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  "I fondamenti della concezione sociale" - X. Problemi di morale individuale, familiare e sociale
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I rapporti matrimoniali

X.1. La differenza tra i sessi è un dono speciale del Creatore, da lui dato agli esseri umani. «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Essendo in pari grado portatori dell'immagine di Dio e della dignità umana, l'uomo e la donna sono creati per un’unione totale e reciproca nell'amore: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Attuando la volontà primordiale del Signore sulla creazione, l'unione coniugale da lui benedetta diventa un mezzo per continuare a moltiplicare il genere umano: «E Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela”» (Gen 1,28). Le peculiarità dei sessi non si riducono alle diversità della struttura corporea. L'uomo e la donna sono due modalità diverse dell'esistenza nell'unica umanità. Essi hanno bisogno del dialogo e del reciproco completamento. Tuttavia nel mondo corrotto dal peccato i rapporti tra i sessi possono pervertirsi, cessando di essere un'espressione dell'amore divino e degenerando nella manifestazione di una peccaminosa e insana passione dell'uomo decaduto per il proprio «io».
Pur attribuendo un grande valore al celibato ed alla castità volontari, assunti per amore di Cristo e del Vangelo, e pur riconoscendo il ruolo particolare del monachesimo nella propria storia e nella vita contemporanea, la Chiesa non ha mai avuto verso il matrimonio un atteggiamento di disprezzo e ha anzi biasimato coloro che per un’aspirazione erroneamente intesa alla purezza hanno umiliato i rapporti matrimoniali.
L'apostolo Paolo, pur avendo scelto per sé personalmente la verginità e pur avendo esortato altri a imitarlo in questo (1Cor 7,8), nondimeno condanna «l'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4,2-3). La 51a Costituzione apostolica recita: «Se qualcuno... rinuncia al matrimonio... non per amore della continenza religiosa, ma per un motivo di disprezzo, avendo dimenticato... che Dio, creando l'uomo, li ha fatti maschio e femmina, e così facendo disprezza la creazione, o si correggerà, oppure sarà destituito dalla dignità sacerdotale ed escluso dalla Chiesa». Questo principio viene sviluppato dai canoni 1°, 9° e 10° del Concilio di Gangra: «Se qualcuno condannerà il matrimonio e disprezzerà la moglie fedele e devota, che desidera congiungersi con il proprio marito, o la biasimerà affermando che lei non potrà entrare nel Regno [di Dio], su costui sarà anatema. Se qualcuno rimarrà vergine o si asterrà dai rapporti sessuali, rinunciando al matrimonio, perché lo disprezza, e non per amore della bellezza e della santità della verginità stessa, su costui sarà anatema. Se qualcuno di coloro che hanno scelto la verginità per amore del Signore si insuperbirà nei confronti di coloro che si sono uniti in matrimonio, su costui sarà anatema». Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella deliberazione del 28 dicembre 1998, richiamandosi a questi canoni, ha indicato la «inammissibilità dell'atteggiamento negativo o sprezzante verso il matrimonio».

 

