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  Una comparazione tra il misticismo di Francesco d'Assisi e quello di San Serafino di Sarov

dal sito Orthodox Christian Information Center

citato in Pravoslavie i Mir

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Durante la mia preghiera due grandi luci sono apparse di fronte a me (deux grandes lumieres m'ont ete montrees) - una nella quale ho riconosciuto il Creatore, e un'altra in cui ho riconosciuto me stesso.

- Parole di Francesco riguardo alla propria preghiera

Egli (Padre Sergio) pensò a quanto era simile a una lampada ardente, e quanto più si sentiva tale, tanto più sentiva un indebolimento, un affievolimento della luce divina di verità che bruciava dentro di lui.

- L. N. Tolstoj, "Padre Sergio."

Quanti sono davvero retti si considerano sempre indegni di Dio.

- Detto di Sant'Isacco il Siro

Studiando i dati biografici di Francesco d'Assisi, un fatto di primario interesse per quanto riguarda il misticismo di questo asceta cattolico romano è l'apparizione di stigmate sulla sua persona. I cattolici romani ritengono questa impressionante manifestazione come il sigillo del Santo Spirito. Nel caso di Francesco, tali stigmate presero la forma dei segni della passione di Cristo sul suo corpo.

La stigmatizzazione di Francesco non è un fenomeno eccezionale tra gli asceti del mondo cattolico romano. La stigmatizzazione sembra caratteristica del misticismo cattolico romano in generale, sia prima dei tempi di Francesco, sia in seguito. Pier Damiani, per esempio, parla di un monaco che portava sul suo corpo la rappresentazione della Croce. Cesario di Geisterbach menziona un novizio che aveva una Croce impressa sulla fronte. [1] Inoltre, esiste una gran mole di dati che testimoniano il fatto che dopo la morte di Francesco avvenne una serie di stigmatizzazioni, che in seguito è stata studiata a fondo da diversi ricercatori, particolarmente in tempi recenti. Tali fenomeni, come dice V. Guerier, mettono in luce la loro fonte primaria. Molti di loro sono stati soggetti ad accurata osservazione e narrati in dettaglio, per esempio il caso di Veronica Giuliani (1660-1727) che era sotto osservazione medica; Luisa Lato (1850-1883) descritta dal Dottor Varleman, [2] e Madeleine N. (1910) descritta da Janat. [3] Nel caso di Francesco d'Assisi, si dovrebbe notare come la Chiesa cattolica romana reagì alla sua stigmatizzazione con la massima riverenza, e accettò il fenomeno come un grande miracolo. Due anni dopo la sua morte, il Papa canonizzò Francesco come santo. Il motivo principale per la sua canonizzazione era il fatto delle stigmate miracolose sulla sua persona, che furono accettate come indicatori di santità. Questo fatto è di singolare interesse per i cristiani ortodossi, poiché niente di simile si incontra nelle vite dei santi della Chiesa ortodossa - tra i quali un esponente di spicco è il santo russo, Serafino di Sarov.

Si dovrebbe anche menzionare che i resoconti storici della stigmatizzazione di Francesco non danno oggi adito ad alcun dubbio nel mondo accademico. A tale proposito, ci riferiamo a Sabbatier, che studiò in dettaglio la vita di Francesco, e specialmente la sua stigmatizzazione. Sabbatier giunse alla conclusione che le stigmate erano decisamente reali. Sabbatier cercò di trovare una spiegazione della stigmatizzazione nell'area inesplorata della patologia mentale, ai confini tra la psicologia e la fisiologia. [4]

Prima di procedere con una spiegazione della stigmatizzazione di Francesco dal punto di vista della mistica ortodossa - scopo primario di questo saggio - si dovrebbe intraprendere a questo punto un'indagine delle stigmate come fenomeni fisiologici, dato che tale indagine fornirà informazioni preziose per una successiva valutazione ortodossa del "misticismo" del santo cattolico romano.

Guerier include nella sua opera su Francesco le rilevazioni scientifiche di G. Dumas, che analizzò i processi di stigmatizzazione da un punto di vista psicosomatico. [5] Quelle che seguono sono le conclusioni a cui giunse Dumas riguardo agli stigmatizzati:

1. Bisogna riconoscere la sincerità degli stigmatizzati e il fatto che le stigmate appaiono spontaneamente, ovvero che non sono ferite auto-inflitte mentre la persona è in uno stato incosciente.

2. Le ferite degli stigmatizzati sono da considerarsi fenomeni che riguardano il sistema circolatorio (vasi sanguigni) e si spiegano come effetti di suggestione mentale che influenza la digestione, la circolazione del sangue, e le secrezioni ghiandolari. Possono avere come risultato lesioni cutanee.

3. Le ferite degli stigmatizzati appaiono mentre questi sono in uno stato estatico, che si ha quando una persona è assorbita nella contemplazione di qualche sorta di potente immagine, e abbandona il proprio controllo a questa immagine.

4. Le stigmate non appaiono solo come risultato di un'immaginazione passiva di una ferita sul corpo, ma, secondo la testimonianza degli stessi stigmatizzati, allorché l'immaginazione è accompagnata dall'azione attiva dell'immagine stessa - in modo specifico l'effetto di un raggio o lancia infuocata, che viene vista uscire da una ferita contemplata, e che ferisce a sua volta il corpo dello stigmatizzato. Spesso, questo accade gradualmente, e non con la prima visione, finché non si arriva a un livello in cui l'immagine contemplata in estasi ottiene un controllo finale sul soggetto contemplante.

