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  Come il giovane tenente colonnello Putin ha salvato gli archivi del KGB a Dresda dai dimostranti della Germania Est

Вести.Ru, 17 marzo 2018

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(Video non disponibile - chiedetevi perché)

Un’onda di proteste sconvolse la Germania Est nell’autunno del 1989. Nel mese di novembre, le autorità della Repubblica Democratica Tedesca aprirono i posti di blocco di confine, e un mese dopo i dimostranti cominciarono a chiedere che la Stasi fosse liquidata. Il 5 dicembre, proprio qui, davanti alla sede del Ministero della sicurezza dello Stato a Dresda c’erano migliaia di dimostranti.

Herbert Wagner, sindaco di Dresda dal 1990 al 2001: “Sono andato a casa e ho lasciato un bigletto per mia moglie: ‘Cara Pia, vado alla sede della Stasi. Stasera possono esserci problemi, per favore prega per me. Tuo Herbert’. Poteva essere una lettera d’addio”.

Herbert Wagner era un capo dei dimostranti che invasero la sede della Stasi. Il direttore del Ministero a Dresda, Horst Behm, aveva ordinato di aprire i cancelli, ma fu costretto a deporre le armi e ad aprire gli archivi. Fu allora che i dimostranti, ispirati dalla loro vittoria, si ricordarono che nella strada accanto c’era un edificio dei servizi segreti sovietici.

Herbert Wagner: “Uno dei dimostranti venne da me e mi disse: ‘Ora, andiamo a disarmare il KGB’. Io ero terrificato. Che bisogno avevano di provocare i militari russi e il KGB?”

Siegfried Dannat Grabs ha sempre vissuto sul lato opposto della villa del KGB in Angelikastrasse. Quando una folla si avvicinò alle sue finestre il 5 dicembre 1989, uscì a vedere di persona tutti gli eventi.

Siegfried Dannat Grabs: “Siamo qui. Il KGB era a sinistra, al numero 4 di Angelikastrasse. Sì, è qui che lavorava Putin. Questo muro era alto 3 metri. E qui era il posto dove stavano le guardie. Qui. No, qui. Questo tetto era sopraelevato, e non c’era questa stanza”.

“Dov’erano i dimostranti?”

“Il gruppo era qui, di fronte alla casa”.

Era quasi notte quando i dimostranti, per lo più giovani, si erano radunati attorno alla residenza sovietica. Erano dei radicali, determinati a mettere le mani sugli archivi del KGB.

“Appena arrivata la folla, i soldati di guardia sono usciti da questa casa e sono corsi all’ingresso dell’edificio. Poi  si è aperta la porta, ed è uscito un ufficiale in uniforme. Era piuttosto basso. Ha iniziato a camminare rapidamente verso la folla”.

“Lei è andato verso la folla. E poi?”

Vladimir Putin: “Onestamente, qui non vorrei entrare troppo in dettaglio. Una folla è una folla, ma quel che stava succedendo in Germania Est era naturale in quel momento. Ma, ovviamente, noi non potevamo lasciar uscire per strada i dettagli delle analisi investigative dei nostri servizi segreti. Non potevamo dare loro informazioni sulle persone con cui lavoravamo, e non nella Garmania Est, a proposito. Noi non lavoravamo nemmeno nella Germania Est: lavoravamo a partire dal territorio della Germania Est nei paesi del nemico principale, come dicevano a quei tempi. Ma naturalmente, non potevamo dare alcuna di quelle informazioni a nessuno, a prescindere dalla legittimità delle richieste di quella gente di controllarci”.

Mosca era neutrale nei riguardi dei processi politici nella Germania Est. I russi non criticavano le richieste dei tedeschi orientali, e non vi si immischiavano. Ma sapendo come le cose potevano andare per il peggio, accesero la fornace nella residenza. La usarono per bruciare documenti segreti, che contenevano nomi di persone che potevano essere compromesse se i dettagli fossero stati rivelati al pubblico. Come ricorda Vladimir Putin, egli stesso aveva bruciato così tanti documenti che la fornace si era crepata. La folla dei dimostranti era là proprio per quei documenti,

Vladimir Putin: “Dovevamo dimostrare di essere pronti ad agire nei termini dei nostri accordi statali allora in vigore. Anche le nostre guardie di sicurezza dovevano mostrare le loro armi, purtroppo, a mio parere”.

