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  Domenica 2 settembre 2001 (13a dopo Pentecoste) La parabola dei vignaioli omicidi (Matteo 21:33-44)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

La parabola dei vignaioli omicidi, che la Chiesa assegna alla tredicesima domenica dopo la Pentecoste, appare in tutti e tre i Vangeli sinottici. Il brano che abbiamo letto è quello del Vangelo Secondo Matteo (al capitolo 21). In questa storia strana, ricca di simboli e di tensione drammatica, si racconta con minuzia di dettagli la preparazione di un terreno, e tre diversi episodi in cui i lavoratori assegnati ad avere cura del terreno maltrattano gli emissari del loro padrone. Nell'ultimo dei tre incidenti, è il figlio stesso del padrone a essere gettato fuori della vigna e ucciso.

La storia è presentata come una condanna a quegli ebrei che presto avrebbero rifiutato il Messia (e di fatto, alla conclusione del brano, si sente serpeggiare l'ira dei sacerdoti e dei farisei, che capiscono che la parabola riguarda loro stessi); come accade nei passi del Vangelo, tuttavia, ci sono molti altri significati racchiusi in queste parole. Ricordiamoci anzitutto che c'è in gioco la nostra salvezza, e c'è sempre un significato delle parole del Vangelo che illustra direttamente il processo della salvezza. Qui lo scopo della parabola, ovvero l'aspettativa del padrone della vigna, non è nient'altro che la crescita dei beni che Dio ci ha dato, o che ha "piantato" in noi.

In questo racconto, il padrone della vigna è indubbiamente Dio. La vigna, nell'interpretazione che i sacerdoti e i farisei colgono subito, è il popolo di Israele, guidato da capi disonesti, che invano il Signore cerca di avvertire inviando i suoi profeti, e in ultimo il proprio stesso Figlio. Con la venuta del Messia, possiamo ora vedere anche la Chiesa come vigna, o popolo, del Signore. Ma in una visione più interiore dei simboli di questo racconto, la vigna rappresenta noi stessi, forniti di tutto il necessario per la salvezza tramite il battesimo e la molteplice e continua misericordia di Dio, nonché, come dice il Beato Teofilatto nel commentario a Luca 20:9-16, "responsabili della coltivazione di noi stessi".

Matteo, più di Marco e Luca, insiste nel suo racconto sui particolari della costruzione della vigna: il padrone "piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre" (Mt 21:33) Tutti questi dettagli hanno qualcosa da dirci. Una siepe di recinzione viene di solito piantata per proteggere un terreno dagli animali predatori e dai ladri. Questa era la funzione della Legge, che proteggeva il popolo ebraico dalla contaminazione pagana dell'idolatria. Secondo un'altra interpretazione che ci danno i Padri la siepe rappresenta gli angeli, che custodivano Israele. In entrambi i casi, la siepe protegge quanti credono in Dio in modo corretto, e lo adorano in Spirito e verità. Un simbolo simile è il fianco di una nave, che protegge i marinai dalle tempeste (anche l'arca e le navi, così come la vigna, sono forti simboli della Chiesa).

Il frantoio, che era usato come pressa per i grappoli d'uva, è visto come simbolo dell'altare, che era tanto essenziale nel culto e nei sacrifici ebraici, e che prefigurava, con il sangue degli animali sacrificali, il Sangue redentore di Gesù Cristo. Oggi l'altare è ancor più importante per noi, dato che da esso ci viene data in nutrimento la "medicina dell'immortalità" (la Santa Eucaristia). La torre (che nell'usanza ebraica conteneva il frantoio e il magazzino dell'uva e del vino) è il Tempio: si tratta del luogo in cui il lavoro della vigna trova il suo compimento, e nel quale i lavoratori ricevono ristoro e protezione.

Tutta la preparazione della vigna è fatta dal padrone: i vignaioli sono lasciati responsabili della vigna DOPO che questa è stata piantata. Succede lo stesso nella vita cristiana. Dio si rivela a noi attraverso la sua misericordia, e ci dona tutto il necessario per la nostra salvezza. Non dobbiamo appropriarci il credito delle cose che ci sono date, poiché "Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene" (Ef 2:8-9). Tuttavia, dopo che ci è donata la grazia del battesimo, dobbiamo prenderci cura della vigna, vale a dire, compiere il proposito per cui Dio ci ha creati: "Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (Ef 2:10).

Anche i vignaioli possono essere interpretati in due modi. I primi vignaioli sono gli insegnanti del popolo ebraico, gli scribi e i farisei (che del resto si riconoscono subito nel racconto del Signore). Ai nostri tempi, i vignaioli sono i pastori della Chiesa, i vescovi, i preti che rappresentano i vescovi nelle parrocchie, e tutti i cristiani che credono e agiscono rettamente.