Il matrimonio nella storia e nella tradizione

X.2. Secondo il diritto romano, che ha costituito il fondamento dei codici civili della maggior parte degli stati contemporanei, il matrimonio è un contratto tra due parti libere nella propria scelta. La Chiesa ha fatto propria questa definizione del matrimonio, interpretandola sulla base delle testimonianze della sacra Scrittura.
Il giurista romano Modestino (III sec.) ha dato la seguente definizione del matrimonio: «Il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna, la comunanza di tutta la vita, la compartecipazione alla legge divina e umana». Questa definizione è entrata praticamente invariata nei codici canonici della Chiesa ortodossa, in particolare nel «Nomocanon» del patriarca Fozio (IX sec.), nel «Syntagma» di Matteo Vlastar (XIV sec.) e nel «Procheron» di Basilio il Macedone (IX sec.), inserito nella slava «Kormchaja Kniga». Anche i padri e i maestri della Chiesa del cristianesimo primitivo si basarono sulla concezione romana del matrimonio. Così, Atenagora nella sua «Supplica intorno ai cristiani» indirizzata all'imperatore Marco Aurelio (II sec.), scrive: «Ciascuno di noi considera sua moglie quella che ha sposato secondo le leggi». Gli «Insegnamenti degli Apostoli», un testo del IV secolo, esortano i cristiani a «contrarre matrimonio secondo la legge».
Il cristianesimo integra le concezioni pagane e veterotestamentarie del matrimonio con l'immagine sublime dell'unità di Cristo e della Chiesa. «Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5,22-33).
Per i cristiani il matrimonio è diventato non semplicemente un contratto giuridico, un mezzo per continuare il genere umano e per soddisfare bisogni naturali temporanei, ma, secondo le parole di s. Giovanni Crisostomo, è l'«amore mistico», l'unione eterna dei coniugi in Cristo. Da sempre i cristiani hanno impresso sul matrimonio il sigillo della benedizione della Chiesa e della partecipazione comune all'eucaristia, che è la forma più antica della celebrazione del sacramento del matrimonio.
«È dovere degli sposi e delle spose di stringere la loro unione con l'approvazione del vescovo, affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la concupiscenza», scriveva il santo martire Ignazio Teoforo (di Antiochia). Secondo Tertulliano, il matrimonio deve essere «celebrato davanti alla Chiesa, confermato dal sacrificio eucaristico [eucaristia] e sigillato dalla benedizione, e a esso assistono gli angeli nei cieli». «È necessario invitare i sacerdoti e con preghiere e benedizioni confermare i coniugi nella vita in comune, affinché... i coniugi trascorrano la loro vita nella gioia, uniti con l'aiuto di Dio», diceva s. Giovanni Crisostomo. S. Ambrogio di Milano prescriveva che «il matrimonio deve essere consacrato dall'intercessione e dalla benedizione del sacerdote».
Nel periodo della cristianizzazione dell'Impero romano la legittimità del matrimonio era riconosciuta, come prima, da una registrazione pubblica ufficiale. Consacrando le unioni matrimoniali con la preghiera e la benedizione, la Chiesa riconosceva nondimeno la validità del matrimonio civile, nei casi in cui il matrimonio religioso non era possibile, e non sottoponeva i coniugi ai precetti canonici. La Chiesa ortodossa russa attualmente si attiene alla stessa prassi. Con questo essa non può approvare e benedire le unioni coniugali concluse sia pure in conformità con la legislazione civile in vigore, ma in violazione delle prescrizioni canoniche (per esempio, il quarto e successivi matrimoni, matrimoni illeciti a causa di vincoli di sangue o di parentela spirituale).
