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  Padre Gregorio Cognetti
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L'arciprete Gregorio Cognetti (che si è addormentato nel Signore il 14 Aprile - Martedì Santo - del 1998) ha guidato il Decanato d'Italia del Patriarcato di Mosca in tempi di grande difficoltà per i nostri fedeli. I testi che seguono (apparsi per la prima volta negli Stati Uniti) sono testimonianza della sua integrità di fede e dell'impegno nella riscoperta dell'Ortodossia in Italia.

Prima e dopo una Conversione

Da The Dawn, Gennaio 1993, p. 5-7

Sono un professore cinquantenne della facoltà di biologia all'Università di Palermo (Italia), ma soprattutto sono un sacerdote ortodosso.

Sono nato e cresciuto in una famiglia cattolica romana, devota e tradizionale. Nel passato, molti membri della mia famiglia sono stati preti, suore, e persino vescovi. Il mio padrino di battesimo era un cardinale! Fui educato in una scuola tenuta dai gesuiti. Tra le altre cose, studiai latino (8 anni), greco (5 anni) e filosofia (3 anni), e all'età di 17 anni avevo una buona conoscenza della dogmatica romana, e in particolare di Tommaso d'Aquino. All'università scelsi la facoltà di chimica, e quando ottenni la laurea ero diventato ateo: non potevo riconciliare la mia conoscenza scientifica con quell'approccio a Dio che mi era stato insegnato come l'unico esistente, e l'unico vero.

Dopo la laurea iniziai a lavorare come ricercatore in vari centri, sia negli Stati Uniti che in Italia. In questo periodo incontrai mia moglie e ci sposammo nel 1972. Nello stesso periodo divenni professore assistente all'università di Palermo. A Palermo c'è una chiesa di uniati italo-albanesi, e per puro caso vi andammo a partecipare alla Liturgia di San Giovanni Crisostomo, celebrata in greco. Fui subito affascinato: percepivo vagamente che dietro quella forma liturgica c'era qualcosa di immenso di cui non ero stato consapevole nei miei anni di frequentazione di chiese latine. Devo confessare, tuttavia, che il mio interesse iniziale era meramente culturale. Probabilmente, a causa della mia formazione scientifica, trovavo stimolante la scoperta di un (per me) nuovo campo di conoscenza. Avevo già esaminato le religioni non cristiane, ed ero convinto di conoscere praticamente tutto del cristianesimo. Il mio antico interesse per il mondo greco fu risvegliato, e mi sentii sfidato a saperne di più. Mi rivolsi a un sacerdote, chiedendogli informazioni, e poco dopo stavo leggendo libri di vari autori ortodossi contemporanei, come Evdokimov, Lossky, Meyendorff, Bloom e Ware. Fui profondamente impressionato dalla teologia di San Gregorio Palamas. Con stupore iniziai ad accorgermi che le critiche alla fede cristiana che mi avevano portato all'ateismo erano dirette soltanto alla scolastica, e non alla fede cristiana in sé! La distinzione tra essenza ed energie di Dio, l'approccio apofatico a Dio, non contraddicevano la mia conoscenza scientifica, ma ne costituivano il complemento in uno schema superiore di realtà! Così recuperai una fede ancora fragile: non più una fede romana, poiché avevo perso questa per sempre, ma una fede ortodossa. Anche mia moglie, che già conosceva alcune opere di Evdokimov, era con me. In breve tempo diventammo a pieno titolo membri della chiesa italo-albanese.

