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  Esiste davvero una critica patristica delle icone?

di Gabe Martini

dal blog On Behalf of All

25 maggio 2013

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PARTE 1

Introduzione

Steven Wedgeworth, pastore assistente della Immanuel Presbyterian Church a Clinton, Mississippi, ha recentemente scritto un post su The Calvinist International contro l'uso cristiano delle icone. In questo post, che si propone di "contro-bilanciare" le prove a favore delle icone e della loro venerazione con prove contrarie. La ragione, come dice lui, è che "Non molti... conoscono le voci patristiche opposte", Questo significa che c'è una evidente opposizione patristica alle icone nella storia e nella tradizione della Chiesa – così notevole che di conseguenza uno potrebbe essere costretto a riconsiderare la propria posizione in materia. Il pastore Wedgeworth sostiene, inoltre, che l'uso liturgico delle icone ha una "fondazione mista", il che implica che la pratica e le credenze della Chiesa cattolica, al meglio, sono forse discutibili.

Ma è davvero così? Le prove fornite dal pastore Wedgeworth dimostrano che c'è sempre stata la stessa opposizione alle icone e alla loro venerazione all'interno della Chiesa ortodossa-cattolica? Tali prove sono presentate e comprese? Sono voci isolate, o parte di una grande opposizione alle icone nella storia della Chiesa?

I cristiani ortodossi sono ben consapevoli delle controversie iconoclastiche nell'VIII e nel IX secolo. Ne siamo così consapevoli che dedichiamo un'intera domenica (la prima della Quaresima) a quello che noi chiamiamo il Trionfo dell'Ortodossia – il ripristino delle icone nelle chiese da parte dell'imperatrice Teodora in un sinodo nell'anno 843 a Costantinopoli. Il fatto che ci sia stata polemica su questo tema non è una novità: la polemica dottrinale è semplicemente parte della vita della Chiesa (1 Cor 11:19). Tuttavia, quando il pastore Wedgeworth cita Peter Brown che afferma: "la disputa intorno al settimo Concilio è stato un affare tutto bizantino", né lui né Brown sono del tutto accurati. L'iconoclastia ebbe certamente origine nella parte orientale dell'impero romano (nell'VIII secolo), ma fu in gran parte portata avanti da interessi politici relativi sia ai Carolingi in Occidente e dei musulmani in Oriente.

In realtà, la Sede di Roma era altrettanto impegnata nella venerazione delle icone (in particolare prima di Carlo I e i Libri Carolini) quanto il resto della Chiesa. Tutte e cinque le sedi primarie furono rappresentate nel settimo Concilio Ecumenico, e il papa della vecchia Roma (Adriano I) vi diede il suo pieno appoggio. Il secondo Concilio di Nicea è stato uno dei sinodi più ampiamente rappresentati nella storia della Chiesa, e i vescovi che erano stati precedentemente influenzati da dubbie influenze di ripudio delle icone si pentirono pubblicamente a questo concilio. Uno di questi vescovi, Basilio di Ancira, si pentì sia dell'iconoclastia sia della sua partecipazione a un precedente "sinodo dei briganti" su questo tema, perché desiderava "essere unito alla Chiesa cattolica, ad Adriano il santissimo papa della vecchia Roma, e a Tarasio il beatissimo patriarca [della nuova Roma], e alle santissime sedi apostoliche; cioè, Alessandria, Antiochia, e la città santa [Gerusalemme]" (Estratti dagli atti, Sessione 1, Labbe e Cossart, Concilia, VII, col 53). Basilio continua a spiegare come il Sinodo precedente – presumibilmente quello a Hieria nel 754 – sia stato poco più di uno spettacolo a guida politica; la vita successiva della Chiesa certamente giustificare una tale prospettiva.

Mentre la polemica iconoclasta si era originariamente radicata nella parte orientale dell'impero, la sua risoluzione fu ecumenica; una risoluzione che ebbe il pieno sostegno di tutta la Chiesa cattolica (come mostrato nella confessione di Basilio). La vita e la testimonianza della Chiesa ortodossa-cattolica dal IX secolo conferma che è proprio così, oltre e contro qualsiasi ricerca astorica o astratta di dichiarazioni isolate, sia prima sia dopo quel momento.

Per inciso, si tratta di un'ironia che il pastore Wedgeworth abbia utilizzato l'immagine della Хлудовская псалтырь (il "Salterio di Khludov") – uno dei soli tre salteri miniati sopravvissuti alla distruzione degli iconoclasti nel IX secolo – come immagine in evidenza sul post del suo blog. L'immagine particolare che egli ha scelto collega l'ultimo imperatore iconoclasta (Giovanni il Grammatico), che sta cancellando un'icona di Cristo per mezzo di un palo e di una spugna, con i soldati che offrivano fiele e aceto a Cristo inchiodato sulla Croce (cfr Ps 68:22 LXX). Inoltre fa luce della sua pettinatura incolta (una vera gaffe ai quei tempi). Questo salterio è in realtà la prova del consenso patristico alla metà dell'800 d.C.: una Chiesa che utilizzava codici miniati delle Scritture nella liturgia; le scritture che erano venerate, portate in processione e trattate con grande rispetto come le nostre rubriche dell'antica liturgia dimostrano chiaramente (allora come oggi). Il culto e la vita della Chiesa apostolica ci mostrano il consenso patristico molto meglio di quanto potrà mai sperare di realizzare qualsiasi indagine astratta di scritti oscuri. Quando si tenta di capire sia gli scritti patristici sia le Sacre Scritture, è necessario farlo in un contesto corretto; e tale contesto corretto è la vita della Chiesa, non la nostra migliore ipotesi sulla sua ricostruzione.

L'importanza della Chiesa primitiva

Molte delle citazioni che il pastore Wedgeworth offre come prova di atteggiamenti aniconici / iconofobi nella Chiesa primitiva si trovano nei suoi primi tre secoli. Questo è importante da notare perché se i rigoristi (per quanto riguarda il 2 ° comandamento) fossero stati corretti – e l'antica Chiesa apostolica fosse stata totalmente contro le immagini – allora ci sarebbe stato un palpabile grido di opposizione all'inizio stesso della loro introduzione. Nella maggior parte degli studi, si considera che l'introduzione dell'iconografia nell'uso della Chiesa abbia avuto tra il primo e il quarto secolo dopo Cristo. Di conseguenza, qualsiasi prova relativa alle icone in questo periodo dovrebbe essere esaminata tenendo questo in mente. Se le icone sono state introdotte durante questo lasso di tempo, e non c'è stata una reazione schiacciante e violenta di tale innovazione come idolatria negli scritti dei Padri, che cosa si potrebbe essere portati a concludere?

Durante questo primo periodo, i cristiani erano profondamente consapevoli del loro posto come successori degli apostoli. Gli argomenti di uomini come sant'Ireneo di Lione (contro gli gnostici) sono basati sul fatto che lui sta insegnando soltanto ciò che hanno insegnato i suoi predecessori - gli apostoli - mentre gli eretici citano solo le Scritture (snaturandole in modo contrario alla tradizione apostolica). Padre Steven Bigham rileva che, a causa di questo orgoglio nella loro conservazione della tradizione apostolica, ogni suggerimento che questi primi cristiani avessero abbandonato il Vangelo consentendo le icone nella Chiesa li avrebbe profondamente scandalizzati (Early Christian Attitudes toward Images, p. 17). Se i rigoristi hanno ragione a dire che la Chiesa primitiva era ostile verso icone (aniconia / iconofobia), qualsiasi accettazione delle icone – essendo essa stessa un abbandono del Vangelo, almeno secondo i rigoristi – "corre esattamente contro la consapevolezza altamente sviluppata tra questi cristiani, che hanno insegnato solo quello che è venuto dagli apostoli stessi" (ibid.). Poiché vi è abbondanza di prove che i primi cristiani abbiano fatto uso di icone (con statue ed elementi liturgici decorati, come calici, con l'immagine di Cristo incisa su di loro), i conti non tornano del tutto per il punto di vista dei rigoristi. Una semplice passeggiata attraverso le catacombe romane e i resti di Dura Europos (Siria) ne fornirebbe un'acuta dimostrazione.

Inoltre, Bigham rileva inoltre che esiste una distinzione tra ciò che è la Tradizione (con la "T" maiuscola, per così dire), e ciò che è pia consuetudine (o "tradizione" in senso generale). Questo fu anche spiegato in modo chiaro nella definizione del settimo Concilio Ecumenico. In breve, la Tradizione è composta da credenze e pratiche essenziali per il Vangelo, mentre le tradizioni sono consuetudini "non necessarie o definite dal Vangelo stesso, ma neppure proibite" (ibid.). Quando le consuetudini diventano controverse, disturbando la Chiesa nel suo insieme, sono esaminate da lei con grande cura. Un esempio di questa dinamica è la datazione della Pasqua, che in origine era una consuetudine localizzata (con una varietà di pratiche) prima del primo Concilio di Nicea (325 d.C.). Alla fine, la discrepanza nell'osservanza della Pasqua ha portato a una controversia ecclesiastica che poté essere risolta solo con un decreto sia ecumenico sia conciliare. L'utilizzo e la venerazione delle icone è la stessa cosa: ciò che originariamente era iniziato come una pia usanza tra i fedeli è diventato un punto di sostanziale polemica, grazie in non piccola parte a coloro che volevano usarlo per scopi politico-strategici nei secoli VIII e IX. Pertanto, era compito dei vescovi della Chiesa riunirsi e tentare di risolvere la questione (e quindi il Concilio di Nicea del 787 e il Sinodo di Costantinopoli dell'843).

Come conclude Bigham su questo punto, "una semplice abitudine diventa una testimonianza essenziale per la predicazione del Vangelo" e il rifiuto delle immagini "implicava un indebolimento o addirittura la negazione dell'incarnazione stessa" (Ibid., 18). Ciò che Bigham caratterizza come "usanza umile e accessoria" era diventata "essenziale per il Vangelo" (Ibid., 19).

Parte 2

Le prove patristiche e l'onere della prova

Qualsiasi prova che viene addotta per dimostrare di una mentalità sia iconoclasta sia iconodula nei primi tre secoli della Chiesa, quindi, è di notevole importanza se si vuole capire il dibattito sulle icona, insieme con le effettive credenze storiche della Chiesa (il "consenso patristico", se si vuole).