Secondo la 74a Novella di Giustiniano (538), il matrimonio legittimo è concluso sia da un ecdicus (notaio ecclesiastico) che da un sacerdote. Tale norma fu inclusa nell'ecloga dell'imperatore Leone III e di suo figlio Costantino V (740), come pure nella legislazione di Basilio I (879). La condizione essenziale del matrimonio rimase il consenso reciproco dell'uomo e della donna, dichiarato davanti a testimoni. La Chiesa non espresse nessuna protesta contro questa pratica. Solo a partire dall'893, secondo l'89a Novella dell'imperatore Leone VI, alle persone libere fu fatto obbligo di celebrare il matrimonio con un rito religioso, e nel 1095 l'imperatore Alessio Comneno estese questa legge anche agli schiavi. L'introduzione del matrimonio religioso obbligatorio (IX-XI secc.) significava che per deliberazione dell'autorità civile tutta la regolamentazione giuridica dei rapporti matrimoniali era demandata esclusivamente alla giurisdizione della Chiesa. Inoltre, l'introduzione universale di questa pratica non deve essere intesa come l'istituzione del sacramento del matrimonio, che da sempre esisteva nella Chiesa.
L'ordinamento stabilito da Bisanzio fu adottato anche in Russia nei riguardi dei cittadini di religione ortodossa. Tuttavia, con l'adozione del decreto sulla separazione della Chiesa dallo stato (1918), il matrimonio celebrato con il rito ecclesiastico perse validità giuridica; formalmente ai credenti fu concesso il diritto di ricevere la benedizione della Chiesa dopo la registrazione del matrimonio presso gli organi statali. Tuttavia, nel corso del lungo periodo della persecuzione della Chiesa da parte dello stato, la celebrazione di un matrimonio solenne in chiesa di fatto rimase estremamente difficoltosa e rischiosa.
Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa del 28 dicembre 1998 notava con rammarico che «alcuni confessori dichiarano illegale il matrimonio civile o richiedono lo scioglimento del matrimonio tra coniugi che convivono da molti anni senza essere sposati con rito religioso, per una qualche ragione ... Alcuni confessori non ammettono alla comunione le persone che vivono in una unione matrimoniale “non benedetta”, identificando tale matrimonio con la fornicazione». Nella decisione adottata dal Sinodo è spiegato: «Pur insistendo sulla necessità del matrimonio religioso, si ricorda ai pastori che la Chiesa ortodossa considera con rispetto il matrimonio civile».
La comunanza della fede fra i coniugi che sono membri del corpo di Cristo costituisce una condizione essenziale del matrimonio religioso e autenticamente cristiano. Solo una famiglia unita nella fede può diventare una «Chiesa domestica» (Rm 16,5; Fm 1,2), nella quale il marito e la moglie insieme con i figli crescono nella perfezione spirituale e nella conoscenza di Dio. L'assenza di unità di vedute rappresenta una seria minaccia all'integrità dell'unione coniugale. Proprio per questo la Chiesa considera suo dovere richiamare i credenti a sposarsi «solo nel Signore» (1Cor 7,39), cioè con colui o colei che condivide le proprie convinzioni cristiane.
