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  Domenica 26 agosto 2001 (12a dopo Pentecoste) Il giovane ricco (Matteo 19:16-26)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Oggi, nella dodicesima domenica dopo la Pentecoste, leggiamo l'episodio del giovane ricco. In questo giorno, facciamo anche memoria di uno dei più grandi e coraggiosi Padri della Chiesa, San Massimo il Confessore. In questa domenica, cade pure il Congedo, o Restituzione (in greco apodosi, in slavonico otdanie, in romeno odovania) della Festa della Trasfigurazione. Nel giorno del Congedo, che chiude il periodo della postfesta, si ripetono tutte le parti dell'Officio che si sono fatte nel giorno della festa vera e propria. La Tradizione della Chiesa assegna questi periodi di postfesta per ricordarci che le gioie spirituali non sono lampi di breve durata, ma esperienze intense che illuminano durevolmente la nostra vita.

Anche la storia del giovane ricco è un episodio di una certa intensità. Il brano è presente in tutti e tre i Vangeli sinottici, e ci mette di fronte a una domanda seria e importante (di fatto, LA domanda più seria e importante che possiamo farci come credenti): "che cosa posso fare di buono per ottenere la vita eterna?"

Il brano che leggiamo è quello del Vangelo di Matteo, che è l'unico a usare l'espressione "che cosa posso fare di buono"; Marco e Luca non si esprimono così, ma fanno invece iniziare la domanda con "Maestro buono...". La risposta del Signore è invece più simile in tutti e tre i passi, e ci lascia all'inizio un po' stupiti: "Perché mi interroghi su ciò che è buono?" (o "Perché mi chiami buono?"). Il Signore afferma che solo Dio è buono, e restringendo in questo modo il campo della bontà, rigetta l'immagine mondana che Egli è meramente un "uomo buono". Quante persone, quanti movimenti di pensiero, e persino quanti gruppi di sedicenti "cristiani" hanno ridotto Cristo a un "maestro buono", trascurando la sua pretesa di essere venuto a salvarci, cosa che solo Dio, "l'unico buono", può fare! Ma qui il Signore non ci lascia scappatoie: dicendo che solo Dio è buono, e poi aprendo al giovane la conoscenza dei tesori dei cieli, indicandogli la "sola cosa buona da fare", e presentando Se stesso come il modello da seguire, Gesù si rivela come Dio.

Il Signore non delude una persona che gli chiede che cosa è necessario per la salvezza, ma lo fa rispondendo a piccoli passi (la sua è una risposta in tre "gradini"), perché la salvezza stessa è una cosa che si acquisisce gradualmente: noi ci dobbiamo sforzare per ottenerla, non la acquistiamo al momento stesso in cui usciamo dal fonte battesimale.

Il giovane che fa questa domanda è serio, e secondo alcuni dei Santi Padri è una persona sincera nel suo desiderio di salvezza (San Giovanni Crisostomo lo paragona al "terreno fertile" della parabola del seminatore, e dalle parole del Vangelo di Marco sappiamo che il Signore "lo amò" per le risposte da lui date). Il suo problema, almeno agli inizi, è un'attitudine sbagliata nella sua stessa domanda. Egli chiede quale sia la singola "cosa buona" da fare, come se esistesse una scorciatoia, una "formula magica" per la salvezza che renda superflue tutte le altre cose. Per questo Gesù gli dice (nel primo "gradino" della sua risposta) di osservare i comandamenti, ovvero, in pratica, di fare tutto!

La seconda domanda del giovane, che chiede quali comandamenti, rivela ancora questo desiderio di trovare poche cose giuste che aprano subito la via della salvezza. Allora il Signore, nel secondo "gradino" della sua risposta, entra nei dettagli e gli ricorda i punti più specifici della Legge (e della vita cristiana): "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso". Tutto questo non è la perfezione, ma è necessario perché la perfezione si manifesti. Il giovane, di nuovo, dimostra di essere sulla strada giusta, ma di non saper pensare abbastanza in grande, e di voler ancora rinchiudere Dio in una piccola formula comoda. Perciò, quando il giovane ammette (sinceramente) di avere seguito queste cose fin dalla gioventù, e chiede "che cosa mi manca ancora?", Cristo arriva al terzo "gradino" di risposta, e spiega in modo esplicito il passo decisivo verso la vita eterna: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi".

