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  L’Ortodossia attraverso i miti occidentali (1)

Il passato distorto: una reinterpretazione dell'Europa

Dalla rivista Orthodox England, vol. 14, n. 3 (marzo 2011)

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I più antichi studi accademici occidentali sulla storia della Chiesa in genere non sono di grande utilità per gli ortodossi. La maggior parte è semplicemente anti-ortodossa e quindi contraria al cristianesimo autentico, vantandosi apertamente della civiltà 'giudeo-cristiana' e non della civiltà cristiana. I pregiudizi anti-ortodossi di tali studi, quando capita che menzionino l'Ortodossia, vengono semplicemente dal fatto che la storia è 'scritta dai vincitori', e nonostante la prima guerra mondiale, fino alla seconda guerra mondiale la maggior parte degli studiosi occidentali pensava che l'Occidente avesse vinto.

Le cose sono differenti oggi, quando i crimini quasi millenari dell'Occidente sono visibili a tutti e nessuno ascolta più le voci delle istituzioni ecclesiastiche che hanno modellato ultimi mille anni di storia occidentale - queste istituzioni sono chiaramente compromesse.

Curiosamente, il mondo accademico laico contemporaneo, che nella sua ignoranza dell'Ortodossia non può in alcun modo essere accusato di essere filo-ortodosso, è una fonte eccellente per aiutare gli ortodossi a capire cosa è andato storto in Occidente. Siamo in grado di capire come, rinunciando alla fede cristiana ortodossa nella sua eresia anti-trinitaria e anti-cristica del filioque, l'ex Chiesa dell'Occidente divenne una serie di 'ismi', cattolicesimo, protestantesimo, luteranesimo, calvinismo, anglicanesimo, ecc, che hanno fatto crescere il secolarismo contemporaneo e che porteranno verso la fine del mondo.

Nel seguente articolo, il primo di una serie di brani tratti da varie opere di erudizione secolare, abbiamo selezionato alcuni passi della traduzione di The Distorted Past: a Reinterpretation of Europe di Colin Smith (Blackwell, Londra, 1995), fatta dal noto storico spagnolo Josep Fontana. Questi passi illustrano alcuni miti e illusioni della moderna propaganda occidentale.

Sui miti occidentali della Grecia pagana ('classica')

Dalle pagine 4-5:

L'immagine di una polis greca abitata da cittadini liberi che partecipavano collettivamente al governo è un miraggio. Nasconde il peso della schiavitù, la retrocessione dei contadini a un'esistenza marginale (mascherata da una falsa opposizione tra la città 'colta' e la campagna 'retrograda'), la subordinazione delle donne (considerate inferiori al punto che Aristotele, convinto che avessero un minor numero di denti rispetto agli uomini, assegnava loro un ruolo puramente passivo nella concezione come incubatrici per il potere riproduttivo degli uomini), e marcate divisioni tra cittadini ricchi e poveri.

La democrazia ateniese non ha mai affermato di essere egualitaria. Solone si era interessato a 'lasciare, come prima, tutte le magistrature nelle mani dei ricchi', e non concesse alla gente più potere del minimo strettamente necessario. La democrazia alla quale tendevano gli Ateniesi significava poco più del privilegio di un piccolo gruppo con pieni diritti politici - forse un decimo della popolazione dell'Attica - 'di discutere questioni di stato nella loro assemblea e di scegliere a sorte i magistrati, con l'obiettivo che ognuno avesse, a suo tempo, una quota di potere'. (Erodoto stesso era uno straniero ad Atene e non aveva tali diritti). Parole come 'libertà' e 'democrazia' non avevano per i greci lo stesso significato che hanno per noi.

Sulla continuità romana del mito greco

Da pagina 11:

Da Alessandro in poi, il mito greco ha cambiato carattere e ha assunto una nuova dimensione.

Esigenze politiche inseparabili dalla fondazione di un impero resero necessario dare una dimensione strettamente culturale agli 'ellenici', al fine di integrare i barbari che volevano diventarne parte.

Plutarco racconta che Aristotele consigliava ad Alessandro di trattare i greci come amici e i barbari 'come se fossero piante e animali'...

Roma, che divenne padrona del mondo ellenistico con la forza delle armi, si proclamò continuatrice di quel mondo, con argomenti che includevano l'affermazione che il latino era un dialetto greco, inserendo Enea nella genealogia di Romolo, e riprendendo la tradizione omerica, opportunamente adattata da Virgilio, come sua storia. Ma ciò che veramente continuava era il programma imperiale di Alessandro, e, se Roma assimilò la lingua e la cultura greca, fu soprattutto al fine di gestirne l'amministrazione con i suoi quadri ellenizzati, ricoprendo la realizzazione di una società autoritaria legalizzato con la retorica antica della democrazia ateniese. L'impero e la democrazia erano infatti termini incompatibili.

