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  Domenica 6 febbraio 2000 (36a dopo Pentecoste) La donna cananea (Matteo 15,21-28)


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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi è la trentaseiesima domenica dopo la Pentecoste, nonché la festa di due sante di nome Xenia ("la straniera"): la Santa Martire Xenia di Roma (V secolo), e la beata Ksenija "folle in Cristo" di San Pietroburgo (XVIII-XIX secolo).

A causa della data della Pasqua, che quest'anno è molto avanzata, oggi non è ancora la domenica prima dell'inizio del Triòdio (il periodo che comprende la Grande Quaresima). Nella domenica prima del Triodio (la prossima) si legge il passo di Zaccheo il Pubblicano (capitolo 19 di Luca: ve lo dico in modo che possiate andarlo a vedere per avere un'idea del brano di domenica prossima).

Il brano del Vangelo che oggi ci propone il Tipico della Chiesa è quello della donna cananea (Matteo 15, 21-28). È il resoconto di un incontro tra il Signore e una donna estranea al popolo di Israele (quanto è curioso, che proprio oggi si venerino due sante dal nome di "straniere"!). Anzi, più che un resoconto è uno spettacolo. Vi lascio immaginare quale scena possa fare questa donna che segue per strada Gesù e i discepoli gridando aiuto per la figlia, e cercando di ottenere la loro attenzione. Eppure, è una donna che ci può insegnare molto. Ci può insegnare l'umiltà, addirittura nella sua forma estrema di accettazione serena delle umiliazioni, ci può insegnare la sobrietà nel chiedere quanto è necessario e non di più, ma soprattutto ci può insegnare la fede. Infatti, è la fede di questa donna che provoca alla fine il miracolo, ed è per la sua fede che Gesù la loda. Dalla sua fede nascono le sue altre buone qualità.

Il nostro Signore viaggia sulla costa fenicia, terra di pagani, in uno dei periodi in cui si ritira dalla scena del popolo di Israele, dopo che sono scoppiati tumulti in seguito alla sua predicazione. Non si tratta di un viaggio missionario, solo di una sosta di passaggio, prima di riprendere il ministero al popolo ebraico.

Ed ecco che arriva la straniera, persistente come sanno essere solo quelle persone che vedono di fronte a loro la grande occasione della propria vita (abbiamo di recente letto in chiesa il passo del cieco di Gerico, che ripete molte volte il suo appello anche di fronte all'imbarazzo dei vicini). Questa insistenza in una donna (e per di più una donna pagana) doveva essere certamente uno spettacolo imbarazzante.

Ma quando la donna riesce a ottenere la sua attenzione, e gli spiega il proprio caso, Gesù non dice nulla. Semplicemente, la ignora. Qui la nostra mentalità un po' viziata riceve un primo brutto colpo. Non succede forse anche a noi lo stesso quando ci sembra che le nostre preghiere non siano ascoltate esattamente nel modo in cui desideriamo? Ma Cristo ci chiede perseveranza. Anche a costo di sembrare ostinati e antipatici. Se una nostra richiesta non vale davvero la pena di un po' di insistenza, allora è probabile che Dio continui a camminare, lasciandoci per strada.

Comunque, la donna mostra di avere davvero a cuore la salute della figlia. Ora è davvero sola, anche gli apostoli (che nel pensiero dei Padri avevano dapprima cercato di parlare a suo favore, ma poi si erano stancati di lei) stanno chiedendo al Signore di allontanarla, e la sua unica speranza resta quell'uomo che non la ascolta. Si umilia, persevera, lo adora. "Signore, aiutami".

Quando finalmente Gesù le parla, ecco un altro bel colpo al nostro ego. "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini". Che i figli rappresentino il popolo di Israele, ci può ancora andare bene, ma essere paragonati ai cani! A quei tempi, essere chiamato cane (un animale impuro) era uno dei più grandi insulti. Ma questa donna non si ritrae inorridita. E il Signore lo sa, e sa che la sua reazione mostrerà la sua grande fede, e l'umiltà che nasce da questa fede. La risposta della donna è meravigliosa: "È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalle mense dei loro padroni".

E qui lo spettacolo di insistenza diventa un incredibile spettacolo di umiltà. La chiave di questa umiltà resta la fede onesta di una persona che sa di fronte a chi si trova, sa che dal Signore si può accettare anche un insulto (perché questo non è poi altro che una cruda dichiarazione della verità) e sa che il Signore può esaudire, e di fatto esaudisce, le nostre richieste più profonde. "Donna, davvero grande è la tua fede". E la figlia guarisce.

Che il Signore ci doni davvero la perseveranza e la fede della donna cananea! Vorrei permettermi di estendere questo augurio a tutti gli ortodossi in Italia, affinché sappiano accontentarsi delle "briciole" che il Signore ci può dare per ora (magari, solo per mettere alla prova la nostra fede), e senza andare in collera o demoralizzarsi se si sentono additati come "cagnolini" nel panorama religioso del nostro paese. Il Signore sa che cosa abbiamo di più caro al nostro cuore, ma aspetta che glie lo chiediamo con fede, pazienza e umiltà.

Amen.

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