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  Il patriarca Bartolomeo e l'etnofletismo

Orthodox Synaxis, 23 settembre 2019

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Giovedì 12 settembre il Patriarcato ecumenico, in collaborazione con l'Università di Salonicco, ha tenuto a Halki una conferenza dal titolo "Il problema dell'etnofletismo nella Chiesa ortodossa: dallo scisma bulgaro a oggi". Nel suo discorso di apertura dell'evento, il patriarca Bartolomeo ha detto:

L'etnofletismo ha portato all'indebolimento della coscienza della realizzazione eucaristica della Chiesa. In nome di opportunità nazionalistiche, è stata sacrificata la priorità dell'identità escatologica della Chiesa e dell'ecclesiologia eucaristica. La strumentalizzazione della santa eucaristia e la sua alterazione in un mezzo per esercitare politica e pressione ecclesiastica - come sta accadendo oggi nel caso dell'autocefalia ucraina da parte della Chiesa di Mosca - dimostra la continua presenza di criteri etnofletisti nella vita ecclesiastica dell'Ortodossia e la necessità di resistere a tali tendenze e ritornare ai principi di composizione eucaristica e funzione conciliare della Chiesa ortodossa.

[...] La Grande Chiesa di Cristo non è mai stata asservita al nazionalismo, quell'allontanamento dalla coscienza della cattolicità della Chiesa e l'abolizione del principio di sinodalità nel suo seno.

[...] Nella vita della Chiesa, l'etnofletismo costituisce una pratica "inversione di valori". Invece della nazione che serve la verità cristiana, valorizza e giudica la Chiesa in base al criterio della sua utilità e del suo servizio allo stato. Come ha affermato il beato metropolita Panteleimon di Tiroloë e Serention, l'etnofletismo costituisce "non solo una deviazione dal sano amore per la nazione e lo stato, ma un vero ostacolo alla cooperazione delle Chiese ortodosse locali nel mondo e il più grande nemico dell'unità della Chiesa".

[...] Sappiamo tutti che dopo questa condanna, l'etnofletismo ha continuato a influenzare negativamente l'identità e l'unità della Chiesa ortodossa ed è rimasto la "spina permanente" nei rapporti tra le Chiese ortodosse. Le relazioni congelate tra le Chiese ortodosse autocefale, i problemi intrattabili dell'organizzazione ecclesiastica della diaspora ortodossa, gli sviluppi a seguito della dissoluzione del blocco orientale e in particolare la crisi nell'ex Jugoslavia hanno portato al consolidamento nel resto del mondo cristiano dell'idea che l'Ortodossia sia di per sé etnocentrica e nazionalista, che sia identica a un "ortodossismo" [...]

Il Patriarcato ecumenico, nonostante il fatto di essersi trovato in mezzo alla "tempesta dei nazionalismi" del XIX e dell'inizio del XX secolo, non ha ceduto alla tentazione dell'etnofletismo. Con assoluta fedeltà alla tradizione canonica e ai criteri ecclesiologici, ha criticato le tendenze nazionaliste che dappertutto hanno portato alla caduta della canonicità nella vita della Chiesa, rimanendo sovranazionale e veramente ecumenico, sforzandosi ovunque di preservare l'Ortodossia dalla riduzione a una forma protestante di "confederazione" di Chiese statali autocefale. [...]

[Citando il metropolita Ioannis Zizioulas:] "Il più grande pericolo per l'unità della Chiesa ortodossa oggi è l'etnofletismo. Nella realtà moderna, le Chiese autocefale sono state per la maggior parte modellate storicamente sulla base dei principi dello stato-nazione e del principio protestante del "cuius regio eius religio", delle idee dell'illuminismo europeo sulla religione. L'ecclesiologia eucaristica non è adatta a tali visioni. La base dell'unità della Chiesa non è la nazione, ma piuttosto un'area geografica: tutti coloro che vivono in un luogo specifico, indipendentemente dalla loro etnia, appartengono ecclesiasticamente all'unico vescovo del luogo e l'esistenza di uno stato-nazione non porta necessariamente a una Chiesa nuova e indipendente".

[...] Il carattere sovranazionale [del Patriarcato ecumenico] non diminuisce in alcun modo l'importanza delle specificità dei popoli ortodossi per la vita della Chiesa. La condanna dell'etnofletismo non significa disprezzo o rifiuto degli elementi culturali che appartengono alle identità dei popoli e forniscono le basi e le possibilità di comunicazione e arricchimento reciproco. Semplicemente, questa diversità, che è un elemento pastoralmente necessario per lo sviluppo della diaspora ortodossa, deve operare sulla base dei canoni sacri e dell'ordine ecclesiastico e non diventare l'asse e il criterio più alto per l'organizzazione della vita ecclesiastica [...]