Ancora una volta, la testimonianza della tradizione ortodossa-cattolica manifesta che l'iconodulia è la norma, ed è stata la prassi accettata fin dai primi secoli. Questo è ciò che sostiene pure il settimo Concilio Ecumenico. I Padri hanno dichiarato che stavano solo seguendo il "sentiero regale" della tradizione che riporta indietro nel tempo agli apostoli. Gli argomenti in opposizione all'utilizzo delle icone devono essere supportati da una tale quantità di prove, che nessuno possa concludere diversamente. Dal momento che la Chiesa ha stabilito che la venerazione delle icone non è più solo una pia usanza, ma è ormai parte integrante del Vangelo stesso, non è cosa da poco negare la loro validità. Dal punto di vista ortodosso, un tale rifiuto è un attacco contro gli elementi essenziali del Vangelo, e quindi una scelta isolata di citazioni da alcune fonti primitive è meno che convincente. Parlare di "Padri" o di un punto di vista "patristico" significa indicare la Chiesa dei Padri, e la sua pratica comune fino a oggi. Come ho già detto, seguendo gli argomenti di Bigham, se l'introduzione delle icone nella Chiesa fosse stata vista da qualcuno come una negazione del Vangelo (idolatria), ci sarebbe stato in risposta un clamore particolarmente violento; e tuttavia, noi non abbiamo una tale risposta. L'onere della prova è pesante per l'iconoclasta.

I Padri della Chiesa (e altri scrittori cristiani) sono a volte trattati da coloro che non credono nella continuità ininterrotta della tradizione ortodossa come un compendio di prove testuali per qualsiasi punto di vista essi intendano difendere, senza alcun riguardo per le attuali credenze storiche o pratiche della Chiesa – e spesso molti ignorano il fatto che ci sono "Padri" tra di noi oggi (la Chiesa è viva, e la nostra tradizione viene dallo Spirito, non da una lettera "morta"). Ciò si verifica regolarmente anche quando si tratta di esegesi delle Sacre Scritture. Piuttosto che essere visto come una parte vivente della Chiesa, che ne respira la vita, sono astratte da quel contesto e sottoposte al vaglio di persone al di fuori della sua comunità.

Dando la dovuta considerazione a tutti i punti di cui sopra, il pastore Wedgeworth ha fornito un paio di citazioni da fonti cristiane primitive a cui cercherò brevemente di rispondere. Una delle difficoltà con il suo post, però, è che egli cita il corretto culto (Gk: δουλεία e προσκύνησις) delle icone nel suo paragrafo introduttivo (relativo al settimo Concilio Ecumenico), ma poi procede a citare scritti che sembrano opporsi alla loro "adorazione" (Gk: λατρεία). Non è chiaro per me se sta cercando di argomentare contro l'esistenza stessa delle icone, la loro venerazione, la loro adorazione (che è dovuta solo a Dio), o forse tutte e tre? Credo che stia parlando a favore dell'esistenza delle icone, ma contro la loro collocazione nelle chiese, la loro venerazione, e ovviamente la loro adorazione. In ogni caso, io dovrò interagire con le selezioni da lui fornito, così come con i suoi commenti.

Va notato che la distinzione tra δουλεία / προσκύνησις e λατρεία non era nuova al settimo Concilio Ecumenico, ma è piuttosto una distinzione nelle Scritture stesse (Antico e Nuovo Testamento; cfr חוה, la hitpa'lel di שׁחה, anche se il testo masoretico ebraico è meno preciso rispetto alla più antica Settanta greca). È del tutto possibile per una persona rendere onore a un'altra persona o a un oggetto, e non commettere idolatria. Se ogni atto di "inchino" o "prosternazione" davanti a un'altra persona o a un oggetto fosse idolatria, nessuno sarebbe in grado di allacciarsi le scarpe senza essere colpevole di rinnegare il Vangelo. L'atteggiamento del cuore è altrettanto importante quanto le azioni fisiche. Le Scritture forniscono numerosi esempi in cui ci si prosterna davanti a una persona o a un oggetto (per onore e venerazione), e senza che siano presi per idolatria: Lia e i suoi figli, davanti a Rachele e Giuseppe (Gen 33:7); Assalonne davanti al re (2 Sam 25:23 [2 Re LXX]); una donna davanti a un uomo (1 Sam 25:23 [1 Re LXX]); una donna davanti a un profeta (2 Re 4:37 [4 Re LXX]); e anche davanti all'arca dell'alleanza, che era adorna di statue di cherubini (Salmo 99:5 [98 LXX]).

Gli antichi ebrei capivano questa distinzione (tra venerazione e adorazione), così come i cristiani provenienti dal giudaismo considerandolo compiuto in Cristo. Tutto, dalla mezzuzah alla Torah era venerato (baciato) dai pii ebrei, e Cristo avrebbe fatto lo stesso; questa è un'antica usanza. Le catacombe romane sono piene di immagini prevalentemente dal Vecchio Testamento, a dimostrazione che i primi iconografi provenivano dai cristiani ebrei e non solo da quelli greci. Il tabernacolo / tempio stesso era pieno di immagini, ovunque si potesse guardare (e mentre ci si prosternava davanti a loro): sull'arca dell'alleanza (Es 25:18), sulle tende (Es 26:1), sul velo del luogo santo (Es 26:31), le statue dei cherubini (1 Re 6:23 [3 Re LXX]), sulle pareti (1 Re 6:29 [3 Re LXX]), sulla porte (1 Re 6:32 [3 Re LXX]), e sugli arredi (1 Re 7:29,36 [3 Kings LXX]). Dal momento che il tempio era una immagine (o "icona") del cielo, era stato fatto per rappresentare il cielo stesso (Eb 8:5; cfr Es 25:40). Si può anche leggere esempi di atteggiamenti favorevoli nei confronti delle immagini nel Talmud palestinese: "Nei giorni di Rabbi Jochanan, gli uomini cominciarono a dipingere quadri alle pareti, ed egli non lo impedì... Nei giorni di Rabbi Abbun, gli uomini cominciarono a fare disegni su mosaici, ed egli non li ostacolò" (Abodah Zarah, 48d). Come già accennato, la sinagoga (e la chiesa domestica) di Dura Europos (Siria, circa all'inizio del III secolo d.C.) sono piene, fino al soffitto, di immagini di storie dell'Antico Testamento e di santi – e tutte in luoghi dove gli ebrei erano soliti prosternarsi dinanzi ai rotoli della Torah. L'affermazione che il giudaismo antico o quello del Secondo Tempio erano intrinsecamente iconoclasti è davvero un mito polemico moderno.

Ora possiamo rivolgere la nostra attenzione alla selezione delle citazioni fornite dal pastore Wedgeworth, interagendo con loro una per una.

Tertulliano

Il pastore Wedgeworth cita Tertulliano in una delle sue risposte a un apologeta marcionita (Contro Marcione, 2,22), dove sostiene che l'opera d'arte liturgica del tabernacolo, insieme con il serpente di bronzo, non sono una violazione del secondo comandamento. Il commento del pastore Wedgeworth suggerisce che questa citazione di Tertulliano possa mostrare un rifiuto equilibrato dell'idolatria quando si tratta delle icone, mentre lasciando spazio alle icone che il Signore stesso ha comandato (il serpente e gli oggetti del tabernacolo). Tuttavia, Tertulliano qui in realtà è in disaccordo con se stesso. Non ha un punto di vista coerente su questo tema, e in realtà è molto più rigoroso (e incoerente) di quanto io penso che il pastore Wedgeworth possa apprezzare. Noto per il suo estremismo, le interpretazioni rigoriste di Tertulliano in materia alla fine lo hanno portato fuori dalla Chiesa Cattolica e in un'eresia (il montanismo). Il suo punto di vista su questo tema dovrebbe essere visto come un ammonimento, piuttosto che come una prova patristica contro la Chiesa cattolica e il suo corretto utilizzo delle immagini.

Non c'è dubbio che Tertulliano abbia respinto le "immagini idolatriche". La cosa interessante è che respingeva tutte le immagini come idolatriche. Il passaggio da Contro Marcione suggerisce che Tertulliano respinga solo le immagini idolatriche, facendo un'eccezione per il serpente di bronzo e le immagini del tabernacolo. Tuttavia, il resto degli scritti di Tertulliano contraddice questa idea, dimostrando che o egli è incoerente su questo tema, o piuttosto che utilizza semplicemente qualsiasi argomento gli si addice al momento. Bigham suggerisce che Tertulliano cambiasse spesso i suoi punti di vista per adattarsi alle circostanze del dibattito, e un esame approfondito dei suoi scritti conferma questa ipotesi (Early Christian Attitudes Toward Images, pp. 123-131).

Ad esempio, in Sull'idolatria, 3-4, Tertulliano dice che "ogni forma o inizio di forma" è "un idolo." Sotto questo nome "idolo", egli comprende (citando il VT) "le cose che sono nei cieli, e che sono nella terra, e che sono in mare". In questo, egli non fa una distinzione tra immagini che vengono utilizzate come idoli, e gli idoli. In altre parole, egli sostiene che ogni immagine è un idolo. Questa stessa interpretazione rigorista è affermata in Sugli spettacoli, 23, dove scrive: "E per quanto riguarda l'uso delle maschere, chiedo: è secondo la mente di Dio, che vieta la realizzazione di ogni somiglianza, e soprattutto la somiglianza dell'uomo che è fatto a sua immagine?" Come osserva Bigham, non è difficile concludere che – almeno in questi due dibattiti – per Tertulliano "immagine" equivale chiaramente a "idolo" Ecco, Tertulliano è così estremista da negare la creazione di qualsiasi immagine, anche al di fuori di un contesto religioso!