Il giovane ha ottenuto la risposta che voleva, ma questa non gli porta gioia né determinazione: se ne va triste, "poiché ha molte ricchezze". Rendere a Dio le ricchezze che Dio stesso gli ha donato non rientra nei suoi piccoli schemi. E questa è una terribile tragedia. Si tratta di un uomo sincero, di un uomo che desidera essere salvato; quest'uomo fa cose che molti altri non cercano neppure di fare, e tuttavia, volta le spalle alla salvezza. Il suo fallimento è dovuto al possesso, alle ricchezze: per questa causa, egli fa così tanto, e ottiene così poco.

Il denaro è menzionato molte volte, e con insistenza, nelle Sacre Scritture. Magari preferiremmo che così non fosse, perché si tratta di uno di quegli argomenti (come il sesso, il dolore, la morte...) sui quali non vogliamo troppo soffermarci, perché non è cosa su cui è piacevole riflettere. Ma il denaro ha un'enorme influenza sulle nostre vite, ed è per questo che le Scritture non possono non metterci in guardia. L'amore per il denaro, per il possesso, per le comodità che il denaro procura, per la "sicurezza" e i cosiddetti "progetti" per la vecchiaia, è una cosa che strangola la maggior parte dei cristiani (anche di quelli attivi nella Chiesa, perché la maggior parte delle nostre comunità vive preoccupazioni da scarsità di fondi). Ma così non dovrebbe essere.

Come cristiani, dovremmo mettere in pratica una legge più alta di quella contenuta nell'Antico Testamento. C'era nell'Antico Testamento una legge del pagamento della decima. Come cristiani dobbiamo anche noi seguire questa legge, ma non come un obbligo legalistico, bensì come un dono di libertà (purtroppo, quando qualcosa è lasciato alla nostra libertà e responsabilità, ci sarà sempre chi declina questo dono facendo un uso irresponsabile della propria libertà: è un prezzo da pagare perché la nostra libertà sia vera!). Dobbiamo fare anche di più di questo, e cercare un tesoro nei cieli nel modo indicato dal Signore: "Vendere tutto quello che abbiamo, e distribuirlo ai poveri". È San Luca, unico fra i tre evangelisti che riportano questo episodio, a usare la parola "distribuire", che significa disperdere i fondi con cura, intelligenza e discernimento, e non a casaccio. Non è corretto vendere qualcosa, dare il ricavato alla prima persona che bussa alla nostra porta, e dire "Va bene, ho compiuto il mio dovere cristiano". Il nostro dovere è usare in modo saggio le sostanze che Dio ci ha dato.

Il Beato Teofilatto di Bulgaria (uno dei più celebri commentatori ortodossi delle Sacre Scritture) fa una distinzione tra un "amministratore" e un "ricco". Un ricco è uno che ha fondi, proprietà, terre, case, e non dà a nessuno. Si tratta di un ladro, perché ruba ai poveri. Anche un amministratore ha fondi, denaro, terre e case, ma ha anche misericordia, e distribuisce ricchezze ai poveri. In tal modo compie la volontà di Dio.

La Chiesa non ha mai considerato le ricchezze come qualcosa di malvagio in sé, ma ci mette sempre in guardia contro l'attaccamento alle ricchezze, che può accecare la maggior parte dei cristiani alle cose spirituali. Oggi questo è più vero che mai: nelle nostre città, anche le persone più povere hanno comodità materiali che un tempo non riuscivano a permettersi neppure i re. Pensate al cibo, ai mezzi di trasporto, ai divertimenti, alla tecnologia. E tutto questo rischia di farci dimenticare di Dio.

Alla luce degli insegnamenti del Vangelo di oggi, esaminiamo la nostra vita. Per prima cosa chiediamoci se seguiamo i comandamenti. Forse già in questo campo avremo qualcosa da cambiare nella nostra vita! Ma anche se possiamo rispondere sinceramente, come il giovane ricco, che non rubiamo, non testimoniamo il falso, e così via, allora non dobbiamo scordarci che esiste una legge superiore: essere perfetti! Ed è lo scopo della nostra vita, perché è l'unione con Cristo che ci rende partecipi della vita eterna.

