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  Padre Touma (Bitar): Una lettera al patriarca di Antiochia sul prossimo Concilio

Dal blog Notes on Arab Orthodoxy

7 giugno 2016

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Una lettera a sua Beatitudine, il nostro padre e patriarca Giovanni X, e ai membri del Santo Sinodo di Antiochia per quanto riguarda il Grande Concilio

A sua Beatitudine, il nostro padre

Giovanni X (Yazigi)

e alle loro Eminenze, i membri del Santo Sinodo di Antiochia

Centro patriarcale, Balamand

Padre nostro, sua Beatitudine il patriarca,

Dopo aver chiesto la sua benedizione e le sue preghiere, le presento, come figlio della Chiesa ortodossa presso la Santa Sede di Antiochia, questa analisi e alcune domande e impressioni per quanto riguarda il "Grande" Concilio, che si terrà nel mese di giugno 2016. Presento queste note a lei e al Santo Sinodo come un modesto contributo per accostarci al prossimo Concilio. Possano essere di beneficio come sfondo e per plasmare il possibile risultato finale di questo straordinario evento nella vita della Chiesa di oggi.

Il vostro figlo in Cristo,

Archimandrita Touma (Bitar)

Famiglia della santa Trinità

21 maggio 2016

Il "Grande e Santo" Concilio

Un'analisi, domande e impressioni

Il Sinodo non è un "potere" nel senso giuridico del termine, perché non può esistere alcun potere sulla Chiesa, il corpo di Cristo. Il sinodo è, piuttosto, un testimone dell'identità di tutte le chiese come la Chiesa di Dio nella fede, nella vita e nella "agape".

Alexander Schmemann, 1963

Una prefazione necessaria

Questo concilio è presvisto tra il 16 e il 27 giugno del 2016. La sua caratterizzazione, da parte di coloro che lo hanno preparato, come "grande e santo" non significa nulla in questa fase, anche se forse intendevano con questo qualcosa di specifico. Siamo una Chiesa teantropica. La Chiesa è Gesù Cristo! Ciò che appartiene allo Spirito di Dio è giudicato solo spiritualmente (cfr 1 Cor 2)! Lo Spirito opera e parla nella coscienza della Chiesa, che non è limitata né a un individuo né a un gruppo – incluso un concilio, ogni concilio, non importa chi sia a riunirsi in esso, quale sia il loro numero o i problemi che essi esaminano! Questo, nell'espressione degli Atti degli Apostoli, in ciò che è noto come Concilio di Gerusalemme, dove gli apostoli, i presbiteri e tutta la massa dei fedeli radunati – vale a dire, la Chiesa locale – è detto in due affermazioni prese dal messaggio ai fratelli fra i gentili di Antiochia, Siria e Cilicia. La prima: "È parso bene a noi, riuniti di comune accordo" (At 15:25). La seconda: "È parso bene allo Spirito Santo, e a noi" (At 15:28). Queste due affermazioni non sono fatte come rappresentazioni, perché lo Spirito Santo è un rivelatore di segreti e l'ultima parola appartiene alla verità divina. Non è di proprietà dei "pilastri". Dio non fa distinzioni di persone, come dice l'Apostolo eletto, perché lo Spirito può suscitare i più piccoli tra loro come portatori della sua parola. Il finale non è di proprietà di coloro che sono considerati come saggi e competenti perché lo Spirito rivela la verità, ancora e ancora, e a volte suscita gli ignoranti del mondo per confondere i sapienti (cfr 1 Cor 1:27)!

Pertanto, il Concilio attuale non è altro che un concilio o anche solo una riunione di vescovi, anche se essi sono i "rappresentanti" di quelle che sono considerate tutte le quattordici "chiese autocefale" nel mondo ortodosso. Le sedi aumentano e diminuiscono – questa è una disposizione umana! Nella Chiesa, non ci sono rappresentanti di gruppi, ma voci per lo Spirito di Dio nella Chiesa, perché non derivano il loro valore da loro stessi o dai loro gruppi e di per se stessi non sono di alcuna importanza! Solo se lo Spirito è in loro e in ciò che propongono, diventeranno un "grande e santo" Concilio! Dico questo in modo che nessuno pensi che la Chiesa di Cristo sia una tribù pagana o che sia un regno governato come sono governati i popoli di tutto il mondo, quelli sui quali giudica la Parola di Dio: "i governanti delle nazioni signoreggiano su di loro, e i grandi tra loro esercitano autorità su di loro... ma chi vorrà diventare grande tra voi, si faccia vostro servo" (Mt 25-26).

Questi sei documenti, che sono il prodotto di incontri e preparazioni durate cinquantacinque anni e che portano le firme dei rappresentanti delle Chiese ortodosse alla riunione ortodossa a Chambésy, Svizzera, il 21-28 gennaio 2016, come anche la loro formulazione quasi finale che sarà presentata al prossimo Concilio per un'ultima considerazione e una decisione – dico che questi documenti vengono presentati alla coscienza della Chiesa, non imposti su di essa! Pertanto, qualunque possa essere la loro formulazione finale, essi non derivano la loro autorità sulla Chiesa dal fatto di essere stati promulgati da quelli raccolti nel prossimo Concilio! Questo non è corretto! La parola decisiva rimane quella dello Spirito di Dio che è attivo nella Chiesa! Nessuna identificazione è possibile tra un qualsiasi concilio e lo Spirito nella Chiesa! La consultazione in seno al Concilio, anche se si discute, non può essere considerata come una conclusione scontata. Anche se il Concilio parla in nome di Dio e della sua Chiesa, le sue decisioni non possono essere considerate come espressioni automatiche della verità del Vangelo. Il concilio, così come i suoi individui, merita rispetto, in ogni caso, ma ciò che viene promulgato da esso non è accettato automaticamente. Esso non obbliga la Chiesa a meno che non sia trasparente e in accordo con lo Spirito di Dio e la coscienza della Chiesa! Non possiamo sottostare alle decisioni di un concilio, qualsiasi concilio, a meno che esso non sia sottomesso a Dio, in spirito e verità! Identificare la correttezza di una dichiarazione conciliare è responsabilità della Chiesa nella sua interezza, e quindi di ogni suo credente, con la forza della grazia generosamente elargita al popolo di Dio per essere re, sacerdoti e profeti per Dio!

Pertanto, quei documenti contrassegnati con le firme di coloro che hanno partecipato alla riunione di Chambésy – per non parlare di ciò che è venuto prima – sono, fino a nuovo avviso, niente di più che indicazioni della presenza di coloro che hanno partecipato! Le loro posizioni, siano esse per convinzione, ignoranza o acquiescenza verso il contenuto dei documenti, non obbligano la Chiesa. La Chiesa può respingere ciò che questi documenti contengono, in tutto o in parte, se percepisce, nello Spirito di Dio, che il contenuto è difettoso! Non è forse Dio che deve essere obbedito, e non gli uomini? Pertanto, non siamo vincolati da un documento o da firme! Non siamo in catene a causa degli uomini, ma ambasciatori in catene per amore di Gesù Cristo, il Signore della gloria, come Paolo, l'Apostolo dei gentili (cfr Ef 6:20).