Nel 1975 eravamo a Houston, nel Texas. Io svolgevo ricerche presso il M.D. Anderson Tumor Center. Anche se eravamo comunicanti della locale chiesa ucraina, il rettore della chiesa ortodossa greca fu tanto gentile da permettermi di frequentare la biblioteca della chiesa. Lessi quante più opere possibile. La storia della chiesa e la teologia mistica ortodossa erano gli argomenti che più mi interessavano. Prestai una particolare attenzione ai sette Concili Ecumenici e agli pseudo-concili di Lione e di Firenze. Mia moglie era sempre al mio fianco, e discutevamo e valutavamo costantemente la nuova conoscenza che stavamo acquisendo. Gradualmente divenimmo consci che la Chiesa Ortodossa è la vera Chiesa Santa, Cattolica e Apostolica. Un altro evento importante, in quel periodo, fu l'incontro con Padre George Sondergaard. Ricevemmo da lui la prima idea di una missione ortodossa, ed egli piantò i semi delle nostre future conversioni. Di ritorno in Italia, collaborammo con zelo ed energia con la Chiesa italo-albanese, tuttora credendo (o, piuttosto, volendo credere) che fosse possibile essere cattolici romani e ortodossi allo stesso tempo. In quel periodo iniziammo a leggere i Padri, poiché avevamo comprato negli stati Uniti l'intera collezione dei "Padri Ante-niceni" e dei "Padri Niceni e Post-niceni" pubblicate da Eerdmans Leggemmo anche tutto quanto potemmo trovare sull'Ortodossia, in italiano, inglese e francese.

Nel 1979 eravamo di nuovo negli Stati Uniti. Lavoravo al dipartimento di chimica della Duke University, Durham, N.C. La nostra crescita spirituale giunse finalmente a maturazione. Comprendemmo che è impossibile avere una fede ortodossa rimanendo ancora nella comunione romana, e al di fuori della vera Ortodossia. Così fummo cresimati nella chiesa greca di Raleigh, N.C., nel Sabato dei defunti di Pentecoste del 1979. Presi il nome di Gregorio da San Gregorio Palamas, come tributo di gratitudine al santo la cui dottrina mi aveva ricuperato alla fede cristiana e alla vera Chiesa.

Dopo la cresima, il desiderio di impegnarci sempre di più nella Chiesa crebbe costantemente in noi. Ci rendemmo conto delle enormi benedizioni che il Signore ci aveva dato, e che questi doni, e la conoscenza che Egli ci aveva fornito, avrebbero dovuto dare frutti.

Nella domenica dopo la Santa Croce del 1982 fui tonsurato lettore nella chiesa greca di Greensboro, N.C. La lettura del vangelo del giorno non avrebbe potuto essere più appropriata: stavamo prendendo la nostra croce, per seguire il Signore.

Sono molto indebitato a Padre Dimitri Cozby, che in quel periodo era rettore di una missione vicina alla nostra. Fu molto utile con consigli e sollecitudine. Fu lui a introdurci al mondo della Chiesa Ortodossa d'America, e questo fu molto importante per la nostra formazione spirituale. Su suo consiglio, viaggiammo diverse volte in altre parrocchie della Chiesa Ortodossa d'America, in particolare ad Atlanta e al monastero di Resaca (dove prendemmo anche parte a un pellegrinaggio), e scoprimmo lo spirito di un'Ortodossia missionaria. Rimanemmo profondamente impressionati dalla persona del Vescovo Dimitri e dalla sua mente missionaria. Il suo modello fu probabilmente il più importante punto di riferimento nella nostra vita futura. In quel periodo scrissi anche alcuni articoli per The Dawn. Rimanemmo membri della locale chiesa greca, per due ragioni: dapprima, perché la Chiesa è una, e la giurisdizione non è così importante; e poi perché il nostro pastore greco era un ottimo sacerdote; avevamo debiti di gratitudine verso di lui e verso altri sacerdoti greci della zona; non c'erano ragioni per un cambio di giurisdizione che di sicuro lo avrebbe addolorato.

Nel 1983 eravamo di nuovo in Italia, a Palermo. Ero un professore associato, conducevo un brillante gruppo di ricercatori, vivevo agiatamente, e avevo molte soddisfazioni professionali, ma dal punto di vista spirituale la nostra situazione era critica. In città non c'era una chiesa ortodossa, e le più vicine erano sul continente, a Roma, Napoli o Brindisi (da 600 a 800 chilometri di distanza, con il mare da attraversare). Viaggiavamo in una di queste chiese una volta al mese per ricevere i Santi Misteri, e perché non volevamo che nostro figlio crescesse senza l'esperienza di una chiesa.