Sembra che Tertulliano consenta solo l'approvazione del serpente di bronzo e delle immagini del tabernacolo come eccezioni estreme alla regola; e lo fa solo per confutare la tesi del marcionita, che Dio si contraddice nel Vecchio Testamento. Il marcionita aveva abbastanza familiarità con i punti di vista di Tertulliano su questo tema per usare la sua interpretazione rigorista del secondo comandamento come un modo per "metterlo alle strette", costringendolo a cambiare le sue idee nel bel mezzo del loro dibattito. Incredibilmente, Tertulliano si rifiutava anche di ammettere come catecumeni nella sua chiesa alcun pittore o scultore (Bigham, p. 126), dimostrando che le sue opinioni sull'idolatria e gli spettacoli non erano eccezioni, ma erano piuttosto rappresentativi della sua fede reale. La sua risposta al marcionita sembra essere un'eccezione, ed egli continua anche a spiegare che il serpente di bronzo mostra "il potere della croce del nostro Signore" per chi "si rivolge ad essa con l'occhio della fede" (3:18). Questa era un'immagine non a scopo di "lettura" o di decorazione, ma un vero e proprio simbolo di presenza e di guarigione del Signore – e anche Tertulliano a malincuore fu costretto ad ammetterlo. Se la fede cristiana ortodossa che i simboli (come le icone e il serpente di bronzo) possono rendere il Signore misticamente presente è un'idea "greca", allora dobbiamo contare Mosè tra i greci.

Come montanista, Tertulliano prosegue nelle sue argomentazioni estremiste; per esempio, rifiutando l'idea che una persona possa pentirsi dell'adulterio ed essere riammessa alla Chiesa, e, naturalmente, scrivendo a lungo sulla follia dell'idolatria (per esempio in Sulla modestia, un attacco alla Chiesa). Un cristiano ortodosso sarebbe d'accordo con chiunque nel rifiuto dell'idolatria, ma quando ogni immagine viene identificata con l'idolatria – anche in un contesto non-religioso – questo non può assolutamente entrare nelle sue convinzioni. E nemmeno in quelle del pastore Wedgeworth.

Ciò che Tertulliano rappresenta, in realtà, è una tendenza ai conflitti all'interno del mondo cristiano che risale ai suoi stessi inizi. Come osserva Uspenskij, seguendo Florovskij:

"Nel conflitto dell'ottavo-nono secolo, gli iconoclasti rappresentavano una posizione non riformata e senza compromessi, di una tendenza origenistica e platonica... il metodo simbolico-allegorico del suo ragionamento non avrebbe potuto essere più favorevole all'argomentazione della teologia iconoclasta... segnava un ritorno alla l'antica dicotomia tra materia e spirito. In un tale sistema, un'immagine può essere solo un ostacolo alla spiritualità: non solo è fatta di materia, ma rappresenta il corpo, anch'esso di materia.

Teologia dell'Icona, Vol. 1, pp. 148-149

La visione cristiana del mondo, dove la materia e lo spirito sono uniti in Cristo risorto, è una visione del mondo che i montanisti, e in particolare Tertulliano, respingevano.

Questo rifiuto della materia (e anche del corpo glorificato del Signore) è esemplificato in lettere, come quella di Eusebio di Cesarea a Constanza (Eusebio era un devoto origenista e semi-ariano), dove si condanna il desiderio di ottenere un'icona di Cristo, "dal momento che il corpo del Signore è stata trasformata, al momento, in una gloria indicibile... solo in spirito si potrebbe contemplare la gloria in cui Cristo trova dopo la sua ascensione" (ibid., p. 149). Uspenskij osserva che questo tipo di reazione sottolinea la difficoltà che avevano i primi cristiani "nell'accettare e assimilare la rivelazione cristiana nella sua pienezza." Una rivelazione che respingeva sia Ario sia Origene – abbracciando la cristologia ortodossa della Chiesa ecumenica – un rifiuto dei vecchi punti di vista pagani.

Su questo stesso punto, Von Schönborn nota, "ovunque ha inizio una polemica contro le immagini cristiane, è fin troppo spesso basata su una visione teologica discutibile (Eusebio, Epifanio, Asterio di Amasea, il Tertulliano Montanista del De pudicitia [Sulla modestia])" (L'icone du Christ, p. 84). Uspenskij ricorda al lettore che il Concilio ecumenico in Trullo (che ha respinto il mero simbolismo in favore delle icone del Cristo divino-umano) considera questo rifiuto dell'iconografia come "immaturità pagana" stabilito da "Origene, Didimo e Evagrio, che ripristinarono le favole greche" (Canone 1; Uspenskij, p 149). La Chiesa cattolica non ha visto le icone come l'adozione di un'idolatria greca pagana, ma come un rifiuto consapevole di essa.

In conclusione, Tertulliano non è esattamente il miglior esempio da seguire in questa materia, poiché le sue opinioni sono troppo estreme e incoerenti; per non parlare del fatto che il suo rifiuto delle icone nasce da un rifiuto del fondamento cristologico ortodosso di base, soprattutto quello connesso al simbolismo e alla redenzione della materia. Il suo rifiuto della Chiesa deve servire ancor più a ricordare che tale rigorismo iconoclasta o interpretativo – per quanto benintenzionato possa essere – non aiuta necessariamente a preservare la propria fede. Respingendo i risultati buoni e santi dell'Incarnazione del Signore, Tertulliano ha finito per rifiutare del tutto il Corpo del Signore.

Parte 3

Il Sinodo di Elvira

Il prossimo esempio di una presunta critica patristica delle icone viene dal canone 36 del Sinodo locale di Elvira (Spagna/Granada), attorno all'inizio del IV secolo. Il pastore Wedgeworth elenca questo Sinodo come avvenuti in 305, che lo metterebbe esattamente nel mezzo della persecuzione di Diocleziano – un fatto che è molto utile per tentare di comprendere il contesto di questa oscura assemblea. Hefele elenca il Sinodo come avvenuto nel 305 o nel 306 (A History of the Councils of the Church, Vol. 1, par. 13). Il pastore Wedgeworth cita il canone in traduzione (da Wikipedia) come segue:

"Le immagini non devono essere collocate nelle chiese, per non diventare oggetti di adorazione.

L'originale latino del canone è:

"Picturas placuit in ecclesia esse non debere, ne quod et colitur adoratur in parietibus depingatur.

Bigham, tra molti altri, ha suggerito la seguente, più precisa, traduzione (p 161).:

"È sembrato buono che le immagini non debbano stare nelle chiese, in modo che ciò che è venerato e adorato non sia dipinto sulle pareti.

Grazie alla mia affiliazione con l'associazione Logos, ho accesso diretto ad alcuni dei più importanti studiosi e traduttori di latino in tutto il mondo. Ho chiesto a uno di loro (che ha tradotto Aquino nella sua totalità) di darmi la sua traduzione, senza alcuna conoscenza anticipata di cosae hanno fatto gli altri. Mi ha mandato questo:

"Mi sembra che non dovremmo non avere immagini in chiesa, per timore che ciò che viene onorato e adorato sia dipinto sulle pareti.

Quando gli ho mandato la traduzione che ha utilizzato il pastore Wedgeworth, ha risposto: "Sì, è sbagliata". In particolare, nell'eminente edizione Ford Lewis Battles dell'Istituzione della religione cristiana di Giovanni Calvino (1.11.6), il canone 36 è tradotto:

"Si decreta che non vi saranno immagini nelle chiese, perché ciò che è riverito o adorato non sia raffigurato sulle pareti.

Come con la Scrittura stessa (per seguire Ilario di Poitiers), l'importanza di questo canone non è nella lettura, ma nella comprensione. Se questa assemblea dei vescovi si era tenuta, di fatto, durante la persecuzione di Diocleziano, quali sono le implicazioni? Per esempio, Anton Joseph Binterim, Giovanni Battista de Rossi, e Karl Josef von Hefele leggono tutti questo canone come un divieto dell'uso di immagini sacre in edifici ecclesiastici non clandestini, al fine di evitare la loro caricatura o il loro vandalismo da parte dei pagani. Più in particolare, registra Hefele:

"Binterim ritiene che questo Sinodo abbia vietato solo una cosa – cioè che uno potesse appendere in chiesa immagini secondo la sua fantasia, e quindi spesso inammissibili. Aubespine pensa che il canone in questione vieti solo le immagini che rappresentano Dio (perché dice adoratur), e non altre immagini, in particolare quelle dei santi.

A History of the Councils of the Church, Vol. 1, p. 151

Bigham propone diverse riflessioni utili (pp 161-166.):

• Sia gli iconoclasti sia gli iconoduli hanno citato questo canone a favore delle proprie posizioni nella storia della Chiesa. Come tale, non è una forzatura dire che non si sa il contesto o significato esatto di questo canone, rendendolo discutibile come "prova" per qualsiasi posizione. Nella migliore delle ipotesi, è un interessante foraggio per la discussione.

• Il canone mostra che i cristiani del periodo pre-niceno sapevano distinguere tra le immagini e gli idoli, con l'utilizzo della parola picturas.

• La pittura di immagini cristiane non era qualcosa di nuovo all'inizio del IV secolo, ma era una consuetudine consolidata della Chiesa in Spagna, e presumibilmente altrove (le testimonianze archeologiche lo confermano, naturalmente). Anche Tertulliano cita l'immagine di Cristo "Buon Pastore" sui calici eucaristici già nel 200 d.C. (Sulla modestia, 10). In generale, i canoni disciplinari (come questi) sono proposti come risposta a pratiche di lunga data della Chiesa.

• Non abbiamo idea di che tipo di immagini si parli – immagini di cui si dice colitur et adoratur ("venerata e adorata"). La Santissima Trinità? Solo Cristo? Santi? Divinità pagane? Palme?

• Non sappiamo ciò che ha motivato i vescovi in questa regione della Spagna a promulgare questo particolare canone. Era per prevenire la deturpazione delle icone durante la persecuzione di Diocleziano? Era per evitare che le icone in chiese temporanee (come per esempio in una casa) venissero profanate in un secondo momento? Era una risposta ad abusi o superstizione?

• L'interdizione si applica solo a quadri o immagini in parietibus ("sui muri"). Vale anche per le immagini di altro tipo (come le icone portatili su legno)? Il canone non specifica nulla al di là di picturas in parietibus. Bigham rileva che ciò implica una specifica limitazione delle interdizioni di questo canone; non è una "dichiarazione generale" di disapprovazione.

• Questo canone è uno di 81 canoni disciplinari (non teologici). Il canone è di per sé di portata limitata, e non comporta anatemi o condanne dell'idolatria. Non vi è alcuna indicazione che i vescovi intendano vietare tutti i tipi di immagini (per uso personale o religioso), né si citano ragioni teologiche per il suddetto canone.