Dopo che la vigna è stata affidata ai vignaioli, il padrone va "in un paese lontano". C'è sempre un profondo significato in questi spostamenti: pensate, per esempio, a quanto è importante il senso del "paese lontano" nella parabola del figliol prodigo, in cui l'allontanamento significa l'abbandono della virtù. In questo caso, però, è Dio stesso ad allontanarsi, e questo può far pensare che Egli voglia abbandonare il suo popolo. Tutt'altro: come si vede in seguito, ogni istante riflette la preoccupazione del padrone per la sua vigna. Ma Egli agisce sempre attraverso intermediari, e in questo si manifesta il grande mistero dell'amore e della pazienza di Dio, che aspetta il nostro pentimento senza intimidirci con una sua presenza potente o schiacciante. Se sappiamo usare bene il tempo che il Signore ci dà proprio quando Egli sembra più lontano da noi, allora sapremo anche trarre frutto dalla libertà di azione che ci ha donato.

Conoscendo la nostra debolezza, tuttavia, Dio ci manda anche altri stimoli a seguirlo, attraverso persone che parlano a suo nome (è questo il senso più autentico della parola "profeti"). Ecco il senso dei servitori che vengono inviati a più riprese a reclamare i frutti della vigna per conto del padrone. Essi arrivano "quando è il tempo dei frutti", e di fatto l'intera era dei profeti era un periodo in cui si predicava l'arrivo imminente del Messia e la prossima redenzione dell'uomo. Le sventure a cui vanno incontro i profeti sono ben note (pensiamo a Isaia segato in due, a Geremia malmenato e gettato in un pozzo, a Elia inseguito dai cani da caccia, a Zaccaria ucciso tra il tempio e l'altare): La Lettera agli Ebrei, al capitolo 11, ne offre un resoconto drammatico.

Alla fine, il messaggio dei profeti (in questa parabola, così come nella storia della salvezza) si compendia nella venuta del Figlio unigenito di Dio. Nella parabola, Gesù profetizza la sua stessa morte parlando della morte del figlio "cacciato fuori" dalla vigna (il Signore fu crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme). Può sembrare strano che il padrone della vigna (che dopotutto è Dio, e ci si aspetta che conosca il cuore degli uomini) si ponga una domanda sull'efficacia del ruolo del figlio, e addirittura (nel Vangelo di Luca) mostri incertezza: ma questo dubbio apparente vuole insegnarci che Dio ci dà piena libertà di scelta, e la sua conoscenza anticipata delle cose non è la causa della nostra disubbidienza (Beato Teofilatto, Commentario su Luca 20:9-16). Questa forma letteraria si trova presto nelle Scritture.

La parabola si chiude con una profezia sul fato dei vignaioli omicidi, che nel caso dei sacerdoti e dei farisei si compì esattamente trentacinque anni dopo quello stesso giorno, quando Tito distrusse la "vigna" di Gerusalemme. La vigna del popolo di Dio fu passata quindi ad altri vignaioli, i pastori e i fedeli della nostra Chiesa. Ancora oggi, cari fratelli e sorelle, spetta a ciascuno di noi il compito di custodire la vigna del Signore e portare i frutti che sono stati seminati in noi al momento del battesimo.

Al termine del brano del Vangelo c'è una citazione, in cui Cristo parla di se stesso:

La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? (Salmo 117:22-23)

Questi due versi sono letti spesso in Chiesa (nella maggior parte degli offici del Mattutino, al canto antifonale di "Dio è il Signore". Una testata d'angolo è la pietra più solida si un edificio, che tiene in piedi assieme due muri. Nella comprensione della Chiesa, Cristo è la pietra angolare che tiene assieme i "muri" degli ebrei e dei gentili. Rifiutando Cristo come pietra angolare, gli scribi e i farisei (di ogni epoca) perdono il Regno di Dio, che viene dato ad altri.

"Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà" (Mt 21:44) Questa promessa è terribile e al tempo stesso enigmatica. La profezia di distruzione, da una parte, è rivolta direttamente agli ebrei, realizzandosi alla vista di tutti nella distruzione di Gerusalemme. L'altro aspetto della profezia riguarda tutti coloro che incontrano Cristo, e indica la perdita totale di un'anima che rifiuta di credere in lui: la prima parte del verso parla tuttavia del processo di redenzione dei peccatori, come dice San Girolamo:

"Chiunque pecca, ma crede in lui, cade invero su una pietra e si spezza, ma non viene distrutto del tutto, bensì è custodito per la salvezza attraverso la perseveranza. Ma su chiunque cade la pietra, ovvero chiunque assale questa pietra negando completamente Cristo, essa lo stritolerà in tal modo, che non rimanga in lui un osso da cui poter trarre una goccia d'acqua."

Chiediamo a Dio, mentre si avvicina il "tempo dei frutti" della nostra vita, di saper riconoscere sempre la pietra d'angolo su cui è costituita la nostra esistenza e la nostra felicità.

Amen.

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