei moldavi e per accordi tra la Russia e la Porta. Le relazioni tra la Chiesa Russa e la Chiesa di Costantinopoli durante il XIX secolo non furono mai oscurate dal problema dell’appartenenza canonica del territorio tra i fiumi Prut e Nistru. Non vi furono controversie neppure quando il Metropolita Filarete di Mosca, che si preoccupava per la pace ecclesiastica in Romania, sostenne il desiderio di Sua Santità il Patriarca Cirillo VII di Costantinopoli di risolvere la questione dello status autocefalo della Chiesa romena in un modo strettamente canonico.

La legittimità della fondazione della Diocesi di Chisinau della Chiesa Ortodossa Russa sul territorio della Bessarabia non fu neppure messa in questione nel XIX secolo. Le relazioni fraterne tra la Chiesa romena e quella russa che si sviluppavano in quel tempo lo testimoniano. Per molti anni, i vescovi sulla sponda destra del fiume Nistru consideravano la Russia come il maggior difensore della fede ortodossa nella regione.

Notevole sotto questo aspetto è l’appello del Metropolita Sofronio di Iasi nel 1859 all’Arcivescovo Antonio di Chisinau come più vicino rappresentante spirituale e amministrativo della Chiesa russa, con la richiesta di intercedere presso l’imperatore per difendere la Chiesa dalla contemporanea oppressione del governo locale. Il 'Memorandum sui piani per rovesciare la fede ortodossa nei principati di Moldova e Valacchia e sui mezzi per conservarla', presentato con benedizione del Metropolita Sofronio dal suo confidente presso il governo russo, conteneva una richiesta 'di assicurare l’inviolabilità e i diritti della fede ortodossa nei principati.' Il memorandum diceva, 'La riforma religiosa e morale dell’odierna nazione romena dei principati danubiani non è fortuita, in quanto è stata preparata poco a poco in un lungo tempo, ora sotto pretesto di protezione ora di compassione per una nazione debole che era [a quanto si sostiene] sotto minaccia di influenza del potente vicino [la Russia], ora sotto forma di civilizzazione europea con l’apparizione di diversi consiglieri che non svelavano i loro veri propositi e intenti, ma catturavano le menti del popolo, le rendevano schiave e ne facevano strumenti per l’ottenimento dei loro scopi… Certi chierici, incitati dal console inglese, predicavano l’avverarsi delle profezie su tutto il male dell’Europa che proviene dal nord, cioè dalla Russia.' 

Una commissione speciale di laici fu assegnata a quel tempo in Romania per modificare gli statuti della Chiesa. Le stamperie religiose 'furono commissionate a stampare le Sacre Scritture e tutti i libri liturgici in caratteri latini invece che slavonici e, per di più, in una lingua che non tutti i romeni capivano, una lingua inventata per metà latina e per metà francese. […] Il Monastero di Neamt, bastione dell’Ortodossia e fonte di istruzione religiosa in Moldova, che era stato fin dai primi tempi sotto la protezione dei monarchi russi e riforniva tutto il paese con libri liturgici e di edificazione […] fu privato di ogni mezzo morale e materiale.' Mentre asseriva che 'tutti i mezzi materiali della Chiesa di Moldova rimanevano solo nell’Impero russo,' l’autore del citato memorandum assicurava di essere stato incaricato dal Metropolita Sofronio e dai monasteri ortodossi della Moldova 'di intraprendere ogni azione […] approvata dal governo dell’Impero, a cui la Chiesa moldava orfana si affidava completamente come sua sola speranza, sostegno e difesa.' 

Nel 1918 la Chiesa Ortodossa Romena, senza comunicazioni preliminari con il Patriarcato di Mosca e contro la volontà dei fedeli moldavi incluse nel suo seno la Diocesi di Chisinau, che aveva riorganizzato nella cosiddetta 'Metropolia di Bessarabia.' Il primate della Chiesa Ortodossa Russa diede una risposta appropriata a quest’azione.