Nella tradizione del Patriarcato ecumenico, la corretta valutazione della specificità delle nazioni coesiste con lo spirito ecumenico, l'apertura e la ricerca della pace. L'identificazione dell'Ortodossia con l'ortodossismo costituisce un'inversione di fatti storici reali. In effetti, è assurdo che l'Ortodossia, che ha rispettato la particolare cultura dei popoli cristianizzati e promuove la cattolicità della comunità ecclesiastica locale, indipendentemente dalla sua composizione razziale, linguistica e sociale, sia caratterizzata come nazionalista. [...]

L'autentica fede e tradizione ortodossa non può costituire una fonte di tendenze nazionaliste. Ogni volta che l'etnocentrismo è apparso o appare nell'ambito dell'Ortodossia, aveva e ha radici straniere. Il beato capo del vostro Dipartimento, Nikolaos Matsoukas, ha visto l'ecumenicità e il cosmopolitismo come "le caratteristiche essenziali" dell'Ortodossia.

Il patriarca Bartolomeo e il metropolita Ioannis (Zizioulas) hanno ragione nel diagnosticare l'etnofletismo come "il più grande pericolo per l'unità della Chiesa ortodossa oggi". Dovrebbe essere ovvio a tutti che questa malattia infetta la vita di tutte le Chiese ortodosse. Sfortunatamente, tuttavia, il patriarca Bartolomeo chiarisce in questo discorso quanto sia lontano il Patriarcato ecumenico come istituzione dall'autocritica necessaria per l'autentica leadership cristiana. Così come lo descrive, l'etnofletismo ha afflitto le "Chiese autocefale" negli ultimi due secoli, mentre Costantinopoli siede al di sopra di tutto, immune al canto delle sirene del nazionalismo e dello sciovinismo etnico.

Ancora una volta, si deve sottolineare che l'attuale crisi ecclesiologica nell'Ortodossia è anche un conflitto tra memorie collettive incompatibili. Nella memoria collettiva del Fanar, cercare l'indipendenza ecclesiastica dal controllo etnico greco è etnofletismo, ma l'imposizione da parte di Costantinopoli del clero, dei costumi e della lingua dei greci in tutte le chiese dell'Impero ottomano (e ancora oggi, nel caso del Patriarcato di Gerusalemme) non lo è. Ma se vogliamo essere storicamente obiettivi, possiamo davvero immaginare il primo sviluppo senza il secondo? Come può un'istituzione la cui leadership si è sempre identificata con un'unica etnia osare affermare di essere "sovranazionale"?

Non ci vuole molto per scoprire con un motore di ricerca quanto il patriarca Bartolomeo identifichi il Patriarcato di Costantinopoli - e il suo primato - con il popolo greco. Nei suoi commenti ampiamente riportati lo scorso ottobre, in cui affermava che "i nostri fratelli slavi non possono sopportare la precedenza che ha il nostro Patriarcato ecumenico, e, di conseguenza, la nostra razza [το γένος μας] nell'Ortodossia mondiale", e ha anche parlato del Patriarcato ecumenico come "l'utero della nostra razza [του γένους μας]" e ha continuato a lodare "gli ideali particolari che abbiamo come razza [φυλή] e come popolo [γένος]".

È difficile vedere come il patriarca Bartolomeo veda il Patriarcato ecumenico come qualcosa che non ha "ceduto alla tentazione dell'etnofletismo... in mezzo alla 'tempesta dei nazionalismi' del XIX e dell'inizio del XX secolo", quando ha potuto anche dire lo scorso ottobre a un gruppo di visitatori della regione greca della Macedonia, "voi macedoni sapete cosa vi ha offerto questa Chiesa martire di Costantinopoli, al posto vostro, affinché rimanga greca. Da qui [vale a dire da Costantinopoli] sono stati inviati a voi... gli eroici ierarchi che hanno aperto la strada alla lotta macedone e sostenuto, a petto in fuori, la nostra Razza [το Γένος μας] e la nostra Fede".

La prontezza del patriarca Bartolomeo nell'usare il linguaggio stesso dell'etnofletismo è ben illustrata dalle sue osservazioni in un'altra occasione nel 2012, dove, quando ha discusso delle prospettive per la riapertura di alcuni monasteri in Turchia, non ne ha parlato in termini di testimonianza o culto cristiano, ma piuttosto come una possibilità "per noi di operare e riconnetterci con il glorioso passato della nostra razza [της φυλής μας]".