La disinformazione sull'Ortodossia era (e invero è tuttora) enorme. La grande maggioranza credeva (e crede tuttora) che gli ortodossi siano una sorta di protestanti anteriori alla riforma, che si rifiutano di obbedire al papa. I cattolici romani lasciano che la gente pensi che l'Ortodossia non sia altro che qualcosa di esotico ("barbe, incenso e funzioni interminabili"), relativo ai greci o ai russi, benché riconoscano che "nonostante lo scisma" alcuni ortodossi abbiano un buon grado di spiritualità. Tutto tendeva, a ogni livello di informazione (giornali, riviste, TV, etc.), a far credere che gli ortodossi sarebbero presto tornati all'ovile (ora, invece, la tendenza è di incolpare gli ortodossi come ribelli impenitenti). C'era un immenso lavoro missionario da compiere, poiché tanti erano estremamente insoddisfatti della loro Chiesa romana. La proliferazione delle sette, al di dentro e al di fuori del cattolicesimo romano, aveva inizio in Italia precisamente in quel periodo. Iniziammo a parlare dell'Ortodossia intorno a noi, con reazioni opposte: alcuni erano molto interessati (ma come rivolgersi a loro?); altri, soprattutto nella nostra famiglia, presero una ferma attitudine di disprezzo e di condanna nei nostri confronti. Due dei nostri cognati hanno rifiutato di vederci da quel periodo in poi.

Come lettore nel Patriarcato di Costantinopoli, ero stato preceduto in Italia da una lettera di referenze al vescovo locale, Gennadios, a Napoli. (A quel tempo non sapevo - lo venni a sapere molti anni dopo - che anche un'altra lettera, questa volta dalla mia parrocchia uniate di un tempo, mi aveva preceduto). Il mio primo impulso fu di far visita al vescovo e dirgli che desideravo aiutare a organizzare una comunità a Palermo (a quel tempo c'erano duemila studenti greci all'università di Palermo, e circa cinquanta famiglie miste), dove un sacerdote potesse fare visite periodiche. Il mio entusiasmo ricevette una doccia fredda. "Noi non facciamo proseliti", dichiarò il vescovo, iniziando a parlarmi. Quindi aggiunse che era necessario evitare ogni occasione di scontentare la Chiesa romana, per non danneggiare le buone relazioni tra Roma e Costantinopoli. Non si sarebbe potuta organizzare una comunità a Palermo, perché gli uniati non l'avrebbero gradita. Gli chiesi il permesso, in qualità di lettore, di celebrare funzioni in casa mia, cosa che mi concesse, a patto che mantenessi la cosa completamente privata.

Mi sforzai duramente di seguire il calendario della Chiesa tutti i giorni con la mia famiglia (mia moglie, il mio figlio di tre anni, e la sorella di mia moglie, che era diventata anche lei ortodossa in America). Cantavo le Ore e la Compieta; i Vespri al sabato, e il Mattutino e i Typika alla domenica. Devo confessare di non essere stato del tutto obbediente al Vescovo Gennadios; permisi a un piccolo gruppo di amici intimi di unirsi a noi in segreto. Non eravamo una chiesa, non eravamo una comunità, non eravamo proprio nulla. E dedicammo questo nulla a San Marco di Efeso. Pensammo che egli sarebbe stato il patrono più appropriato, poiché conobbe molto bene la sensazione di essere in Italia, da solo, a combattere per la fede ortodossa, con l'opposizione sia dei cattolici romani che degli ortodossi che volevano l'unione! Una volta al mese continuavamo a recarci in una chiesa ortodossa sul continente.

Il ricordo delle missioni della Chiesa Ortodossa d'America bruciava in noi. La nostra situazione sembrava avere raggiunto un vicolo cieco. La Pasqua si avvicinava, e desideravamo seguire le funzioni della Grande Settimana. Avevamo progettato di andare a Roma, ma poiché avevamo dimenticato di prenotare in anticipo, gli alberghi vicini alla chiesa erano tutti al completo. Così all'ultimo momento cambiammo idea e decidemmo di andare a Brindisi. Là incontrammo un sacerdote ortodosso italiano, Padre Antonio Lotti, del Patriarcato di Mosca, che concelebrava nella chiesa greca.