Tuttavia, Sua Santità il Patriarca Tikhon non disse che 'i fedeli dovrebbero conservare il diritto di determinare la Chiesa sotto il cui omoforio desiderano rimanere,' come è detto erroneamente nel documento presentato dalla parte romena ai colloqui in Bulgaria. Al contrario, in un messaggio al presidente del Santo Sinodo della Chiesa romena, il Metropolita Pimen di Moldova e Suceava nell’ottobre 1918, Sua Santità Tikhon insistette nel discutere questo problema esclusivamente 'attraverso le appropriate relazioni canoniche tra la Chiesa russa e quella romena,' prendendo in considerazione l’opinione del clero e del popolo della Diocesi di Chisinau. La coesistenza delle due giurisdizioni sull’unico e medesimo territorio non era in alcun modo contemplata.

Il patriarca protestò contro le azioni non canoniche della Chiesa romena, che 'non ha alcun diritto di intraprendere una decisione unilaterale senza il consenso della Chiesa russa, determinando il destino della Diocesi di Chisinau ponendola sotto la sua autorità dopo gli ultimi cento anni in cui la Bessarabia ortodossa è stata parte integrante del corpo della Chiesa russa.' Secondo il Patriarca Tikhon, ‘questa linea di azione del Santo Sinodo romeno è contraria sia allo spirito dell’amore cristiano, sia alle regole canoniche antiche e alle tradizioni sacre della Chiesa Ortodossa. 

L’asserzione che l’unione politica dovrebbe sempre includere quella delle Chiese non può servire in questo caso come giustificazione per le autorità ecclesiastiche romene, prima di tutto perché non è stata giustificata dalla storia, e in secondo luogo perché questo punto di vista è basato sulla confusione della natura della Chiesa con la vita politica, due aspetti eterogenei nella loro essenza… Inoltre, l’atto stesso dell’annessione della Bessarabia al Regno di Romania, come abbiamo asserito prima, è ben lontano dall’essere generalmente accettato dal punto di vista internazionale e può essere riconsiderato quando il risultato della guerra mondiale sarà tenuto in conto finale.’ Il messaggio del patriarca terminava con un avvertimento, 'Se la Chiesa romena, senza riguardo alle nostre obiezioni, cercherà di consolidare con la forza il presente stato di cose a suo beneficio, saremo costretti a rompere ogni comunione fraterna e canonica con il Sinodo romeno e a portare questo caso al giudizio delle altre Chiese Ortodosse.' 

Bucarest ignorò la protesta del Patriarca Tikhon nel 1918, e la parte romena usa ora le seguenti parole per dare una spiegazione, 'la diocesi sotto il Patriarcato di Mosca cessò de facto la sua esistenza a causa della riunificazione della Bessarabia con la sua madrepatria il 27 marzo 1918.'

Tuttavia, è noto che il Santo Sinodo della Chiesa romena iniziò a porre le strutture ecclesiastiche della Bessarabia sotto Bucarest pretendendo il ritiro dell’Arcivescovo Anastasio di Chisinau e Hotin e dei suoi vescovi suffraganei Gabriele di Akkerman e Dionisio di Izmail della Chiesa Ortodossa Russa. I vescovi suffraganei si rifiutarono, e le autoritià romene li arrestarono e li deportarono sul’altra riva del fiume Nistru. L’Arcivescovo di Chisinau stava partecipando al Concilio locale a Mosca. Nella primavera del 1918 cercò di tornare nella sua diocesi, ma le autorità romene non gli lo permisero. Intanto, il Sinodo romeno annunciò ai fedeli moldavi che l’Arcivescovo Anastasio aveva lasciato la diocesi di propria libera volontà. l’Arcivescovo Nicodim fu assegnato da Bucarest a sostituirlo, ma entrò in conflitto con il clero e i fedeli in Bessarabia. Il giornale ufficiale romeno ‘Romania Noua' pubblicato a Chisinau siegava, 'I moldavi dovrebbero sapere che sono colpevoli, perché non si sono decisi a rinunciare a un gerarca russo.'

