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  "Ma io, che cosa ho fatto?!" Sulla parabola del ricco e di Lazzaro

omelia del sacerdote Fedor Ljudogovskij

pravmir.com

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Disse il Signore questa parabola: "C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi misericordia di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi". (Luca 16:19-31).

Questa parabola è una delle più paradossali. Viveva un uomo che non faceva niente di male. Era ricco. È davvero una brutta cosa? Come si dice, è meglio essere ricchi e sani, piuttosto che poveri e malati. E poi c'era Lazzaro. Di certo era povero. Ma che cosa c'era virtuoso in questo? È una virtù essere malati, affamati, e in generale soffrire? Difficilmente.

Qual è il problema qui? Perché dopo la morte il ricco soffre nel fuoco dell'inferno, mentre Lazzaro riposa nel seno del capostipite Abramo? Può davvero essere semplicemente perché tutto deve essere controbilanciato e compensato, in modo che dopo una vita sontuosa sulla terra arriva la sofferenza, ma dopo la sofferenza viene la gioia? Sarebbe strano.

Ma il punto centrale di una parabola è quello di far riflettere. Quindi, fermiamoci un attimo e pensiamoci.

La parabola non si limita a parlare di due persone con destini diversi ed eredità diseguali nell'aldilà. Lazzaro (e questo è importante) giaceva alle porte del ricco. Di conseguenza, il ricco lo vedeva ogni giorno ed era ben consapevole di quali erano i suoi bisogni - ma a quanto pare non era in alcun fretta di esserne coinvolto. (E infatti Lazzaro non era una specie di pagano: era dello stesso popolo del ricco, un ebreo ugualmente credente).

Niente di tutto questo implica che l'uomo ricco (è così che dobbiamo chiamarlo, poiché il Vangelo non ci dice il suo nome) fosse malvagio e crudele. Forse semplicemente non voleva rovinare la sua vita felice, comoda per entrare in contatto con la malattia, la povertà e la morte.

Ricordiamo il classico della letteratura russa [Guerra e Pace, di Tolstoj]: "Anche Natasha, con il suo istinto rapido, aveva immediatamente notato le condizioni di suo fratello. Ma, anche se le aveva notate, lei stessa si sentiva tanto elevata di spirito, in quel momento, così lontana dal dolore, dalla tristezza, o dall'auto-rimprovero, che volutamente si ingannava come spesso fanno i giovani. 'No, sono troppo felice ora per rovinare il mio piacere provando compassione per i dolori di qualcuno', sentiva in sé, e si disse: 'No, sono io che forse mi sbaglio, è lui che deve sentirsi felice, proprio come lo sono io ' "

Umanamente parlando, questo è abbastanza comprensibile. Ma il giudizio di Dio è qualcosa di completamente diverso.

E che dire di Lazzaro? Giaceva lì, povero, malato, con ferite purulente, circondato da cani e, come dice il Vangelo, desideroso di nutrirsi con le briciole che cadevano dalla tavola del ricco. Chissà, forse questo è successo qualche volta.

Ma la sofferenza ha valore in sé e per sé agli occhi di Dio? Difficilmente. Fa davvero piacere a Dio considerare la nostra sofferenza? E può la sofferenza in sé e per sé davvero redimere i peccati?

No, qui è necessaria un'altra cosa. Vale a dire, la disponibilità ad accettare la volontà di Dio, senza mormorare, esigere o maledire. Se noi sopportiamo pazientemente - anche se non il tormento e la sofferenza, ma solo una sorta di disagio - avendo fede che il Signore ci sta inviando una prova, e se accettiamo ciò che è stato inviato con gratitudine - allora possiamo sperare che la nostra pazienza ci sarà calcolata per la giustizia.

Questo è stato, ovviamente, il caso di Lazzaro. Giaceva alle porte del ricco, forse lo aveva fatto per molti anni. E quando morì, gli angeli vennero a prenderlo. Probabilmente vennero per un motivo. Ma del ricco si dice solo che egli "fu sepolto".

Ripetiamolo ancora una volta: l'uomo ricco non era malvagio né crudele. Dopo tutto, anche nell'ade, quando sembrerebbe che la propria sofferenza metta in ombra tutto il resto, ricordava i suoi fratelli, e si preoccupava per loro. Ma, come si dice, essere una brava persona non è una professione.

Cristo attende da noi non un'astratta bellezza dell'anima, ma fatti specifici che mostrino la nostra fede e il nostro amore. Egli stesso non ha disdegnato di unirsi con la materia, nascendo in una stalla, e andando a pranzo con prostitute. E si aspetta la stessa cosa di noi: che non ci chiudiamo, che non sbarriamo noi stessi al di fuori dei "problemi degli altri", ma partecipando attivamente nella vita di coloro che hanno bisogno di noi.

Allora perché il Signore ha condannato il ricco? Perché aveva fatto qualcosa di male? No, perché non aveva fatto il bene.

Questa parabola è estremamente importante per noi. Noi cristiani che ci rechiamo in chiesa e facciamo regolarmente la confessione e la comunione siamo, nel complesso, brava gente: non uccidiamo, non rubiamo (quasi) nulla, e non ci danneggiamo a vicenda.

Ma il Signore non ha detto: "non danneggiatevi a vicenda". Ha detto: "Ama il prossimo tuo come te stesso". E il nostro amore ha bisogno di essere attivo ed efficace.

Quindi, se un bel giorno (e possa Dio concedere che sia in questa vita), ci rendiamo conto che il Signore si lamenta con noi, non dobbiamo chiederci: "Ma io, che cosa ho fatto?" Proviamo a chiederci: " Che cosa non ho fatto, di quello che potevo e dovevo fare?" chiediamocelo, e poi rispondiamo con i fatti.

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