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  Il monachesimo nell'America dietro le sbarre

di Chris Hoke

Parte 1 - Parte 2 - Parte 3

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Parte 1

I gentiluomini che ho visitato nella mia prigione locale negli ultimi dieci anni vivono una esistenza quotidiana che, come ho spesso considerato, non è diversa da quella dei monaci del monastero che ho visitato.

Non hanno mogli o fidanzate con loro. Tutti indossano lo stesso abbigliamento, non tonache nere, ma vecchie tute rosse. I loro capelli spesso crescono incolti, in quanto, come i monaci, non hanno molti specchi. A loro non importa del loro aspetto. Il cibo non è molto saporito. Sono tagliati fuori da quella che era la loro vita, i loro affanni e le loro abitudini.

Il loro contatto con gli esterni - chiamate a prezzo troppo caro, un'occasionale lettera - è limitato. Un buon numero di loro trascorre una grande quantità di tempo a pregare, leggere, scrivere, contemplare la loro vita a un livello più profondo di quello che avrebbero al di fuori di queste mura. Passano la maggior parte della giornata in piccole stanze chiamate celle.

La più importante e ovvia differenza, dico loro, è che i monaci che ho incontrato hanno scelto di vivere in questo modo.

Perché?

I monaci vogliono conoscere Dio più pienamente. E pensano che un ambiente del genere possa aiutare. Io dico ai ragazzi che i monaci che ho visitato - cattolici e ortodossi, cercano in tali chiostri di abbandonare il loro falso ego, allontanandosi dalle distrazioni e dalle illusioni che offre la società. Essi cercano di restare nudi davanti a Dio, esponendo il loro io più autentico, il loro bisogno nascosto.

Vogliono che il loro cuore sia rotto, e ricolmato, e ampliato con l'amore di Dio.

Per migliaia di anni, sottolineo, uomini e donne hanno pensato che un ambiente così duro fosse utile per tale difficile lavoro. Un luogo appartato dal mondo per pregare.

Ecco perché, dopo tutto, io stesso vado al carcere.

Vado più spesso che posso, almeno un pomeriggio alla settimana, se non di più. Quando dico ai ragazzi che vorrei poter passare la notte, trascorrere un paio di settimane o mesi là con loro, ridono e dicono che possono suggerire tutti i tipi di modi in cui possono aiutarmi a finire lì. Più volte, in modo semi-serio, abbiamo valutato alcune infrazioni tecniche che mi avrebbero potuto far finire là, con una tuta rossa e tutto il resto, con il minimo danno alla mia possibilità di ritornare un giorno come cappellano.

Ma reati a parte, gli uomini nel cerchio di sedie spesso mi chiedono perché vengo comunque, quando non sono obbligato. "Questa è la mia chiesa preferita", dico. "Vengo qui da anni".

Quella parte non è uno scherzo.

Quello che cerco è la misericordia di Dio. E' quello che mi piace. E voglio starle vicino, come i miei amici amanti dell'aria aperta non possono stare lontani dai sentieri o dalle cime delle Cascades; come gli ornitologi tendono il collo verso il minimo canto tra le foglie; come i fanatici del rock stanno in prima fila a un concerto e sentono l'emozione cruda vibrare attraverso le loro ossa; come gli amanti dell'arte frequentano musei e gallerie.

Per me, niente può battere quello sfuggente, invisibile soffio di misericordia celeste che entra in contatto con un cuore spezzato. Voglio che mi inondi, ripetutamente, portandomi via la normale sporcizia di noia, ambizione, ansia e disperazione, più e più volte. Voglio che mi renda ancora una volta sensibile, che smussi i miei spigoli callosi, che rinfreschi la mia mente perché io possa odorare di brillante, dolce tenerezza e misericordia quando me ne vado, magari per qualche ora.

Vado al carcere come cappellano volontario nel modo in cui gli ubriachi frequentano un bar locale. Ad alcuni non dispiacerebbe rimanere per tutta la notte.

La misericordia, come la musica, risuona meglio in certi luoghi, in certe condizioni del cuore. Monaci, tra le loro pareti scelte, sono ben consapevoli del loro bisogno di misericordia. Cioè, del loro peccato. E a parte un monastero, dico agli uomini, il carcere è probabilmente il posto migliore per essere tra le persone che si trovano di fronte a loro il disastro che realmente sono.