Dumas stabilì i seguenti criteri generali per la stigmatizzazione: tutti gli stigmatizzati sperimentano dolori insopportabili nelle parti del corpo coinvolte, a prescindere dalla forma che prendono le stigmate - impronte della Croce sulle spalle; tracce o segni di una corona di spine sul capo; o, come nel caso di Francesco d'Assisi, come ferite su mani e piedi e sul fianco. Assieme al dolore, essi sperimentano una grande delizia nel pensiero di essere degni di soffrire con Gesù per espiare, come egli fece, i peccati di cui essi sono innocenti. [6] (Ciò, naturalmente, corrisponde alla "teoria della soddisfazione" cattolico-romana, che è sconosciuta alla Chiesa ortodossa.) [7]

Le generalizzazioni di Dumas sono estremamente interessanti in quanto implicano che nel processo di stigmatizzazione, a parte uno stato emotivo carico di passione (un'estasi emotiva del cuore), un grande ruolo è giocato pure da: a) un elemento mentale; b) un'immaginazione mentale che presenta un'acuta sofferenza; c) l'autosuggestione, ovvero una serie di impulsi mentali e volitivi diretti a tradurre fisiologicamente le sofferenze dell'immagine contemplata; d) sensazioni fisiche quali il dolore; e, al termine, e) la produzione sul corpo di segni (ferite) di sofferenza - le stigmate.

Le osservazioni di Dumas riconoscono fattori che vanno al di là delle emozioni (che William James considera la fonte del misticismo) [8] e che giocano un ruolo uguale, se non superiore, nel processo di stigmatizzazione. Questi si possono riassumere come segue:

1. Un'intensa fatica di immaginazione mentale,

2. Suggestione,

3. Percezioni sensuali, e

4. Manifestazioni fisiologiche.

Il significato di questi punti risulterà chiaro in seguito.

Dopo la breve analisi scientifica degli stigmatizzati in generale, passiamo a dati specifici sulla visione e sull'estasi di Francesco, come narrate nei Fioretti, che forniscono le premesse che hanno condotto alla visione, così come una descrizione del fenomeno.

La stigmatizzazione di Francesco d'Assisi, dovuta ai risultati della sua visione, è fatta risalire a una preghiera singolare. La preghiera è un'intensa supplica da parte sua di poter sperimentare le sofferenze di Cristo nel proprio corpo e anima. Nella preghiera, Francesco desidera un'istigazione divina dell'esperienza, che è assetato di percepire non solo con la sua anima, ma pure con il suo corpo. Perciò, abbandonandosi alla preghiera estatica, egli non rinunciava al proprio corpo, ma invitava sensazioni terrene o corporee, ovvero sofferenze fisiche.

La preghiera di Francesco ricevette una risposta. La cronaca dice che "Francesco si sentì completamente trasformato in Cristo." Tale trasformazione non fu solo in spirito, ma anche nel corpo, ovvero non solo in sensazioni spirituali e psicologiche, ma anche in sensazioni fisiche. Come avvenne di fatto la visione?

Prima di tutto, in modo per lui piuttosto inaspettato, Francesco vide qualcosa che fu descritto come miracoloso: vide un Serafino dalle sei ali, simile a quello descritto dal Profeta Isaia, che scendeva verso di lui dal cielo. (Primo stadio della visione). Quindi, dopo che il Serafino si fu avvicinato, Francesco, assetato di Gesù e sentendosi "trasformato in Cristo," iniziò a vedere Cristo sovrapposto al Serafino, inchiodato a una croce. Nelle parole della cronaca, "E questo Serafino sia avvicinò tanto al Santo che Francesco poté vedere in modo chiaro e distinto sul Serafino l'immagine del Crocifisso." (Secondo stadio della visione). Francesco riconobbe nell'immagine del Serafino lo stesso Cristo disceso a lui. [9] Sentì le sofferenze di Cristo sul suo corpo, e a quel punto il suo desiderio di sperimentare queste sofferenze fu soddisfatto. (Terzo stadio della visione). Quindi le stigmate iniziarono ad apparire sul suo corpo. Il suo zelo e la sua preghiera fervente apparvero essere stati accolti. (Quarto stadio della visione).

L'enorme complessità della visione di Francesco è impressionante. Sopra alla visione iniziale del Serafino, che era, a quanto sembra, disceso dal cielo per Francesco, fu sovrapposta un'altra immagine - quella che Francesco era assetato di avere al di sopra di ogni altra, quella del Cristo crocifisso. Il processo dello sviluppo di queste visioni lascia l'impressione che la prima visione (quella del Serafino), così inaspettata e improvvisa, fosse al di fuori del regno dell'immaginazione di Francesco, che anelava a vedere Cristo crocifisso, e di sperimentare le sue sofferenze. In questo modo, si può spiegare una concezione così complessa, in cui entrambe le visioni, entrambe le immagini - quella del Serafino e quella di Cristo - trovarono spazio nella coscienza di Francesco.

L'esperienza di Francesco d'Assisi è notevole, e di singolare interesse per i cristiani ortodossi, poiché, come già menzionato, niente di simile si incontra nell'esperienza della Chiesa ortodossa con una lunga successione di asceti, e una storia ugualmente lunga di esperienze mistiche. Di fatto, tutte le cose che Francesco sperimentò nel processo della sua stigmatizzazione sono gli stessi precisi inganni contro i quali i Padri della Chiesa mettevano in guardia!