Non mi ero rivolto alla giurisdizione di Mosca, poiché a quel tempo sapevo che in Italia c'erano solo due chiese, i cui sacerdoti avevano una cattiva reputazione. Padre Antonio mi spiegò che questi due preti erano stati recentemente sospesi, e che il Vescovo Serafim di Zurigo, responsabile per l'Italia, li aveva rimpiazzati ordinando giovani italiani con una buona istruzione, un lavoro e una famiglia, per ridare vitalità all'Ortodossia italiana. Egli si offrì anche di scrivere al Vescovo Serafim riguardo alla situazione di Palermo. Dopo avere ricevuto l'autorizzazione, il Padre Antonio venne a Palermo e in una domenica celebrò la Divina Liturgia nel nostro salotto, alla presenza di un piccolo numero di persone, e promise di ritornare con regolarità. Fu un grande giorno per noi!

Ma di nuovo, il Signore aveva deciso altrimenti: ricevetti l'offerta di una cattedra per sei mesi all'università di Zurigo! Partimmo per Zurigo il 10 Giugno del 1984. Avevo con me una lettera firmata dai pochi membri della nostra non-comunità e da me stesso, in cui chiedevamo al Vescovo Serafim di aprire una missione a Palermo.

L'incontro con il Vescovo Serafim fu drammaticamente diverso da quello con il Vescovo Gennadios. Raccontai tutta la storia, gli diedi la lettera, e lo rassicurai che se avesse inviato un sacerdote a Palermo ci saremmo dati da fare per accoglierlo nel miglior modo possibile. Egli ascoltò molto attentamente, mostrò solidarietà, ma per il momento non rispose. Invece, mi invitò a servire come lettore nella sua chiesa, raccomandandomi di imparare lo slavonico. Sentii però in lui un calore e una bontà che mi fecero una grande impressione. Così, dopo molti anni di greco, iniziammo a familiarizzarci con la lingua e gli usi slavi. Servii regolarmente come lettore, e un giorno il Vescovo Serafim mi disse di volermi parlare in privato. Quando fummo soli, mi disse di aver deciso di aprire una comunità a Palermo, ma di non avere nessuno da assegnarvi come sacerdote. Poi sorrise e aggiunse: "A meno che tu stesso non voglia essere quel prete..."

Come dicevo prima, dopo la cresima avevo desiderato un maggiore coinvolgimento nella chiesa, ma, francamente, non vedevo il sacerdozio come meta a breve termine. Pensavo piuttosto a un diaconato, e, magari, al sacerdozio in tarda età. Il Vescovo Serafim non voleva una risposta immediata, così ricordo di aver passato molto tempo a discutere con mia moglie. Giungemmo alla conclusione che se volevamo davvero una chiesa a Palermo, dovevamo accettare, poiché sarebbe stato molto difficile che ci venisse data una seconda opportunità. Così accettai, e fui in breve ordinato suddiacono e diacono, e, poco più tardi, sacerdote.

Desidero ricordare un episodio importante. Il giorno prima della partenza da Palermo per Zurigo, chiamai al telefono lo Ieromonaco Michele a Resaca. Gli raccontai i recenti sviluppi della nostra situazione, e chiesi le sue preghiere. Ricordo che rispose: "Pregherò che tu ritorni come sacerdote". Fui sconvolto da questa risposta inaspettata. Il giorno prima della mia ordinazione al sacerdozio lo richiamai, e mi fu detto che Padre Michele era stato ricoverato in ospedale dopo un grave attacco cardiaco. Morì il giorno della mia ordinazione, il 2 Settembre 1984. La mia prima funzione come sacerdote, dopo la Liturgia dell'ordinazione, fu una Panikhida per lui, e il suo nome è sul mio Disco fin da allora.

Al termine della mia permanenza a Zurigo feci ritorno a Palermo, dove divenni professore di ruolo. Ma ora ero un sacerdote ortodosso. Mia moglie, nel suo ruolo di contatto con i fedeli, e mia cognata come direttrice del coro, hanno avuto un enorme ruolo nella costruzione della comunità. La "Parrocchia ortodossa di San Marco di Efeso" era una realtà.

Lettera a un amico cattolico romano

Chapel Hill (U.S.), Marzo 1982

Caro B.  