"Quindi, ragazzi, se qui avete già un posto così simile a un monastero, vorreste andare avanti e imparare alcuni dei modi con cui i monaci usano il loro tempo? Come usare le vostre celle, in questo sistema spietato, per diventare studenti di misericordia? Volete imparare alcuni dei modi in cui pensano e pregano, e che io sto iniziando a praticare nella mia vita? "

Ho iniziato con qualcosa di simile all'ultimo dei tanti gruppi che ho condotto. Mi sorprende sempre come sembrano felici di quest'idea.

Li avverto che la cosa comprende alcune ripetitive, semplici preghiere e posture fisiche - molti inchino, con le ginocchia e le mani e la fronte sul terreno duro.

Ci saranno, mi dicono.

Credo di essere in attesa che mi chiedano di tornare a uno studio biblico, come al solito. O semplicemente che si guardino intorno goffamente di fronte a questa roba monastica. O che contestino il confronto tra un'abbazia e un carcere.

Ma sono venuti. Forse è perché questi uomini che affrontano sentenze penali, intrappolati in una struttura, non sono diversi rispetto ai molti di noi al di fuori, alla ricerca di "ritiri spirituali", in visita ai monasteri nei deserti e sulle coste e nelle pianure rurali.

Nei miei prossimi post, continuerò questa piccola serie che esplora la sovrapposizione tra spiritualità monastica e gli uomini che io assisto pastoralmente che sono dentro la crescente realtà della "America dietro le sbarre", una nazione con più persone in carcere, in percentuale, rispetto a qualsiasi altro paese del mondo. Racconterò le pratiche specifiche che stiamo sperimentando all'interno della prigione locale, così come una recente visita a un monastero ortodosso con un uomo appena uscito da una cella di isolamento.

Parte 2

All'inizio di quest'anno, durante la Quaresima, ho visitato un monastero ortodosso russo su un'isola di sempreverdi dall'altra parte della baia di Seattle. Non c'ero mai stato prima, ma questo pellegrinaggio locale mi è sembrato in qualche modo familiare.

Dopo la corsa in traghetto attraverso le acque fredde con gabbiani nell'aria, ho guidato attraverso l'isola boscosa e nebbiosa su strade tortuose, lontano dalle grandi città o anche da un semplice negozio all'angolo, e, infine, quando sono arrivato a un cancello chiuso dove ho potuto spingere un pulsante e annunciarmi come visitatore, ho capito che questo era esattamente come le mie visite alle varie carceri nel mio stato negli ultimi dieci anni.

Come cappellano nella mia locale prigione di Skagit County, finisco per visitare gli uomini che sono condannati e spediti ai lontani impianti di massima sicurezza. I complessi sono sorvegliati, come dei mondi un po' nascosti, senza molta segnaletica davanti. Di solito c'è una strada oscura da passare, e sempre il piccolo citofono per annunciarsi al cancello.

Ho guidato su per la collina, accanto a enormi, bellissime croci a otto punte, mentre mi guardavano icone di Cristo di vecchia scuola, immerse tra le travi coperte di muschio e le felci gocciolanti. Ma a differenza del senso di durezza e irrigidimento che viene a entrare in un complesso carcerario con la sua stretta sorveglianza, ho sentito il cuore che si apriva; i miei sensi si espandevano all'interno del cancello di questo monastero.

I monaci di questo piccolo monastero - tutti e tre - mi aspettavano per questo giorno.

Dopo che il monaco più giovane con la sua piccola barba incolta mi ha mostrato la mia cella, mi sono lavato e sono andato in chiesa. Aveva una cupola a cipolla blu sulla sommità, come in un piccolo villaggio russo. La pesante porta si è chiusa dietro di me. Era buio e meraviglioso. Candele. Incenso. Icone che coprono le pareti. Ma era piccola, delle dimensioni di un soggiorno, e non aveva sedie, né banchi su cui sedersi.

I libri sul culto ortodosso che avevo cominciato a leggere mi avevano parlato di questo. Non era solo questione di stare in piedi nella presenza di Dio con riverenza. La chiesa - e soprattutto il monastero - era una sorta di palestra spirituale, avevo letto, dove siamo rafforzati nella mente, nel corpo, nell'attenzione e nel cuore, per sopportare il peso dell'amore di Dio. Dove la malattia del peccato può essere affrontata, superata.