Dico questo in modo che nessuno di coloro che hanno firmato si vide costretto a vincolare la Chiesa, per il semplice fatto di avere in precedenza concordato un testo o di essere stato legato a una posizione! La loro firma è la loro coscienza in Cristo prima di tutto! Il pentimento dall'errore, che può verificarsi, è meglio della persistenza in esso per preservare l'onore umano. Erode, che ha ordinato di decapitare Giovanni Battista sapendo che Giovanni era un profeta, e non ha fatto un passo indietro, per salvare la faccia di fronte ai dignitari e ai funzionari, era, oltre che un adultero, un criminale! Pertanto, ciò che appare nell'articolo 11, paragrafo 2, del regolamento procedurale del "Grande e Santo" Concilio, per quanto riguarda le modifiche ai testi, che dice che modifiche, aggiunte o correzioni "non approvate all'unanimità non devono essere trasmesse" non è in armonia con la fiducia nel Signore Gesù Cristo, a lui sia la gloria. Questo non lascia spazio a qualsiasi cambiamento significativo ai testi preparati, come se questi fossero stati inviati dal cielo! La flessibilità è necessaria! Solo di ciò che è nella Sacra Bibbia e di quanto è stabilito nella coscienza della Chiesa, non cambiamo una sola lettera. A parte questo, tutto è sotto verifica e prova, non importa quanto tempo ci abbia preso il suo esame! Non ci sono limiti accettabili nel trattare con i testi proposti, soprattutto se c'è in loro qualche ambiguità o se toccano questioni dogmatiche o ecclesiologiche, come è il caso di alcuni punti contenuti in questi testi. Pertanto si presume che, fino alla fine, restino aperti ad aggiunte, modifiche e cancellazioni anche totali, perché "la parola di Dio non è incatenata" (2 Timoteo 2:9).

Quindi, non è accettabile ottenere l'assenso dei vescovi e del popolo di Dio per mezzo di un braccio di ferro o un'estorsione! Se il lavoro del Concilio non è aperto allo Spirito e alla verità in ogni caso, allora ignora Dio in nome di Dio! Dio non voglia che sia così! L'ultima parola, in ogni questione, appartiene al solo Verbo! Il Concilio agisce in Cristo, oppure che valore ha?

Alcune premesse ecclesiologiche

La Chiesa è un popolo e un vescovo, in Cristo, in un dato territorio. Non c'è popolo senza un vescovo e non c'è vescovo senza un popolo. Il popolo è nel vescovo e il vescovo è nel popolo (san Cipriano di Cartagine). Sono entrambi in Cristo, nella corretta fede nel Signore Gesù Cristo, attivi nel vivere l'amore. Noi non addomestichiamo eventuali difetti nella fede e non permettiamo alcun contraffatto nell'amore! Così è detto: "figlioli, guardatevi dagli idoli" (1 Gv 5:21). Ogni difetto nella fede che ignoriamo è un idolo e ogni contraffazione nell'amore è l'idolatria! "Chiunque è nato da Dio non pecca... sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato una comprensione, che possiamo conoscere colui che è vero, e noi siamo in colui che è vero, nel suo Figlio Gesù Cristo "(1 Gv 5:18-20).

Quanto alla fede corretta, l'abbiamo ricevuta così come ci è stata tramandata. Di questo l'apostolo Paolo dice ai Corinzi, "mantenete le tradizioni così come ve le ho trasmesse..." (1 Corinzi 11:2). E come Giovanni l'anziano dice alla signora eletta e ai suoi figli: "Se qualcuno viene a voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo" (2 Gv 1:10).

Quanto all'amore, è senza ipocrisia (cfr Rm 12: 9).

Quanto al vescovo, egli è l'icona di Cristo nel suo popolo. Il suo motto nei loro confronti è il motto dell'Apostolo eletto ai Corinzi, "imitatemi, così come io imito Cristo" (1 Cor 12:1)! Egli è il rampollo degli apostoli. Si presume in ogni suo atteggiamento che "i suoi desideri sono in accordo con la volontà di Dio" (san Giovanni Crisostomo). L'amore di Cristo lo spinge (cfr 2 Cor 5:12). Pensa a loro con l'affetto di Gesù Cristo (cfr Fil 1:8). È un'estensione di Gesù nel sopportare la sofferenza del suo popolo! "Chi è debole, che io non sia debole?" ha detto Paolo ai Corinzi (2 Cor 11:29).

Quanto al territorio, non è di per sé una preoccupazione della Chiesa. Ma il discorso, ogni discorso, è diretto alla Chiesa, ai fedeli, ai fratelli, ai santi a Gerusalemme o ad Antiochia, o anche in casa di uno dei fratelli, come Ninfa (cfr Col 4:14) o Filemone (cfr Fm 1:1)!

Il percorso del tramandare la fede ha accompagnato i santi padri di generazione in generazione. Come ciò che gridarono costantemente al quarto Concilio ecumenico, "Questa è la fede dei padri! Questa è la fede degli Apostoli! Pietro parla per bocca di Leone! Così hanno insegnato gli apostoli! Così ha insegnato Cirillo!"

I legami d'amore che legano il popolo e il vescovo in Cristo ha fatto dire a persone del calibro di Ignazio di Antiochia, per preservare l'unità della Chiesa, "Obbedisci al vescovo come obbedisci ai comandamenti di Dio" (Lettera ai Tralliani 13) e inoltre, "lo Spirito ha proclamato queste parole: non fate nulla senza il vescovo; mantenete i vostri corpi come templi di Dio, amate l'unità; evitate le divisioni" (Lettera ai Filadelfi 7). Allo stesso modo, è il vescovo che "è in armonia con i comandamenti [di Dio], proprio come l'arpa lo è con le sue corde" (Lettera ai Filadelfi 1). Questo è ciò che rende i vescovi in ​​ogni angolo della terra "una sola mente in Gesù Cristo" (Lettera agli Efesini 3). Questo è il dato che guida il santo teoforo a sollecitare "a rispettare i diaconi come Gesù Cristo, il vescovo come l'immagine del Padre, e il prete come Concilio di Dio e la banda degli Apostoli" (Lettera ai Tralliani 3 ).

Dio è in ogni Chiesa. Gesù Cristo è suo il capo e la sua verità è la sua guida. Non vi è alcuna differenza tra una Chiesa e un'altra se non nella pietà. Pertanto, le Chiese non si considerano in base alle loro dimensioni o alla loro grandezza terrena, né secondo la loro ricchezza, perché Cristo non sia disprezzato nella coscienza. Così i vescovi sono uguali in onore, sia che siano stati ordinati per una Chiesa grande o una piccola. il prestigio di Dio è la nostra priorità, non la massimizzazione del reddito! Anche se un vescovo è vescovo degli abitanti di un villaggio, è il suo zelo per la Chiesa di Dio, che lo pone, quando il bisogno chiama, sopra ogni Chiesa in tutto il mondo abitato! Non siamo forse tutti fratelli nel Signore? Un fratello ha altrettanto zelo per il suo fratello quanto ne ha per se stesso.

