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  Metropolita Ilarion (Alfeev): la formazione teologica nel XXI secolo

Estratto da una conferenza al Wycliffe College, Università di Toronto, 22 ottobre 2008

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Secondo una definizione classica di Evagrio, ‘Se sei un teologo, pregherai veramente. E se preghi veramente, sei un teologo’. Nella tradizionale comprensione ortodossa, la teologia non è una scienza, o una borsa di studio, o un esercizio accademico. Essere un teologo significa avere l’esperienza di un incontro personale con Dio attraverso la preghiera e il culto.

La teologia deve essere ispirata da Dio: non dovrebbe essere la parola di una persona umana, ma la parola dello Spirito pronunciata da labbra umane. Un vero teologo cristiano è colui che è in grado di rimanere in silenzio fino a quando lo Spirito Santo tocca le corde della sua anima. Ed è solo quando la parola umana tace e la parola dello Spirito emerge dalla sua anima, che nasce la vera teologia. Da questo momento un ‘amante delle parole’ si trasforma in un ‘amante della saggezza’, un retore in un teologo.

Secondo san Gregorio Nazianzeno, non chiunque può essere un teologo, ma solo colui che purifica se stesso per Dio. Non tutti possono partecipare alle discussioni teologiche, ma solo quelli che sono in grado di farlo correttamente. Infine, non ogni questione teologica può essere discussa apertamente:

“La discussione della teologia non è per tutti, io vi dico, non per tutti - non è un esercizio poco costoso e senza sforzo... Deve essere riservata a determinate occasioni, ad alcuni pubblici, e certi limiti devono essere rispettati. Non è per tutti gli uomini, ma solo per coloro che sono stati testati e sono stabili negli studi, e, cosa più importante, hanno ottenuto, o per lo meno stanno ottenendo, la purificazione del corpo e dell’anima.”

La teologia, secondo san Gregorio, non è altro che l’ascesa verso Dio. Gregorio usa l’immagine tradizionale di Mosè sul monte Sinai per sottolineare che il vero teologo è solo qualcuno che è in grado di entrare nella nuvola e di incontrare Dio faccia a faccia. In questa immagine multidimensionale, allegorica Mosè simboleggia la persona la cui teologia emerge dalla esperienza di un incontro con Dio. Aronne rappresenta una persona la cui teologia si basa su quello che ha sentito dire da altri, Nadab e Abiu caratterizzano coloro che affermano di essere teologi a causa della loro posizione elevata nella gerarchia ecclesiastica. Ma né la familiarità con l’esperienza degli altri, né un grado ecclesiastico dà il diritto di proclamarsi teologo. Quei cristiani che si purificano secondo i comandamenti di Dio possono prendere parte a una discussione teologica, i non purificati non dovrebbero.

Quindi, la purificazione dell’anima è un presupposto necessario per la pratica della teologia. Il suo punto centrale è riassunto nel seguente detto: ‘Parlare di Dio è una gran cosa? Ma ancor più grande è purificare se stessi per Dio. Qui, la purificazione (katharsis) non si oppone alla teologia: piuttosto, la teologia è quell’ascesa alla vetta del Monte Sinai, che è impossibile senza la purificazione.

Ciò che è necessario per la pratica della teologia non è tanto lo sforzo intellettuale, né l’erudizione esterna, né ampie letture, ma prima di tutto umiltà e modestia. Secondo Gregorio, l’umiltà non si trova nell’aspetto esteriore di una persona, che può essere spesso ingannevole, e forse neppure nel modo in cui una persona è legata ad altre persone, ma nel suo atteggiamento verso Dio. L’umile, a giudizio di Gregorio, non è colui che parla  poco di sé, o che parla in presenza di pochi, ma di rado, ma colui che ‘parla di Dio con moderazione, che sa cosa dire e cosa passare sotto silenzio.