• Nessuna chiesa in Spagna, prima o dopo questo Sinodo, obbedì al canone – se davvero era una condanna generale o un divieto di immagini religiose e liturgiche di qualsiasi tipo. Non c'è mai stata alcuna controversia iconoclasta nella Chiesa di Spagna, e le implicazioni di questo canone disciplinare altamente localizzato al dibattito sulle icone sono state completamente ignorate per secoli.

• Altri canoni di questo Sinodo si possono trovare riprodotti in altre assemblee locali e nei loro canoni, ma non il canone 36. La maggior parte di queste regole occasionali si sono poi perse nella storia, come molti altri canoni che hanno perso la loro importanza a causa di un cambiamento nelle circostanze storiche che hanno portato alla loro promulgazione. Questo canone (tra gli altri a Elvira) non era né ecumenico nel suo ambito, né eterno nella sua applicazione. Come molte altre encicliche, epistole, e sinodi nella storia della Chiesa, il campo di applicazione è stato specifico sia a livello locale sia storico.

• Le chiese franche, moderatamente iconofobe, non citano questo canone nei loro dibattiti sia con gli iconoclasti sia con gli iconoduli. In realtà, esse incoraggiavano e utilizzavano i "dipinti sulle pareti" nelle loro chiese.

Bigham conclude: "Che questo canone sia un'espressione di un'iconofobia generalizzata in Spagna, e in tutta la Chiesa antica, un ripudio di ogni arte figurativa, e un progetto per un cristianesimo senza immagini, sembra essere un carico molto pesante, di fatto, da mettere sulla groppa di un tale fragile, piccolo asinello" (ibid., p.166).

Anche Uspenskij segue una traduzione più accurata: "È parso bene a noi che non debbano trovarsi dipinti nelle chiese e che ciò che si venera e si adora non sia dipinto sui muri". Egli osserva che "altri tipi di immagini" oltre a "decorazioni monumentali" non vengono menzionati affatto, e che sappiamo che – in questo momento esatto nel primo IV secolo Spagna – esistevano numerose immagini su "vasi sacri", sarcofagi, etc. Poiché questi non sono menzionati dal canone, è ragionevole concludere che il canone non sia una negazione di immagini sacre in generale, ma è più probabile che sia motivato da preoccupazioni pratiche. E conclude: "Non si potrebbe vedere nel canone 36... un tentativo di preservare 'ciò che è venerato e adorato' dalla profanazione?", ipotizzando ulteriormente "Nono potrebbero esserci stati [abusi] anche nella venerazione delle immagini?" (Theology of the Icon, Vol. 1, p. 40).

L'approccio generale di Uspenskij al canone 36 di Elvira si allinea con Bigham, in quanto non sappiamo abbastanza su questo Sinodo per apportare modifiche radicali alla teologia o al culto della Chiesa a causa di esso. Ogni tentativo di farlo, sulla base di tali prove inconsistenti e inammissibili, sarebbe sia imprudente sia intellettualmente disonesto. Altri studiosi protestanti lo hanno ammesso: "Nessun grande peso può esservi collegato, poiché il contesto esatto del canone è ignoto" (Edward James Martin, A History of the Iconoclastic Controversy, p. 19). Pomazanskij sembra seguire entrambe le proposte di Uspenskij, affermando:

"Le scoperte dell'archeologia ecclesiastica dimostrano che nell'antica Chiesa cristiana esistevano immagini sacre nelle catacombe e in altri luoghi di riunione per la preghiera, e successivamente nelle chiese cristiane. Se in alcuni casi gli scrittori cristiani si sono espressi contro l'esistenza di statue e immagini simili, hanno in mente il culto pagano (il Concilio di Elvira in Spagna, 305). A volte, tuttavia, tali espressioni e divieti sono stati evocati dalle condizioni particolari del tempo – per esempio, la necessità di nascondere le proprie cose sante dai persecutori pagani e dalle masse non cristiane che avevano un atteggiamento ostile verso il cristianesimo.

Teologia Dogmatica Ortodossa, Cap. 9

Personalmente credo che la paura della profanazione di immagini sacre durante la persecuzione di Diocleziano sia la spiegazione più plausibile, ed è probabilmente collegata al canone 52 di questo stesso Sinodo: "Chi scrive graffiti scandalosi in una chiesa è da condannare" Durante i periodi di persecuzione, gli oggetti sacri pertinenti all'assemblea liturgica erano mantenuti nelle case dei fedeli, per essere portati in chiesa solo per il tempo del culto. Questi oggetti comprendevano di tutto, dal pane, acqua, vino, olio dei Misteri, al libro stesso dei Vangeli. Il "piccolo ingresso" del Vangelo nella presente liturgia ci ricorda che il vescovo, il presbitero, o diacono uscivano dall'altare nella navata a recuperare i Vangeli o gli altri scritti sacri da chi li "nascondeva" a casa quella settimana. Queste antiche pratiche ci ricordano la persecuzione che si verificava con frequenza variabile nella Chiesa primitiva, e la necessità di proteggere ciò che si venerava. Forse è questo tutto ciò che il canone 36 stava tentando di fare?

Indipendentemente da ciò, occorre ricordare ancora una volta che questo canone è stato sempre locale, e che non fu mai ricevuto né destinato a essere visto come ecumenico. Come il mio amico Robert Arakaki ha sottolineato, considerare canoni come questo come ecumenici, "patristici", o anche di portata teologica, è come se un ignorante di legge considerasse delle sentenze giuridiche senza alcun riguardo per le distinzioni tra le sentenze di un tribunale distrettuale, di una corte d'appello o della Corte Suprema. Se non avessimo questa gerarchia giudiziaria ci ritroveremmo con l'anarchia giuridica o con un miscuglio di pareri legali contrastanti. Se un ignorante vede una confusione, un avvocato esperto vede dispiegarsi in progressione un ragionamento giuridico.

Mentre qualcuno potrebbe ignorare tutto quanto sopra, e ancora sostenere Elvira come un codice di diritto teologico sempre vincolante per le coscienze dei cristiani, non si può fare a meno di sottolineare l'incoerenza di uno che pretenda di fare così. Perché? Perché nessuno in realtà segue il resto di questi canoni.

Per esempio, i protestanti / iconoclasti obbediscono al canone 26?: "La forma rigorosa del digiuno è da seguire ogni Sabato."

E che dire del canone 33?: "Vescovi, presbiteri, diaconi, e altri con una posizione nel ministero devono astenersi completamente dai rapporti sessuali con le loro mogli e dalla procreazione di figli. Se qualcuno disobbedisce, sarà rimosso dall'ufficio clericale".

Oppure del canone 60, che (abbastanza curiosamente) vieta la distruzione degli idoli?: "Se qualcuno distrugge un idolo ed è quindi punito con la morte, non può essere inserito nella lista dei martiri, poiché tale azione non è sanzionata dalle Scritture o dagli apostoli".

I mariti protestanti / iconoclasti proibiscono alle loro mogli di scrivere lettere ad altre persone senza il loro consenso (canone 81)? I mariti protestanti / iconoclaste denunciano le loro mogli per la scomunica quando queste si fanno acconciare i capelli da un parrucchiere (canone 67)?

Ha molto poco senso obbedire al canone 36, o implicare fortemente che questo abbia un peso "patristico", senza dare a tutti gli 81 canoni la loro dovuta obbedienza. Questa incoerenza lampante mina perfino l'audacia di citare questo canone come prova patristica.

Parte 4

San Gregorio Magno

Il pastore Wedgeworth poi cita san Gregorio I (di Roma) nella sua lettera a Sereno, Vescovo di Marsiglia (590-604 d. C.):

"Inoltre, vi comunichiamo che è venuto alle nostre orecchie che la vostra fraternità, vedendo alcuni adoratori di immagini, ha distrutto e gettato le stesse immagini nelle Chiese. E noi vi lodiamo davvero per il vostro zelo contro qualsiasi cosa fatta con le mani che diviene un oggetto di adorazione; ma ricordiamo che non dovreste avere infranto queste immagini. Infatti nelle chiese si fa uso della rappresentazione pittorica per questo motivo: perché coloro che sono ignoranti di lettere possono leggere almeno guardando le pareti ciò che non possono leggere nei libri. La vostra fraternità quindi dovrebbe avere conservato le immagini e proibito alla gente di adorarle, perché coloro che ignorano le lettere possano avere un mezzo per raccogliere una conoscenza della storia, e perché la gente non pecchi in alcun modo attraverso l'adorazione di una rappresentazione pittorica.

Registro delle Lettere di san Gregorio Magno, Libro 9 (originariamente citato in traduzione in The Early Church Fathers and Other Works, edito da Eerdmans)

In questa lettera, san Gregorio sta vietando sia la distruzione delle immagini sacre, sia il loro abuso. Non vi è nessuna condanna generalizzata delle immagini, come nota il pastore Wedgeworth, e san Gregorio incoraggia la loro presenza negli edifici ecclesiastici. Le sue dichiarazioni condannano sia le azioni degli iconoclasti nei secoli VIII e IX, sia la più estrema distruzione di chiese, reliquie, icone, affreschi, mosaici, e codici miniati a causa della violenza delle folle durante la Riforma Protestante (per esempio, gli ugonotti distrussero sia la tomba sia le reliquie di sant'Ireneo di Lione nel 1562).