L’Arcivescovo Anastasio, durante l’esilio forzato, si considerò per molti anni il capo della Chiesa moldava. Nella sua lettera inviata a Chisinau da Gerusalemme il 30 novembre 1925 scrisse che era in attesa di un momento opportuno per ritornare nella Diocesi di Chisinau. Questa lettera fece sorgere un grande entusiasmo tra il clero e i laici della Chiesa moldava, che stavano sperimentando un duro trattamento da parte delle autorità romene. Sono noti incidenti di torture fisiche di partecipanti a funzioni celebrate in lingua slava ecclesiastica. Come risultato molti servitori della Chiesa fuggirono oltre i confini della Moldova.

Molte testimonianze della resistenza di clero e laici della Diocesi di Chisinau alle autorità romene gettano dubbi sull’asserzione che 'nel 1918, dopo centosei anni di occupazione zarista, il popolo della Bessarabia, approfittando della propria libertà e avendo espresso il suo desiderio, chiese con una petizione di far tornare la Chiesa di Bessarabia sotto il patronato canonico… della propria Chiesa madre – la Chiesa Ortodossa Autocefala Romena.' Non vi fu alcuna petizione di fedeli e clero della Moldova alle autorità della Chiesa Ortodossa Russa con una richiesta di essere lasciati ritornare in seno alla Chiesa Ortodossa Romena. Gli storici non conoscono la petizione dei fedeli moldavi al Patriarcato di Romania, menzionata dalla parte romena, e al contrario documentano alcune pretese imposte con la forza alla Chiesa dai politici.

Nel 1918-19 i sostenitori dell’integrazione della Moldova nello stato romeno si lamentavano che 'ci sono preti che non solo non vogliono menzionare… il re, la sua famiglia e il Santo Sinodo alla Liturgia, ma incitano il popolo alla liberazione' dal potere della Romania. La situazione in cui la maggioranza dei preti, insegnanti e capi di villaggio rifiutavano di prendere parte alla propaganda pro-romena portò all’intensificazione della proibizione dell’uso della lingua slavonica ecclesiastica nelle funzioni della Chiesa, e della lingua russa nei sermoni. I gendarmi tenevano sotto sorveglianza l’osservanza di questa proibizione. La Siguranta (la polizia politica romena) della città di Balti riportava nel 1919 che i 'moldavi sono ostili all’amministrazione romena, evitano il clero romeno […] e minacciano i preti quando questi menzionano il nome del re in chiesa.'

Secondo l’avvocato romeno V. Erbicianu che lavorò in Bessarabia nel 1918-23, 'il conflitto nella sfera ecclesiastica trovò la sua espressione nella chiara tendenza del clero all’indipendenza della Chiesa di Bessarabia dalla Chiesa romena, al mantenimento della lingua slavonica e dei riti ecclesiali, al mantenimento della lingua russa e della storia russa come materie principali nei seminari teologici, e all’uso di tutta la ricchezza della diocesi unicamente per gli interessi della Bessarabia.'

Un tentativo di introdurre nell’ottobre del 1924 il nuovo calendario ecclesiastico portò a uno scontro tra i fedeli e il clero moldavi e l’amministrazione romena già insediata da molti anni. Anche la stessa amministrazione romena notò le forti tradizioni dell’Ortodossia russa nella società della Bessarabia e vide in queste la ragione principale della protesta di massa. La Siguranta riportò che 'il dominio zarista in Bessarabia ha impartito a questa provincia un aspetto 'ortodosso' mantenuto sia dal suo spirituo che dalla sua apparenza esteriore. La fede è velata di un misticismo inerente nei popoli slavi, mentre le chiese, con poche eccezioni, sono piene di icone dei santi di Kazan e del Don che appartengono ‘all’Ortodossia russa’ e con iscrizioni in lingua slavonica.'

I mezzi di informazione e l’opinione pubblica in Bessarabia sostennero i credenti, eppure il clero disobbediente fu represso con la forza. Tuttavia, l’ampia protesta popolare non cessò, trasformandosi in un movimento di resistenza nazionale e spirituale entro il 1928. I nazionalisti radicali che si prendevano gioco del nome di lingua ‘moldava’ e cercavano di cambiare il nome in lingua ‘romena’ affrontarono un’opposizione particolarlmente forte.

