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  La struttura morale della politica estera russa offre un'alternativa pacifica alle crociate dell'Occidente

di Nicolai N. Petro

Russia Insider

4 novembre 2015

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Dove gli Stati Uniti cercano di diffondere i loro valori e istituzioni con la forza e, se necessario, unilateralmente, la Russia parte dal presupposto che è un bene che le nazioni non occidentali siano fedeli a se stesse, e che all'Occidente consumista manca la capacità culturale e spirituale per affrontare molte crisi globali emergenti

La struttura morale della Russia, in particolare quella applicata alla politica estera russa contemporanea, si differenzia nettamente da quella occidentale.

Anche se la Russia post-sovietica non ha un'ideologia che la guida, di fatto sostiene che certi valori, se adottati come principi condivisi di comportamento, sono più congeniali all'ordine internazionale rispetto ad altri.

La Russia vorrebbe vedere tali principi di comportamento adottati più ampiamente, ma, riconoscendo che lo sviluppo culturale di ogni nazione è unico, si oppone decisamente agli sforzi per promuovere qualsiasi insieme di valori etici al di fuori dei suoi confini.

Quindi, l'unica volta che la comunità internazionale può legittimamente appellarsi a norme etiche transnazionali, è quando queste sono sanzionate dalle Nazioni Unite. Si tratta di un limite alto, ma, come la Russia sostiene, è stato impostato alto di proposito, per evitare abusi.

I valori specifici che la Russia vede come più congeniali per l'ordine internazionale sono quelli condivisi dalle quattro comunità religiose tradizionali della Russia – giudaismo, cristianesimo, islam e buddhismo. La loro interazione tranquilla l'una con l'altra e con lo Stato, come la Russia sostiene, dimostra che la religione non deve necessariamente essere una fonte di conflitti nel mondo moderno. Di fatto, i portavoce russi hanno spesso sostenuto che le nazioni occidentali potrebbero imparare molto dal modello russo.

Questo quadro morale ha portato a quattro aree di attrito con l'Occidente.

La prima ha a che fare con la natura dell'ordine internazionale. Dal momento del progresso dei diritti umani e della democrazia come espliciti obiettivi della politica estera degli Stati Uniti negli anni '70, i leader politici occidentali hanno sostenuto che, nel migliore dei mondi possibili, la politica estera è un riflesso della politica interna.

La teoria costruita intorno a questo presupposto – la "teoria della pace democratica" – nella sua forma più popolare è volta a suggerire che le democrazie non si fanno la guerra tra loro. Gli stati che promuovono la democrazia stanno pertanto promuovendo un ordine internazionale moralmente auspicabile, mentre gli stati che obiettano a tali sforzi sono considerati immorali.

Poiché la preoccupazione occidentale per la democrazia e i diritti umani ha superato quella delle istituzioni internazionali, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno cercato modi per aggirare queste istituzioni, sostenendo che i valori occidentali sono de facto, se non de jure, lo standard internazionale. Quando diverse nazioni occidentali agiscono di concerto, di conseguenza, non richiedono alcun mandato esplicito delle Nazioni Unite. Questa è stata una fonte di notevole attrito tra la Russia e l'Occidente.

Quanto la nostra struttura morale si è spostata nel tempo, si può dedurre dal fatto che oggi il più noto formulatore della preoccupazione di Adams, che, se l'America divenisse "la dittatrice del mondo, non sarebbe più padrona del proprio spirito", non è neppure un americano. Si tratta di Vladimir Putin.

Né il quadro morale della Chiesa ortodossa sembra tanto "anti-moderno" o "anti-liberale" quanto appare a prima vista. Gli scritti degli alti esponenti del clero russo su questi argomenti sono piuttosto sfumati, e sostengono che sia l'illuminismo sia il liberalismo erano entrambi ideali sociali validi e progressivi al loro tempo, ma avendo abbandonato il quadro morale fornito dalla Chiesa, si sono deformati e sono diventati mostruosa.

Ciò che la Chiesa ortodossa rifiuta, e lo fa con tutto il cuore, è la laicità. E il fatto che le società occidentali contemporanee tendono a considerare la laicità, insieme con la modernità e il liberalismo, come la quintessenzale trinità occidentale dei valori, è una cosa a cui la Chiesa ortodossa russa è pronta a opporsi.

Questo è, naturalmente, un conflitto di visioni, e ne sono inevitabili alcune conseguenze politiche. È anche comprensibile che, nel discorso laicista, la Chiesa ortodossa russa sia spesso trattata come un attore politico, perché chiaramente lo è. È anche un attore economico, un attore legale, un attore culturale, un attore educativo, insomma è attiva in letteralmente ogni sfera della vita pubblica.

La questione su cui dobbiamo riflettere, però, è il modo migliore per prevenire che questo conflitto di ideali si traduca in aperta ostilità. Un modo per mitigare le ripercussioni politiche che derivano dalle nostre escatologie contrastanti potrebbe essere riconoscere quanto poco questa attività secolare significa per la Chiesa ortodossa.

Non dovremmo mai perdere di vista il fatto che la Chiesa si vede, in primo luogo, come un attore soprannaturale – la manifestazione dello Spirito Santo nella storia. Che cosa importano le battaglie politiche quando si è in competizione per ogni singola anima, per l'anima stessa dell'umanità? Quest'ultima è l'unica lotta che ha significato per la Chiesa e che è la sua ragion d'essere, e il suo esito non sarà deciso dalla politica.