Dunque i vescovi di un distretto, o città, o sede, dopo che il campo dell'evangelizzazione si è allargato e credenti e pastori sono aumentati di numero, non dovrebbe preferire uno di loro rispetto a un altro, perché il primato di Gesù, il capo della nostra salvezza, non può essere impugnato: egli è presente qui e ora (cfr Mt 28:20) nella sua verità e nel suo Vangelo! Per il buon ordine degli affari, un primus inter pares può essere stabilito in mezzo a loro, con il dono di servire i servi tra di loro, applicando le parole di Dio, "colui che è più grande tra voi, sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve "(Lc 22:26)! Questo non è un campo per la gloria e l'autorità in incognito, per timore che il nome di Dio sia bestemmiato per causa loro. Ma piuttosto, è un modello per il servizio della pietà e per l'umiltà del cuore nell'amore del Signore!

Alla luce di quanto detto sopra

Al fine di presentare una visione del prossimo Concilio alla luce di ciò che abbiamo ricevuto dalla tradizione della Chiesa ortodossa, determiniamo se siamo in linea con la mente apostolica e patristica, e in conformità con la coscienza teantropica che è giunta fino a noi dalla Chiesa primitiva, la coscienza che costituisce, nella corretta fede e grazia divina, l'unica guida per discernere ciò che è della Chiesa da ciò che non è della Chiesa! Definire se abbiamo bisogno di tenere un Concilio, a livello di tutto il mondo ortodosso, e le questioni che il Concilio deve trattare al fine di preservare la fede corretta e edificare i fedeli, dipenderanno dalla situazione attuale della Chiesa ortodossa e dalle sfide che essa si trova ad affrontare a tutti i livelli, così come l'approccio che dovrebbe essere preso nell'affrontare queste sfide e questa realtà attuale. Dico questo perché ci sono interrogativi per quanto riguarda le premesse dei "creatori" del prossimo Concilio e alcuni aspetti del loro approccio alle questioni sollevate. Presentare un mero parere su ciò che hanno raggiunto, per quanto riguarda alcuni dettagli, qua e là, non è sufficiente, ma ci pone nella posizione di acconsentire alla mentalità, alle premesse e agli approcci su cui sono stati costruiti i documenti preparati. È certo per molti, noi compresi, che alle fondamenta o ai punti di partenza adottati ci sono difetti che non possono essere trascurati e che non possono essere considerati come innocui per noi! Pertanto, metteremo in discussione i punti di partenza prima di tutto, in modo da non partire dalla base dei loro risultati, per non trovarci a versare acqua in un pozzo rotto!

Dove non c'è Chiesa, nel senso chiarito sopra, non vi è alcun vescovo perché non è vescovo di un territorio, o meglio di una Chiesa stabilita su un territorio, e non vi è alcun vescovo su un territorio in cui un tempo vi era una chiesa ma ora non esiste più. Non vi è alcun vescovo di Calcedonia, per esempio, perché non c'è più un popolo, una chiesa di Calcedonia. Non ci sono vescovi onorari perché la loro stessa esistenza degrada l'onore della Chiesa di Cristo, dal momento che non hanno legami con la Chiesa e si gloriano di lei non come un essere vivente, ma piuttosto come un'entità geografica e storica che ha cessato di esistere! Non ci sono vescovi ausiliari, perché il loro legame è con un compito e non con un popolo! Vescovi onorari, vescovi ausiliari e simili invalidano il significato dell'episcopato e corrompono la pratica tradizionale, che vuole che dove ci sia una Chiesa ci sia un vescovo. Se esiste la necessità di assistenti per vescovi della Chiesa in un territorio (patriarcati diocesi, arcidiocesi ...), allora si presume che le persone che vi sono nominate ricevano titoli che corrispondono ai lavori in questione, non il titolo di vescovo, in modo da preservare il significato e il luogo tradizionale del titolo di "vescovo", e così che la Chiesa non si abitui a sostituire l'onore di pascere il popolo di Dio, come pastore a cui le pecore appartengono, con vuoti titoli onorifici e così facendo trasformino la Chiesa di Cristo – che è identica a lui – in un punto di riferimento per falsa gloria e lussuria di auto-esaltazione! L'episcopato è un luogo per morire ogni giorno in Cristo (cfr 1 Cor 15:31), non è un luogo per onorare i servitori della Chiesa in questo mondo! La nostalgia per un passato perduto è comprensibile e si può simpatizzare con essa, ma la vera pratica della Chiesa non può essere basata su di essa!

La geografia è soggetta alla politica. Ma la Chiesa non è in ostaggio né alla geografia, né alla politica, perché la sua stella polare è il Regno dei Cieli in tutto il mondo, sotto qualsiasi dominio e in qualsiasi sistema politico! Gerusalemme fu chiamata Jebus prima degli ebrei. L'imperatore romano Adriano la chiamò Aelia Capitolina. Gli arabi la chiamarono al-Quds. Nella Chiesa, le città non hanno nomi di battesimo o di santi e non ci sono regni politici ecclesiastici! Pertanto, non è giusto per i figli della fede aggrapparsi ai nomi di luoghi e città, come se questi avessero un carattere mistico ed eterno!

L'impero bizantino è terminato. La geografia del mondo imperiale, che era conosciuto come "l'ecumene", è cambiata. La distribuzione della popolazione delle Chiese dell'impero, geograficamente, non è quella che era un tempo. Una nuova realtà è apparsa. Una sola formula non è cambiata e non può cambiare: un vescovo su un popolo che vive in un territorio! Nicea ha cambiato il suo nome ed è divenuta Iznik, e allora? Se lì ci fosse un popolo e una Chiesa, li chiameremmo "la Chiesa che è in Iznik". Se installassimo un vescovo su quella Chiesa, lo chiameremmo il "vescovo della Chiesa che è in Iznik." Dove è l'errore nell'avere un approccio realistico? Ma se non c'è più una chiesa di Iznik, allora non c'è assolutamente alcuna necessità di nominare un vescovo onorario per la chiesa che era in Nicea, ma ora non esiste più! Teniamo il nome "Nicea" per ragioni sentimentali? Questo non può far passare in secondo piano un modo realistico di trattare la Chiesa, se no questa diventerà una chiesa di complessi psicologici! Questo, inoltre, ci fa agire come se la geografia storica si fosse interrotta ai confini dell'impero bizantino, come se non potesse esserci alcuna cronologia successiva e la geografia non potesse cambiare! Tutto, quindi, si misura con gli standard del lontano passato, come se la storia avesse raggiunto quel punto per fermarsi e la geografia avesse raggiunto quel punto perché le sue pietre miliari si fissino per sempre! Noi continuiamo a essere nutriti dalla teologia e della spiritualità che si sono sviluppate sotto l'impero. Questo lo capiamo, perché ha un rapporto profondo con la fede e la vita della Chiesa. Ma essere vincolati noi stessi da accordi situazionali derivati dalla realtà civica e politica estinta dell'impero, come se l'impero non avesse cessato di esistere 563 anni fa, questo è indice di una malattia mentale la cui conseguenza porta a disprezzare il presente o a ostacolarlo, come persone che vogliono vivere nel passato e non vogliono affrontare le sfide del presente! Questo stabilisce inevitabilmente, come pensiamo sia il caso di oggi, una schizofrenia affettiva. E questo non è a volte un male che interrompe la vita della Chiesa, fino al punto della paralisi?