La risoluzione sopra ricordata del santo Sinodo parla anche del rispetto che la Chiesa ha «per quel matrimonio nel quale una sola delle parti appartiene alla fede ortodossa, in conformità con le parole del santo apostolo Paolo: “il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente” (1 Cor 7,14)». A questo testo della Sacra Scrittura si sono riferiti anche i padri del Concilio trullano, che riconobbero come valida l'unione tra due persone che «pur essendo ancora non credenti e senza appartenere al popolo ortodosso, si sono uniti tra loro con un matrimonio civile», se in seguito uno dei coniugi ha abbracciato la fede (canone 72). Tuttavia nello stesso canone e in altri decreti canonici (IV Conc. Ecum. 14; Laod. 10,31), come pure in alcuni testi di scrittori cristiani antichi e di padri della Chiesa (Tertulliano, s. Cipriano di Cartagine, s. Teodoreto e s. Agostino), si proibisce di celebrare matrimoni tra ortodossi e seguaci di altre tradizioni religiose.
In conformità con le antiche prescrizioni canoniche, la Chiesa anche oggi non concede la sua benedizione ai matrimoni contratti fra ortodossi e non cristiani, però riconosce nello stesso tempo tali matrimoni come legittimi e non ritiene che coloro che costituiscono tali unioni matrimoniali vivano in un peccaminoso concubinato. Fondandosi su considerazioni di oikonomia pastorale, la Chiesa ortodossa russa, come nel passato, anche oggi considera ammissibile la celebrazione di matrimoni di cristiani ortodossi con cattolici, con membri delle Chiese orientali e con protestanti che professano la fede nel Dio unitrino, a condizione che la celebrazione del matrimonio avvenga nella Chiesa ortodossa e che i figli vengano educati alla fede ortodossa. Nel corso degli ultimi secoli la maggior parte delle chiese ortodosse ha seguito questa stessa prassi.
Con il decreto del 23 giugno 1721, il santo Sinodo ammise, alle condizioni sopraindicate, la celebrazione dei matrimoni di prigionieri svedesi che si trovavano in Siberia con spose ortodosse. Il 18 agosto di quello stesso anno tale decisione del Sinodo ricevette una dettagliata giustificazione biblica e teologica in una speciale lettera sinodale. Su questa lettera si è fondato il santo Sinodo anche in seguito per risolvere le questioni dei matrimoni misti nei governatorati, annessi dalla Polonia e dalla Finlandia (decreti del santo Sinodo del 1803 e del 1811). In queste province, d'altra parte, era permesso scegliere più liberamente l'appartenenza confessionale dei figli (temporaneamente questa prassi talvolta fu estesa anche alle province baltiche). Infine, le norme sui matrimoni misti per tutto l'impero russo vennero fissate definitivamente nello statuto dei Concistori religiosi (1883). Esempi di matrimoni misti furono le molte unioni matrimoniali dinastiche, per la cui celebrazione non venne imposta la conversione all'ortodossia della parte non ortodossa (a eccezione del matrimonio dell'erede al trono russo). Così la protomartire principessa Elisabetta si unì in matrimonio con il gran principe Sergej Aleksandrovic, rimanendo membro della Chiesa luterana evangelica, e solamente più tardi, di sua spontanea volontà e in tutta libertà, abbracciò l'ortodossia.  

