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  Domenica 2 Aprile 2000 (3a di Quaresima) Domenica della Croce (Marco 8:34-38)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La terza domenica della Grande Quaresima è il giorno in cui adoriamo la preziosa e vivifica Croce del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo. Questa venerazione si compie nei gesti (con le prosternazioni di fronte alla "croce fiorita" nel mezzo del tempio), e anche nelle parole del Vangelo di oggi, in cui l'ingrediente più importante per la nostra vita spirituale è identificato con la stessa croce che dobbiamo portare.

Se vogliamo avere successo in qualunque campo, sono necessarie due cose: dapprima, un'approfondita conoscenza e competenza nel campo in cui operiamo: questo significa addestramento continuo e paziente, sia che ci dedichiamo a una disciplina accademica, alla musica, all'arte, allo sport, oppure... a essere cristiani. In secondo luogo, è necessario avere un giusto senso delle priorità, per sapere ciò che è bene per avere successo, e che cosa invece può ostacolarlo.

Il brano del Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato è una lezione di vita, che ci parla proprio di addestramento e di priorità. Ci parla di lavoro costante, perché la croce che portiamo è comunque una fatica. Ci spiega che non tutte le fatiche sono ugualmente utili, ma che dobbiamo faticare "seguendo Cristo", ovvero nella Chiesa, perché solo nella Chiesa abbiamo occasione di conoscere Cristo e di rafforzare e vivificare il nostro legame con lui. Ci parla anche di priorità, dato che ci mette davanti la cosa più importante, che per ciascuno di noi vale più del mondo intero: la nostra anima.

Il mondo è pieno di cose buone, che Dio ci offre in abbondanza: dobbiamo però ricordarci che tutto quanto riusciamo ad accumulare è a nostra disposizione per un tempo ben  limitato. Se la nostra priorità è davvero la nostra anima, allora i beni passeggeri non prendono il sopravvento, e diventano strumenti per la nostra crescita spirituale. Ma il mondo, purtroppo, non è così innocente. Come cristiani,. dobbiamo fare i conti con una continua opera di tentazione e di illusione da parte del maligno, che vuole farci vedere solo i beni temporanei. I cristiani che non si sono perfezionati sono costante preda di questa illusione, il cui rimedio è proprio la croce, questa misteriosa "perdita della vita" per causa di Cristo e del Vangelo.

L'idea di perdere la vita per salvarla sembra quasi un assurdo controsenso. Nessuno di noi desidera davvero perdere la propria vita, né quella dei propri cari. Ma non è questo il rinnegamento della vita di cui parla Gesù: la vita da rinnegare per trovare quella vera è proprio quella della crudele illusione delle nostre passioni, l'attaccamento a quanto è passeggero. C'è una vita molto più profonda che ci aspetta, ma non possiamo sperimentarla finché stiamo chiusi nel guscio del nostro egoismo. Ma quando desideriamo davvero liberarci delle illusioni di questo mondo, seguire Cristo, allora è Dio stesso a correrci in aiuto, e a portarci quella vita reale che è l'amore reciproco. E se per vivere nell'amore di Cristo sarà necessario ancora patire sofferenze o persecuzioni, o la fatica stessa di portare la croce fino alla fine dei nostri giorni sulla terra, queste fatiche non ci sembreranno così gravose, perché avremo la certezza che la vita è in noi, e nessuno può separarci da questa pienezza.

Neghiamo perciò noi stessi: tutte le passioni alle quali sentiamo di essere ancora attaccati, tutte le illusioni alle quali sappiamo di andare dietro per debolezza. Affermiamo la nostra unione con Cristo attraverso le opere buone e il rispetto dei suoi comandamenti.

Potrà essere un cammino amaro, perché la croce è sempre amara. Ai tempi degli antichi romani, la croce era il modo più crudele di mettere a morte una persona. E non era solo crudele, ma anche infamante: i cittadini romani, per quanto colpevoli, non potevano essere messi in croce, che era riservata a stranieri e forestieri. Con questa morte, il Signore ha voluto dirci che per ottenere la salute è necessario essere disposti anche a prendere una medicina molto dolorosa. Ma non si è limitato a insegnarcelo: ha voluto prendere Egli stesso questa medicina amara, per dimostrarci che non abbiamo nulla da temere a seguirlo. Una volta che iniziamo a gustare la dolcezza di Cristo, non vogliamo altro: solo continuare le nostre fatiche al suo servizio, perché il suo giogo è davvero lieve.

Finché non saremo certi di questa dolcezza, tutto ciò che ci è richiesto è di portare la nostra croce senza tradire Cristo. Egli stesso, nel brano che abbiamo letto, chiama i suoi contemporanei "generazione perversa e adultera". La gravità del peccato dell'adulterio sta nel fatto che esso nega un legame di profonda intimità. Se neghiamo il legame che abbiamo con Cristo (un legame che al momento del nostro battesimo è divenuto un canale aperto di grazia), è come tradire la fiducia che Egli ripone in noi. Perciò, non rinneghiamo il nostro legame con Cristo, né con le nostre abitudini, né con priorità sbagliate, indulgendo nelle illusioni di questo mondo, e anche Cristo non ci rinnegherà, quando verrà nella sua gloria.

Amen.

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