I cristiani ortodossi non approvano l'adorazione o di icone: l'adorazione dovrebbe essere data solo alla Santissima Trinità. Noi non "adoriamo" le icone come idoli; piuttosto, rendiamo loro rispetto, come potremmo baciare una preziosa fotografia di persone care, o come un cittadino americano potrebbe salutare la bandiera americana. Noi non adoriamo la carta della fotografia o il tessuto di una bandiera, ma piuttosto diamo il giusto rispetto e affetto ("servizio" o δουλεία) al loro prototipo (o a ciò che esse rappresentano per noi). In ogni caso, saremmo d'accordo con le parole di san Gregorio, che qualsiasi abuso o superstizione legate alle icone (o alle reliquie) dovrebbe essere condannato. In realtà, la Chiesa ha fatto questa stessa cosa durante le deliberazioni del settimo Concilio Ecumenico, mentre difendeva la corretta venerazione di un'icona. La lettera di San Gregorio non è una voce patristica avversaria al corretto uso delle icone; piuttosto, si distingue con fermezza nella stessa tradizione, come consenso della Chiesa. Allo stesso modo, sant'Atanasio di Alessandria istruisce:

"Noi, che siamo fedeli, non adoriamo le immagini come dèi, come fanno i pagani – Dio non voglia – ma indichiamo solo il nostro desiderio amorevole di vedere il volto della persona rappresentata nell'immagine. Quindi, quando l'immagine viene cancellata, siamo soliti gettare quel che resta come legna nel fuoco. Giacobbe, quando stava per morire, baciò la punta del bastone di Giuseppe [Gen 47:31 LXX], non per onorare il bastone, ma il suo proprietario. Allo stesso modo noi baciamo le immagini, proprio come vorremmo baciare i nostri bambini e genitori per indicare il nostro affetto.

I cento capitoli, 38

In modo più significativo di qualsiasi speculazione sulle credenze di san Gregorio in merito alle icone (intuite da una sola lettera), Uspenskij nota: "Nel 540, san Gregorio I (590-604) portò la venerabile icona della Madre di Dio, 'che si dice essere opera di san Luca '(quam dicunt a sancto Luca factam), alla basilica di san Pietro in una solenne processione e con il canto di litanie" (Theology of the Icon, Vol. 1, p. 64). Inoltre, papa Adriano I, in occasione del settimo Concilio Ecumenico, "citò una serie di testi di Padri greci e romani che, a suo avviso, erano a favore delle icone, in particolare i testi di papa san Gregorio I" (ibid., p. 132). I vescovi greci del Concilio, in seguito alla citazione di san Gregorio, aggiunsero: "per il tramite delle immagini, quelli che le guardano ascendono alla fede, e al ricordo della salvezza attraverso l'Incarnazione del nostro Signore, Gesù Cristo" (ibid., p. 133). È un peccato che l'arte moderna nella Chiesa occidentale non abbia sempre seguito il patrimonio e le credenze di uno dei propri più grandi papi – un vescovo con i piedi ben piantati sul "sentiero regale" dei Padri.

La convinzione di san Gregorio che la vista delle icone poteva non solo istruire l'analfabeta, ma anche portare gli uomini di tutte le età (e livelli di istruzione) a una contemplazione e un incontro con il divino, era una convinzione condivisa da molti eminenti Padri della Chiesa. Per esempio, san Giovanni Damasceno ha detto una volta che "siamo guidati da icone sensibili alla contemplazione del divino e spirituale" (PG, 94:1261a), san Gregorio di Nissa ha osservato che non poteva vedere l'icona di Abramo che tenta di sacrificare Isacco "senza versare lacrime" (PG, 46:572), e riguardo a questo, il settimo Concilio ecumenico commenta: "Se a tale dottore l'immagine era utile e richiamava le lacrime, quanto più nel caso degli ignoranti e semplici porterà con sé compunzione e beneficio?" (NPNF2, Vol. 14, p. 539)

Sant'Epifanio di Salamina

Più oltre, il pastore Wedgeworth propone un passo della Lettera 51 di Epifanio di Salamina, scritta a Giovanni di Gerusalemme (come citata nelle opere di san Girolamo, NPNF2):

"Inoltre, ho sentito che alcune persone hanno questo risentimento contro di me: quando vi ho accompagnato nel luogo sacro chiamato Betel, per unirmi a voi nel celebrare la Colletta, secondo l'uso della Chiesa, sono arrivato a una villa chiamata Anablatha e, mentre stavo passando, ho visto lì una lampada accesa. Chiedendo che posto fosse, e saputo che era una chiesa, vi sono andato a pregare, e vi ho trovato una tenda appesa alle porte della chiesa, tinta e ricamata. Portava una immagine o di Cristo o di uno dei santi; non ricordo con precisione di chi fosse l'immagine. Vedendo questo, ed essendo contrario a vedere l'immagine di un uomo appesa nella chiesa di Cristo

contrariamente all'insegnamento delle Scritture, l'ho strappata a pezzi e ho consigliato i custodi del luogo di usarla come sudario per qualche povero. Essi, però, mormoravano, dicendo che se io avevo avuto intenzione di strappare quella tenda, era giusto che io dessi loro un'altra tenda al suo posto.

Appena ho sentito questo, ho promesso che ne avrei data un'altra, e che l'avrei spedita subito. Da allora c'è stato qualche piccolo ritardo, a causa del fatto che sono stato alla ricerca di una tenda della migliore qualità da dare loro, invece di quella precedente, e ho pensato che ne avrei comandata una a Cipro. Ora ho inviato il meglio che ho potuto trovare, e vi supplico di chiedere al presbitero del luogo di prendere la tenda che ho mandato per le mani del lettore, e che diate indicazioni che tende di quell'altro tipo – opposte come sono alla nostra religione, non siano appese in qualsiasi chiesa di Cristo. Un uomo della vostra rettitudine deve fare attenzione a rimuovere un'occasione di offesa indegna sia della Chiesa di Cristo sia di quei cristiani affidati alla vostra carica.

Epifanio di Cipro (310-403) è annoverato tra i santi della Chiesa ortodossa-cattolica, ed è celebrato il 12 maggio. La sua più grande opera scritta è stato il Panarion ("Scrigno dei farmaci"), scritto tra il 374 e il 377 come enumerazione e "antidoto "per ogni grande eresia della storia della Chiesa. Il post scriptum di cui sopra fa presumibilmente parte di una lettera scritta a Giovanni II, vescovo di Gerusalemme dal 387 al 417. Tuttavia, secondo un certo numero di Padri della Chiesa (così come di studiosi moderni), questo post scriptum è stato fabbricato, falsamente attribuito a sant'Epifanio al fine di aiutare gli argomenti degli iconoclasti dell'VIII e del IX secolo.

La controversia sull'autenticità di questa lettera è discussa negli scritti di san Giovanni Damasceno, dal settimo Consiglio Ecumenico, da san Teodoro Studita, e – più estesamente – da san Niceforo di Costantinopoli. Tutte queste fonti sostengono che il post scriptum non era di mano di sant'Epifanio. Supponendo che in realtà lo fosse, una sola voce tra milioni non è motivo sufficiente per respingere la lunga Tradizione della Chiesa.

Per esempio, in Sulle Sacre Icone di San Teodoro Studita, si trova il seguente dialogo (sotto la voce "Autorità patristica per l'iconoclastia"):

"Eretico: Epifanio è uno di loro, uomo prominente e rinomato tra i santi.

Ortodosso: Noi sappiamo che Epifanio è un santo e un grande taumaturgo. Sabino, suo discepolo e membro della sua famiglia, eresse una chiesa in suo onore dopo la sua morte, e la fece decorare con le immagini di tutte le storie del Vangelo. Non lo avrebbe fatto se non avesse seguito la dottrina del suo maestro. Anche Leonito, l'interprete degli scritti del divino Epifanio, che era vescovo della chiesa di Neapolis a Cipro, insegna molto chiaramente nel suo discorso su Epifanio come fosse costante per quanto riguarda le icone sacre, e non riporta nulla di spregiativo che lo riguardi. Quindi la composizione contro le icone è spuria e non è affatto opera del divino Epifanio.

San Teodoro teorizza anche la (poco probabile) possibilità che Epifanio (o qualsiasi altra persona amata) avesse fatto una cosa del genere contro un'icona, facendo prima riferimento alle parole dell'apostolo Paolo in Gal 1: 8-9, e poi concludendo:

"Alzate gli occhi, guardatevi intorno e vedete ovunque sotto il cielo, negli edifici sacri e nei sante monumenti in loro custoditi, queste immagini raffigurate e necessariamente venerate nei luoghi in cui sono raffigurate. Anche se non ci fosse alcuna ragione dogmatica né voci di padri ispirati per sostenere sia l'erezione sia la venerazione delle icone, l'antica tradizione prevalente sarebbe sufficiente per la conferma della verità. Chi può pretendere di opporsi a questa tradizione? Chi si oppone così cade lontano da Dio e dall'ovile di Cristo, perché pensa come i manichei e i valentiniani, che balbettavano ereticamente che Dio aveva dimorato tra gli abitanti della terra solo in apparenza e fantasia.

Quando l'imperatore Leone III emanò politiche contro le icone nel 730, i cristiani ciprioti sfidarono le sue dichiarazioni. È importante notare che, a questo punto della storia, Cipro non era sotto il Califfato, né sotto l'impero (nonostante pagasse tributi a entrambi). Erano "praticamente indipendenti", privi di qualsiasi influenza esterna militare o politica. Per quanto riguarda i dibattiti iconoclasti sotto Leone III (e dopo), Charles Anthony Stewart rileva inoltre:

"Un punto centrale nel dibattito era incentrato sugli insegnamenti di sant'Epifanio. Gli iconoclasti sostenevano un testo discutibile in cui il venerabile santo dichiarava il suo rifiuto delle icone... In risposta, l'iconodulo Giovanni Damasceno (676-749) a quanto pare visitò la basilica a molte cupole di Salamina-Costanza nell'VIII secolo, registrando che "La prova che egli [Sant'Epifanio] non sollevò obiezioni alle immagini, si trova nella sua chiesa, che è adornata con immagini fino a questo giorno".

Domes of Heaven: The Domed Basilicas of Cyprus, p. 87

Quando il sinodo iconoclasta del 754 fu assemblato a Hieria, i vescovi ciprioti rifiutarono di partecipare. La loro approvazione di icone non veniva dalla forza di un imperatore (poiché erano esenti dall'influenza e dalla minaccia imperiale), ma piuttosto dalla loro eredità della tradizione apostolica; una tradizione che era stata precedentemente conservata da sant'Epifanio sullo stesso territorio isolato di Cipro. Il sinodo dei briganti del 754 condannò per nome l'arcivescovo di Salamina-Costanza (Giorgio), insieme a san Giovanni di Damasco e a san Germano di Costantinopoli. "Tuttavia", osserva Stewart, "la Chiesa di Cipro mantenne la propria determinazione contro l'iconoclastia dell'Impero" (ibid.). Durante questo periodo, uomini come santo Stefano il Giovane consigliarono agli iconoduli di fuggire verso l'isola di sant'Epifanio al riparo dagli iconoclasti. L'imperatore aveva anche dei monaci ribelli iconoduli e membri del clero in esilio a Cipro, che ora era considerata una sorta di colonia penale, a causa della sua sfida sul tema delle icone.