 

L’indissolublità del matrimonio

X.3. La Chiesa esige la fedeltà dei coniugi per tutta la vita e l'indissolubilità del matrimonio ortodosso, fondandosi sulle parole del Signore Gesù Cristo: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi... Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio» (Mt 19,6.9). Il divorzio è condannato dalla Chiesa come peccato, perché esso reca gravi sofferenze spirituali ai coniugi (o per lo meno a uno di essi) e soprattutto ai figli. È fonte di estrema preoccupazione la situazione contemporanea, nella quale si assiste allo scioglimento di un numero assai elevato di matrimoni, specialmente tra i giovani. Ciò che sta accadendo sta diventando un'autentica tragedia per l'individuo e per la società.
Il Signore ha indicato come unica ragione ammissibile del divorzio l'adulterio che profana la santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale. Nei casi in cui vi siano vari conflitti tra i coniugi, la Chiesa considera suo compito pastorale ricorrere a tutti gli strumenti e i mezzi che le sono propri (insegnamento, preghiera, partecipazione ai sacramenti) per preservare l'integrità del matrimonio ed evitare il divorzio. Anche i ministri del culto sono chiamati a dialogare con coloro che desiderano sposarsi, spiegando loro l'importanza e la serietà del passo che stanno per compiere.
Purtroppo, a volte, a causa dell'imperfezione che deriva dal peccato, i coniugi possono mostrarsi incapaci di custodire il dono della grazia, ricevuto nel sacramento del matrimonio, e di preservare l'integrità della famiglia. Desiderando la salvezza dei peccatori, la Chiesa dà loro la possibilità di ravvedersi ed è pronta, dopo il pentimento, a riammetterli di nuovo ai sacramenti.
Le leggi di Bisanzio, introdotte dagli imperatori cristiani senza incontrare la condanna della Chiesa, ammettevano diverse motivazioni per il divorzio. Nell'impero russo lo scioglimento del matrimonio in base alle leggi in vigore avveniva in un tribunale ecclesiastico.
Nel 1918, nella sua «Risoluzione sui motivi validi per lo scioglimento dell'unione matrimoniale consacrata dalla Chiesa», il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa riconosceva come validi motivi, oltre all'adulterio e alla contrazione di un nuovo matrimonio da parte di uno dei coniugi, anche l'apostasia del marito o della moglie dall'ortodossia, la perversione, l'impotenza sessuale iniziata prima del matrimonio o comparsa in seguito a un'automutilazione intenzionale, la malattia della lebbra o della sifilide, la prolungata assenza di un coniuge senza dare notizie di sé, la condanna a una pena connessa con la privazione di tutti i diritti civili, l'attentato alla vita o alla salute del coniuge o dei figli, la relazione extraconiugale con una cognata, la ruffianeria, lo sfruttamento della prostituzione della moglie, una grave malattia mentale incurabile e il malevolo abbandono di un coniuge da parte dell'altro. Al giorno d'oggi questo elenco di motivazioni per lo scioglimento del matrimonio è integrato da ragioni quali l'alcolismo cronico o la tossicodipendenza accertati da un medico e l'esecuzione da parte della donna di un aborto senza il consenso del marito.
Per la formazione spirituale di coloro che intendono sposarsi e per contribuire al consolidamento dei vincoli coniugali, i sacerdoti sono chiamati, nel colloquio che precede la celebrazione del sacramento del matrimonio, a chiarire in maniera particolareggiata al fidanzato e alla fidanzata che l'unione matrimoniale religiosa è indissolubile, specificando che il divorzio come extrema ratio può aver luogo solo nel caso in cui i coniugi abbiano commesso azioni definite dalla Chiesa come ragioni valide per il divorzio. Il consenso allo scioglimento del matrimonio religioso non può essere dato per soddisfare un capriccio o per «confermare» il divorzio civile. Del resto, se la disgregazione del matrimonio è un fatto compiuto – in particolare nel caso in cui i coniugi vivano separatamente – e la ricostituzione della famiglia sia considerata impossibile, può essere concesso anche il divorzio ecclesiastico qualora il pastore lo ritenga opportuno. La Chiesa non incoraggia affatto le seconde nozze. Nondimeno dopo un divorzio ecclesiastico legittimo, in conformità con il diritto canonico, un secondo matrimonio è permesso al coniuge incolpevole. A coloro che portino la responsabilità della disgregazione e dello scioglimento del loro primo matrimonio è permesso contrarre un secondo matrimonio solo a condizione che si siano pentiti e abbiano adempiuto la penitenza sacramentale, imposta in conformità con le leggi canoniche. Nei casi eccezionali in cui venga permesso il terzo matrimonio, viene prolungato il periodo della penitenza sacramentale, secondo le norme di Basilio Magno.
Nella sua «Risoluzione» del 28 dicembre 1998, il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha condannato le azioni di quei confessori che «proibiscono ai loro figli spirituali di contrarre un secondo matrimonio in base al fatto che il secondo matrimonio sarebbe condannato dalla Chiesa; e proibiscono alle coppie di coniugi il divorzio nel caso in cui, per una qualche circostanza, la vita familiare sia diventata per i coniugi insostenibile». A questo proposito il santo Sinodo ha deliberato che «i pastori dovrebbero ricordare che riguardo al secondo matrimonio la Chiesa ortodossa si attiene alle parole dell'apostolo Paolo: «Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato... La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore» (1 Cor 7,27-28.39)». 