Anche i più accesi propositori della romenizzazione della Bessarabia, incluso O. Gibu, dovettero riconoscere che ‘l’idea nazionale (cioè pan-romena) non vale nulla tra tutte le classi inclusi i contadini, il clero e i benestanti… I 'moldavi' di Bessarabia non sono più una parte effettiva del popolo romeno, e non provano per questo alcun affetto. Né cercano di identificarsi come romeni in alcun modo… In Bessarabia stiamo trattando sempre più con un popolo moldavo separato.'

Nel 1938 si intensificarono le persecuzioni su basi etniche, incluse quelle nella sfera ecclesiale. Il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena vietò ai propri preti l’uso di ogni altra lingua fuorché il romeno per parlare con i loro parrocchiani perfino durante le confessioni. Questa misura significò di fatto la scomunica di molti credenti in Bessarabia. L’alienazione tra clero e popolo crebbe, a beneficio del settarismo e dell’indifferenza religiosa. 

Dopo la breve permanenza della Bessarabia nell’Unione Sovietica nel 1940-1941, scoppiò la grande guerra patriotica, con la Romania come alleata del regime nazista. 

In questo tempo il territorio della Chiesa fu esteso. Furono aggiunte, come sostiene la parte romena, 'per ragioni pastorali-missionarie (tenuto conto della persecuzione stalinista contro la Chiesa Ortodossa nell’area)' la missione romena in Transnistria, che includeva la regione di Odessa, e in parte le regioni di Nikolaev e di Vinnitsa. Inoltre, la Bucovina del nord fu inclusa in una delle diocesi romene. Il dittatore romeno Ion Antonescu specificò personalmente come si doveva compiere l’opera missionaria in Transnistria e come andavano selezionati i missionari. Il territorio dapprima controllato dal Ministero del Reich per le Terre Orientali e dato alla Romania in base al trattato tedesco-romeno del 30 agosto 1941 fu soggetto a repressioni contro il clero moldavo. Il nuovo calendario fu introdotto con la forza.

Il Vescovo Visarion Puiu, capo della missione dal novembre 1942 e amico intimo di Ion Antonescu, aveva il privilegio di rivolgersi direttamente al dittatore, invece che a Sua Beatitudine il Patriarca Nicodim, per risolvere certi problemi di vita ecclesiastica. 'La conquista di ogni nazione,' scrisse nella sua lettera ad Antonescu del 5 gennaio 1943, ‘inizia con le armi e continua con l’amministrazione, ma non può essere completata senza la conquista spirituale della nazione.’

I missionari romeni si consideravano una forza di organizzazione graduale della vita ecclesiale in tutta la Russia. Formando il personale missionario, il regime di Antonescu accordò loro molti privilegei. Entro l’autunno del 1942, 265 tra i 461 preti che avevano cura pastorale della popolazione sul territorio tra i fiumi Nistru e Bug erano stati mandati dalla Romania. Una commissione speciale fu insediata nella Diocesi di Izmail per identificare i chierici che rifiutavano di prendere parte alla romenizzazione della popolazione locale e consegnarli alla gendarmeria romena, che li mandava nei campi di concentramento.

Alcuni chierici romeni dovettero collaborare con la Siguranta. In base ai loro rapporti, partigiani e persone di simpatie patriottiche furono arrestati dalla polizia. Nelle chiese si vendevano e si distribuivano ritratti di Hitler, Mussolini e Antonescu. Si celebravano come feste gli anniversari dell’aggressione contro l’URSS, della cattura di grandi città, il compleanno di Hitler, e altri eventi del genere.

All’avanziata del fronte, i chierici romeni che si sentivano alieni in Moldova e Transnistria fuggirono in Romania. Il fatto che la 'Metropolia di Bessarabia' funzionò fino al 1944 quando il regime comunista sovietico la forzò a interrompere temporaneamente la sua attività, fu accolto dai popoli della Moldova e delle aree confinanti tanto positivamente quanto la fine dell’amminstrazione di occupazione di questi territori.