Riguardo al modo in cui gli asceti della Chiesa ortodossa comprendono la preghiera più elevata (spirituale), come descritto in dettaglio nella Filocalia, si deve sottolineare che essi vedevano questa preghiera a fianco dei propri sforzi personali, come operazione sinergica (l'uomo che coopera con Dio) per ottenere il distacco, non solo da tutto quanto è fisico o sensorio, ma anche dal pensiero razionale. Questa è, quanto meno, una diretta elevazione spirituale della persona a Dio, quando il Signore Dio il Santo Spirito intercede Egli stesso per il supplicante con "lamenti ineffabili." [10] Per esempio, Sant'Isacco il Siro dice nelle sue Direzioni, "Un'anima che ama Dio, in Dio solo trova pace. Liberati in primo luogo da tutti i tuoi attaccamenti esteriori, quindi il tuo cuore sarà in grado di unirsi a Dio; l'unione con Dio è infatti preceduta dal distacco dalla materia." [11] È invece il semplice insegnamento di San Nilo del Sinai, che si fa avanti con netta chiarezza a presentare un serio riferimento alla presunta visita divina che Francesco sperimentò. Nel Testo sulla Preghiera, San Nilo ammonisce: "Non desiderare e non cercare mai alcun volto o immagine durante la preghiera. Non desiderare visioni sensoriali di angeli, o di potenze, o di Cristo, per non rischiare di perdere la tua mente confondendo il lupo con il pastore, e adorando i nemici - i demoni. L'inizio dell'inganno (plani) della mente è la vanagloria, che spinge la mente a cercare di rappresentare la divinità in qualche forma o immagine. [12]

La preghiera estatica di Francesco ricevette una risposta, ma alla luce dei consigli di Sant'Isacco e di San Nilo, chiaramente non la ricevette da Cristo. La cronaca dice che "Francesco si sentì completamente trasformato in Cristo," trasformato non solo in spirito, ma anche nel corpo, ovvero, non solo in sensazioni spirituali e psicologiche, ma anche in quelle fisiche. Mentre si può dare per scontato che Francesco fosse pienamente convinto di essere stato spiritualmente elevato fino al Logos, il sorgere di speciali sensazioni fisiche non può, secondo Sant'Isacco, essere ascritto all'azione di un potere spiritualmente buono.

Le sensazioni fisiche di Francesco si possono spiegare come l'opera della sua immaginazione mentale che si muoveva in parallelo con la sua estasi spirituale. È difficile dire, in questo caso, che cosa fosse dominante nell'inganno (plani) di Francesco: il suo orgoglio spirituale, o il suo mentalismo (immaginazione mentale); in ogni caso, comunque, il mentalismo era piuttosto forte. Ciò è confermato dalle circostanze della visione insolitamente complessa che fu presentata a Francesco dopo che si sentì completamente trasformato in Gesù Cristo: questo è chiaramente uno stato molto severo di plani, che ha le sue radici, come dice San Nilo, nella vanagloria.

L'esagerazione dell'esaltazione di Francesco, che si può notare nella descrizione della sua visione, si rivela molto apertamente viene paragonata alla maestosa visione di Cristo che San Serafino di Sarov sperimentò mentre serviva come diacono al Grande Giovedì della Settimana della Passione. [13]

In contrasto con Francesco, San Serafino non cercò di "sentire se stesso trasformato in Gesù" attraverso la propria preghiera e le proprie fatiche. Egli pregò in modo semplice e profondo, pentendosi dei propri peccati. Nel corso della sua preghiera, e come risultato delle sue grandi gesta ascetiche, crebbe in lui il mistico potere della Grazia, che egli non percepiva, né comprendeva. Stando di fronte al trono (la Santa Mensa) con un cuore ardente, per usare le parole di Elia di Ekdik "...l'anima, liberatasi da tutto quanto è esterno, è unita alla preghiera, e tale preghiera, come una sorta di fiamma che circonda l'anima come il fuoco circonda il ferro, la rende tutta infuocata," [14] San Serafino fu colpito inaspettatamente dall'apparizione del misterioso potere divino. San Serafino non immaginava, né sognava, né si aspettava una simile visione. Quando questa ebbe luogo, ne fu così colpito che ci vollero due ore perché "riprendesse i sensi." In seguito, egli stesso descrisse quanto era accaduto. Dapprima fu colpito da una luce insolita, simile a quella del sole. Quindi vide il Figlio dell'Uomo nella gloria, che risplendeva di una luce ineffabile più brillante del sole, e circondato "come da uno sciame di api" dalle potenze celesti. Uscendo dalla Porta settentrionale (del santuario) Cristo si fermò davanti all'ambone ed elevando le mani benedisse quanti servivano e pregavano. La visione quindi scomparve.

Diversi punti del resoconto della visione di San Serafino sono interessanti per questo studio. Dapprima, in diretto contrasto con la preghiera di Francesco, la preghiera di San Serafino è priva di alcun elemento che possa remotamente suggerire che egli desiderasse alcun segno visibile (sensoriale) della Presenza Divina. E meno di tutto, egli pensò in vita sua di essere mai degno di essere "trasformato in Gesù," come pregava Francesco. La caratteristica chiave della preghiera del Santo è una profonda umiltà, evidenziata dalla sua articolata confessione di peccaminosità, che lo spinse verso il pentimento in preghiera. Il significato di questo, come i Padri della Chiesa fanno ripetutamente notare, è che la vera umiltà di fatto previene che uno cada nella vanagloria.

Un secondo profondo aspetto della preghiera di San Serafino è il fatto che a Dio non è richiesto alcun favore di Manifestazione Divina. E naturalmente, come già menzionato, mentre pregava non vi era alcun pensiero o immagine oltre al suo pentimento. Ciò, naturalmente, è coerente con il pentimento di San Serafino, la cui descrizione articolata indica in modo ben chiaro che egli non si ingannò mai pensando di avere raggiunto un livello di dignità in cui, nonostante i suoi peccati, potesse chiedere con fierezza le Cose sante. Se egli si fosse visto in questo modo, sarebbe scivolato facilmente nella presunzione. La preghiera di San Serafino era diretta all'esatto opposto, cosa che invero lo rese degno della visione divina. San Massimo il Confessore, nella Prima Centuria sull'Amore, si esprime così: "Chi ancora non ha ottenuto la conoscenza di Dio ispirata dall'Amore, ha un'alta stima di quanto compie secondo la volontà di Dio. Ma un uomo che ha ottenuto questa conoscenza ripete nel suo cuore le parole del nostro progenitore Abramo, quando Dio gli apparve: 'io sono terra e cenere' (Gen.18:27)".

