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  Contro la monocultura

di Evgenij Filimonov

dal blog The Soul of the East

14 novembre 2014

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L'interdipendenza è presumibilmente un motivo di celebrazione nella nostra epoca, e non ci può essere alcun dubbio che i popoli della Terra sono più interconnessi di quanto non lo siano mai stati prima. Oggi, la cultura del cosiddetto mondo sviluppato è governata da idee di egualitarismo e di cosmopolitismo materialista. Si ritiene più onorevole definirsi "cittadini del mondo" piuttosto che strenui difensori di qualsiasi tribù o gruppo, perché per definizione, tracciare una linea di preferenza per coloro che sono all'interno del proprio gruppo implicherebbe che qualcun altro al di fuori sia escluso. Un trend secolare di assimilazione nell'interesse del progresso economico sta raggiungendo il suo apice, destinata a diventare una delle principali preoccupazioni sociologiche nel prossimo futuro.

Come vediamo nelle giungle del Brasile e nelle strade dell'Europa, le popolazioni indigene stanno rapidamente e allo stesso modo diventando straniere nelle loro terre, mentre i loro ambienti cambiano radicalmente sotto i loro occhi. Spesso sentiamo dire che l'Occidente deve assorbire più immigrati per sostenere l'invecchiamento della popolazione a casa, o che le tribù indigene dovrebbero trasferirsi dalle loro terre ancestrali per alimentare la dipendenza dalle risorse naturali di un altro paese. Ora, ci sono seri dubbi circa gli effetti a lungo termine di un'economia globale sfrenata e di una continua rapida crescita della ricchezza materiale, guidate dal principio globalista della libera circolazione del capitale umano. Di conseguenza, il mondo sta rapidamente diventando uno e lo stesso, mentre le culture ed etnie individuali sono o estirpate o forzatamente assimilate nella massa. Eppure vediamo che questa rinnovata attenzione per la tradizione sta spianando la strada per eventi come il recente aumento della popolarità dei partiti identitari in Europa o la dedizione dichiarata ai valori e ai costumi da parte dei leader mondiali tradizionali, come si sente in Russia nella retorica di Vladimir Putin o in India in quella di Nahrendra Mohdi.

La questione più eclatante presentata da questi eventi riguarda l'importanza intrinseca della tradizione. Che importanza ha la tradizione e perché dovrebbe avere un ruolo negli affari globali o anche nella vita della gente comune? In un mondo puramente materialista come il nostro (sia in senso economico e filosofico), gli obiettivi e le esigenze di una società sembrano realizzare l'esatto opposto delle intenzioni dichiarate. L'abbondanza di risorse per vivere più facilmente crea le condizioni per il peggioramento nel luogo in cui sono prodotte tali risorse; mentre diventa più facile viaggiare il mondo e vedere altre terre, tali terre stanno diventando sempre più identiche al resto del mondo; l'immigrazione di massa per creare più posti di lavoro, dare "diversità" a uno spazio ed espandere l'economia ottiene il contrario dopo diverse generazioni, quando gli immigrati si sono assimilati e l'impatto economico positivo della loro immigrazione è stato assorbito o addirittura invertito; la spinta costante perché gli individui si presentino come totalmente diversi dalla folla crea una massa demografica pronta a farsi vendere qualcosa al fine di convalidare l'individualità moderna. Confrontando la quantità di lingue ed etnie in tutto il mondo nel XVIII secolo con quella di oggi dimostra che questo processo di globalizzazione economica non solo si è dimostrato dannoso per l'Occidente, ma anche per tutte le altre civiltà, e questa tendenza continuerà, con una stima del novanta per cento delle lingue parlate oggi che secondo le proiezioni saranno estinte entro la fine del secolo. Nella realtà pratica, l'unica fine possibile e logica di questo processo è il consolidamento dell'umanità in un unico gruppo omogeneo, senza caratteristiche di differenziazione tra le regioni o anche tra i singoli individui.

Ti fa marcire i denti, ti fa marcire l'anima

La tradizione, come definizione generale da entrambi i rami politico e religioso della scuola tradizionalista di pensiero, è una credenza che va oltre la mera individualità o forma umana. L'attuale modalità economica razionalista di pensare ha tentato di farla finita con questa pratica, considerandola non più rilevante nella società (e pure un impedimento a fare affari). In un certo senso, la tradizione generale di una popolazione è significativa come modo separato di pensiero, come esistenza separata. Ed è una verità assiomatica che l'intera realizzazione intellettuale e culturale del mondo non deriva da un unico modo di pensare. Come tale, qualsiasi cosa che minaccia la molteplicità intrinseca intellettuale del mondo dovrebbe essere considerata come una minaccia, o più precisamente, una malattia.