Non è chiaro su che cosa gli autori del testo citato basino la loro asserzione che questa struttura ecclesiastica interruppe la sua attività solo 'temporaneamente.' Vi sono testimonianze scritte del riconoscimento senza condizioni da parte delle autorità della Chiesa Ortodossa Romena della Diocesi di Chisinau entro la Chiesa Ortodossa Russa.

Nel 1945–1947, Sua Beatitudine il Patriarca Nicodim si incontrò con alcuni vescovi ortodossi russi incluso Sua Santità il Patriarca Alessio I e il Vescovo Ieronim di Chisinau. Tutte le questioni riguardanti il fondamento canonico dell’ingresso della Diocesi di Chisinau nel Patriarcato di Mosca furono risolte. 

Nella sua lettera del 20 maggio 1945 a Sua Santità il Patriarca Alessio I, Beatitudine il Patriarca Nicodim di Romania prometteva di fare del suo meglio per restituire le proprietà ecclesiastiche portate via dalla Moldova dalle truppe romene in ritirata, 'Abbiamo saputo troppo tardi di alcuni fatti della guerra, e ne siamo sinceramente tristi e dispiaciuti… Tutto ciò che è stato portato via dalle chiese in Bessarabia e Transnistria deve essere restituito. La Commissione di controllo delle condizioni di armistizio e al lavoro a tal fine, e le cose stanno andando bene in questa direzione.' 

Da quel tempo fino al 1992 la parte romena non ha mosso rivendicazioni sulla Chiesa di Moldova. Perciò, come si nota nella Dichiarazione del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa del 7 novembre 2007, i termini di limitazione in materia sono da lungo tempo scaduti secondo il Canone 17 del Quarto Concilio Ecumenico e il Canone 25 del Sesto Concilio Ecumenico. 

Un suggerimento che 'i negoziati sui diritti giuridici della Chiesa Ortodossa Russa nella Repubblica Socialista Sovietica di Moldova' non hanno avuto luogo 'perché questo territorio era già stato occupato dall’Unione Sovietica' e che 'le truppe comuniste erano già arrivate in Romania per imporre un regime comunista totalitario' suona poco convincente, dato che la consapevolezza dei propri diritti ha permesso alle Chiese di difendere la loro posizione canonica anche in realtà storiche ben più dure. Come esempio di questo potrebbe essere la summenzionata reazione di San Tikhon, Patriarca di tutta la Rus’, alla separazione illegale della Diocesi di Chisinau dalla Chiesa Ortodossa Russa, che egli espresse nelle condizioni del sanguinoso terrore anti-ecclesiastico perpetrato dal regime sovietico.

Quando erano in vita i testimoni che ricordavano gli eventi della costituzione e dell’attività della 'Metropolia di Bessarabia', né i romeni né i russi avevano dubbi sull’illegalità di ogni tentativo di ‘riattivarla’. Ora, con il passaggio di molti anni, è molto conveniente usare il fatto stesso della giurisdizione romena in Ucraina e in Repubblica di Moldova come argomentazione, e considerare i dubbi sulla sua legalità come un’ipotesi storica.

Mentre chiamano gli eventi dell’agosto del 1944 'l’occupatione comunista sovietica' della Moldova, gli autori delle dichiarazioni summenzionate cercano di operare un revisionismo di quella realtà, che l’intera Europa considera come la liberazione dal nazismo. Facendo così, dissacrano la memoria dei soldati che hanno sacrificato le loro vite per salvare l’umanità, e mettono in questione i fondamenti dell’attuale legge e ordine in Europa, incluso il principio dell’inviolabilità delle frontiere stabilite dopo la seconda guerra mondiale.