Parlando della visione di San Serafino, si dovrebbe notare che lo stato spirituale più elevato, ottenuto attraverso la via indicata dagli asceti nella Filocalia, si sviluppa nel cuore dell'uomo al di fuori delle sfere mentali e sensuali, e, di conseguenza, al di fuori della sfera dell'immaginazione mentale. Abba Evagrio nei suoi Testi ad Anatolio sulla Vita Attiva, dice: "La mente non vedrà in se stessa la dimora di Dio, a meno che non si elevi al di sopra di tutti i pensieri di cose materiali e create; e non può elevarsi al di sopra di essi se non si libera dalle passioni che la legano agli oggetti dei sensi e che incitano a questi ultimi i pensieri. Si libererà dalle passioni per mezzo delle virtù, e dei semplici pensieri per mezzo della contemplazione spirituale; ma abbandonerà anche questa quando le apparirà quella luce che, nella preghiera, segna il posto di Dio". [16]

L'esperienza dell'unione mistica dell'uomo con Dio, pertanto, è di solito molto difficile da tradurre in termini umani. Capita, tuttavia, che vengano accordate visioni a persone che hanno coltivato in se stesse l'impassibilità, ma nella maggioranza di questi casi tali visioni sono momentanee, e hanno un effetto sull'interiorità di una persona, provenendo come da dentro. Sant'Isacco il Siro spiega: "Se sei puro, allora il cielo è dentro di te; e in te stesso vedrai gli angeli, e con loro e tra di loro, il Signore degli Angeli." [17] I Padri della Chiesa ortodossa insegnano che tutte queste esperienze sono al di là di ogni aspettativa dell'uomo umile, poiché l'asceta nella sua umiltà non si sente degno di tanto.

Ricapitolando l'esperienza di San Serafino, si può vedere come essa presenti le seguenti caratteristiche:

1. Semplicità;

2. Pentimento;

3. Umiltà;

4. Una visione inaspettata al di là delle categorie dei sensi e della ragione;

5. Estasi o rapimento spirituale.

Per sottolineare l'ultimo punto, Sant'Isacco, citato prima, spiega: "...la contemplazione di una visione super-cosciente, concessa dal Potere Divino, è ricevuta dall'anima in modo interiore e immateriale , improvviso e inaspettato; viene scoperta e rivelata dall'interno, poiché, nelle parole di Cristo, 'il Regno dei cieli è dentro di voi' - Questa contemplazione nell'immagine, che si imprime nella mente nascosta (l'intelletto più elevato) si rivela senza essere preceduta da alcun pensiero su di essa". [18]

Dai punti sopra elencati, presi come paragone tra le due visioni e tra ciò che Francesco e San Serafino sperimentarono in esse, vi è una netta differenza nel misticismo dei due. Il misticismo di San Serafino appare come un'estasi puramente spirituale, un dono di visione spirituale accordato a un asceta, una illuminazione del suo intelletto superiore, [19] mentre l'esperienza spirituale di Francesco è un misticismo indotto dalla sua volontà, e ovviamente oscurato dalla propria immaginazione e sensualità.

Un'ulteriore differenza e distinzione tra i due è la diversa relazione con Cristo che essi esprimono. In contrasto a San Serafino, che sperimentò il potere spirituale di Cristo nel suo cuore, accettando Cristo dentro di sé, Francesco nella sua immaginazione ricevette la sua impressione soprattutto dalla vita terrena di Cristo. Francesco era assorbito nell'aspetto esterno delle sofferenze di Cristo. Questa impressione gli giunse sul Monte della Verna come dall'esterno.

A fianco del suo fortissimo desiderio di sperimentare la sofferenza di Cristo, vi era la sua spinta a imitare altri aspetti terreni della vita di Gesù. Non solo egli inviò i propri "Apostoli" in varie regioni della terra a predicare, dando loro virtualmente le stesse istruzioni che il Salvatore diede ai suoi Apostoli, [20] ma produsse persino di fronte ai suoi discepoli, non molto tempo prima della sua morte, qualcosa di simile alla stessa grande Cena Mistica. "Egli rammentò," dice il suo biografo, "quel pasto santificato che il Signore celebrò con i suoi discepoli per l'ultima volta." [21] Non si può scusare una simile presunzione sulla base della sua vita eclatante, per quanto severo possa essere stato il suo ascetismo o per quanto virtuose possano essere state le sue gesta. Questo atto è un indizio primario, dal punto di vista ortodosso, della severità della sua caduta nella condizione di inganno spirituale.

Prima di procedere è necessario spiegare in breve la condizione dell'inganno spirituale (plani). In termini generali, secondo il Metropolita Antonij Chrapovitskij, l'inganno o plani (prelest, in russo) si ha di solito quando il diavolo delude una persona suggerendole il pensiero che le sono state concesse visioni (o altri doni della Grazia). A questo punto il maligno acceca costantemente la sua coscienza, convincendola della propria apparente santità, e le promette il potere di compiere atti prodigiosi. Il maligno porta un simile asceta sulla vetta di un monte o sul tetto di una chiesa, e gli mostra un carro di fuoco, o qualche simile oggetto meraviglioso, che lo porterà fino in cielo. L'asceta deluso vi sale (ovvero, accetta la delusione) e precipita a capofitto nell'abisso, spinto alla morte priva di pentimento. [22]

Ciò che è chiaro da questa breve analisi è che il soggetto che vive quest'esperienza è di solito caduto in qualche forma di orgoglio, di solito la vanagloria, da cui viene la presunzione di avere alla fine raggiunto uno stato in cui pensa di non dovere più fare attenzione alla possibilità di cadere in peccato, o persino nella bestemmia contro Dio. Si tratta, naturalmente, del peccato di Lucifero, e per definizione il più difficile da vincere. Da qui l'importanza e l'enfasi costante negli scritti religiosi sull'obbedienza ascetica e sull'umiltà fino alla fine stessa della propria vita terrena.