Anche se non me lo hai mai chiesto direttamente, io sento dalle tue parole che ancora non comprendi perché ho lasciato la chiesa Romana per diventare Ortodosso. "Eri addirittura membro di una delle parrocchie bizantine meno latinizzate", sembra che tu mi dica, "perché, allora?...". Credo di doverti una spiegazione, perché, molto tempo fa, quando entrambi appartenevamo alla chiesa Latina, condividevamo gli stessi sentimenti. Furono proprio questi sentimenti a condurre entrambi in una parrocchia di rito bizantino, e me, in seguito, all'Ortodossia. Non puoi aver dimenticato le critiche che noi muovevamo ai Romani: la continua sostituzione di nuove "tradizioni" al posto di quelle antiche, la Scolastica, l'approccio legalistico alla vita spirituale, il dogma dell’infallibilità papale. Allo stesso tempo entrambi riconoscevamo la legittimità e la correttezza della Chiesa Ortodossa. Una parrocchia uniata sembrava la soluzione ottimale. Mi ricordo cosa dicevo in quel periodo: "Penso come un Ortodosso, credo come un Ortodosso, allora sono Ortodosso". Entrare ufficialmente nella Chiesa Ortodossa mi sembrava solo un'inutile formalità. Addirittura pensavo che restare in comunione con la chiesa Romana fosse un fatto positivo, in vista dell’obiettivo di una possibile riunificazione delle Chiese.

Bene, B., avevo torto. lo credevo di conoscere la Fede Ortodossa, ma era solo un'infarinatura, e molto superficiale per giunta. Altrimenti non mi sarebbe potuta sfuggire l’intrinseca contraddizione tra il sentirsi Ortodosso e il non essere riconosciuto tale proprio dalla Chiesa la cui fede dichiaravo di condividere. Solo un non-Ortodosso può concepire un'assurdità come essere Ortodosso fuori dall'Ortodossia. La salvezza individuale non riguarda solo la singola persona, come molti Occidentali credono, ma deve essere vista nel quadro più generale della Comunione dell'intera Chiesa. Ogni Cristiano Ortodosso è come una foglia di vite. Come può ricevere la linfa vitale se non è attaccata al tralcio (Gv 15:5)? L'Ortodossia è un'impostazione di vita, non un rito. La bellezza del rito deriva dalla realtà interna della Fede Ortodossa, e non da una ricerca di forme. La Divina Liturgia non è una maniera più pittoresca di dir messa: nasce, riaffermandola, da una realtà teologica che diventa vacua e inconsistente se enucleata dall'Ortodossia. Quando c'è lo spirito della Fede Ortodossa, la funzione più misera, in una stanzaccia, con due icone di carta appoggiate su due sedie per iconostasi, e un pugno di stonati a far da coro, è incomparabilmente superiore alle funzioni nella mia ex parrocchia uniate, in mezzo ai magnifici mosaici bizantini del XII secolo, e un coro ben istruito (quando c'era). L'osservanza quasi paranoica delle forme del rito è il vano tentativo di compensare la mancanza di un vero ethos Ortodosso. Io mi illudevo credendo di poter essere un Ortodosso nella comunione Romana. Mi illudevo perchè è impossibile. La continua interferenza di Roma nella vita ecclesiastica ti ricorda al momento opportuno chi è che comanda. Pretendere di ignorarlo è volersi ingannare da sé. Cercavo di evitare il problema, facendo finta di essere cieco e sordo, e ripetendomi che io appartenevo all’ideale "Chiesa Indivisa". La mia posizione era molto peccaminosa. Anzitutto perché la Chiesa Indivisa esiste ancora: è la Chiesa che non ha mai rotto col suo passato, e che è sempre identica a se stessa: in altri termini la Chiesa Ortodossa. In secondo luogo perchè quel sentimento di essere membro della "Chiesa Indivisa", che io consideravo così cristiano e così irenico era invece un grave peccato di superbia. In pratica io mi ponevo al di sopra di patriarchi e papi. Credevo di essere uno dei pochi che veramente capivano la "Verità", al di là di "vecchie e sterili polemiche". Mi sentivo in diritto di chiedere l'Eucaristia tanto ai Romani quanto agli Ortodossi, e mi sentivo ingiustamente bistrattato quando questi ultimi me la negavano. Ho un gran debito di riconoscenza verso un Sacerdote che, in quel periodo, rifiutò di darmi la Comunione. Anziché parlare dolcemente di "impedimenti canonici", come se la faccenda fosse un problema meramente burocratico, mi disse a muso duro: "Se è vero che ti consideri Ortodosso, perchè continui ad appartenere all'eresia?". Io rimasi profondamente scioccato da queste parole, e per molto tempo non ritornai più in quella chiesa. Ma aveva ragione lui. Che enorme peccato di superbia era il mio! Io avevo "capito" quello che per secoli Santi, Padri, Vescovi, Sacerdoti non avevano capito. Secondo me lo scisma tra Oriente ed Occidente era un tragico "malinteso" basato solo su motivi politici e sulle elucubrazioni dei teologi. E così accusavo indirettamente tante Sante persone di ristrettezza mentale, di calcolo, di superficialità e di bigottismo. E scambiavo tutto ciò per carità cristiana...