In altre parole, chiunque può essere un buon cristiano, ma non tutti sono in grado di indagare le profondità della dottrina, in cui molte cose dovrebbero essere coperte da un silenzio apofatico. Tutti possono contemplare questioni di teologia, ma non tutti possono essere iniziati ai suoi misteri. Tutti i cristiani devono purificarsi per Dio: quanto più una persona è purificata, tanto più visibili sono le parole dello Spirito nella sua bocca. La vera teologia è nata da un’attesa silenziosa e umile davanti a Dio piuttosto che da speculazioni su questioni teologiche.

Possiamo vedere che questa comprensione è radicalmente diversa da quella che normalmente intendiamo per ‘teologia’. Una delle tragiche conseguenze del divorzio tra la teoria e la prassi cristiana, tra la fede e la conoscenza, è che oggi la conoscenza di argomenti teologici non presuppone necessariamente la fede. Si può essere un teologo e non appartiene a nessuna comunità ecclesiale; in linea di principio, non c’è bisogno di credere in Dio per ricevere una laurea teologica. La teologia si riduce a una delle materie della conoscenza umana a fianco della chimica, matematica o biologia.

Un altro divorzio che deve essere menzionato è quello tra teologia e liturgia. Per un teologo ortodosso, i testi liturgici non sono semplicemente opere di insigni teologi e poeti, ma anche frutti dell’esperienza orante di coloro che hanno raggiunto la santità e la theosis. L’autorità teologica dei testi liturgici è, a mio avviso, superiore a quella delle opere dei Padri della Chiesa, poiché non tutto ciò che è nelle opere di questi ultimi è di pari valore teologico e non tutto è stato accettato dalla pienezza della Chiesa. I testi liturgici, al contrario, sono stati accettati da tutta la Chiesa come una ‘regola di fede’ (kanon písteos), poiché sono stati letti e cantati nelle chiese ortodosse in tutto il mondo e nel corso dei secoli. Per tutto questo tempo, ogni idea erronea estranea all’Ortodossia, che avrebbe potuto infiltrarsi tramite malinteso o distrazione, è stata eliminata dalla stessa Tradizione della Chiesa, lasciando solo pura e autorevole dottrina rivestita delle forme poetiche degli inni ecclesiali.

Diversi anni fa mi sono imbattuto in un breve articolo su una rivista della Chiesa copta, in cui si affermava che questa Chiesa aveva deciso di rimuovere dai suoi libri di servizio le preghiere per coloro che sono trattenuti all’inferno, dal momento che queste preghiere ‘contraddicono l’insegnamento ortodosso.’ Perplesso da questo articolo, ho deciso di chiedere a un rappresentante della Chiesa copta le ragioni di questa mossa. Quando ne ho avuto la possibilità, ho sollevato la questione di fronte a un metropolita copto, il quale ha risposto che la decisione era stata presa dal suo Sinodo, perché, secondo la loro dottrina ufficiale, nessuna preghiera può aiutare le persone all’inferno. Ho detto al metropolita che nella pratica liturgica della Chiesa ortodossa russa e di altre Chiese ortodosse locali ci sono preghiere per i detenuti all’inferno, e che noi crediamo nella loro forza salvifica. Questo ha sorpreso il metropolita, che ha promesso di studiare la questione in modo più dettagliato.

Durante questa conversazione con il metropolita ho espresso il mio pensiero su come si potrebbe deviare di molto e anche perdere importanti insegnamenti dottrinali nel perseguimento della correzione dei testi liturgici. I testi liturgici ortodossi sono importanti per la loro capacità di dare precisi criteri di verità teologica, e si deve sempre confermare la teologia con testi liturgici come linee guida, e non il contrario. La lex credendi nasce dalla lex orandi, e i dogmi sono considerati divinamente rivelati, perché nascono nella vita di preghiera e sono rivelati alla Chiesa attraverso i suoi servizi divini. Quindi, se ci sono divergenze nella comprensione di un dogma tra una certa autorità teologica e i testi liturgici, sarei propenso a dare la preferenza a questi ultimi. E se un libro di testo di teologia dogmatica contiene punti di vista diversi da quelle che si trovano nei testi liturgici, è il libro di testo, non i testi liturgici, che ha bisogno di correzione.