Già si è mostrato come la visione di Francesco contenga forti segni di inganno spirituale. Ciò che resta da fare, pertanto, è tratteggiare l'opera e le azioni di Francesco che risaltano come tratti distintivi del suo misticismo. Presentando alcuni eventi della vita di Francesco, e quindi contrastandoli con eventi dalla vita di San Serafino di Sarov, sarà possibile trarre una conclusione finale sul misticismo di questi due asceti. Si dovrebbe premettere che gli esempi scelti sono generalmente caratteristici dei soggetti.

Si narra nei Fioretti che Francesco a un certo punto non riuscì a seguire le regole di uno stretto digiuno a causa di una malattia. Ciò oppresse la sua coscienza a tal punto che egli decise di pentirsi e di punirsi. La cronaca dice: "... comandò che la folla si riunisse per le strade di Assisi per un sermone. Quando ebbe finito il sermone, disse al popolo che nessuno avrebbe dovuto andarsene prima del suo ritorno; egli stesso andò in cattedrale con molti fratelli e con Pietro Cattani, a cui disse di fare quanto gli avrebbe detto, secondo il voto di ubbidienza e senza obiettare. Questi ripose che non avrebbe voluto o potuto desiderare di fare alcunché contro la volontà di Francesco. Quindi Francesco si levò la sopravveste e ordinò a Pietro di mettergli una corda attorno al collo e portarlo fuori mezzo nudo tra la folla, nel posto stesso dove aveva predicato. Francesco comandò a un altro fratello di riempire una coppa di ceneri, e, salito sul luogo dove aveva predicato, di versargli queste ceneri sulla testa. Questo fratello, tuttavia, non gli obbedì, perché era molto turbato da quest'ordine a causa della sua compassione e devozione nei confronti di Francesco. Ma Fratello Pietro prese la corda nelle sue mani e cominciò a trascinare Francesco dietro di sé, come questi aveva comandato. Egli stesso pianse amaramente nel frattempo, e gli altri fratelli scoppiarono in lacrime di commiserazione e disperazione. Quando Francesco fu così condotto mezzo nudo al luogo dove aveva predicato, disse, 'Voi, e tutti quanti hanno lasciato il mondo per il mio esempio e seguono il modo di vita dei fratelli, mi considerate un santo, ma di fronte al Signore e a voi io mi pento, poiché mi sono nutrito di carne durante la mia malattia'." [23]

Naturalmente il peccato di Francesco non era così grave e non meritava certamente la forma drammatica di penitenza in cui Francesco avvolse la sua confessione, ma questa era una caratteristica generale della pietà di Francesco. Egli si sforzava di idealizzare tutto ciò che un asceta era tenuto a fare; tentò anche di idealizzare lo stesso atto ascetico del pentimento.

L'idealizzazione degli atti cristiani di ascetismo compiuta da Francesco si può anche notare nel suo rapporto con l'atto dell'elemosina, e soprattutto nel modo in cui Francesco reagiva ai mendicanti. Agli occhi di Francesco i mendicanti erano creature di statura molto alta a paragone di altre persone. Nella visione di questo mistico cattolico romano, un mendicante era il portatore di una missione sacra, essendo immagine di Cristo povero e vagabondo. Per questo, nelle sue istruzioni, Francesco obbliga i suoi discepoli a chiedere l'elemosina. [24]

Infine, l'entusiasmo idealizzato di Francesco si rivelò in modo speciale nei suoi modi di rammentare le sofferenze terrene di Cristo. Nella biografia di Francesco si dice che, "ubriaco di amore e compassione per Cristo, il beato Francesco raccolse dal suolo un pezzo di legno e, tenendolo nella mano sinistra, passò su di esso la destra come se fosse un archetto su un violino, mentre mormorava una canzone francese sul Signore Gesù Cristo. Questo canto si concluse con lacrime di compassione per le sofferenze di Cristo, e con sinceri sospiri Francesco, cadendo in uno stato di trance, guardò il cielo...." [25]

Non vi può essere dubbio, come anche i biografi di Francesco attestano eufemisticamente, che il fondatore dell'Ordine francescano fosse teatrale nei suoi atti di pentimento, e ciò rivela in modo molto grafico l'assenza di un grado critico di attenzione, necessario nella vita ascetica all'acquisizione della vera umiltà. Di fatto, in tutti i momenti in cui nei Fioretti si danno indicazioni dell'umiltà di Francesco, questi non mancano mai di una compromettente presunzione sul fatto che Dio gli parli, per esempio attraverso la bocca di fratello Leone, [26] o quando ritiene di essere stato scelto da Dio "per vedere ovunque il bene e il male," quando il Fratello Masseo lo mette alla prova per la sua umiltà . [27] È vero che Francesco descrive la propria viltà e meschinità, ma in tutto questo manca un corrispondente rimorso, o una contrizione che indichi che egli si considerava indegno di fronte a Dio. Anche se parlava frequentemente della necessità di umiltà, e dava ai fratelli francescani istruzioni utili a riguardo, egli stesso per tutta la sua vita sperimentò l'umiltà solo in accessi isolati per quanto molto forti; e tali accessi non erano interamente liberi, come già