Se non c'è più un impero bizantino, allora questo significa che non c'è più, in primo luogo, la giustificazione per la continuazione del patriarcato di Costantinopoli e delle sue parti componenti! La sede di Costantinopoli non è più capace di essere un esempio da imitare. Dico "in primo luogo", perché il patriarcato di Costantinopoli che ha impresso il suo carattere sul mondo ortodosso quando l'impero esisteva ancora, se il mondo ortodosso continua ad essere influenzato dal suo carattere dopo che l'impero ha cessato di esistere, allora continuerà ad esistere come una non-entità che ostacola la cura pastorale, l'evangelizzazione e la testimonianza della Chiesa nel tempo e nel luogo in cui essa è portata dai cambiamenti di civiltà, politica e geografia del mondo. Inoltre, continuerà ad esistere come entità che attira a sé e non a Cristo, come se il Patriarcato ecumenico continuasse a derivare la sua "autorità" non dal servizio a Cristo, ma dalla persona dell'imperatore bizantino, l'imperatore al quale fu legato organicamente nella storia (si veda l'articolo di John Meyendorff, "Sulle pretese di universalità del Patriarcato ecumenico").

Non c'è più alcuna Costantinopoli! Coloro che seguono il patriarcato di Costantinopoli in quel luogo sono giunti a essere meno di duemila di numero. Una città chiamata Istanbul ha preso il suo posto. Anche Istanbul non è attualmente la capitale dello stato che ha sostituito l'Impero bizantino e il Sultanato ottomano, dove il Patriarcato ecumenico aveva certe prerogative, ma piuttosto Ankara, dove non c'è un solo cristiano! [1] Le autorità turche hanno a volte fatto pressione perché il patriarca ecumenico si trasferisse a Ankara. Non dovremmo essere umili e accettare il fatto che Costantinopoli non è più una sede patriarcale, ma piuttosto una normale parrocchia di circa cinquecento famiglie? Ci inchiniamo davanti ai terribili sacrifici della Chiesa di Costantinopoli, ma la geografia è cambiata, la storia è cambiata, la Chiesa è andata in altri luoghi, e "l'ecumene", nel senso bizantina della parola, non esiste più! La questione va oltre il sentimentalismo umano e la nostalgia. In nome di quale sana ragione e di quale retta teologia è giusto continuare a definire il patriarcato un patriarcato e il patriarca un patriarca, e che il patriarca continui a mantenere il titolo di "ecumenico" – non sulla oikoumene, come la si capiva nel periodo bizantino, ma sul mondo abitato, nel senso di tutto il mondo di oggi?!

Con serenità d'animo, ma con profondo dolore, diciamo che insistere ad aggrapparsi alla sede di Costantinopoli e al suo primato "ecumenico" nel mondo ortodosso significa due cose fondamentali:

In primo luogo, che la sede di Costantinopoli, rappresentata dal patriarca e dal sinodo, in quanto non ha più un popolo o una chiesa esistente nel territorio che porta il suo nome – ovvero, Costantinopoli – stabilisce la sua autorità su una Chiesa fantasma! In tal modo c'è una sede, o meglio, un gruppo di vescovi con nessun popolo e nessuna chiesa! Pertanto, l'opera della sede di Costantinopoli non è normale nella Chiesa e non è per pascere la Chiesa. Il suo servizio non è più un servizio nel senso esplicito ecclesiastico della parola. Non serve più la Chiesa, ma piuttosto serve in nome della Chiesa – e che differenza c'è tra queste due cose! I diritti e le prerogative di cui parla la sede di Costantinopoli la pongono nella posizione di qualcuno che eternamente alla ricerca, non avendo a che fare con la Chiesa, ma con l'autorità e le prerogative! Quindi, aggrapparsi al patriarcato di Costantinopoli significa, con tutto il rispetto, sostituire la Chiesa con i suoi pretesi rappresentanti, che francamente, in pratica, parlano della Chiesa, ma si comportano anche come se si considerassero la Chiesa e al di sopra della Chiesa, come detto in precedenza, in eterno (!), da parte di un imperatore che non esiste più!

In secondo luogo, imo modo con cui la sede di Costantinopoli tratta la sua "autorità storica" ​​significa intervenire nelle altre Chiese, in territori che non sono il proprio, e rivendicare autorità su di loro, con la forza di canoni situazionali che non possono più essere messi in atto perché sono legati civilmente all'Impero bizantino che non esiste più, in quanto il loro garante era la persona dell'imperatore, a cui sono legati personalmente. Un esempio di questo è il canone 28 del quarto Concilio ecumenico a Calcedonia. La formulazione dei 150 padri in seno al Concilio era espressa come segue: "La città che è onorata con il governo imperiale e il senato e gode di privilegi uguali all'antica Roma imperiale deve essere esaltata allo stesso modo anche negli affari ecclesiastici". Prima di tutto, non c'è esaltazione se non per Colui che è raffigurato nell'icona della "estrema umiltà". E da cosa viene rappresentata questa esaltazione? Dalla consacrazione dei "metropoliti del Ponto, delle diocesi dell'Asia e della Tracia, e anche dei vescovi delle suddetti diocesi nelle terre barbare..." Alcuni interpreti la intendono come autorità sulle diocesi dei "barbari" del tempo, e va bene. Anche se dovessimo accettare questo per amor di discussione, cosa dovremmo concludere dall'ambiente a cui appartiene?

Dovremmo concludere che questo canone, quando è stato emanato, era condizionato al fatto che la città di Costantinopoli fosse la sede dell'imperatore e del senato! Così in quanto la città non è più imperiale è perché l'impero non esiste più e non c'è più un imperatore o un senato in essa, il canone non è più in vigore e non c'è più alcuna giustificazione per l'esaltazione (!) della sede di Costantinopoli negli affari ecclesiastici, proprio come "la vecchia Roma". Il ruolo di primo piano del patriarca di Costantinopoli, derivato dalla sua vicinanza a Cesare, è diventato una cosa del passato! Qui è degno di nota, come appare nel Pedalion, che uno dei motivi per cui il canone è stato emanato dai padri del Concilio era il servizio alle altre chiese e ai loro bisogni davanti all'imperatore. Quando il vescovo di Laodicea, Nunzio, aveva voluto difendere la gloria del vescovo di Costantinopoli, aveva detto, "egli è la nostra gloria, perché si occupa di soddisfare le nostre esigenze!" Per quanto riguarda i barbari, quelli che non parlavano greco ed erano considerati barbari in base alla classificazione dell'Impero bizantino, la disposizione adottata per la consacrazione dei loro vescovi è stata cancellata a causa della mancanza dei suoi imperativi civili e dell'abbandono della classificazione di popoli in greci e barbari, come esistevano in epoca bizantina.