“In quel momento era armato?”

“Naturalmente, avevo la mia pistola di servizio: ero un ufficiale. Ma il problema non era la mia pistola di servizio, erano i fucili delle guardie di sicurezza”.

“Così, lei ha dovuto gestire i negoziati”.

“Sì. L’ho fatto. Sono uscito e ho chiesto alla folla che cosa volevano. Hanno detto che volevano ispezionare l’edificio. Ho detto che era una proprietà dell’esercito sovietico, e non era soggetto a ispezioni sotto i termini dell’accordo intergovernativo. Mi hanno chiesto dove avevo imparato a parlare così bene tedesco. Dovevo aderire alla mia copertura, così ho detto loro di essere un traduttore. Mi hanno chiesto perché avevo una macchina con targa tedesca. Ho detto che avevo diritto ad averne una secondo l’accordo intergovernativo. E così, abbiamo fatto una piccola discussione. Poi, i soldati e io ci siamo voltati e siamo rientrati. Era tardi, ma era stato necessario allertare le guardie”.

“Così, è stata una conversazione brusca?”

“Beh, non c’è stato nulla di osceno. Ho solo cercato di spiegare chi eravamo e perché non potevano ispezionare l’edificio”.

“Così si è voltato, dando la schiena a quelle persone aggressive?”

“Ebbene, sì, ho dovuto farlo. Ma ho pensato che fosse una dimostrazione di un certo livello di fiducia verso quelle persone, e di una mancanza di desiderio di elevare il conflitto da parte nostra”.

Siegfried Dannat Grabs: “Ha cominciato a parlare in ottimo tedesco e ha detto esplicitamente: ‘Vi intimo di evitare di entrare su questo territorio. I miei compagni sono armati e io ho dato ordini di difendere questo edificio’. La folla non se lo aspettava, e naturalmente, era intimorita dal vigore di questo ufficiale”.

Vladimir Putin: “La cosa più importante è che la situazione non è degenerata in un conflitto o in una sorta di confronto. Non ci sono state vittime. La gente ha agito in modo molto razionale, e noi non avevamo un’opzione di comportarci altrimenti, perché questa era la divisione dei servizi segreti internazionali dell’Unione Sovietica: non potevamo lasciar entrare nessuno”.

È sconvolgente, ma dopo aver preso facilmente d’assalto la Stasi, i dimostranti persero il loro coraggio incontro al KGB. In qualche modo, si convinsero che quelle erano persone con cui non bisognava avere a che fare. Anche i più coraggiosi, alcuni dei quali non erano sobri, iniziarono ad allontanarsi, guardandosi alle spalle.

Siegfried Dannat Grabs: “Quell’ufficiale russo, che poi si scoprì essere Vladimir Putin, un impiegato del KGB a Dresda, aveva contribuito a tale risultato”.

Lazar Matveev, rappresentante del KGB in Germania Est negli anni ’80: “Aveva talento nel parlare con le persone, di andare d'accordo con loro, sapeva come trarne beneficio”.

Grazie il fatto che le proteste a Dresda non portarono a un bagno di sangue, il loro organizzatore Herbert Wagner divenne presto sindaco della città. Ora conserva le immagini di Putin in un museo della Stasi da lui fondato.

Herbert Wagner: “Il fatto che tutto sia finito in modo pacifico, che non ci siano state vittime, per me è stato il più grande miracolo di tutti”.

Tuttavia, tutta la Germania Est era ancora in crisi durante la fine del 1989. Interi distretti ed entità governative furono liquidati. Questo fu meno di un anno prima dell'annientamento della stessa Repubblica Democratica Tedesca.

Il muro tra Berlino Est e Ovest è caduto il 9 novembre 1989. In questo momento, è difficile immaginare che il muro fosse proprio contro queste colonne: la Porta di Brandeburgo che era stata un simbolo della separazione della Germania per 30 anni, divenne immediatamente un simbolo di unità, tuttavia il muro rimase per un altro anno: iniziarono a demolirlo nell'autunno del 1990, quando Vladimir Putin era già tornato in Unione Sovietica, quindi non è riuscito a vedere questo evento con i suoi occhi. Tuttavia, erano in corso serie demolizioni nel suo stesso paese, e non era più preoccupato di questo muro.

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