In quello stesso anno, parlando con un funzionario greco, ha espresso la speranza che "ancora una volta il pio e caro popolo greco [λαός] sarà condotto lungo il percorso del destino della nostra razza [της φυλής μας], che è la sua vocazione, a illuminare il mondo abitato..." Non è utile moltiplicare ulteriormente tali esempi, poiché sono abbondanti per chiunque abbia accesso a Internet e conoscenza del greco.

Ciò detto, il patriarca Bartolomeo probabilmente non è un ipocrita auto-consapevole, anche se impiega costantemente un linguaggio etnofletista e schemi di pensiero per i quali rimprovera gli altri dirigenti ecclesiali. Piuttosto, è colpevole dello stesso errore di categoria che commette nella sua comprensione del primato del Patriarcato di Costantinopoli: una confusione tra il particolare e l'universale.

Ciò è evidente nel modo in cui il patriarca ecumenico parla delle altre Chiese. Sono "le Chiese locali" o "le Chiese autocefale". Cioè, Chiese particolari di luoghi definiti, implicitamente in contrasto con la presunta universalità sovranazionale e transnazionale del Patriarcato ecumenico. Quindi, a suo avviso, il Patriarcato ecumenico è "la Madre e custode comune di tutti" e "la Madre e la padrona tra le Chiese" perché lo vede fondamentalmente diverso dalle altre Chiese. Ma non dovremmo comprendere il protos – anche grammaticalmente come numero ordinale – come il primo di una serie di analoghi, come vediamo nei dittici, e non come qualcosa di unico e sine paribus?

Naturalmente, il Patriarcato di Costantinopoli non è un universale astratto. È una vera Chiesa con un territorio reale e definito. Vale a dire, è una Chiesa locale. Il fatto che le contingenze storiche abbiano reso microscopico il numero delle sue parrocchie e dei suoi credenti rispetto a qualsiasi epoca passata non cambia questo fatto. Ciò, tuttavia, illustra un grave pericolo della deplorevole usanza dei vescovi titolari: quando un sinodo è in gran parte composto da vescovi le cui diocesi non hanno un'esistenza concreta, c'è una grande tentazione di interpretare questa finzione canonica nel senso che un tale sinodo è libero da limitazioni concrete ed è quindi universale.

Allo stesso modo, la cultura o la lingua greca non può essere una cultura universale proprio perché è una vera cultura di persone reali. È incarnata, non è un ideale o un'astrazione, e tanto meno una missione civilizzatrice. Le affermazioni dell'universalità dell'ellenismo, radicate semplicemente nel fatto che era la cultura di prestigio del Mediterraneo orientale da Alessandro a Muhammad, sono assurde quanto le affermazioni del XIX e del XX secolo degli imperialisti francesi, russi e americani sull'universalità delle loro culture.

Alla fine, solo il Vangelo di Cristo è universale. L'acuta consapevolezza che i primi cristiani avevano di questo fatto è dimostrata dalla loro insistenza sulla possibilità di tradurre le Scritture e la Liturgia in qualsiasi lingua, sul fatto che il messaggio universale di Cristo può essere pienamente disponibile a tutti in qualsiasi lingua - un'affermazione che è tanto più notevole se paragonata agli atteggiamenti nei confronti della traduzione nell'ebraismo e nell'islam. L'autore dell'Epistola a Diogneto del II secolo spiega perfettamente come l'universalità del Vangelo si esprime nella particolarità dei singoli cristiani in tutte le culture:

Abitando in città greche e barbare, secondo il destino di ognuna di esse, e seguendo le usanze dei nativi per quanto riguarda l'abbigliamento, il cibo e il resto della loro condotta ordinaria, ci mostrano il loro metodo di vita meraviglioso e decisamente sorprendente. Abitano nei loro paesi, ma semplicemente come residenti. Come cittadini, condividono tutto con gli altri, eppure sopportano tutto come se fossero stranieri. Ogni terra straniera è per loro come il loro paese natale, e ogni loro terra nativa come terra straniera.

La consapevolezza e l'accettazione della nostra particolarità mentre essa incarna l'universalità cristiana è una condizione necessaria per poter accettare e abbracciare l'altro. Se cerchiamo di essere universali, di trascendere i vincoli della particolarità concreta e di posizionarci al di sopra di tutti gli altri, ci siamo arresi a un desiderio che, come ricorda il papa san Gregorio Magno, scaturisce dall'orgoglio, non diversamente da quello dell'Anticristo.

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