 

 

Chiesa domestica

X.4. La particolare intimità esistente tra la famiglia e la Chiesa è già evidente dal fatto che nella Sacra Scrittura Cristo parla di sé come dello sposo (Mt 9,15; 25,1-13; Lc 12,35-36), mentre la Chiesa è rappresentata come sua sposa o promessa sposa (Ef 5,24; Ap 21,9). Clemente Alessandrino definisce la famiglia – come pure la Chiesa – casa del Signore, e s. Giovanni Crisostomo definisce la famiglia «piccola Chiesa». «Vi dico ancora, scrive il padre santo, che il matrimonio è l'immagine mistica della Chiesa». Questa «Chiesa domestica» è formata dall'uomo e dalla donna che si amano reciprocamente, uniti in matrimonio, orientati a Cristo e da lui guidati. Frutto del loro amore e della loro unione sono i figli, la nascita ed educazione dei quali, secondo la dottrina ortodossa, costituiscono uno dei fini più importanti del matrimonio.
«Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo», esclama il salmista (Sal 127,3). Della natura salvifica propria della procreazione ha parlato l'apostolo Paolo (1 Tm 2,13). Ancora Paolo ha esortato i padri: «Non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6,4). «I figli non sono un acquisto casuale, noi siamo responsabili della loro salvezza... Trascurare i figli è il più grande di tutti i peccati perché porta all'estrema empietà... Non abbiamo scuse se i nostri figli sono depravati», insiste s. Giovanni Crisostomo. Sant’Efrem il Siro insegna: «Beato colui [colei] che educa i figli nella pietà». «Vero padre non è colui che ha generato dei figli, ma colui che li ha educati e istruiti bene», scrive s. Tichon Zadonskij. Principalmente i genitori sono responsabili dell'educazione dei propri figli e non possono attribuire la colpa di una cattiva educazione a altri che a se stessi», predicava il santo martire Vladimir, metropolita di Kiev. «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio», recita il quinto comandamento (Es 20,12). Nell'Antico Testamento la mancanza di rispetto nei confronti dei genitori era considerata la più grave trasgressione (Es 21,15.17; Pr 20,20; 30,17). Anche il Nuovo Testamento insegna ai figli ad obbedire con amore ai genitori: «Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore» (Col 3,20).
La famiglia come chiesa domestica è un unico organismo, le cui membra vivono e costruiscono le proprie relazioni sulla legge dell'amore. L'esperienza dei rapporti familiari insegna alla persona a vincere l'egoismo frutto del peccato e getta le basi di un sano spirito civico. Proprio nella famiglia, come in una scuola di devozione, si forma e si rafforza un giusto atteggiamento verso il prossimo, e quindi verso il proprio popolo e la società nel suo complesso. La viva continuità delle generazioni, cominciando nella famiglia, si prolunga nell'amore per gli avi e per la patria, in un sentimento di compartecipazione alla storia. Ecco perché è tanto pericoloso deteriorare i legami tradizionali tra genitori e figli, cui purtroppo per molti aspetti contribuisce il modo di vivere della società contemporanea. La perdita di valenza sociale della maternità e della paternità rispetto ai successi ottenuti dagli uomini e dalle donne in campo professionale fa sì che i figli siano considerati un fardello inutile e contribuisce anche all'alienazione e allo sviluppo di un antagonismo tra le generazioni. Il ruolo della famiglia nella formazione della personalità è esclusivo e straordinario; nessun'altra istituzione sociale la può sostituire. L'erosione dei rapporti familiari comporta inevitabilmente la deformazione del normale sviluppo dei figli e lascia in loro una lunga, e in certa misura indelebile, traccia per tutta la vita.
Gravissima e scandalosa piaga della società contemporanea è diventato l'abbandono dei figli da parte dei genitori. Migliaia di bambini abbandonati, che riempiono gli orfanotrofi, e a volte vivono sulla strada, sono la testimonianza di un profondo malessere della società. Offrendo a questi bambini e ragazzi un aiuto spirituale e materiale, e preoccupandosi che siano coinvolti nella vita religiosa e sociale, la Chiesa nello stesso tempo considera suo dovere essenziale cercare di consolidare l'istituzione della famiglia e di suscitare nei genitori la coscienza della propria vocazione, cosa che eliminerebbe la tragedia dell’abbandono dei minori.

 

