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  Una risposta ortodossa al "caso Charamsa"

dell'arciprete Lawrence Farley

Pravmir

19 novembre 2015

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Recentemente i media hanno dato vasta eco alla storia di un monsignore cattolico, il polacco Krzysztof Charamsa, segretario aggiunto della Congregazione per la Dottrina della Fede della Chiesa Cattolica Romana (nella foto, con il suo fidanzato). Mons. Charamsa era un funzionario del Vaticano, ed è stato da poco privato del suo posto dopo che ha pubblicamente dichiarato di essere gay e anche di avere una relazione gay con un altro uomo. Ha scritto al papa una lunga e accorata lettera (qualcuno potrebbe descriverla più come "istrionica" che "accorata"), denunciando la Chiesa cattolica romana come "violenta", "fanatica", "incapace di dialogo con l'umanità", "disumana, insensibile, ingiusta e violenta", "farisaica e ipocrita, bloccata nella sua dottrina fredda e inumana senza pietà o carità, una Chiesa omofobica che sa solo odiare". Ha inoltre dichiarato che la Chiesa era anche una "Chiesa particolarmente odiosa, che è attualmente guidata da pastori senza cuore e cervello". Nella sua lettera ha anche denunciato le dichiarazioni ufficiali della Chiesa sulla questione dell'omosessualità come "violente e offensive", "oscene", e il suo clero come "violentemente omofobo". C'è di più, ma questo dà già l'idea. La sua parola preferita è "violenta", usata otto volte nel testo. Nel penultimo paragrafo (prima di terminare dicendo, naturalmente, che pregherà per il papa e farà tutto quello che può "per aiutare le persone omosessuali a risvegliare la Chiesa cattolica dal suo sonno disumano, che ormai ha raggiunto limiti bestiali di intollerabilità "), dice che la Chiesa deve "chiedere scusa e poi tacere per sempre". Presumibilmente tale silenzio imposto significa anche che la Chiesa deve dimenticare il suo un tempo nobile "dialogo con l'umanità".

A parte la furia, l'odio e la violenza del linguaggio, si tratta di una lettera straordinaria. Alcuni hanno suggerito che la furia e la violenza è la prova che l'uomo è addolorato. Sicuramente è arrabbiato per essere stato privato del suo lavoro in Vaticano perché ha un fidanzato gay. Ma non è tanto una lettera personale quanto un lungo e arrabbiato modo di sbattere la porta dell'ufficio mentre se ne va dopo aver avuto il benservito pontificio. Nonostante la sua caratterizzazione della Chiesa cattolica romana come "incapace di dialogo", sembra chiaro che egli stesso non sia granché in vena di dialogo. Alla sua Chiesa non chiede il dialogo, ma una semplice capitolazione al proprio ordine del giorno e alla sua ideologia gay è per questo che la sua domanda finale è che la Chiesa si scusi e taccia per sempre. Capisco la natura di queste pretese. Quando si verificano nel cortile della scuola, si chiamano "bullismo", anche se in questo caso non sono composte da spintoni violenti o furti di merendine, ma da linguaggio violento e retorica ipocrita. E, come facevo nel cortile della scuola quando le subivo da bambino, mi rifiuto di farmi coinvolgere. Mi limitavo ad allontanarmi e a mangiare la mia merendina in modo sicuro e tranquillo da qualche altra parte.

Tuttavia, se scegliessi di rispondere, potrei dire quanto segue, perché dopo tutto, monsignor Charamsa non ha semplicemente scritto una lettera personale, ma ha rilasciato una sorta di manifesto pubblico, e a un manifesto pubblico si può rispondere. I manifesti invitano le risposte; questo è proprio lo scopo di un manifesto.

Nella mia risposta, vorrei prima di tutto dire che la tradizionale Chiesa cristiana, sia essa cattolica romana oppure ortodossa, non è tenuta ad ascoltare le pretese appassionate di stare zitta e non dire nulla quando i suoi insegnamenti centrali vengono calpestati, negati e distorti. La Chiesa ha un dovere divino di proclamare la verità a chi vuole ascoltare, e soprattutto ai propri membri. San Paolo non ha "taciuto per sempre" sulla falsa cristologia proclamata dai primi gnostici, o sulla presunta necessità della circoncisione richiesta dai primi giudaizzanti. È vero che sia gli gnostici sia i giudaizzanti sarebbero stati più felici se avesse taciuto, ma questo silenzio sarebbe stato spiritualmente criminale e un tradimento di Cristo. Naturalmente al mondo non piacerà l'opposizione da parte della Chiesa. A nessuno piace essere opposto e contraddetto. Può essere molto noioso e irritante. Ma essere adulti comporta commessi di dialogo non violento quando si verificano tali disaccordi, invece di sbraitare all'altra parte perché osa contraddire. E facile fare i capricci e urlare "taci!". È più difficile essere adulti e andare a discutere con calma. Non c'è dubbio che il bambino capriccioso è "addolorato". Ma il dolore non è una scusa per il capriccio.

In secondo luogo, affermare semplicemente che qualcosa è peccato non di per sé un atto di violenza, odio, emarginazione, stigmatizzazione, o una qualsiasi delle altre cose di cui mons. Charamsa ci accusa. Dire che l'aborto è moralmente peccaminoso, anche se è irritante per gli abortisti e per coloro che utilizzano i loro servizi, non "marginalizza" coloro che abortiscono. Piuttosto si tratta semplicemente di una dichiarazione di quali forme di comportamento sono compatibili con una professione della fede cristiana, e quali non lo sono, e di agire di conseguenza. Se qualcuno sceglie di abortire un bambino, non può poi pretendere che la Chiesa in qualche modo lo emargina e lo calpesta, perché dice che non avrebbe dovuto farlo e lo richiama al pentimento. Il monsignore dà per scontato che l'attività omosessuale è una cosa in regola, e poi si infuria quando la Chiesa dice che non lo è. Ma è lui che ha scelto di impegnarsi in attività che lo hanno collocato al di fuori dei confini della Chiesa. Se l'insegnamento di Cristo e degli apostoli sul matrimonio e la sessualità è vero, che altro può fare la Chiesa?

Infine notiamo l'assurdità intrinseca della posizione del monsignore. La Chiesa in cui è entrato volontariamente, da cui ha accettato l'ordinazione e la promozione e il denaro, e in cui è rimasto in tutti i suoi 43 anni, ha sempre dichiarato che 1. gli atti omosessuali sono peccaminosi, e 2. il suo clero deve rimanere celibe. Questo non può essere stato una sorpresa per Charamsa. Non è come se la Chiesa cattolica avesse detto fino a ieri che gli atti omosessuali andavano bene e che il suo clero poteva essere sessualmente attivo, se voleva. Perché ora l'indignazione? È come entrare in un gruppo di vegetariani impegnati e poi strepitare contro di loro perché ti espellono dal gruppo, perché continui a mangiare bistecche e a dire che il vegetarianismo è troppo ristretto. Uno può mangiare tutte le bistecche che vuole, ma poi non può aspettarsi che un gruppo promotore del vegetarianismo gli dia il benvenuto al proprio interno come uno dei suoi leader. È difficile non concludere che la vera offesa agli occhi del monsignore non era tanto la posizione della Chiesa cattolica sull'omosessualità, quanto il fatto che lo ha licenziato perché aveva un fidanzato. Possiamo continuare a discutere il tema dell'omosessualità e l'insegnamento della Chiesa, se vogliamo, ma cerchiamo almeno di essere coerenti. Il problema di Charamsa qui non è solo la sua omosessualità, ma la sua fondamentale integrità.

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