indicato, da esagerazioni melodrammatiche. Non c'è niente di più rivelatore, in tali questioni, delle sue stesse dichiarazioni ai fratelli. Un giorno avrebbe detto ai suoi discepoli, "Non riconosco in me alcuna trasgressione che io non possa espiare con la confessione e la penitenza. In Signore nella sua misericordia mi ha concesso infatti il dono di apprendere chiaramente nella preghiera ciò in cui io l'ho compiaciuto o dispiaciuto." [28] Queste parole, naturalmente, sono ben lontane dalla genuina umiltà. Esse suggeriscono piuttosto il discorso di quell'uomo virtuoso e soddisfatto di se stesso (il fariseo) che, nella parabola, stava nel tempio, mentre il pubblicano si inchinava in un angolo, supplicando Dio con parole di umiltà: "O Dio abbi misericordia di me peccatore."

Quando gli atti di "umiltà" di Francesco sono paragonati alla lotta di San Serafino per mille giorni sulla roccia, ne risulta un netto contrasto. Mentre era in lotta con le proprie passioni, [29] San Serafino gridava più e più volte le parole stesse del pubblicano: "O Dio abbi misericordia di me peccatore." In questo gesto non c'è esaltazione, né spirito di ostentazione. San Serafino sta semplicemente ricorrendo all'unico possibile mezzo di perdono a lui aperto, dopo:

a. il riconoscimento delle sue passioni;

b. una contrizione che sgorga dal suo rimorso sulle proprie condizioni spirituali;

c. un bisogno di superare le passioni;

d. la sua consapevolezza della propria incapacità e indegnità di compiere da solo questo passo, e il suo lungo e arduo appello di misericordia a Dio.

Anche nel corso dei suoi ultimi anni, quando San Serafino sperimentò molte percezioni di straordinaria forza spirituale, così come di diretta comunione con Dio, non cadde mai nell'auto-soddisfazione, o nell'auto-adulazione. Ciò è piuttosto evidente nella sua ormai celebre conversazione con N. Motovilov, [30] così come nel suo colloquio con il monaco Giovanni, in cui manifestò, per grazia di Dio, un'insolita luminosità. Invero, San Serafino era incapace di esprimere lo stato di questa luminosità con le proprie parole. Inoltre, è ben noto che San Serafino era portatore di uno straordinario dono di chiaroveggenza, così come di visione profetica. I cuori delle persone che andavano da lui erano per lui un libro aperto, eppure non una sola volta egli compromise i doni straordinari che aveva ricevuto con un'esibizione di superiorità o di presunzione. Le sue dichiarazioni e azioni (in contrasto con quelle di Francesco d'Assisi, consapevole di avere espiato i propri peccati e di essere gradito a Dio) sono in sintonia con quanto gli asceti descrivono in dettaglio nella Filocalia, a proposito dell'uomo umile. Nelle parole di Sant'Isacco il Siro: "Quanti sono davvero retti si considerano sempre indegni di Dio. E che siano davvero retti si riconosce dal fatto che si considerano meschini e indegni dell'attenzione di Dio, e lo confessano in segreto e apertamente, e sono portati a ciò dal Santo Spirito in modo da non rimanere privi della sollecitudine e dell'operosità che è loro propria in questa vita." [31]

Gli impulsi emotivi di Francesco verso l'umiltà, simili all'evento sopra menzionato nella piazza di Assisi, erano in generale manifestazioni rare. Di solito la sua umiltà non appariva come una sensazione, ma come un riconoscimento razionale della sua debolezza di fronte al potere divino di Cristo. Ciò risulta chiaro nella sua visione su monte della Verna, quando "due grandi luci," come dice la cronaca, "apparvero dinanzi a Francesco: una in cui egli riconobbe il Creatore, e l'altra in cui riconobbe se stesso. E in quel momento, a tale vista, egli pregò: O Signore! che cosa sono io di fronte a te? Che senso ho io, un, insignificante verme della terra, il tuo insignificante servo, a paragone della tua forza?" Per sua stessa ammissione, Francesco fu sommerso in quel momento in contemplazione, in cui vide l'infinita profondità della misericordia divina e l'abisso della propria nullità.

Inutile dirlo, è la prima dichiarazione delle "due grandi luci," che svela in modo manifesto il carattere cognitivo della seguente richiesta rivolta a Dio e che, in essenza, è un processo molto sfrontato di comparazione. Sembra esserci, pertanto, in questo passo una severa contraddizione che non si può in alcun senso paragonare ai lucidi resoconti scritturali o patristici riguardo all'umiltà. L'umiltà di San Serafino, come si è notato, non era tanto una consapevolezza razionale dei suoi peccati, ma un'emozione percepita in modo costante e profondo. Nei suoi insegnamenti, orali e scritti, non si parla in alcun luogo di paragoni di se stesso con la divinità, da cui si traggono conclusioni sul suo stato spirituale. Egli si abbandonò costantemente a un singolo impulso emotivo: la sensazione della propria indegnità (imperfezione) che risultò in una profonda contrizione. Teofane il Recluso, un asceta russo della Chiesa ortodossa, espresse così il senso di questa contrizione: "Il Signore accetta solo l'uomo che si accosta a lui sentendosi peccatore. E di conseguenza, rigetta chiunque si accosta a lui sentendosi giusto." [32] Se, come risultato di quanto si è detto, si dovesse trarre una conclusione sull'umiltà di Francesco sulla base delle prescrizioni ascetiche per l'umiltà monastica nella Filocalia, allora il mistico latino non appare come l'ideale dell'umiltà cristiana. Alla sua coscienza fu aggiunta una dose sostanziale della propria rettitudine, e di essere gradito a Dio. Qualcosa di simile all'analisi ortodossa del misticismo di Francesco, può essere applicata dalla storia di Lev Tolstoj, Padre Sergio: "Egli (l'asceta Sergio) pensò," dice Tolstoj "a quanto era simile a una lampada ardente, e quanto più si sentiva tale, tanto più sentiva un indebolimento, un affievolimento della luce divina di verità che bruciava dentro di lui." [33] Ricordando l'avvertimento di San Nilo, menzionato in precedenza, questa triste valutazione dei risultati spirituali dell'ascetismo di Francesco è un corollario, o meglio un precedente di plani, al severo inganno a cui andò incontro sul Monte della Verna, dove annunciò di essere divenuto una grande luce. Così, la consapevolezza di Francesco di essere egli stesso "una luce," di avere il dono di sapere come essere gradito a Dio, si scontra con l'austera dichiarazione del padre della vita ascetica, Antonio il Grande, che sostiene che se non vi è in una persona un'umiltà estrema, completa, di cuore, anima e corpo, allora questa persona non erediterà il Regno di Dio. [34] L'affermazione di Sant'Antonio riconosce che solo la profonda umiltà può sradicare il potere della mente che conduce all'auto-affermazione e alla soddisfazione di sé. Solo un'umiltà che entri nella carne stessa e nel sangue dell'asceta può, secondo il senso dell'insegnamento degli asceti cristiani ortodossi, salvarlo dalle ossessive associazioni del pensiero umano orgoglioso.