Nella misura in cui il patriarcato di Costantinopoli non ha più un popolo e una Chiesa per il cui servizio è responsabile, il suo uso continuato dell'autorità, considerata ecclesiastica, è venuto a basarsi, di fatto, su tre pretese:

1. Il primato permanente della sede di Costantinopoli sulle altre sedi nel mondo ortodosso. Nella misura in cui il primato di servizio non è più disponibile di fatto, e nella misura in cui il primato d'onore non è sufficiente a saziare il desiderio di Costantinopoli per la perduta "grandezza" dell'impero bizantino e le sue glorie, che comunque vive in alcune anime fino a oggi, il primato rappresentato dalla formula "primus inter pares" non è più sufficiente per il patriarca ecumenico, perché non ha alcuna prova esplicita di leadership che gli dia reale autorità su altre Chiese, come aveva avuto sotto l'impero. Questo colloca tale sede in un equilibrio instabile e scomodo. Ha di fronte a sé il modello del Vaticano come una sorta di incentivo, che le "ricorda" ciò che anela a recuperare! È evidente, come ripetono voci qua e là, che l'inquietudine di Costantinopoli è sempre stata, fin dai tempi antichi, come il patriarca possa portare insieme gli ortodossi sotto se stesso in una parvenza di primato papale, e trasformare la corretta fede in un'autorità unilaterale sul mondo ortodosso, e la dipendenza da un singolo uomo che trae la sua autorità da se stesso – cioè il patriarca ecumenico – nella misura in cui non c'è più un imperatore da cui può derivare la sua autorità! Non stiamo dicendo questo come un modo di fare false accuse o con un intento di danneggiare, ma piuttosto come modo di osservare oggettivamente ciò che dicono di esso le voci nei circoli di costantinopolitani. Per quanto ne sappiamo, questo desiderio è stato espresso da almeno due persone vicine all'attuale patriarca ecumenico:

Il primo è Elpidophoros Lambriniadis, metropolita di Bursa nel patriarcato di Costantinopoli, che è stato in precedenza segretario del patriarca ecumenico, nella sua risposta al testo sul primato rilasciato dal patriarcato di Mosca, in seguito alla loro risposta al documento di Ravenna emesso dal corpo internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e il Vaticano. Tra le altre cose, Lambriniadis ha detto, "Nel caso dell'arcivescovo di Costantinopoli, osserviamo la coincidenza unica di tutti e tre i livelli di primato, vale a dire quello locale (come arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma), quello regionale (come patriarca), e quello universale o mondiale (come patriarca ecumenico). Questo triplice primato si traduce in privilegi specifici... il primato del vescovo di Costantinopoli non ha nulla a che fare con i dittici... Se ci accingiamo a parlare della fonte di un primato, allora la fonte del primato è la persona stessa dell'arcivescovo di Costantinopoli, che come vescovo è precisamente uno 'tra uguali,' ma come arcivescovo di Costantinopoli è il primo ierarca senza eguali (primus sine paribus)".

Il secondo è padre John Panteleimon Manoussakis, professore di teologia e filosofia ortodossa in America. Ha scritto un libro intitolato Per l'unità di tutti: contributi al dialogo teologico tra Oriente e Occidente, dedicato a papa Francesco e al patriarca ecumenico Bartolomeo. La sua prefazione è scritta dal patriarca ecumenico. L'autore parla del primato petrino come fondamentale per l'edificio gerarchico della Chiesa. Questo non può essere un primato d'onore, secondo lui. L'autore difende allo stesso modo il primato petrino come qualcosa che comprende il primato universale del patriarca di Costantinopoli. Secondo lui, questa soluzione può porre fine alle autocefalie e alle autonomie e anche porre fine agli scismi! Non parla di un primato petrino per diritto divino e dichiarato come dogma, come in Occidente, ma piuttosto di un servizio di preminenza a livello universale (appartenente al patriarca ecumenico come vero leader di tutti gli ortodossi)! Manoussakis afferma altresì che non vi è alcuna contraddizione tra primato e conciliarità attiva nella Chiesa. Egli aggiunge che stabilire il primato universale per il patriarca di Costantinopoli, che gli permetta di parlare a nome degli ortodossi, può, a un grado notevole, facilitare la possibilità di recuperare l'unità con Roma!

2. Il dominio effettivo sulle Chiese ortodosse di lingua greca. Il patriarca ecumenico si comporta, per quanto riguarda le Chiese ortodosse di lingua greca, come se avesse una sorta di funzione o di autorità anche morale su di loro, come un laccio che risale all'epoca ottomana. Allo stesso modo, vi è un sentimento comune nelle sedi di lingua greca di essere eredi dell'impero bizantino. I confini canonici di queste sedi sono facilmente spazzati via da sentimenti etnici e nazionalisti greci. I candidati per l'episcopato sono presi da una sede per essere installati in un'altra, come accade per sacerdoti, professori di teologia, monaci e monache che passano facilmente da una all'altra sede in questo quasi-mondo bizantino greco. Questo è raramente oggetto d'esame, ma è stato motivo di inquietudine tra alcuni sacerdoti e professori nelle Chiese di lingua greca – a volte in termini molto franchi – come durante un colloquio registrato di recente del protopresbitero Theodoros Zisis. In pratica, si può solo osservare che il patriarca ecumenico, come se fosse una questione normale e naturale, sfrutta i sentimenti etnici e nazionalisti greci al fine di stabilire la sua autorità e il suo primato nel mondo ortodosso. In questo contesto, si può osservare che il Concilio tenuto a Costantinopoli nel 1872 dichiarò che l'etnofiletismo è un'eresia nella Chiesa! Questo è accaduto dopo quello che fecero gli ortodossi bulgari a Costantinopoli, quando stabilirono chiese di lingua bulgara direttamente dipendenti dalla loro Chiesa madre e aprirono le loro porte solo a chi parlava bulgaro. Vale la pena ricordare che l'etnofiletismo è diventato comune, a partire dal XIX secolo, come risposta alla dominazione, e si è esteso a tutto il Sultanato ottomano e in ogni luogo, e che esso –vale a dire, l'etnofiletismo – è ancora fortemente attivo anche oggi, non solo nelle Chiese di lingua greca, ma anche in quelle slave e in altre Chiese! La verità è che non vi è alcuna Chiesa in cui sentimenti nazionalisti o etnofiletisti non svolgono un ruolo influente o addirittura primario. È un'eresia condannata, ma è ancora attiva.

3. Il Patriarcato ecumenico si considera come responsabile degli ortodossi in quelli che vengono chiamati "paesi della diaspora." Questo, in modo aperto oppure obliquo, è basato sul canone 28 del Concilio di Calcedonia, precedentemente menzionato. Così gli ortodossi nei "paesi della diaspora" o sono considerati come coperti dal canone che si occupa dei vescovi nelle ​​terre barbare, o sono considerati (se sono di etnia greca) come gregge del Patriarcato ecumenico, sia che siano arrivati nei "paesi della diaspora" dalla Grecia, da Cipro, o da altrove. Per quanto riguarda il primato della Sede di Costantinopoli nella diaspora, questo è espresso dalla leadership dei rappresentanti della Sede di Costantinopoli in diverse regioni nelle Assemblee episcopali recentemente stabilite da una decisione emessa nel 2009 dalla quarta commissione preparatoria ortodossa per il Grande Concilio. Fino a che punto può questa formula di assemblee episcopali, sotto la guida dei rappresentanti del Patriarcato ecumenico, reggere e avere successo in un ambiente del genere? Fino a quando la preoccupazione rimane quella di affermare l'autorità del patriarcato ecumenico, questa formula resta fragile, per due motivi:

1) Le chiese autocefale con una presenza nei "paesi della diaspora" non possono essere contente del fatto che la sede di Costantinopoli abbia su di loro qualcosa di più di una posizione di leadership onoraria. Ogni tentativo di dominazione da parte del patriarca di Costantinopoli in quei luoghi farà sì che gli altri lascino il gruppo, come se questo non esistesse.