Naturalmente, la maggior parte dei romeni non condivide questo punto di vista, non avendo mai condiviso i sentimenti fascisti di una piccola cricca di politici che attirarono la Romania in guerra a fianco di Hitler. Con lo sforzo dei suoi migliori figli e figlie, la Romania riuscì a superare quella sfortuna e a terminare la guerra dal lato dei vincitori. Tuttavia, l’asserzione che l’esercito nazista 'era stato di fatto scacciato sia dalla Bessarabia che dalla Romania entro i primi di agosto del 1944 perché l’esercito romeno volse le proprie armi contro la Germania nazista' non è veramente corretta, così come l’asserzione che le truppe romene combatterono contro 'l’armata comunista sovietica' solo 'nella prima fase' della guerra. È ben noto che la Moldova e la maggior parte della Romania furono liberate come risultato dell’offensiva di Iasi-Chisinau condotta dal II e III Fronte ucraino con il sostegno della Flotta del Mar Nero ancora confrontati dal Gruppo di Armate sud-ucraino, che includeva la VI e la VIII armata tedesca e la II e la IV armata romena e certe unità tedesco-romene. La rapida offensiva sovietica precipitò l’insurrezione anti-nazista in Romania, e le truppe sovietiche liberarono Bucarest assieme a insorti romeni il 29 agosto 1944.

Contrariamente all’opinione degli autori dei documenti presentati dalla parte romena, è noto che il popolo romeno apprezzò molto lo sforzo dei soldati sovietici, e li ha ricordati con gratitudine come liberatori della Romania. Le autorità della Chiesa Ortodossa Romena di quel tempo condividevano questi sentimenti. 

Qui sotto citiamo alcune parole che i vescovi romeni hanno detto durante la visita di Sua Santità il Patriarca Alessio I a Bucarest nel 1947.

'Siamo sopravvissuti alla brutale guerra, ma in questo tempo di prove abbiamo avuto l’amicizia e la piena comprensione dell’esercito sovietico e di tutto il popolo russo' (dal discorso di Sua Beatitudine il Patriarca Nicodim all’incontro con Sua Santità il Patriarca Alessio a Bucarest il 1 giugno 1947).

'Nella persona di Vostra Santità ringrazio il popolo russo per il loro aiuto, che […] ci ha dato per riunire la Transilvania del nord, una parte naturale della Romania, con il nostro paese. Non dimenticheremo mai questo nobile atto, dato che ci sono volute molte vite sotto la cura spirituale di Vostra Santità per liberare una parte dei nostri figli spirituali dalle prove di una grande sofferenza' (dal discorso del Metropolita Nicolae di Sibiu all’incontro con Sua Santità il Patriarca Alessio a Sibiu il 5 giugno 1947).

'Ammiriamo umilmente lo sforzo eroico di Vostra Santità che ha ispirato i cuori dei soldati sovietici che hanno inseguito senza posa il nemico e liberato la parte settentrionale della nostra Transilvania' (dal discorso del Vescovo Vasile di Timisoara all’incontro con il Patriarca Alessio nella cattedrale di Timisoara il 6 giugno 1947). 

Mentre ricordiamo le lezioni del passato, dovremmo fare attenzione a non ripetere tragici errori. Dovremmo piuttosto ricordare gli utili e preziosi esempi della cooperazione fraterna e dell’aiuto reciproco, che sono stati numerosi nella storia delle nostre nazioni.

I rappresentanti della Chiesa Ortodossa Romena dicono, 'Oggi tutte le Chiese Ortodosse sorelle dovrebbero tenere a mente le realtà moderne e dare ancor più valore all’unione fraterna, alla cooperazione e alla cura pastorale per i fedeli ortodossi, piuttosto che focalizzarsi su pretese giurisdizionali.' Questo appello merita attenzione. Ma non dovrebbe essere rivolto al Patriarcato di Romania in connessione alle sue recenti azioni contro la Chiesa Ortodossa di Moldova?

La Chiesa Ortodossa Russa è come sempre pronta a un dialogo aperto con il Patriarcato di Romania, partendo dalla convinzione che la situazione ecclesiastica nella Repubblica di Moldova può essere risolta solo se ci atteniamo alle norme canoniche della Santa Chiesa Ortodossa attraverso le appropriate decisioni ecclesiali, tenendo conto degli interessi dei cittadini ortodossi della Moldova.

 

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