No, B. E' impossibile essere cattolici Romani e Ortodossi allo stesso tempo. Il rito non è poi così importante. In fin dei conti i Latini sono stati Ortodossi di rito occidentale per diversi secoli. Sono d'accordo con te che, nonostante la separazione, Romani e Ortodossi hanno ancora molto in comune, ma ciò non basta per considerarli oggi parte della stessa Chiesa. Al di là delle ben note differenze dottrinali c'è proprio l'approccio al Soprannaturale, la vita stessa nella Chiesa che rende impossibile vivere le due realtà religiose allo stesso tempo. Nel Credo noi dichiariamo: "e (credo) nell'Unica, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa". Finché non ci sarà unità di fede esse saranno due chiese. La teoria (affermata anche da Giovanni Paolo II) che Romani e Ortodossi sono ancora la stessa unica Chiesa (nonostante lo scisma, e in un modo misterioso) suona bene, ma non regge. Si basa solo su belle parole. Le differenze di fede, invece, esistono, e non sono una semplice questione di parole. Sì, lo so, che "il dialogo teologico" è stato avviato, ed è addirittura possibile (tutto è possibile al Signore) che alla fine si raggiunga l'unità. Ma attenzione! Molti buoni Romani credono che le differenze potranno essere risolte mediante una geniale formula che, per la sua genericità, risulti accettabile alle due parti. Raggiunto poi l'accordo su questa formula ognuno la interpreterebbe secondo il proprio intendimento, mantenendo di fatto le proprie opinioni. Ancora peggio, alcuni propongono che l'unità venga fatta nella diversità, senza un impegno formale di fede da alcuna parte, ma sotto l'universale coordinamento del papa di Roma. Ebbene, tutto ciò è impossibile. I Padri ci hanno insegnato che l'accordo sulla fede comune dev'essere univoco e inequivocabile. L'Ortodossia segue lo spirito della Legge, piuttosto che la lettera. E poichè è impensabile che la Chiesa Ortodossa introduca nuove dottrine, spetta ai Romani abbandonare un millennio di innovazioni e ritornare senza riserve alla fede della Chiesa Cattolica ed Apostolica. Questa è l'unica piattaforma possibile per un accordo. La storia ha già dimostrato la fallacia di unioni basate altrimenti. E ora lascia che ti ponga una domanda banale: B., il papa è infallibile ("di per se stesso e non per il consenso della Chiesa", come specifica il dogma del 1870), o no? Non può essere contemporaneamente fallibile e infallibile, come accadrebbe se le due chiese fossero ancora parte della stessa Chiesa. Una delle due deve sbagliare. "Ma il Vaticano Il ha permesso ora una gran libertà di opinioni...", potresti rispondermi. Questo è un sofisma. La vera Chiesa non può cadere in errore. Se tu credi che la tua chiesa abbia sbagliato, o che in atto sbagli, neghi che sia la vera Chiesa.

 Ti abbraccio con immutata amicizia e amore in Cristo.

Gregorio.

 

Due opere di padre Gregorio Cognetti si trovano nella nostra sezione dei confronti tra teologie cristiane:

L'Ortodossia e le vie a Dio - Scienza e fede nella prospettiva cristiana ortodossa e nelle teologie occidentali

Il pensiero di San Gregorio Magno sul primato - Il primato nelle parole di uno dei più grandi Papi di Roma

 

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