2) La direzione del rappresentante del Patriarcato ecumenico non è sempre piacevole per le assemblee episcopali, sia a causa del piccolo numero di "greci" in una determinata regione o perché il vescovo costantinopolitano non è appropriato. Entrambe le situazioni provocano riserve tra le altre sedi. Questa è la situazione degli ortodossi in Sud America, per esempio. I locali vescovi antiocheni obiettano perché la presenza antiochena è più profondamente radicata e maggiore in termini di dimensioni. Quindi non è facile per loro accettare la guida di un vescovo che è nuovo per loro, semplicemente perché costui rappresenta Costantinopoli. La gente non si cambia così facilmente! Così, la domanda da porre è: è la direzione del rappresentante del patriarca di Costantinopoli in ogni luogo è un'idea sana? Non sarebbe più efficace, se il servizio e una buona cura pastorale fossero la vera preoccupazione, che i vescovi stessi scelgano, nelle loro assemblee, i loro capi, forse a rotazione o sulla base di capacità e di merito, come era l'antica pratica? Il secondo Concilio ecumenico, per esempio, non era diretto all'inizio dall'arcivescovo di Costantinopoli, ma dall'arcivescovo di Antiochia, san Melezio il Grande, che era un uomo illustre per i suoi sacrifici e i suoi talenti. Degna di nota in questo contesto è la posizione del protopresbitero Theodoros Zisis, che considera la molteplicità dei vescovi, e quindi le assemblee episcopali, in contrasto con i canoni ecclesiali e artificiale, e propone che tutti seguano ovunque il vescovo della Chiesa più grande.

In quale ambiente si terrà il Concilio?

Dal momento dell'ultimo grande Concilio – a seconda di quale considerate come tale, nel secolo VIII, nel secolo XIV, fino a oggi –sono entrati nella coscienza del mondo ortodosso numerosi cambiamenti, che regolano il percorso del prossimo Concilio e in larga misura ne determinano l'esito. Se chiarifichiamo queste cose e ci assicuriamo di trattarle con la saggezza e la sobrietà necessaria, troveremo che tali cambiamenti non solo possono causare grande delusione, ma anche – e non sappiamo quando il Concilio sarà tenuto – avranno probabilità di creare ripercussioni che minacciano la coesione del mondo ortodosso!

Alla luce di quanto sopra, Costantinopoli è in una situazione in cui non può rimanere a lungo. Il proprio territorio si sta riducendo, fino al punto di quasi scomparire. Ha un disperato bisogno di un concilio, che le restituisca, sulla terra, il ruolo corrispondente alla sua nobiltà e ai suoi privilegi perduti. Nella preparazione per il Grande Concilio nel corso degli ultimi vent'anni, il patriarcato di Costantinopoli è stato in corsa contro il tempo. L'unica cosa costante nei documenti preparati è stata il ruolo di primo piano di Costantinopoli!

Chiunque abbia familiarità con questi documenti noterà, in generale, che sono modesti e non sono all'altezza dei bisogni e delle aspettative. Questi bisogni non sembrano fondamentali agli architetti del prossimo Concilio, e sono suscettibili di rinvii. La loro parola chiave sembra essere, prima di tutto, raccogliere il mondo, anche superficialmente, non importa a quale costo, sotto il patriarcato di Costantinopoli! Tutto consegue da questo. La cosa importante è partire! Il resto sarà rivelato a suo tempo! Per questo motivo, il metropolita Ioannis Zizioulas parla del Concilio come di un processo.

L'etnofiletismo nel mondo ortodosso di oggi domina in misura significativa. C'è qualcosa di più pericoloso dell'ateismo. C'è la convinzione dilagante che l'Ortodossia sia parte di un'identità nazionale o etnica. Qual è l'impatto di questa nuova realtà? Il suo impatto è che svuota l'Ortodossia del suo contenuto e la lascia rapidamente inchiodata alla croce delle entità etniche e nazionali, a diventare così una dimensione a sostegno degli scopi politici di queste entità! Nell'Impero bizantino, c'è stata una sintesi di civiltà senza pari per popoli di diversa provenienza. Ecclesiasticamente, non c'era bisogno, per esempio, che le chiese greche o siriache avessero motivi nazionalistici. Quando Crisostomo predicava in greco ad Antiochia, nella chiesa c'erano traduttori in siriaco. Intorno a grandi santi come il grande san Simeone lo Stilita si riunivano greci e siriani, e non vedevano nulla di male nel pregare nelle loro lingue nello stesso posto – in momenti diversi o anche allo stesso tempo – o nel creare monasteri adiacenti sotto la cura di un anziano, che fosse di lingua greca o siriaca non faceva differenza, purché avesse requisiti eccezionali. Oggi, l'Ortodossia è per la maggior parte un veicolo per l'etno-nazionalismo.

Oggi, l'ateismo teorico è cessato. L'ateismo di oggi è pratico. Cristiani senza Cristo e ortodossi senza una vera, viva Ortodossia, attiva nell'amore, nello spirito e nella verità. Questo è ciò che la mondanità ha fatto oggi. Per mondanità si intende, in termini cristiani, adattare la Chiesa per metterla al servizio degli affari di questo mondo. Il pragmatismo prende il posto delle cose divine. Mondanità, quindi, sia al livello di un approccio consumistico alla vita sia sul piano della scienza e del pensiero! Teologia senza spirito, rituali senza culto, studio senza timore di Dio, teologia per studiosi e non per santi, vescovi per l'autorità e non per la pastorale!

Vi è un'unità che molti che oggi sono chiamati credenti desiderano con intenso zelo: l'unità dei cristiani! La considerano come l'unità del corpo di Cristo, l'unità della Chiesa! Dicono che Cristo ha pregato che tutti siano una sola cosa... ma quale unità possiamo sperare? La questione del rapporto della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano, quali sono le sue implicazioni? Come sarà questa unità? Saranno portati alla verità, o ciascuno di loro si trasformerà in verità? La cosa importante è che si uniscano! Che si sentano uno! Un solo battistero, un solo calice! Il loro pensiero? Che ognuno pensi a modo suo! Il loro intento? Lasciate che sia il Signore a giudicare! Allora, perché ci sono state la tradizione e la corretta fede? Una grande domanda, la risposta alla quale definirà il presente e il futuro della Chiesa.

Osservazioni sul Concilio e i suoi documenti

Abbiamo più volte notato obiezioni al documento "Il rapporto tra la Chiesa ortodossa e il resto del mondo cristiano." Obiettano i tradizionalisti che hanno per un certo tempo respinto questo rapporto in gradi che vanno da un'opposizione moderata a una totale opposizione a tutte le attività ecumeniche. Questo è un esempio di ciò che esiste, per chiarire il quadro e spiegare le reazioni:

1) In primo luogo dobbiamo renderci conto che la Chiesa ortodossa è entrata nel movimento ecumenico, rappresentato dal Concilio Ecumenico delle Chiese, con una certa mentalità, e poi ha cambiato e ha assunto una mentalità completamente diversa da come era stata in un primo momento. Cosa voglio dire? Padre George Florovsky, che è stato uno dei fondatori del Concilio Ecumenico delle Chiese, ha spiegato la sua posizione affermando che "non c'è alcuno scisma all'interno dell'unità della Chiesa, ma piuttosto una rottura con la Chiesa", che la Chiesa ortodossa è la vera Chiesa, l'unica vera Chiesa, e che per lui, recuperare l'unità dei cristiani significa la "conversione universale all'Ortodossia". Egli ha anche affermato che non giudicava sul fatto che ci fosse qualcuno al di fuori della Chiesa, perché il giudizio appartiene al Figlio e "nessuno è autorizzato ad anticipare il giudizio." Tuttavia, questo non esclude e non è in contraddizione con la Chiesa che ha autorità nella storia, prima di tutto, "l'autorità di insegnare e di preservare fedelmente la parola di Dio". Per lui, la sana teologia è il fondamento adeguato per l'unità dei cristiani. Questo non significa solo un accordo sulle formule e sul Credo. La separazione attuale è "una separazione nella fede, nell'esperienza della fede stessa". Per lui, non c'è separazione tra la teologia e la spiritualità ortodossa. Manca una coscienza comune. Il nostro modo di leggere le cose non è uno. Solo "ritornando alla mente comune della Chiesa primitiva è possibile superare le divisioni". Questo è ciò che la Chiesa ortodossa deve aiutare gli altri a raggiungere, perché lei sola è la vera Chiesa che porta ai giorni nostri la coscienza apostolica.