Dignità e vocazione della donna

X.5. Nel mondo precristiano era cosa comune considerare la donna un essere di ordine inferiore rispetto all'uomo. La Chiesa di Cristo ha rivelato pienamente la dignità e la vocazione della donna, dandovi un solido fondamento religioso, al cui vertice sta la venerazione della santissima Madre di Dio. Secondo la dottrina ortodossa, la beatissima Maria, benedetta fra tutte le donne (Lc 1,28), ha rivelato fino a quale altissimo grado di purezza morale, di perfezione spirituale e di santità l'umanità ha potuto elevarsi, superando anche la virtù delle schiere angeliche. In lei la maternità è resa sacra e si afferma l'importanza del principio femminile. Grazie all'assenso della Madre di Dio si compie il mistero dell'incarnazione, per mezzo del quale Maria diviene compartecipe dell'evento della salvezza e della rigenerazione dell'umanità. La Chiesa ha una profonda venerazione per le donne mirofore del Vangelo e per le numerose figure di donne cristiane, glorificate dal martirio, dalla professione della fede e dalla santità delle virtù. Sin dagli inizi dell'esistenza della comunità cristiana, la donna prende parte attiva alla sua edificazione, alla vita liturgica, all’attività missionaria, alla predicazione, alla catechesi e alla carità.
Pur apprezzando molto il ruolo sociale della donna e approvandone la parità politica, culturale e sociale con l’uomo, la Chiesa nello stesso tempo si oppone alla tendenza a sminuire il ruolo della donna come sposa e madre. La parità fondamentale della dignità dei sessi non sopprime la differenza naturale che c'è tra essi, né implica l'identità delle loro vocazioni nell’ambito della famiglia e della società. In particolare, la Chiesa non può contraddire le parole dell'apostolo Paolo sulla peculiare responsabilità del marito, che è chiamato a essere «il capo della moglie», amandola come Cristo ama la sua Chiesa, e sulla vocazione della moglie a obbedire al marito, come la Chiesa obbedisce a Cristo (Ef 5,22-23; Col 3,18). In queste parole, ovviamente, non ci si riferisce al dispotismo del marito o all'asservimento della moglie, ma alla supremazia nella responsabilità, nella sollecitudine e nell'amore; non bisogna però dimenticare che tutti i cristiani sono chiamati a essere «sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21). Per questo «nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1Cor 11,11-12).
I rappresentanti di alcuni movimenti sociali tendono a sminuire, e talora anche a negare del tutto, l'importanza del matrimonio e dell'istituto familiare, rivolgendo l'attenzione soprattutto alle attività socialmente significative delle donne, comprese quelle incompatibili o poco compatibili con la natura femminile (per esempio, un lavoro manuale pesante). Non di rado si fa appello a un’artificiosa equiparazione fra uomo e donna in tutti i campi dell'attività umana. La Chiesa invece vede la vocazione della donna non nella semplice emulazione dell'uomo o nella competizione con lui, ma nello sviluppo di tutte le capacità e le abilità di cui l'ha dotata il Signore, comprese quelle che sono peculiari solo alla sua natura. Evitando di porre l'accento esclusivamente sulla distribuzione delle funzioni sociali, l'antropologia cristiana attribuisce alla donna un posto molto più alto di quello che le è assegnato nelle concezioni areligiose contemporanee. La tendenza a eliminare o a minimizzare le differenze naturali nel campo sociale è estranea al pensiero della Chiesa. Le differenze sessuali, come le differenze sociali ed etiche, non impediscono di accedere alla salvezza, portata da Cristo a tutti gli esseri umani: «non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Tuttavia questa affermazione soteriologica non implica un artificioso impoverimento della varietà che c'è tra gli esseri umani e non deve essere estesa meccanicamente a tutte le relazioni sociali.

 

La virtù della castità

X.6. La virtù della castità, predicata dalla Chiesa, è il fondamento dell'unità interiore della personalità umana, che dovrebbe sempre trovarsi in una condizione di armonia tra le energie spirituali e fisiche. La fornicazione distrugge inevitabilmente l'armonia e l'integrità della vita dell'uomo, danneggiandone la salute spirituale. La dissolutezza offusca la visione spirituale e indurisce il cuore, rendendolo incapace di amore autentico. La felicità di una vita familiare piena diventa irraggiungibile per il dissoluto. In tal modo, il peccato contro la castità trascina con sé anche conseguenze sociali negative. Nella condizione di una crisi spirituale della società umana, i mass media e i prodotti della cosiddetta cultura di massa spesso diventano strumenti di corruzione morale, esaltando il lassismo sessuale, ogni genere di perversione sessuale e altre passioni peccaminose. La pornografia, che è lo sfruttamento dell'istinto sessuale per scopi commerciali, politici o ideologici, contribuisce al soffocamento dei principi spirituali e morali, riducendo in tal modo l'uomo al livello dell'animale, che è guidato dal solo istinto.