Tuttavia, non esiste una sola fonte da cui sorgerebbe l'imposizione di uno standard globale. L'elemento principale di oggi, è la monocultura egualitaria proveniente dall'Occidente che aggredisce tutte le altre culture, ma questa minaccia emana anche da un fanatismo religioso con le proprie ambizioni monoculturali, ovvero il fondamentalismo islamico. Eppure la spinta costante per eliminare stili di vita tribali e nomadi dalla Terra è ampiamente ignorata dal mondo. Le società liberali spesso ci presentano immagini di tutti i popoli del mondo nel loro abito culturale, che stanno in piedi insieme sul globo tenendosi per mano. Ma, come abbiamo detto, questo idealismo di desiderio ha prodotto l'esatto contrario. Un sottoprodotto purtroppo inosservato di questa direzione storica è l'impatto negativo derivante dalla pretesa che i popoli del mondo aderiscano a un unico standard globale di civiltà. In termini semplici, ciò equivale alla progressiva diminuzione delle molteplicità culturale del mondo nel corso degli ultimi cinque secoli o giù di lì. Alcuni modi di vita ritenuti inadatti all'attività economica sono assimilati a un tutto più grande o rimossi completamente. Questa crisi ha finalmente raggiunto il suo apogeo nel nostro secolo, quando non solo piccole tribù ed etnie sono a rischio, ma intere culture. L'antropologo Scott Atran descrive questa tendenza come "omogeneizzazione dell'esperienza umana". Nel corso della storia, vediamo la nascita di culture e la loro morte, e rimane una verità indiscutibile che ogni cultura ha una propria data di scadenza. Tuttavia, la crisi che vediamo oggi è la morte di etnie diverse su scala di massa senza nulla di tangibile che le sostituisca. Mentre la globalizzazione economica e la vita standardizzata continuano a espandersi, questo lascia poco spazio per gli stili di vita tradizionali, che sono venuti prima queste forze. E come si vede dagli sforzi purtroppo inutili delle tribù indigene brasiliane che lottano per preservare il loro stile di vita contro entità estere, c'è poco che possa arrestare questa tendenza.

In effetti, una delle considerazioni più importanti del nostro tempo deve essere la salvaguardia delle culture regionali e, naturalmente, della biodiversità umana. Dopo aver visitato le comunità dei Vecchi Credenti russi in Alaska e i villaggi agricoli di mattoni d'argilla in Messico, sono testimone di prima mano degli effetti della modernità su queste comunità. Le vecchie generazioni sono rimaste, mentre i membri più giovani partono in numero sempre maggiore verso le aree metropolitane, assetati di tutti i comfort della vita cittadina. Storie simili possono essere raccontate per le tribù dei Sami nella Scandinavia settentrionale, dei nomadi delle steppe della Mongolia, e di innumerevoli altri. Appare un vuoto, e uomini già indipendenti stanno rapidamente imparando a dimenticare come provvedere a se stessi. Nelle città, la certezza che i nostri bisogni di base sono forniti da qualcun altro, che vi sono istituzioni preposte a combattere le nostre battaglie per noi, che la necessità di autosufficienza è obsoleta, ha fatto sì che l'individuo moderno può occuparsi dei compiti più banali ed egoisti senza riguardo per la prole o i vicini. La generazione di oggi, in particolare, è spesso definita la più debole finora vissuta, che rivendica titoli e rinuncia alle qualificazione che dovrebbero venire con loro. E' diventato del tutto accettabile nei paesi civili sedersi all'interno della propria casa senza uscire e indulgere in un piacere autodistruttivo o in un altro. I giapponesi hanno definito questo 'hikikomori', e molti lamentano la titubanza nello stabilire relazioni sociali significative, come causa principale per la caduta del tasso di natalità del paese. C'è da meravigliarsene, con una simile atomizzazione che diventa luogo comune in tutto il mondo, che le tradizioni stiano morendo?

Le società tradizionali esistevano sulla base di individui interconnessi con ruoli importanti (letteralmente, una tribù), la loro pietra angolare. Proprio come il rapporto tra due individui crea momenti intimi e valori condivisi, le società tradizionali fanno la stessa cosa con le tradizioni, anche se a un livello molto più profondo. La presentazione contemporanea della storia economica del mondo mostra una graduale espansione della ricchezza generale e una crescente utilizzazione delle risorse partendo dall'Europa (o meglio, dall'Occidente), in espansione verso il resto del mondo. Questi secoli definitivi hanno fatto sì che il processo di globalizzazione economica sia quasi inevitabile oggi e una sufficiente ideologia opposta deve ancora pienamente formarsi. L'influenza di questo processo storico significa che le considerazioni politiche si fanno ora strettamente nel contesto di benefici economici per interessi specifici (ovvero il pensiero dell'utilità). Nonostante quello che alcuni potrebbero stupidamente supporre, questo processo deve ancora concludersi e, di fatto, continua a diffondersi. Partecipare al gioco economico globale richiede un certo grado di conformità, come quando i paesi sono costretti a rinunciare alla loro valuta specifica in cambio della possibilità di partecipare a una zona economica o a questioni superficiali come il cambio fatto dai giapponesi post-imperiali di scartare il loro abito tradizionale in cambio di giacca e cravatta fatte in Occidente, nell'interesse di fare affari con altre persone che indossano anche loro giacca e cravatta. Considerate anche quante industrie in piccole città sono state distrutte dall'espansione forzata del 'libero commercio', imposto sulla popolazione generale da pochi eletti per il beneficio dei pochi.