Nel 780, un presbitero di Salamina-Costanza fu nominato patriarca di Costantinopoli (Paolo IV). Cercò (senza successo) di ripristinare le icone e la loro venerazione nell'impero. Tuttavia, il suo successore (Tarasio) avrebbe fatto quello che non aveva potuto fare, e contribuì a radunare il settimo Concilio Ecumenico nel 787. Cinque vescovi ciprioti erano presenti, tra cui l'arcivescovo Costantino di Cipro. Alla delegazione cipriota fu dato il massimo degli onori a questa assemblea, perché erano visti come campioni della causa iconodula, anche di fronte alla persecuzione imperiale. Al  concilio, il diacono dell'imperatrice Irene osservò: "Se [Epifanio] aveva disprezzato la vista delle icone, perché i suoi discepoli dovrebbero anche solo dipingere una sua icona?" Stewart continua, "Per confermare questa tesi, l'arcivescovo Costantino testimoniò al Concilio che in effetti vi erano dipinti esposti a Salamina-Costanza" (ibid., p. 88).

Se uno dei più grandi santi della storia dell'isola era un iconoclasta, come è possibile che i suoi successori fossero così inesorabilmente a favore della venerazione delle icone? Perfino al punto di essere eminenti tra gli iconoduli? Certamente non era una questione politica, e non ha senso affermare che stavano semplicemente andando contro le tradizioni di sant'Epifanio. Sarebbe simile a una bestemmia, dato il modo con cui cristiani si sentivano di fronte alla tradizione apostolica. Non è molto più sensato concludere che i suoi sentimenti iconoclasti furono un'invenzione successiva, come tutte le prove citate sembrerebbero indicare?

Uno studio completo dei presunti scritti iconoclasti di Epifanio si può trovare in un'opera del 2008 di padre Steven Bigham, Epiphanius of Salamis, Doctor of Iconoclasm? Deconstruction of a Myth Padre Steven dà un trattamento esteso di tutti i principali argomenti sia a favore sia contro l'autenticità della lettera di cui sopra, attribuita a sant'Epifanio, tra altri scritti falsamente attribuiti a lui. Egli discute anche il dibattito su questo tema tra Karl Holl (1866-1926) e George Ostrogorsky (1902-1976), concludendo che gli elementi di prova puntano a ciò che i Padri hanno già sostenuto più di un millennio prima di noi: un Epifanio iconoclasta è una fantasia iconoclasta.

Parte quinta

Una sintesi delle critiche

Parte di ciò che rende spesso frustrante il dibattito sulle icone è che gli iconoclasti non sono quasi mai coerenti nelle loro critiche. Il pastore Wedgeworth inizia dicendo che "L'uso liturgico delle icone è uno dei punti controversi che ha una fondazione mista nella Chiesa primitiva", e in seguito "Non molte persone, tuttavia, conoscono le voci patristiche opposte. Per aiutare a contro-bilanciare questo, ne fornirò solo alcune. "Non solo non ci è stata fornita alcuna precisa prova patristica al contrario (cioè, contraria al settimo Concilio Ecumenico e alla prassi della Chiesa ortodossa-cattolica), ma in questo post non è chiaro quale "critica" si stia tentando di dimostrare.

Si è sostenuto che l'uso liturgico delle icone è sia contestata sia basata su una fondazione mista. Ciò implicherebbe un argomento contro l'uso liturgico delle icone. Con questo, posso solo supporre che significhi il loro culto (onore): portarle in processione, baciarle, incensarle, e così via.

La sua prima citazione da Tertulliano (che non è un Padre della Chiesa ortodossa, e quindi non è esattamente una critica "patristica") dimostra che ci sono alcune immagini consentite per uso liturgico; vale a dire, il serpente di bronzo e le immagini del tabernacolo / tempio. Tuttavia, Tertulliano ha anche equiparato tutte le immagini a idoli, rifiutando di conseguenza gli artisti al catecumenato. Era un fanatico – un estremista – e, di conseguenza, divenne alla fine un montanista, attaccando la Chiesa su una serie di questioni. Questo non è un insulto, ma piuttosto una valutazione storica dei fatti. Egli lamenta (come montanista, non come cristiano) che la Chiesa accetta pittori e scultori in un rango clericale: "I creatori di idoli sono scelti anche nell'ordine ecclesiastico. Che abominio! "(Sull'idolatria, 7). Ciò dimostra che tali artigiani erano ufficialmente accettati tra gli ordini del clero. Qui non ci sono prove patristiche contro il loro uso liturgico qui, poiché Tertulliano li guarda dal di fuori.

Per quanto riguarda il canone 36 del Sinodo locale di Elvira, i punti più delicati del diritto canonico sono stati ignorati, e ci è stata presentata una traduzione scadente di questo oscuro canone disciplinare. Tenuto conto del fatto che questo canone è stato ignorato (se davvero voleva dire che non ci dovessero essere immagini nelle chiese), si può ragionevolmente concludere che questo canone non ha alcun peso patristico, e che non vuol dire ciò che gli iconoclasti implicano che voglia dire. Sappiamo per certo che non è un canone teologico, che non dice nulla riguardo al tipo di immagini sulle pareti della chiesa, e che non fu mai obbedito o ripetuto in canoni futuri nel modo in cui affermano gli iconoclasti. Questo è un altro fallimento quando si tratta di dimostrare una critica patristica coesa, tangibile, dell'uso liturgico delle icone, perché esistevano immagini sacre sia sulle pareti delle chiese spagnole sia sui sarcofagi dei cristiani spagnoli in questo punto della storia. La prova tangibile supera quella speculativa o inammissibile.

Nella citazione da san Gregorio Magno, si conclude che, poiché san Gregorio condanna il culto abusivo delle immagini, è stato anche contrario alla loro venerazione. Si sostiene che san Gregorio le approva solo come "letture", come aiuto per gli ignoranti o gli illetterati. Tuttavia, è stato dimostrato che san Gregorio era anche un sostenitore del loro culto, e trasportò l'icona della Madre di Dio (dipinta dall'apostolo Luca) per le vie di Roma in solenne processione. Inoltre, la sua testimonianza relativa alle immagini sacre è stata invocata durante le deliberazioni del settimo Concilio Ecumenico. Non era né un musulmano, né un iconoclasta, ma era pienamente ortodosso per quanto riguarda le icone. Qui non c'è alcuna critica patristica delle icone – solo una condanna prudente e ortodossa del loro abuso.

Per rivedere l'inventario fino a questo punto, ci sono state presentate citazioni che allo stesso tempo negano il posizionamento delle immagini nelle chiese (Elvira e Tertulliano), e affermano il loro utilizzo nelle chiese (san Gregorio, anche se le conclusioni sulle credenze di Gregorio sono inesatte). Ancora una volta, sarei davvero grato se le critiche degli iconoclasti all'iconodulia fossero coerenti: o sempre dirette contro l'esistenza stessa delle icone, oppure, mentre permettono costantemente la loro esistenza, sostenendo che non si devono venerare. Miscelare e accostare citazioni che sono dalle parti opposte dello spettro non fa che intorbidare le acque. E affermare che gli ortodossi adorano le icone come idoli o falsi dèi è sia assurdo e sia irrilevante.

Alla fine ci è stata presentata una citazione attribuita a sant' Epifanio. In quest'esempio, si sostiene un punto di vista più simile a quello di Tertulliano; cioè, tutte le immagini devono essere distrutte. Questo non concorda con l'idea che le immagini sono accettabili, purché siano utilizzate come "letture"; cioè, perché gli analfabeti / ignoranti ricevano il messaggio del Vangelo, senza parole. Indipendentemente da ciò, penso che ci sia un'abbondanza di prove – antiche e moderne – per respingere questo post scriptum come un falso. Non fa la sua prima comparsa fino ai dibattiti dei secoli VIII e IX, e i Padri di quel tempo lo hanno condannato come scandalosa invenzione. Coloro che in realtà conoscevano Epifanio puntano tutti alla sua ortodossia per quanto riguarda le icone. È stato pure sepolto in una chiesa (la Cattedrale di Agios Epifanios a Cipro) che era piena di immagini sacre, dove erano venerate le sue reliquie taumaturgiche. Secondo i suoi discepoli, questo è quello che avrebbe voluto. E questa sarebbe una solida critica patristica della icone? Può creare un dibattito interessante, ma le prove del "mondo reale", e la testimonianza di coloro che lo hanno conosciuto mette in discussione la legittimità del post scriptum.

In sintesi, quindi, ci sono stati dati due elementi di prova contro l'esistenza stessa delle icone (uno da un montanista e uno da un falso), un elemento di prova tradotto male che non vieta le icone del tutto, ma – per ragioni che non possiamo sapere – suggerisce che sulle chiese di Spagna nel IV secolo non si dipingano immagini (di quale tipo, non possiamo esserne certi) sui muri, e un elemento di prova di un santo che venerava le icone e che dice le icone non dovrebbero essere adorate (cosa con la quale gli ortodossi sono pienamente d'accordo).

La conclusione del pastore Wedgeworth è che "queste citazioni mostrano che... la polemica attorno alle icone era una polemica intra-cristiana," e:

"I riformatori non erano, per il loro rifiuto della venerazione delle icone, necessariamente anti-patristici. In effetti, proprio perché conoscevano la complessità degli antichi resoconti, potevano tranquillamente interagire con essi, muovere rivendicazioni su parti di essi, e, infine, andare oltre per tornare alla testimonianza biblica precedente (Esodo 20: 4-6, Atti 17:29).

Ci sono molte cose che si possono dire in risposta a questa conclusione.