Gli ortodossi ecumenicamente inclinati oggi si sono, in pratica, arresi alla teoria dei rami e la Chiesa ortodossa è diventata per loro come le altre, una delle chiese e denominazioni che hanno bisogno della riforma di un'unità che è stata persa, invece di portare gli altri alla coscienza originale come l'unica che l'ha conservata in se stessa nella storia.

2. Il metropolita Atanasio di Limassol l'11 febbraio 2016 ha inviato una lettera al Santo Sinodo di Cipro in cui ha commentato il documento "Il rapporto della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano". Tra quello che vi dice è che la Chiesa ortodossa è la Chiesa e "non esistono altre Chiese, solo eresie e scismi". Per quanto riguarda l'espressione, "verso la restaurazione dell'unità dei cristiani", dice che "non è corretta perché l'unità dei cristiani – i membri della Chiesa di Cristo – non è mai stata rotta, fintanto che essi restano uniti alla Chiesa". Poi spiega che non ci sono chiese e denominazioni, c'è "una sola Chiesa e tutti gli altri sono scismi ed eresie". Egli aggiunge per quanto riguarda lo scopo dei dialoghi teologici che dire "il restauro finale dell'unità nella corretta fede e nell'amore" è "teologicamente inaccettabile per tutti noi." Egli afferma anche che, "il punto di vista che la conservazione della vera fede ortodossa è garantita solo attraverso il sistema sinodale come unica 'autorità competente e finale su questioni di fede' è esagerato, e ignora la verità che molti sinodi in tutta la storia della Chiesa hanno insegnato e sposato dottrine errate e eretiche, ed è stato il popolo dei fedeli a respingerli e a conservare la fede ortodossa e a sostenere la confessione ortodossa. Né un sinodo senza il popolo dei fedeli è la pienezza della Chiesa, né il popolo senza il sinodo dei vescovi, è in grado di considerare se stesso come corpo di Cristo e Chiesa di Cristo e di esprimere in modo corretto l'esperienza e la dottrina della Chiesa". Chiude sottolineando la necessità di formulare con precisione il testo ed eliminare ogni ambiguità in esso e ci ricorda che affinché il Concilio sia accettabile e canonico, non deve discostarsi in alcun modo dallo spirito e dai dogmi dei santi concili che lo hanno preceduto.

3. metropolita Serafim del Pireo ha commentato sul paragrafo 22 del documento, che condanna "tutti gli sforzi per rompere l'unità della Chiesa, intrapresi da individui o gruppi con il pretesto di mantenere o difendere la vera Ortodossia" per il fatto che la conciliarità è "il giudice idoneo e definitivo in materia di fede nella Chiesa". Ha commentato su di esso dicendo che dà l'impressione che il prossimo Concilio sia preventivamente alla ricerca della propria "infallibilità nelle sue decisioni". Per quanto riguarda l'ultima parte della frase, sembra che non tenga conto del fatto che la misura finale della fede nella Chiesa ortodossa è la "coscienza dogmatica dei membri della Chiesa", qualcosa che ha fatto in modo che alcuni concili che in passato sostenevano di essere "ecumenici" si rivelassero come concili di briganti!

4. Il metropolita Hierotheos Vlachos, nella sua terza lettera al Santo Sinodo della Grecia (5 maggio 2016), esamina, tra le altre cose, il comma 6 del documento, e afferma che la frase "la Chiesa ortodossa riconosce l'esistenza nella storia di altre Chiese e confessioni cristiane che non sono in comunione con lei" deve, al fine di evitare ambiguità nel documento, essere sostituita con" la Chiesa ortodossa sa che i suoi limiti carismatici corrispondono ai suoi confini canonici, così come sa anche che esistono altre confessioni cristiane, che sono tagliate fuori da lei e non si trovano in comunione con lei".

5. In una lettera al Santo Sinodo della Grecia sul documento che stiamo discutendo, il dottor Demetrios Tselengidis, dopo aver intrapreso una lunga analisi del suo contenuto con la necessaria precisione teologica, arriva alla seguente conclusione: "Con tutto ciò che è scritto e ciò che è chiaramente implicito nel testo di cui sopra, è chiaro che i suoi iniziatori e autori stanno tentando la ratifica istituzionale e ufficiale di un sincretismo-ecumenismo cristiano per mezzo di un Sinodo pan-ortodosso. Questo, tuttavia, sarebbe catastrofico per la Chiesa ortodossa. Per questo motivo propongo umilmente il ritiro totale del testo".

Quale sarà il risultato del documento se approvato

Se il documento viene adottato come è stato presentato al "Grande" Concilio, le conseguenze derivanti dalla sua accettazione saranno numerosi e grave. Ecco alcune impressioni a riguardo:

Accettando il minimo comune denominatore della fede, come rappresentato dal Simbolo niceno-costantinopolitano e dalla teologia del battesimo come motivo sufficiente per l'unità dei cristiani significherà abbandonare la base della tradizione nella Chiesa! Tutti i Padri e i Concili della Chiesa, da san Leone Magno a san Fozio il Grande a san Marco di Efeso a tutti i padri e i Concili che hanno condannato i cattolici per eresia a causa del Filioque, del purgatorio, dell'infallibilità del papa , dell'Immacolata Concezione, e di molte altre cose, non avranno più alcun valore per i loro giudizi! Non sarà più possibile per noi dire: "Questo è ciò che Leone e Fozio ci hanno insegnato, questo è ciò che abbiamo ricevuto da Marco, questo è il dogma della Chiesa...", perché al di fuori dei limiti della dottrina dei Concili di Nicea e di Costantinopoli, non c'è nulla, alla luce del documento, che rimarà obbligatorio! Ogni chiesa potrà dire, allora, ciò che le piace. Se la Chiesa ortodossa vorrà tenersi legata a maestri del calibro dei santi Leone, Fozio e Marco, saranno fatti suoi. In ogni caso, non ci saranno più eresie! Solo differenze di prospettiva. La vera fede e l'eresia diverranno gemelli. Non è un caso che la parola "eresia" non sia menzionata neanche una sola volta in tutto il documento!