La Liturgia parla di ricevere il corpo e il sangue vivifici di Cristo "per la remissione dei peccati". La remissione, proprio come ciò che accade a un sopravvissuto al cancro, con un trattamento adeguato e uno stile di vita sano e completo.

Così ho seguito gli esempi. I due monaci anziani, spostandosi, continuavano a inchinarsi di fronte alle grandi icone. Così mi sono inchinato anch'io. Sono stato in piedi. Ho ascoltato come cantavano. Ho spostato il mio peso quando le mie gambe si stancavano.

Poi è arrivato un punto nel loro allenamento di preghiera che mi ha colpito come un ritornello particolarmente bello in una nuova canzone. Il vecchio monaco ha allargato le braccia, dandomi le spalle, e ha detto: "O Signore e Maestro della mia vita, non darmi uno spirito di pigrizia, di futilità, di brama di dominio e di vaniloquio".

E poi ha cercato di inginocchiarsi.

Ho poi saputo che, dopo tre decenni di quotidiani inchini, genuflessioni e prosternazioni a ogni ora, sia a lui che all'abate dalla barba bianca erano state installate protesi d'anca.

Quando ho visto il suo accenno traballante a una prosternazione - avevo letto anche di queste - l'ho preso come un invito, da uomo più giovane, ad abbassarmi io stesso e a inginocchiarmi completamente, da solo accanto alla porta. Ho appoggiato la testa a terra. Sembrava rinfrescante. Parlare di brama di dominio, di futilità, e mettere la testa con le mani sul tappeto. Sembrava una cosa di cui avevo avuto bisogno per anni, ma non mi era stata prescritta, o avevo dimenticato che era a mia disposizione.

Volevo stare lì, in questa posizione, che mi sembrava più giusta della maggior parte delle mie preghiere erranti.

Il monaco, però, ora era di nuovo in piedi. "Fa' invece grazia a me, tuo servo", ha continuato, "di uno spirito di assennatezza, di umiltà, di tolleranza e di amore".

E di nuovo ci siamo abbassati.

E' andata avanti così con altre preghiere sorprendentemente vulnerabili. Su a piedi, giù sul viso, e di nuovo su.

Mi ha ricordato gli allenamenti della prigione che così tanti membri di bande mi hanno insegnato al loro rilascio.

"Flessioni", le chiama la maggior parte dei detenuti. A volte nei loro garage, a volte nei vialetti in mezzo alle auto, a volte nei cortili, questi ragazzi con orgoglio mi guidano attraverso i movimenti che li hanno tenuti magri, forti e sani negli anni in cui erano via.

Parte 3

Nelle "flessioni" che i ragazzi spesso mi mostravano dopo che erano tornati a casa dal carcere nei loro vialetti e garage, facendomi sempre battere forte il cuore in gola e sudare la camicia prima di quanto mi aspettassi, ho riconosciuto le prosternazioni dei monaci ortodossi che avevo imparato al monastero.

I detenuti, nelle loro canottiere strette e jeans enormi, cominciavano in posizione verticale, poi colpivano i pugni sui loro addominali, si piegavano in un arco completo, toccando le ginocchia, poi il terreno, scendendo in posizione di flessione, e poi si tiravano su.

Molti ragazzi che conosco e che vanno in prigione tornano a casa fisicamente più in forma, anche se spiritualmente, emotivamente e psicologicamente tornano meno vivi, gravati con molti più traumi, rabbia, segreti, intorpidimento, e peccato, che i monasteri mirano a rimuovere.

Non solo in carcere c'è meno cibo spazzatura, assenza di bibite gassate, e orari irreggimentati per andare a letto e svegliarsi; non solo il sollevamento pesi è un passatempo popolare per la maggior parte dei detenuti; ma soprattutto i membri delle gang – la maggior parte di quelli a cui faccio assistenza pastorale – sono tenuti tra i loro ranghi a una formazione continua, utilizzando le flessioni come un allenamento per tutto il corpo, adatto all'interno delle loro anguste celle.

Ci si aspetta che siano sempre pronti per una battaglia.