La propaganda del vizio è particolarmente dannosa per le anime non ancora ben formate dei bambini e dei giovani. Attraverso libri, film e video, attraverso i mezzi di comunicazione di massa e persino attraverso alcuni programmi «educativi» agli adolescenti viene spesso inculcata una visione dei rapporti sessuali che è estremamente umiliante per la dignità umana, perché non lascia spazio a concetti quali la castità, la fedeltà coniugale e l'amore capace di abnegazione. I rapporti intimi tra l'uomo e la donna non solo vengono esibiti ed esposti in maniera ostentata, offendendo il naturale senso del pudore, ma sono anche presentati come un atto di soddisfacimento puramente fisico, privo di qualsiasi connessione con una profonda comunione interiore e con qualsiasi genere di impegno morale. La Chiesa invita i credenti a lottare, in collaborazione con tutte le forze moralmente sane, contro la propagazione di questa tentazione diabolica che, contribuendo alla disgregazione della famiglia, mina le fondamenta della società.
«Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore», dice il Signore Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,28). «La concupiscenza concepisce e genera il peccato, quand'è consumata produce la morte», ammonisce l'apostolo Giacomo (Gc 1,15). «... Né adulteri... erediteranno il regno di Dio», afferma l'apostolo Paolo (1Cor 6,9-10). Queste parole possono essere pienamente attribuite sia ai fruitori sia, ancor più, a coloro che producono materiale pornografico. A questi ultimi si applicano anche le parole di Cristo: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare... Guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Mt 18,6-7). «La fornicazione è un veleno che uccide l'anima... Chi fornica rinnega Cristo», insegnava s. Tichon Zadonskij. San Dimitrij di Rostov scriveva: «Il corpo di ogni cristiano non appartiene a lui, ma a Cristo, secondo le parole della Scrittura: 'Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte' (1Cor 12,27). Ed è sconveniente per te profanare il corpo di Cristo con azioni carnali, lussuriose, al di fuori del matrimonio legittimo. Tu infatti sei la casa di Dio, secondo le parole dell'Apostolo: 'Santo è il tempio di Dio, che siete voi' (1Cor 3,17)». La Chiesa antica negli scritti dei suoi padri e maestri (come Clemente Alessandrino, s. Gregorio di Nissa e s. Giovanni Crisostomo) ha invariabilmente condannato le rappresentazioni teatrali e le immagini oscene. Sotto la minaccia dell'esclusione dalla Chiesa, il 100° canone del Concilio trullano proibisce di produrre «immagini... che corrompono la mente e suscitano l'eccitamento dei piaceri impuri».
Il corpo umano è una stupenda creazione di Dio ed è destinata a diventare tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19-20). Condannando la pornografia e la fornicazione, la Chiesa non invita affatto a disprezzare il corpo o l'intimità sessuale come tali, perché i rapporti fisici tra l'uomo e la donna sono benedetti da Dio nel matrimonio, dove essi diventano la fonte della continuazione del genere umano ed esprimono l'amore casto, la piena comunione e l'«armonia delle anime e dei corpi» dei coniugi, per cui la Chiesa prega nella celebrazione del sacramento del matrimonio. Al contrario, ciò che di fatto va condannato è la tendenza a trasformare questi rapporti puri e degni secondo il progetto di Dio e lo stesso corpo umano in un oggetto di umiliante sfruttamento e di commercio, per trarre un soddisfacimento egoistico, impersonale, privo di amore e pervertito. Per questa ragione la Chiesa condanna invariabilmente la prostituzione e la predicazione del cosiddetto amore libero, che separa radicalmente l'intimità fisica dalla comunione personale e spirituale, dall'abnegazione e dalla totale responsabilità reciproca, che sono possibili solo nella fedeltà coniugale per tutta la vita.
Consapevole che la scuola, insieme alla famiglia, deve offrire ai bambini e agli adolescenti le nozioni sulla sessualità e sulla natura fisica dell'essere umano, la Chiesa non può approvare quei programmi di «educazione sessuale», che riconoscono come normali i rapporti prematrimoniali e, tanto più, le diverse perversioni. È assolutamente inaccettabile imporre tali programmi agli studenti. La scuola è chiamata a contrastare il vizio, che disgrega l'integrità della persona, a educare i giovani alla castità e a prepararli a creare una famiglia solida fondata sulla fedeltà e la purezza.

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