Ancora più inammissibile, dal mio punto di vista, è la correzione dei testi liturgici in linea con le norme attuali. In tempi relativamente recenti, la Chiesa cattolica romana ha deciso di rimuovere i testi cosiddetti “antisemiti” dal servizio del Venerdì Santo. Diversi membri della Chiesa ortodossa hanno cominciato a propagare l’idea di rivedere i servizi ortodossi al fine di avvicinarli alle norme attuali di correttezza politica. Ad esempio, il defunto arciprete Serge Hackel dall’Inghilterra, un partecipante attivo nel dialogo ebraico-cristiano, ha proposto la rimozione di tutti i testi dei servizi della Settimana Santa che parlano della colpa degli ebrei nella morte di Cristo (cfr. il suo articolo ‘Come la teologia occidentale dopo Auschwitz corrisponde alla coscienza e ai servizi della Chiesa ortodossa russa,’ in La teologia dopo Auschwitz e la sua connessione alla teologia dopo il Gulag: conseguenze e conclusioni, San Pietroburgo, 1999, in russo). Egli sostiene inoltre che solo una lettura ‘superficiale e selettiva’ del Nuovo Testamento porta il lettore alla conclusione che gli ebrei abbiano crocifisso Cristo. In realtà, egli sostiene, Ponzio Pilato e l’amministrazione romana sono i principali responsabili della condanna di Gesù e della sua crocifissione.

Questo è solo uno degli innumerevoli esempi di come una distorsione della lex credendi porta inevitabilmente a ‘correzioni’ nella lex orandi, e viceversa. Questa non è solo una questione di rivedere la tradizione liturgica, ma anche un riesame della storia e dottrina cristiana. Il tema principale di tutti e quattro i Vangeli è il conflitto tra Cristo e gli ebrei, che alla fine chiedono la pena di morte per Gesù. Non c’era conflitto tra Cristo e l’amministrazione romana, quest’ultima chiamata in causa solo perché gli ebrei non avevano il diritto di effettuare una pena di morte. Sembra che tutto questo sia così evidente da non aver bisogno di alcuna spiegazione. Questo è esattamente come la Chiesa antica ha compreso la storia del Vangelo, e questa è la comprensione che si riflette nei testi liturgici. Tuttavia, le regole attuali di ‘correttezza politica’ impongono un’altra interpretazione, al fine di portare non solo i servizi della Chiesa, ma anche la fede cristiana stessa, in linea con le tendenze moderne.

La tradizione ortodossa possiede un numero sufficiente di “meccanismi di difesa” che impediscono a elementi estranei di penetrare nella sua pratica liturgica. Ho in mente quei meccanismi che sono stati messi in moto quando opinioni erronee o eretiche sono stati introdotte nei testi liturgici con il pretesto di revisione. Si può ricordare come il nestorianesimo sia iniziato con la proposta di sostituire l’ampiamente diffuso termine Theotokos (colei che ha partorito Dio) con Christotokos (colei che ha partorito Cristo): il secondo era visto come più appropriato da Nestorio. Quando fu fatta questa proposta, si attivò uno dei meccanismi di difesa: il popolo ortodosso era indignato e protestava. Più tardi, un altro meccanismo fu messo in funzione quando i teologi si incontrarono per discutere il problema. Infine, fu convocato un Concilio ecumenico. Così, avvenne che una pericolosa eresia cristologica, in agguato sotto le mentite spoglie di un’apparentemente innocua modifica liturgica, fu poi condannata da un Concilio.

Riscoprire il legame tra teologia, liturgia e la prassi, tra lex orandi, lex credendi e lex vivendi sarebbe uno dei compiti urgenti della formazione teologica nel XXI secolo. L’intera nozione di una ‘teologia’ come conoscenza esclusivamente libresca deve essere messa in discussione. L’intera idea di una ‘facoltà teologica’ come una delle tante altre facoltà di un’università laica ha bisogno di essere riesaminata. Le nozioni di teologia ‘non-confessionale’, ‘imparziale’, ‘oggettiva’ o ‘inclusiva’ invece di ‘confessionale’ o ‘esclusiva’ devono essere riconsiderate.

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