Il reverendo Jim Jones, compagno di letto dialettico dell'oligarchia corporativa e guerriero dell'arcobaleno della monocoltura

Ci sono conseguenze, tuttavia. Le ambizioni dei politici di trasformare le persone che dovrebbero servire per farle diventare più "internazionali" o "di mentalità globale", alienandole dalle proprie terre di origine, significa che una reazione è quasi certa. Lo vediamo già nei titoli dei media che denunciano l'ascesa del nazionalismo in Europa o mettono in guardia contro il pericolo intrinseco di preservare la propria identità. I media deridono questi movimenti nascenti di orientamento popolare come "fascismo" o con qualche altro luogo comune; ma in realtà, il cambiamento in arrivo è molto più pericoloso di un semplice corporativismo, richiede un cambiamento a livello mondiale in come dovrebbe essere considerata tutta l'economia internazionale. In altri paesi, la situazione è perfino un po' peggiore, in quanto non si fa quasi menzione dell'erosione accelerata delle società tradizionali al di fuori dell'Occidente, e della loro situazione banalizzata come in Europa. Ma ora bisogna porsi la domanda più importante - proprio tutto il mondo ha bisogno di essere globalizzato? È indispensabile che vi sia una caffetteria e un centro commerciale in ogni angolo di ogni paese? Hanno tutti bisogno di sprecare la loro vita stando seduti e guardando uno schermo o un altro per tutta la loro vita? È più importante conoscere una persona famosa dall'altra parte del mondo che non il proprio vicino? La promessa di ONG e fondazioni apparentemente ben intenzionate di "sviluppare" il resto del pianeta al di fuori del primo mondo porta con sé un senso pernicioso di moralità egoista, non troppo diverso dai tentativi di occidentalizzare le popolazioni indigene dell'America con abiti europei e lezioni di lingua inglese. Qual è il senso dell'esistenza, quando tutti gli altri stanno vivendo esattamente nel tuo stesso modo? Accettare il globalismo significa diventare sostituibile, e quegli europei che stanno perdendo i loro mestieri ancestrali a vantaggio di beni o abitazioni a basso costo per gli immigrati che lavorano per pochi soldi lo capiscono molto bene. Il passaggio a un'economia completamente globale, che è accaduto solo negli ultimi decenni, deve molto a questa situazione. Come scrive il professor William I. Robinson in materia di economie centroamericane:

La globalizzazione ha sempre più eroso questi confini nazionali e ha reso strutturalmente impossibile per le singole nazioni di sostenere economie, sistemi politici e strutture sociali indipendenti, o anche autonome. Una caratteristica fondamentale dell'epoca attuale è il superamento dello stato-nazione come principio organizzatore del capitalismo.

Quindi, come si concilia l'inevitabile interconnessione delle persone con la conservazione di specifiche culture regionali? Questo non avverrà attraverso un'elezione favorevole, o neanche attraverso una rivolta violenta; richiede piuttosto una ristrutturazione mentale di ciò che significa vivere nel mondo moderno. Il che significa che l'identità regionale dovrebbe essere affermata, e non solo in modo superficiale, ma in un diretto beneficio per il proprio popolo, sia che si tratti di famiglia, tribù, città, nazione, e così via, con gli individui che fanno ritorno a un modo di vita più vero e onorevole. La nostra economia globale interconnessa ha dimostrato che se una sfaccettatura cade, il resto del corpo cade con essa.

Alcune persone di mente anti-consumista capiscono ora gli effetti negativi di questa economia globale su come le persone vivono ed esistono su questa terra, e sono consapevoli del danno ambientale che essa compie, così come delle condizioni economiche spesso sfavorevoli che fornisce a una nazione a beneficio di un'altra. Ma così come stanno le cose, difficilmente si farà un collegamento di questa tendenza con il declino delle culture diverse, cercando di conservarle nel corso dei prossimi secoli. Comprensibilmente, così, molte persone, in particolare in Nord America, hanno vissuto generazioni senza alcun collegamento di sorta al loro patrimonio originale. Come tale, la gente del mondo moderno non ha più senso di appartenenza, ma un fedeltà di marca alla sfilata di insulse "politiche dell'identità" che domina il discorso pubblico di oggi, sebbene anche allora vediamo quanto velocemente fastidiose diventino tali "identità". L'inversione dell'ordine liberale globale non significherà la pace in se stessa; non implicherà che le controversie tra i popoli siano pacificate, o che le culture improvvisamente crescano e divengano regni di superuomini, ma significa che le differenze saranno salvate e che una sorta di ampiezza di punto di vista rimarrà tra gli esseri umani. Allo stesso modo, nulla garantisce che la cultura di una nazione o etnia sarà la stessa tra un centinaio di anni. Eppure questo è essenzialmente il punto – che ci sia spazio perché i singoli popoli possano svilupparsi e progredire. Se la diversità è di tanto valore come alcuni sostengono di credere, allora l'idea artefatta di una "fratellanza umana" deve essere screditata.

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