Accettare il documento e il suo valore vincolante per la Chiesa significa che la base della "verità ipostatica", il Signore Gesù Cristo, lo Spirito che parla nella Chiesa e con la Chiesa, la coscienza dogmatica ecclesiale che esiste all'interno del popolo credente, e l'esperienza della fede vissuta nella Chiesa, tramandata una volta per tutte ai santi e trasmessa a noi attraverso i giusti, i santi e i martiri, non ha più valore decisivo negli affari della Chiesa, ma piuttosto è interamente sostituita da una burocrazia che si arroga – in nome di una conciliarità nominale e formale, in cui non vi è effettivamente alcun impegno di spirito, nessuna consultazione, nessun rapporto con la Chiesa, il popolo di Dio, né limiti di consapevolezza – ripeto, si arroga autorità sulla Chiesa e si dà la qualità dell'infallibilità nel nome del Signore Gesù Cristo, della tradizione, e del corretto dogma...!

L'affidamento alla logica di distinguere tra la Chiesa invisibile e mistica e la Chiesa visibile e storica, considerando la prima come una e onnicomprensiva in ogni caso, mentre la seconda è divisa e subisce un processo di unificazione attraverso uno sforzo per esprimere la sua unità in maniera percepibile attraverso l'unione dei suoi fedeli all'immagine della Chiesa mistica – io dico che il ricorso a tale logica significa sostituire la Chiesa dello Spirito Santo, con una chiesa mondana, psicologico, svuotata del suo contenuto spirituale, in cui il giudizio è superficiale e non spirituale! Se la Chiesa mistica non è presente, costante e attiva in noi e tradotta nella storia, pur rimanendo se stessa, qui e ora, allora quale chiesa ci rimane?! In questo caso, in fondo, l'amore di cui parla il documento non è altro che un insieme di sentimenti umani caduti, non un amore in spirito e verità! In questo caso, l'unità dei cristiani, in un soffocare tempo mondano, è un'unità che è più politica che ogni altra cosa. Ciò significa che il lavoro per realizzare l'unità dei cristiani diventa un valore in sé, anche se è considerato, erroneamente e fantasticamente, uno sforzo per l'auspicata unità della Chiesa, perché in realtà non è altro che un tentativo di attaccare la Chiesa ortodossa dal di dentro e di svuotare il suo contenuto dogmatico spirituale! Si tratta di un'attività demoniaca e non divina!!!

Naturalmente, si capisce che c'è un problema tra la Chiesa ortodossa e quelle al di fuori di lei. Si comprende anche, nelle parole di padre George Florovsky, che "la divisione cristiana significa niente di meno che il fallimento dei cristiani di essere veri cristiani... anche se sono uno nel sito della pienezza della verità ... perché è inammissibile per chiunque essere libero dalle responsabilità per gli altri". Naturalmente, in tutta onestà, nella Chiesa ortodossa siamo responsabili in larga misura per le sofferenze di coloro che ne stanno fuori. Ciò si riflette su di noi, sul nostro fallimento e sulla nostra incompetenza a "usare l'autorità di insegnare e preservare la parola di Dio con fedeltà nel mondo", come dice Florovsky! Tuttavia, questo non significa, non consente, non scusa in alcun modo la nostra consacrazione del nostro peccato con un canone in modo da renderlo il fondamento del nostro sforzo di realizzare un'unità cristiana artefatta, al posto della unità della Chiesa che possiamo solo mantenere in noi stessi, prima di tutto attraverso il pentimento, la fede e l'amore, in spirito e verità!

Verso dove navigare?

La situazione è pericolosa! Pertanto, non stiamo a parlarne. Camminiamo nella fede e non a vista.

Non voglio approfondire dove può portare il viaggio di questo "Grande" Concilio. Questo lo vedranno i popoli del mondo. In termini umani, il mondo ortodosso sta nuotando in un mare interno e in un oceano esterno, dove i venti avversi sono in aumento e i pesci sono squali! Ma lo spirito dell'Ortodossia è coraggioso, e il vostro Signore si è annoiato della monotonia e dell'inazione e molte anime sono irrequiete. Fino a quando? Paolo disse alla gente sulla barca, nel suo viaggio verso Roma (lascio che il lettore capisca), "Percepisco che questo viaggio si concluderà con disastro e grave danno..."

Infine, nonostante l'avvertimento, dopo una lunga attesa, decisero di salpare. Quando il vento del sud soffiava dolcemente, si supponeva che fosse stato adempiuto il loro desiderio. Non molto tempo dopo, un vento impetuoso soffiò contro la nave e questa ne fu catturata e non poté più manovrare. Soffrirono per sette giorni e sette notti. Ma non temere, Paolo, Dio ti ha dato tutti coloro che viaggiavano con te. Così accadde che tutti arrivarono sicuri a riva.

È meglio che la nave non molli gli ormeggi, ma dal momento che è salpata, non temere, perché il Signore sta dormendo su un cuscino a bordo di essa! Che cosa mi vedete fare quando l'acqua è stagnante nella Chiesa e la mia anima arde con lo Spirito in essa, ribollendo in un corpo i cui legami sono cresciuti molto nel corso della storia? Il tuo Signore si manifesta solo nelle tempeste, dal momento che viene da te camminando sulle acque! Non avere paura!

La cosa importante è che nessuno sia solo in se stesso, come i marinai sulla nave di Paolo, al fine di salvarsi! In tal caso, non si può essere salvati. Affidiamoci fermamente gli uni agli altri, con voi prima di noi! Lo Spirito di comunione ce lo insegna. Gli ortodossi sono pazzi, non c'è dubbio. Per questo motivo, non sono controllati! Questo è il mistero di Dio in loro e il mistero della incapacità dell'avversario di batterli! Non c'è niente di più facile per il nemico che a schiacciare le persone razionali! "Sei tutta bella, amore mio, non c'è una macchia in te" (Ct 4:7) e questo è il modo in cui il Signore ti ha visto, o mia Chiesa!

Basti per ciascuno di noi di avere cura dei suoi fratelli, anche se i vicini e politici del mondo gridano contro! Il mio Cristo, prima in te! Poi, possa il vostro Signore trasformare tutto con voi in una benedizione. Servitevi l'un l'altro con amore, ha detto. Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, attenti a non consumarvi gli uni gli altri (cfr Gal 5:15)!

Ma prima dobbiamo trovarci su un'isola, perché ci sono quelli che vogliono che combattiate.

Che fare, allora? Almeno agitiamo l'acqua fangosa. Forse, per grazia dall'alto, possiamo espellere questa pelle morta, per non marcire! Il Signore Dio perdoni le tue avventure, o nuova Gerusalemme!

Nostro padre e amato patriarca,

Questo è ciò che ho. Lo offro alla sua paternità e al nostro onorevole Sinodo, chiedendo perdono in anticipo per ogni parola carente o superflua in esso.

Chiedo la sua benedizione e le sue preghiere,

Nell'amore del Signore Gesù Cristo,

Archimandrita Touma (Bitar)

Abate del monastero di San Silvano l'Athonita, Douma, Libano

Domenica 21 maggio 2016

Nota

[1] In realtà Ankara è sede di alcune chiese cristiane (soprattutto presso sedi diplomatiche), e pensiamo che padre Touma ne sia consapevole; pertanto, riteniamo che con questa affermazione voglia piuttosto dire che ad Ankara non c’è più una continuità di fede con le comunità ortodosse un tempo fiorenti sul posto. (ndt)

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