Come sottolineato in precedenza, le citazioni precedenti non mostrano molto nel senso di una "polemica" sostanziale intorno alle icone, ma sono – per la maggior parte – discussioni intra-cristiane. Tuttavia, l'unica incontrovertibile prova patristica legata alle immagini che è stata presentata (quella di san Gregorio), viene da un santo che venerava icone. Il fatto che lui non ne parli in questo particolare brano non tradisce la realtà della sua pratica personale, per non parlare della pratica della Chiesa. Se ci fosse stata una sostanziale critica patristica delle icone, dov'era la folla degli iconoclasti mentre lui portava in processione un'icona della Madre di Dio del primo secolo per le strade di Roma? Non c'era tale folla, perché a quel tempo non c'era un sostanziale sottoinsieme di iconoclasti all'interno della Chiesa.

La testimonianza della Riforma

Si è sottinteso che i riformatori fossero contro il culto delle icone, e che tale posizione possa essere considerata "patristica". Ma quali riformatori? Come per molti altri, i riformatori (sia magistrali sia radicali) avevano una vasta gamma di credenze diverse in questa materia.

C'erano molti che erano d'accordo con uomini come Tertulliano, e non ritenevano ammissibili le immagini di qualsiasi tipo (non solo religiose) – per esempio Giovanni Calvino (Istituzione della religione cristiana, 1:11:1-16). Tuttavia, Calvino sembra completamente all'oscuro degli scritti dei Padri in materia, come quelli di san Giovanni Damasceno o di san Teodoro Studita. Non cita una sola volta i loro scritti. Calvino utilizza anche diversi errori di traduzioni sia della Vulgata sia del settimo Concilio Ecumenico (a quanto pare la stessa traduzione erronea invocata dai franchi) al fine di favorire le sue affermazioni. Forse, se Calvino avesse avuto accesso a più Padri greci, a migliori manoscritti delle Scritture, e a una corretta traduzione del settimo Concilio Ecumenico, avrebbe dato un parere diverso? Così com'è, il suo intero argomento è un uomo di paglia contro il culto degli idoli come falsi dèi. Tuttavia, questo è certamente un punto di vista evidente tra le Chiese della Riforma.

C'erano anche uomini come Martin Chemnitz che permettevano le immagini (anche nelle chiese), ma respingevano la loro venerazione esplicita:

"Così stiamo discutendo solo l'uso di immagini storiche che vengono utilizzate sia per un ricordo di cose che sono state fatte o per motivi di decoro. Questi usi non sono in alcun modo vietati nella Scrittura, e vi può essere un loro uso perfettamente legittimo.

Loci Theologici, p. 376

E in terzo luogo, ci sono stati uomini come Martin Lutero, che non solo ammettevano la presenza di immagini nelle loro chiese, ma le consideravano anche lodevoli e onorevoli. Egli credeva che il secondo comandamento proibisse chiaramente il culto delle immagini (in particolare di immagini non religiose), ma non proibisse l'uso di crocifissi o di icone sacre in un contesto liturgico:

"Secondo la legge di Mosè non sono proibite altre immagini se non un'immagine del Dio che si adora. Un crocifisso, d'altra parte, o qualsiasi altra immagine sacra non è vietata. Ora, o voi distruttori di immagini, io vi sfido a dimostrare il contrario!

Opere complete, vol. 40, p. 86

Come è evidente da questa citazione (e dal contesto delle sue lettere su questo tema), Lutero era opposto all'iconoclastia e alla distruzione delle immagini. Mentre un certo numero di immagini distrutte non erano religiose, molte di loro lo erano. Lutero è ambivalente sulla prima categoria, dicendo che oggi (nella nuova alleanza) tali immagini non sono "nulla", come la circoncisione, ma la loro distruzione è chiaramente sbagliata. Egli sostiene che non solo (l'iconoclastia) è carente di amore, ma implica che lo zelo nella distruzione delle immagini può in qualche modo giustificare, contrariamente alla suo nuova dottrina della giustificazione per sola fede (ibid., p 85):

"La loro idea di poter piacere a Dio con opere diventa un vero idolo e una falsa certezza nel cuore. Tale legalismo si traduce nel creare immagini all'esterno mentre si riempie il cuore con idoli.

Inoltre, l'esegesi che Lutero fa del secondo comandamento sostiene che le immagini sacre non sono idoli, perché non sono trattate come tali. Esse non sono destinate a sostituire Dio, come gli idoli pagani, ma hanno piuttosto lo scopo di puntare i nostri cuori e le nostre menti a Cristo (ibid., p 87):

"Non si può trarre alcuna conclusione dalle parole, "Non avrai altri dèi", diversa da quello che si riferisce all'idolatria. Dove però immagini o statue vengono fatte senza idolatria, allora la loro fabbricazione non è proibita, perché il detto centrale "Non avrai altri dèi" rimane intatto.

Al di là di questo, Lutero sostiene che le immagini sacre e la Croce sono degne sia lode che di onore (ibid., p 92..):

"Ma le immagini per memoriale e per testimonianza, come i crocifissi e le immagini di santi, devono essere tollerate. È indicato che ciò è il caso anche nella legge mosaica. E non solo devono essere tollerate, ma per il bene del memoriale e della testimonianza sono degne di lode e di onore, come le pietre testimoni di Giosuè [Gs 24:26] e di Samuele [I Sam 7:12].

Per Lutero, le immagini sacre non sono solo una "testimonianza", ma anche un "memoriale" (ἀνάμνησις); un simbolo che ri-presenta il prototipo che è significato. Elevano i nostri cuori a Cristo e all'imitazione di quelli che presentano, che a loro volta hanno dedicato la loro vita alla sua imitazione. Questo è il motivo per cui alcune persone hanno ritenuto le icone "finestre sul cielo." Questo non significa che si può letteralmente vedere il cielo con un'icona, ma che servono come un vero memoriale della presenza del Signore, in virtù delle persone (o degli eventi ) che rappresentano. Non c'è nulla di sacro nel legno, nell'oro o nella vernice; sono gli esseri umani, che sono creati a immagine di Dio e che ci mostrano vere e venerabili immagini di Cristo, che rendono le icone quello che sono. Questo è il motivo per cui noi incensiamo singole persone e le salutiamo con un bacio santo nelle chiese ortodosse fino a oggi. Questo non è idolatria; si tratta di un amore personale e affetto l'uno per l'altro nel Corpo di Cristo.

Questa teologia dell'icona/simbolo/rappresentazione, e dell'onore che passa al prototipo, non era solo ampiamente sostenuta tra i Padri (come san Basilio il Grande, san Giovanni Damasceno, e i Padri del settimo Concilio Ecumenico), ma è state anche insegnate da Cristo:

"Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me lo riceve che mi ha mandato. (Mt 10:40)

In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. (Mt 25:40)

In verità, in verità vi dico, colui che accoglie quelli che io manderò, accoglie me; e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. (Gv 13:20)

Vi è un certo numero di implicazioni di questa teologia, e molte di queste vanno ben oltre i confini del dibattito sulle icone. Per esempio, la preoccupazione ortodossa per i malati e i sofferenti, insieme con la nostra preoccupazione per tutta la creazione, è radicata in una teologia che crede che tutto il creato serve come immagine e riflesso di Dio, e che le bocche dei senzatetto sono la bocca di Cristo stesso.

Sto già diventando prolisso, ma vale la pena leggere la conclusione di Lutero su questo argomento:

"Io stesso ho visto e sentito che gli iconoclasti leggono la mia Bibbia tedesca. So che ce l'hanno e la leggono, come si può facilmente determinare dalle parole che usano. Ora ci sono un gran numero di immagini in quei libri, di Dio, degli angeli, degli uomini e degli animali, in particolare nella Rivelazione di Giovanni e in Mosè e in Giosuè. Così ora noi vorremmo gentilmente chiedere loro di permetterci di fare ciò che essi stessi fanno. Vorremmo dipingere le immagini contenute in questi libri sulle pareti per il bene della memoria e per una migliore comprensione, dal momento che non fanno più male sulle pareti che nei libri. È sicuramente meglio dipingere sulle pareti immagini di come Dio ha creato il mondo, di come Noè ha costruito l'arca, e qualunque altra buona storia ci possa essere, piuttosto che dipingere spudorate cose del mondo. Sì, voglia Iddio che io possa convincere i ricchi e i potenti a permettere di dipingere l'intera Bibbia case, all'interno e all'esterno, in modo che tutti possano vederla. Sarebbe un'opera cristiana...

Di questo sono certo, che Dio desidera per le sue opere siano sentite e lette, soprattutto la passione del nostro Signore. Ma è impossibile per me sentirla e mantenerla in mente senza formare immagini mentali di essa nel mio cuore. Che io lo voglia o no, quando sento parlare di Cristo, l'immagine di un uomo appeso a una croce prende forma nel mio cuore, proprio come il riflesso del mio viso appare naturalmente nell'acqua quando guardo dentro. Se non è un peccato, ma una cosa buona avere l'immagine di Cristo nel mio cuore, perché dovrebbe essere un peccato averla nei miei occhi?...

Tuttavia, qui devo cessare per non dare occasione ai distruttori di immagini di non leggere mai la Bibbia, o di bruciarla, e quindi di strappare il cuore dal corpo, perché sono così contrari alle immagini.

Opere complete, vol. 40, p. 100

Lutero vede la decorazione delle chiese con immagini sacre come "un'opera cristiana" – qualcosa che dovrebbe essere fatta anche nelle famiglie. Se fosse per lui, le immagini sacre sarebbero ovunque si guarda. E, secondo Lutero, queste immagini sono degne sia di lode sia di onore. Questo è ben lungi da Calvino, e ancora più vicino alla posizione ortodossa rispetto a quelli come Chemnitz. Mentre io rispetto la posizione del pastore Wedgeworth su questo tema come una parte dei diversi punti di vista della Riforma sulle icone, questa posizione non è l'unica.

La pratica di prosternarsi davanti alla croce al Giovedì Santo in molte tradizioni luterane oggi è un esempio di una posizione più in linea con Lutero rispetto ad altri riformatori più radicali, come per esempio Chemnitz, Melantone, Zwingli, e Calvino. Anche il movimento anglo-cattolico o "movimento di Oxford" del XIX secolo servì come un utile correttivo per alcuni degli sviluppi più estremi nelle chiese della Riforma. Invece di ritornare di nuovo ad una presunta "testimonianza biblica," molti protestanti e anglicani hanno tentato di ripristinare le pratiche patristiche, ortodosse della Chiesa.