L'umiltà è il potere essenziale che può contenere la mente inferiore con le sue passioni, [35] creando nell'anima umana il suolo per lo sviluppo senza ostacoli di una mente superiore, [36] e da quel punto, per grazia di Dio, al livello più alto della vita ascetica - la conoscenza di Dio.

"L'uomo che è saggio nell'umiltà," dice Sant'Isacco il Siro, "è la fonte dei misteri della nuova era." [37]

CONCLUSIONE

La causa principale dell'offuscamento del sentiero di vita ascetica di Francesco può essere attribuita alla condizione fondamentale della Chiesa cattolica romana in cui Francesco fu cresciuto e ammaestrato. Nelle condizioni di quel tempo e della Chiesa romana stessa, una vera umiltà non poteva formarsi nella consapevolezza popolare. Lo stesso "Vicario di Cristo in terra" con le sue pretese di autorità non solo spirituale, ma anche temporale, era rappresentativo dell'orgoglio spirituale. Non si può immaginare un orgoglio spirituale più grande della convinzione della propria infallibilità. [38] Questo errore di base non poteva non avere effetti sulla spiritualità di Francesco, così come sulla spiritualità dei cattolici romani in generale. Come il Papa, pertanto, Francesco soffriva di orgoglio spirituale. Ciò è molto evidente nel suo discorso di addio ai francescani, in cui disse: "Ora Dio mi sta chiamando, e io perdono a tutti i miei fratelli, sia i presenti che gli assenti, le loro offese e i loro errori e rimetto i loro peccati per quanto è in mio potere." [39]

Queste parole rivelano che, sul suo letto di morte, Francesco si sentiva abbastanza potente da rimettere i peccati come il Papa. È noto che nella Chiesa romana la remissione dei peccati al di fuori del Sacramento della Penitenza e dell'Eucaristia era una prerogativa del potere papale. [40] L'assunzione di tale prerogativa da parte di Francesco poteva avvenire solo con la sicurezza della propria santità.

In contrasto, gli asceti della Santa Ortodossia non si sono mai permessi di appropriarsi del diritto di rimettere i peccati. Sono tutti morti nella consapevolezza della loro imperfezione e con la speranza che Dio avrebbe perdonato i loro peccati nella sua misericordia. A suffragio di questa tesi, è sufficiente rammentare le parole del grande santo asceta della Tebaide del quinto secolo, San Sisoe. Circondato dai suoi fratelli al momento in cui si avvicinava il suo riposo, sembrò conversare con persone invisibili, come riferisce la cronaca, e i fratelli chiesero: "Dicci, padre, con chi stai conversando?" San Sisoe rispose, "Sono angeli che sono venuti a prendermi, ma io sto pregando loro di lasciarmi ancora un po' di tempo per pentirmi." Quando i fratelli, che sapevano che Sisoe era perfetto nella virtù, risposero, "Non hai bisogno di pentimento, padre," il Santo rispose, "In verità non so neppure se ho mai iniziato a pentirmi." [41]

Per concludere, come evidenziato nei paragrafi precedenti, il misticismo di Francesco d'Assisi rivela che il celebrato fondatore dell'Ordine francescano si mosse progressivamente nella propria vita in una crescente condizione di plani, dal tempo in cui udì il comando di rinnovare la Chiesa cattolica romana, attraverso la straordinaria visione del Cristo Crocifisso sul Monte della Verna e fino al tempo della sua morte. Per sconvolgente che possa sembrare ad alcuni, egli portò in sé molte caratteristiche tipiche dell'Anticristo, che verrà anch'egli visto come casto, virtuoso, altamente morale, pieno di amore e di compassione, e che sarà considerato santo (perfino una divinità) da persone che hanno permesso al romanticismo carnale di prendere il posto della Tradizione sacra della Santa Chiesa.

La cosa triste è che il raggiungimento di un'autentica relazione spirituale con Cristo non fu mai una possibilità per Francesco, perché essendo fuori dalla Chiesa di Cristo, era impossibile per lui ricevere la grazia divina o un qualunque dono dello Spirito Santo. I suoi doni provenivano da un altro spirito.