Inoltre, in questa battaglia che definisce ogni cosa, la Chiesa ha un vantaggio quasi insormontabile su tutti gli attori politici, i governi, e persino le nazioni. La sua misura per il successo è l'eternità, un campo su cui è terribilmente difficile competere.

Ma quanto successo può avere la Russia nei suoi sforzi per propagare il suo quadro morale? E quanto è attraente quest'ultimo? La risposta dipende da qual è la regione del mondo di cui stiamo parlando.

Se si pensa al soft power come all'uso di affinità religiose e/o culturali per raggiungere obiettivi di politica estera, allora non è sorprendente che la maggior parte dei vicini della Russia rimangano molto ricettivi al soft power russo.

A volte, come in Ucraina e in Georgia, questa dipendenza reciproca si manifesta in un rapporto di "amore-odio" che mantiene la Russia al centro dell'attenzione pubblica, anche qundo le élite nazionali cercano disperatamente di far prendere dal loro paese le distanze dall'influenza culturale russa.

Cultura e religione, pertanto, restano elementi potenti negli sforzi della Russia per stabilire un'Unione Eurasiatica e per impedirne le alternative, dal momento che è sempre più facile creare opzioni politiche e economicamente interessanti a partire da una base culturale comune, piuttosto che tentare il contrario.

Ma il vero test per il soft power russo sarà se riuscirà a modellare preferenze nelle aree del globo che sono state tradizionalmente al di fuori della sua influenza culturale. Per espandere la sua portata, la Russia sta promuovendo due messaggi semplici che possono risuonare in profondità in molti stati non occidentali.

Il primo è che è un bene che le nazioni non occidentali siano fedeli a se stesse. Per avere successo nel mondo, non c'è bisogno di muoversi in sincronia con il modello occidentale di sviluppo. L'ascesa dei BRICS, come la Russia sostiene, ha dimostrato che gli approcci diversi allo sviluppo sono in grado di competere con successo con il "consenso di Washington", e che le tradizioni locali sono in grado di fornire un serbatoio di risorse sociali che possono essere utilizzate per migliorare la competitività globale.

Il secondo messaggio è che è del tutto legittimo sfidare le prevalenti nozioni occidentali riguardanti i vantaggi di una società consumistica. In molte società non occidentali, il consumismo è accusato non solo per aver portato direttamente a una crisi spirituale, ma anche a una crisi di risorse, demografica ed ecologica. La risposta comune è stata quella di cercare uno sviluppo spirituale autoctono sostenibile, su cui costruire uno sviluppo economico autoctono sostenibile.

Nel suo libro The Righteous Mind, il professor Jonathan Haidt mette in evidenza il vasto divario di valori che esiste tra le nazioni WEIRD [ovvero "strambe", ndt]: "Western, Educated, Industrialized, Rich, and Democratic", e le nazioni che prediligono un'etica "di comunità" o "di divinità". In queste ultime, scrive Haidt,"la libertà personale delle nazioni occidentali laiche", inclusa la sfrenata libertà d'espressione – "sembra libertinismo, edonismo e una celebrazione dei più bassi istinti dell'umanità".

Ciò che ha trasformato questo piuttosto amorfo consenso sui valori in un riconoscibile ordine del giorno globale per un nuovo ordine mondiale è il crescente senso che all'Occidente, anche se è ancora dominante per potere, ricchezza e risorse, manca la capacità culturale e spirituale per affrontare molte crisi globali emergenti. Le religioni tradizionali rafforzano anche in genere l'idea che ci sia un limite alla capacità umana di trasformare se stessa e il suo ambiente, e che affermare il contrario, come fanno valori dei paesi "WEIRD", è arroganza pericolosa.

Per la maggior parte, tuttavia gli analisti occidentali non possono capire perché ciò porterebbe a una confluenza di interessi tra diversi paesi come Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. [1] Forse un modo migliore di pensare è questo: il soft power dei paesi BRICS è un'espressione non di un insieme qualsiasi di valori nazionali, ma dei valori comuni che, secondo questi stati, dovrebbero essere alla base di un nuovo ordine internazionale.

Struttura morale della Russia si inserisce alla perfezione in quest'ordine del giorno, ingigantendo l'impatto del soft power russo. La Russia ora ritiene di poter contare su una base di stati che l'assistono a fronte di una forte ostilità occidentale, dal momento che i suoi sforzi beneficiano non solo la Russia, ma indirettamente tutte le nazioni che condividono il desiderio di un nuovo ordine internazionale.

Nicolai N. Petro è un professore dell'Università del Rhode Island.

Questa è una versione estesa della presentazione dell'autore "Russia’s Soft Power: A Matter for Church and State", in occasione del Carnegie Council for Ethics in International Affairs a New York, il 10 settembre 2015.

[1] Una notevole eccezione è il professor Gilbert Rozman il cui ultimo libro, The Sino-Russian Challenge to the World Order, sostiene che tra la Cina e la Russia è emersa una profonda affinità culturale, che si basa sul comune obiettivo di ridisegnare l'attuale sistema internazionale westfaliano.

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