Una testimonianza biblica

Per quanto riguarda la testimonianza biblica, le osservazioni conclusive evidenziano nuovamente le frustranti incongruenze quando si tratta di dibattiti sulle icone dell'era post-Riforma. Devo anche ricordare al lettore che ho dato un certo numero di riferimenti scritturali nei miei post precedenti, sostenendo non solo l'esistenza delle immagini sacre (e delle reliquie, per esempio 2 Re 13:20-21; Atti 5:15-16, 19:11-12), ma anche la loro corretta venerazione.

Mentre sembra che molti iconoclasti affermerebbero l'esistenza delle icone come messaggio evangelico per i giovani o gli ignoranti, il pastore Wedgeworth paragona le immagini sacre agli idoli pagani citando Esodo 20:4-6 e Atti 17:29. Se si ritiene che il secondo comandamento si riferisca all'uso cristiano delle icone, o si afferma che tutte le immagini sono idoli (cosa che nega l'Incarnazione, e implica che Dio si contraddica nel Vecchio Testamento), o che le icone sacre sono adorate come idoli (cosa che non è vera). Ad ogni modo, questo non è d'accordo con le altre dichiarazioni relative alle icone come "letture", né contribuisce a portare coerenza al dibattito. Non tutte le immagini sono idoli, e non sono da adorare – e non devono essere adorate – cosa che rendendo il secondo comandamento e Atti 17:29 irrilevanti per l'argomento in questione. Il Concilio di Nicea ha parlato con decisione contro il culto idolatrico di qualsiasi immagine, argomentando in favore del loro corretto culto o del loro solo onore. Mostrandosi il più saldo di tutti i riformatori, Martin Lutero apparentemente sostiene lo stesso.

Ogni riferimento scritturale presentato come una condanna delle icone e della loro corretta venerazione è un riferimento che condanna l'idolatria e l'adorazione di falsi dei. In altre parole, non ci sono riferimenti biblici che condannano le icone e la loro corretta venerazione. Le immagini del tabernacolo / tempio erano altamente simboliche o di soli esseri angelici, e le immagini della Nuova Alleanza (alla luce dell'Incarnazione di Cristo; cfr 1 Giovanni 1:1-3) sono di persone – di immagini del Dio-Uomo incarnato e risorto, create (e redente) a sua somiglianza. Poiché non vi è alcuna condanna scritturale delle immagini sacre, ciò di cui stiamo realmente discutendo è la tradizione. E come ho menzionato in un precedente post, ciò che una volta era una pia usanza ora è diventato un testimone essenziale del Vangelo. In risposta a coloro che vorrebbero farla finita con le immagini per le ragioni sbagliate – minando l'essenza stessa di chi è Gesù Cristo e di chi è stato per la nostra redenzione – le immagini sacre sono ormai una parte indispensabile della tradizione cristiana.

Conclusione

Quello che abbiamo visto è che gli iconoclasti sono incoerenti quando si tratta di rispondere al trattamento ortodosso-cattolico delle immagini sacre (insieme con le reliquie, la Croce e l'Eucaristia). Le asserzioni provengono da un certo numero di punti di partenza contraddittori, e raramente mantengono un senso alla fine. Credo di aver dimostrato che non ci è stata presentata una critica patristica delle icone – che presumibilmente mina sia la loro collocazione nella vita della Chiesa sia la loro venerazione – ma piuttosto una serie di citazioni che sono o irrilevanti, fuori contesto, o parte di una prospettiva eterodossa più ampia che va ben oltre la validità o l'invalidità delle immagini.

Certo, nessuno nega che ci fosse una grande controversia intorno alle immagini tra le élite dell'Impero nei secoli VIII e IX (il parere popolare non è mai cambiato), ma una data così tarda per la controversia mette difficilmente in discussione sia l'origine sia l'uso delle icone, così come il consenso patristico e la pratica ordinaria della Chiesa per secoli.

Ciò che mostra il post del pastore Wedgeworth è che i Padri della Chiesa, le Scritture, e altri scritti dei primi cristiani vengono utilizzati come poco più che un compendio di dati storici e accademici da cui si può assemblare una varietà di prospettive dottrinali. Lo stesso pastore Wedgeworth ha dichiarato che i Padri della Chiesa sono "strumenti accademici e storici, piuttosto che una griglia interpretativa rigida o un paradigma". E certamente sono trattati come tali. Tuttavia, quando un cristiano ortodosso fa un appello alla tradizione apostolica, non sta facendo una richiesta del tutto epistemologica quanto piuttosto una richiesta ontologica. Non è che questo è quello che alcune persone molto tempo fa credevano, e i cristiani ortodossi lo stiano retroattivamente citando come prove – così come una persona che si serva del testo delle Scritture per "provare" un certo numero di cose fantasiose. Piuttosto, stiamo dicendo "Noi siamo parte della Chiesa – una comunità viva di fedeli cristiani che hanno conservato la fede apostolica. La stessa fede degli apostoli e dei Padri prima di noi. La stessa fede che viviamo, respiriamo, mangiamo e beviamo oggi". Il ricorso è all'ontologia della Chiesa come Corpo di Cristo – "senza macchia o difetto" (Ef 5,27) – e non di un set di argomenti o idee astratte, rimosse dal loro contesto storico o incarnato.

Sulla stessa linea, si potrebbe indicare come la teologia di Mercersburg viene cooptata oggi da alcuni. Praticamente nessuno degli attuali teorici di Mercersburg fa parte della United Church of Christ – probabilmente i veri eredi ecclesiali della teologia di Mercersburg e della Chiesa tedesca riformata qui negli Stati Uniti. Invece, si fa un appello retroattivo ai teologi di Mercersburg da tempo defunti (Nevin e Schaff) come prove per sistemi di credenze di oggi – sistemi di credenze innaturalmente innestati su comunioni ecclesiali che non hanno un vero e proprio collegamento incarnato con i teologi di Mercersburg o con le loro chiese. Si tratta di una teologia nostalgica di idee con un'ecclesiologia senza corpo. Tutti i protestanti conservatori rinnegano le loro chiese "liberali" mainline, ma queste chiese non sono forse il risultato vivo e vitale della loro dottrine formative fondamentali?

Lo stesso problema può verificarsi quando si tratta di citare le Sacre Scritture. Dal momento che le Scritture sono ispirate dallo Spirito Santo, e la Theosis è "acquisizione dello Spirito Santo" (san Serafino di Sarov), la propria esperienza di Theosis correla direttamente alla propria capacità di comprendere correttamente o di interpretare le Scritture. E nessuna quantità di intelletto, citazioni dei Padri della Chiesa, o studi storici potrà mai soppiantare completamente questa capacità. Direi che suggerire il contrario è un insulto sia al valore sia allo scopo delle Scritture, per non parlare delle loro qualità divine. E così, si deve in gran parte fare affidamento sui santi e martiri venuti prima di noi, e alla Chiesa per la quale sono vissuti e morti. Fortunatamente per i cristiani, il nostro Signore ha promesso che non avrebbe mai abbandonato la Chiesa, e che essa non potrà mai fallire. Queste promesse sono più di una garanzia sentimentale; sono luce e vita.

Va detto, pure, che questo saggio non è davvero per il pastore Wedgeworth, che è un ammirevole marito, padre, e amante di Cristo, e so che molto probabilmente nulla di tutto questo cambierà le sue idee. Mentre ovviamente siamo in disaccordo, non si tratta di una disputa personale con lui. Invece, si tratta di idee e prospettive assunte e presentate. E alla fine, questo tipo di dialoghi è fatto per coloro che si trovano nello spazio circostante; quel regno mistico di indagine e di conversione che è apparentemente indefinibile. Personalmente io sono ritornato a casa nella Chiesa ortodossa in parte come risultato dell'esame di argomenti poveri contro questioni come le icone, e mi auguro che altri possano fare lo stesso. Lo scopo di tutto questo è di mostrare che il contesto regna supremo, che le sabbie mobili non sono un buon punto di appoggio per una dottrina teologica, che c'è ben di più di quanto appaia quando si tratta di fare citazioni presuntuose dai Padri della Chiesa, dai primi scritti cristiani e dalle Sacre Scritture, e che le idee senza un corpo sono senza peso, come si può immaginare.

Ci sono in realtà altre, più interessanti citazioni dei Padri e di altri scritti dei primi cristiani su questo tema. Se qualcuno è interessato in sostanza a una risposta a tutto quello che c'è da dire, vorrei incoraggiarlo fortemente a leggere i due volumi della Teologia dell'icona di Leonid Uspenskij, così come il saggio Early Christian Attitudes toward Images di padre Steven Bigham. Ci sono altri testi, ma queste due opere moderne sono state estremamente utili per me personalmente. La questione più profonda, ovviamente, non è la presunta critica patristica delle icone, ma piuttosto l'impostazione di base. In ogni caso, mi auguro che sia stato chiarito che la Chiesa ortodossa ha una risposta semplice a questo tipo di accuse, e che noi preghiamo come crediamo, e crediamo come preghiamo. Noi non siamo ignoranti di storia e di altre voci di dissenso; la storia è nostra, e tutti la condividiamo nel Corpo di Cristo; come l'indegno reso degno, con timore di Dio, fede e amore.

La mia speranza principale è che anche una sola persona possa inciampare su questi post e cominciare a riconsiderare il proprio punto di vista quando si tratta della venerazione cristiana delle icone (come le reliquie, la Croce, etc.). Noi non adoriamo idoli; noi non stiamo cercando di disonorare il Signore. Stiamo semplicemente seguendo il sentiero regale dei nostri padri prima di noi – non pretendiamo di creare una Chiesa a nostra immagine, ma piuttosto di ricevere il corpo di Cristo, così come è stato fedelmente tramandato. Dopo tutto, questo è ciò che significa credere nella "Chiesa una, santa, cattolica e apostolica"; la Chiesa è il πλήρωμα (pleroma) della Trinità; il Corpo di Cristo; il tempio del Dio vivente; e la colonna e il fondamento della verità. E integra, completa, e non manca di nulla (vale a dire "cattolica").

Ricevendo quest'assemblea vivente di testimoni come contesto per la fede e il credo, si può capire più perfettamente che cosa significa vivere e pregare come cristiano. Questo è ben lungi dal trattare i Padri come "strumenti accademici e storici," e spero che questo post lo abbia reso chiaro.

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