Articolo apparso in origine in Synaxis: Orthodox Christian Theology in the 20th Century, Vol. 2, pp 39-56. L'autore è il defunto George Macris, che al tempo di questo scritto era prete nella Chiesa Ortodossa Russa all'Estero a Portland, Oregon. Synaxis è pubblicato dal New-Ostrog Monastery in Canada.

NOTE

1. Guerier, V., Francesco, pp 312-313.

2. La diciassettenne Luisa Lato, che di solito godeva di una completa e buona salute, cadeva in una condizione di estasi ogni venerdì; il sangue fluiva dal suo fianco sinistro, e sulle sue mani e piedi vi erano ferite esattamente corrispondenti alla posizione delle ferite sul corpo del Salvatore crocifisso, nella forma delle ferite raffigurate sui crocifissi.

3. Guerier, pp 314-315.

4. Ibidem, p 308.

5. Dumas, G., "La Stigmatizzazione presso i mistici cristiani," Revue des deux Mondes, 1 Maggio 1907; in Guerier, pp 315-317.

6. Guerier, p 315.

7. Per gli ortodossi, la Croce non è una necessità imposta a Dio, né il sangue del Figlio unigenito è una fonde di soddisfazione per Dio Padre, come insegnano gli scolastici latini. La questione della "soddisfazione della giustizia di Dio" è una frase che non si trova in alcun luogo delle Scritture, né degli scritti Padri della Chiesa, ma fu fabbricata da Anselmo di Canterbury (o di Aosta, ca 1100) e sviluppata da Tommaso d'Aquino per diventare la dottrina soteriologica ufficiale dell'Occidente latino (la si paragoni con Atanasio il Grande, L'Incarnazione del Verbo di Dio).

8. Sarà evidente da questa comparazione che il "misticismo'' nella Chiesa Ortodossa è al di là di tutte le categorie sensoriali e razionali. La normativa nella vita ascetica è l'assenza di passioni, o distacco da ogni necessità o sensazione, e in ultimo persino dai pensieri, positivi o negativi (si paragoni Abba Evagrio ad Anatolio, cit.).

9. Si veda la vita di Sant'Isacco il Recluso delle Grotte di Kiev, in God's Fools, Synaxis Press, Chilliwack, B.C., Canada, 1976, p 21.

10. Hyperconsciousness, p 292-293, II ed.

11. Kadloubovsky, E. e Palmer, G., Early Fathers from the Philokalia, "St Isaac of Syria, Directions on Spiritual Training," Faber and Faber, London, 1959 (qui di seguito citato come Early Fathers).

12. Early Fathers, p 140, paragrafi 114, 115, 116.

13. San Serafino di Sarov, pp 61-62 (ed. russa), citato nelle note tradotte dal russo.

14. Filocalia, Vol 3, p 322, par 103 (ed. greca).

15. Early Fathers, p 297, 47.

16. Abba Evagrio ad Anatolio, cit., p 105, para 71.

17. Works of St. Isaac the Syrian, 3rd ed., Sermone 8, p 37.

18. Filocalia, Vol 2, p 467, par 49. Qui dobbiamo far notare che il detto citato di Sant'Isacco il Siro - che una visione spirituale è inaspettata - non dovrebbe essere considerata una legge assoluta per tutti i casi di tali visioni. Come eccezione al detto citato, ma come fenomeni completamente eccezionali, certi santi asceti hanno avuto insolite visioni che sono state loro preannunciate; ma tale presentimento era come una profezia inconsapevole di cose che sarebbero inevitabilmente accadute. Un simile caso eccezionale, per così dire la profezia di un miracolo che stava per accadere, accadde a San Sergio di Radonezh al termine della sua vita. Questo caso è descritto in dettaglio nell'opera russa, Hyperconsciousness, p 377. (Bibliografia non disponibile all'autore, citato dalle note tradotte dal russo.)

19. San Serafino di Sarov, Cap 1, pp 13-22.

20. "Andate a due a due nelle varie regioni della terra, predicando ai popoli la pace e il pentimento per la remissione dei peccati." Guerier, p 27 (cfr Mc 6:7-12.)

21. Guerier, p 115.

22. Khrapovitsky, Antony, Confession: A Series of Lectures on the Mystery of Repentance. Holy Trinity Monastery Press, Jordanville, N.Y., 1975.

23. Guerier, p 127.

24. Ibidem, p 129.

25. Ibidem, pp 103-104.

26. Brown, Raphael, The Little Flowers of St. Francis. Image Books, Garden City, N.Y., 1958, p 60.

27. Ibidem, p 63.

28. Guerier, p 124.

29. La parola passioni, usata qui, denota tutti gli impulsi dell'uomo contrari alla natura (orgoglio, vanità, invidia, odio, avarizia, gelosia, etc.) che sono risultati dalla disobbedienza e dalla caduta dei progenitori.

30. Motovilov, N.A., A Conversation of St. Seraphim. St Nectarios Press, Seattle, 1973 (ristampa). In lingua italiana, si può trovare il testo integrale su questa pagina

31. Works of St. Isaac the Syrian, III ed., Sermon 36, p 155.

32. Collected Letters of Bishop Theophan, II parte, Lettera 261, p 103.

33. Posthumous Artistic Works of L. Tolstoy, Vol 2, p 30.

34. Filocalia, Vol 1, p 33.

35. Hyperconsciousness, "On Mental Passions", II ed., pp 65-74.

36. Hyperconsciousness, "On the Lower and Higher Minds", pp 6-23.

37. Works of St. Isaac the Syrian, p 37.

38. Paragonate, da Dostoevskij, il Grande Inquisitore da I Fratelli Karamazov.

39. Sabbatier, p 352.

40. Nel XV secolo, Lutero protestò contro questa prerogativa espressa nella pratica delle indulgenze.

41. Lives of Saints, Libro 11, pp 119-120.

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