Dovremmo guardare attentamente nella nostra vita, e vedere se c'è qualcosa in cui non siamo perfetti. Con il Vangelo di oggi in mente, chiediamoci se non siamo perfetti in termini di denaro, di possesso, di amore per le comodità, e di eccessiva preoccupazione per la sicurezza futura. Dobbiamo esaminare la nostra propensità ad acquistare cose di cui non abbiamo un vero bisogno. Guardiamoci intorno: vediamo facilmente quante cose non ci servono quando cambiamo casa. Non sono forse molte le cose che buttiamo via o che lasciamo indietro? Ebbene, è un peccato terribile circondarci di cose di cui non abbiamo bisogno: tutte queste cose rappresentano il nostro furto ai poveri. Anche nei divertimenti (e nella nostra epoca questo è quanto mai generalizzato) noi sottraiamo denaro ai poveri: quanti pranzi, quanti spettacoli, quante "vacanze", quanti piani superflui per il futuro, quanta preoccupazione esagerata per la nostra sicurezza: in queste cose, finiamo in ultima analisi per impoverire noi stessi.

San Cosma d'Etolia, il grande martire e predicatore del XVIII secolo, disse, "Se ho bisogno di 100 grammi di pane al giorno, Dio li benedice, ma non un grammo di più. Così, se ne mangio 110 grammi, ne ho rubati 10 ai poveri." E queste sono parole molto semplici, non vi sembra? Se guardiamo con attenzione alla nostra vita, vedremo che falliamo ripetutamente questa prova. La maggior parte di noi non è in grado di fermarsi nel proprio desiderio sfrenato di comodità, piacere, divertimento, e così via. Non abbiamo abbastanza fede: non siamo in grado di fidarci di Dio.

Possiamo incominciare con qualcosa di base. Più volte vi ho suggerito di tenere i digiuni, di venire in chiesa (anche alla Veglia, e non solo alla Liturgia della domenica), di confessarvi con più frequenza, di ricevere con più frequenza la Santa Comunione, e di pregare più spesso. Se non sappiamo fare queste cose, non possiamo neppure muovere i primi passi nella vita cristiana. E anche se seguite questi suggerimenti avrete ancora problemi con i peccati, ma almeno avrete qualcosa che vi sostiene e che vi aiuta: è Dio stesso che ci protegge quando ci sforziamo di vivere una vita cristiana.

Allo stesso modo, è importante saper donare parte delle nostre sostanze a Dio. È una cosa importante quanto la preghiera (e di fatto, "preghiera ed elemosina" sono spesso menzionate insieme nelle Scritture). Si tratta di una cosa richiesta da Dio stesso. Se non offriamo al Signore una decima parte dei nostri averi, non stiamo facendo neppure il minimo. E se non lo facciamo, ci inganniamo, e mettiamo in pericolo la nostra vita spirituale. Tuttavia, la Chiesa non ci forza a questa forma di pagamento, perché è una cosa che deve venire liberamente dal nostro cuore. E anche se all'inizio doneremo con sospetto, o con la mano un po' chiusa, lo Spirito Santo aprirà il nostro cuore e ci farà comprendere la gioia che viene da un'obbedienza libera e responsabile.

Vi sembra di avere dei problemi a pagare la decima? Si tratta solo della lista delle vostre priorità! Se dite "ho da pagare per la casa, l'automobile, etc.... e non ho abbastanza denaro per la Chiesa", questo significa che Dio ha nella vostra vita un posto meno importante di quello della casa e dell'auto... e non dovete stupirvi, poi, se Dio vi sembra tanto lontano: a volte ci adoperiamo così tanto per tenerlo fuori delle nostre vite!

Eppure non è solo per obbedienza, per seguire la Legge, che dovremmo donare, ma per il PRIVILEGIO di partecipare alla santità, alla vita della Chiesa. E non solo per noi: ogni offerta che facciamo aiuta la Chiesa a compiere la sua missione, a portare la presenza di Cristo nella vita di tante persone. È davvero una tragedia quando menziono la nostra chiesa in giro, e tanti mi dicono: "una chiesa ortodossa russa a Torino? Non ne avevo mai sentito parlare!" E dire che esistiamo come comunità da tanti anni! Senza il contributo di ciascuno di noi, l'opera dell'evangelizzazione è impedita da uno di quei peccati "quieti", invisibili agli altri, e perfino a noi stessi.

Cerchiamo di non essere come il ricco di questo brano: noi non siamo immuni dalla sua stessa tentazione, che gli fece voltare le spalle alla salvezza (anche se aveva virtù, zelo, rispetto per la legge, e un desiderio di perfezione). Se non stiamo dando a Dio quanto gli è dovuto, iniziamo a farlo adesso, perché altrimenti mettiamo noi stessi in pericolo. Non permettiamo alla nostra vita spirituale di appassire a causa di una cosa tanto sciocca quanto l'attaccamento al denaro. E che il Signore ci aiuti a costituire un tesoro nei cieli, e a seguirlo verso la salvezza.

Amen.  

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