I monaci vedono le loro rigorose pratiche in modo simile: preparare gli istinti della loro mente e del loro cuore a una battaglia spirituale nelle loro celle, in modo da non essere così facilmente picchiati da tutte le tentazioni, demoni, pensieri, paure, ansie, illusioni, e tormenti che assaltano quotidianamente il cuore umano.

"Abbiamo bisogno di esercizi", ho letto da un monaco, "per superare queste malattie". Ho sottolineato quella parte del libro.

Credo di aver pensato che tutti gli inchini i movimenti fisici religiosi che avevo visto eseguire dai monaci nei film fossero antiquate espressioni patologiche di colpa, di penitenza fremente, dell'ansia di uno schiavo che non ne sa nulla dell'amore.

Ma al monastero ho iniziato a interessarmi a questi movimenti – come quando avevo visitato la palestra mista di arti marziali e boxe di un mio amico. L'ho visto uscire dalla droga, perdere peso, e crescere in maturità, il tutto mentre si muoveva sul tappetino in bizzarri esercizi di ginnastica ritmica con altri giovani che cercavano di liberarsi da videogiochi e sbornie.

La palestra gli aveva offerto di più, appena uscito di prigione, del mio piccolo gruppo settimanale dove leggevamo i Vangeli, pregavamo e condividevamo la cena. La palestra impegnava il suo corpo. Richiedeva più da lui di quanto esigeva la sua mente. Lo lasciava alla notte con più pace.

Anche questa preghiera quaresimale di sant'Efrem che stavo imparando al monastero era più esigente. E mi ha dato una nuova pace. Ha rafforzato il mio cuore facilmente scoraggiano e mi ha spinto a mandar via il grasso spirituale che ci fa rallentare. Erano le flessioni dei monaci, una routine spirituale di tutto il corpo.

Così l'ho mostrata ai ragazzi in carcere pochi mesi fa. È stato il mio primo contributo monastico alla conversazione che avevamo iniziato la settimana prima sui modi per trasformare la detenzione in carcere in un ritiro spirituale e di formazione monastica.

Ma, appena abbiamo spinto le sedie del nostro circolo contro il muro della fredda e spoglia sala polivalente del carcere, ho smesso di parlare di quanto io stesso – e tante altre persone che non sono mai stati in un monastero o in una prigione – avessi bisogno di tali pratiche.

I ragazzi nelle tute rosse stavano lì mentre parlavo della mia generazione che si riversava nelle palestre di yoga, dove si può fare un passo fuori dalla nostra vita frenetica in un luogo appartato, fuori da una postura eccessivamente cerebrale, col fondoschiena su una sedia al lavoro e su una panca in chiesa, assumendo una posizione in cui il nostro corpo aiuta il nostro spirito ad aprirsi, e dove insieme si estendono e si abbracciano e si arrendono.

Imparare a utilizzare il nostro tempo, nelle nostre celle o nelle nostre camere da letto, ho detto, richiede alcune pratiche antiche.

"Come se fossero flessioni spirituali", aggiunsi. "Qualcosa da utilizzare nelle vostre cellule durante le ore di chiusura".

I ragazzi con i tatuaggi sul cranio e sul collo hanno annuito, hanno sorriso, e abbiamo iniziato insieme la preghiera di pentimento di sant'Efrem.

Non sono sicuro di cosa pensassero le guardie quando hanno guardato attraverso il loro lato dello specchio di osservazione, o attraverso la telecamera di sorveglianza montata in alto in un angolo del soffitto, mentre vedevano un cappellano in scarpe da ginnastica e dodici altri uomini in rosso – anziani bianchi con la barba rossa, nativi swinomish, giovani irrequieti da poco fuori metadone, capibanda messicani tatuati nel blocco delle celle – tutti che si chinavano a terra, arrendendosi, ma non al sistema. A qualcosa di invisibile.

Con tutti i segnali contrastanti che passavano tra questi uomini altamente sorvegliati nel cerchio con me, non sono sicuro di quello a cui pensava ciascuno di loro. Molti esitato quando abbiamo piegato sopra, e posto le mani sul pavimento di cemento verniciato.

Ma potevo sentire la tensione del gruppo dissolversi mentre le nostre teste toccavano il suolo freddo insieme, assorbite in un nuovo, spazio aperto di umiltà e di misericordia.

E un grande silenzio, dentro e fuori.

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