Sull'avidità commerciale, l'Occidente, l'islam, l'Ortodossia e le forme orientali del cristianesimo

Da pagina 58:

Né i bandi papali né le crociate misero queste relazioni (con i musulmani) in pericolo. I popoli commercianti del Mediterraneo cristiano - genovesi, veneziani, e catalani - continuarono ad acquistare e a vendere in porti musulmani, e vi furono bene accolti come fornitori di legno e di ferro, con ben poca attenzione rivolta a ciò che il papa poteva pensare.

Anche se non si può dire che i crociati intrapresero la loro avventura con guadagni materiali in mente, è certo che, una volta che li ebbero in pugno, di fatto non li disprezzarono e mantennero le attività commerciali che erano vitali per la sopravvivenza degli stati latini in Oriente. Nei suoi viaggi attraverso queste terre Ibn Jubayr era stupito di vedere la guerra e gli affari esistere fianco a fianco: 'A volte i due eserciti si affrontano l'un l'altro e marciano in ordine di battaglia, ma carovane di musulmani e cristiani vanno e vengono tra loro senza essere fermate'.

Lo spirito delle crociate ha distorto la nostra visione non solo dell'islam, ma anche del cristianesimo orientale (sic), e ci ha portato a escludere Bisanzio dalla storia d'Europa (vediamo Bisanzio come una civiltà decadente, con tratti orientali: Byzantinus est, non legitur) e a escludere la Russia nata dalla sorprendente fusione di scandinavi, slavi e mongoli, e, peggio ancora, a escludere il cristianesimo asiatico. Ciò che noi chiamiamo 'l'Impero bizantino' non è mai esistito. I bizantini chiamato il loro stato 'l'Impero romano' e avevano ogni diritto di farlo, poiché la storia imperiale là non aveva subito alcuna rottura con il passato. A Bisanzio la gente continuava a studiare e a commentare i poemi di Omero nei tempi in cui in Europa occidentale l'ignoranza della cultura classica era tale che qualcuno pensava che Venere fosse un uomo, e François Villon includeva Alcibiade tra le "donne di un tempo". Bisanzio manteneva un notevole interesse anche per la conoscenza scientifica; Alessio I mise in fuga gli sciti spaventandoli con un'eclissi di sole di cui sapeva in anticipo.

Il fatto che i Bizantini fossero romani e cristiani non fu sufficiente per convincere i cristiani occidentali a dare loro alcun aiuto. Dapprima vi fu la quarta crociata, che catturò Costantinopoli nel 1204 e suddivise la sua ricchezza le sue terre fra i partecipanti. I crociati, disse Condorcet, 'si divertirono a prendere Costantinopoli e a saccheggiarla, com'erano autorizzati a farlo, dal momento che i suoi abitanti non credevano nell'infallibilità del papa'. Più tardi, quando ebbe inizio la campagna finale dei turchi, e anche se le Chiese d'Oriente e d'Occidente si erano a quel tempo riconciliate (sic), il cristianesimo latino non ebbe remore ad accettare che un sultano ottomano potesse diventare l'erede legittimo del trono imperiale di Costantino - come dimostrò affrettandosi a nominare un nuovo patriarca della Chiesa in Oriente. Il prezzo pagato per questo fu che 'l'Europa visse sotto la paura dei turchi' per i successivi due secoli e mezzo.

Inoltre abbiamo dimenticato perfino l’esistenza di quel cristianesimo asiatico che nel XIII secolo si estendeva dall'Egitto fino al Mar della Cina, con nuclei antichi e ben radicati in Mesopotamia, Armenia, Caucaso e Siria e con i più recenti convertiti in Asia centrale tra i popoli turchi e mongoli. Attribuire la scomparsa di queste comunità cristiane al trionfo dell'islam significa confondere il risultato con la causa. La situazione religiosa dell'Asia centrale continuò a essere instabile almeno fino al XIV secolo. I popoli asiatici nomadi erano tolleranti o indifferenti in materia religiosa e diffidavano sia dell'Impero cinese sia delle tendenze espansionistiche dell'islam, cosa che li portava a considerare il cristianesimo come una religione che li aiutava a civilizzarsi senza pretendere di rinunciare alle proprie personalità.

La prima espansione cristiana in Asia fu effettuata dai manichei, e raggiunse il suo punto più brillante con la conversione del popolo uiguro. Questi stabilirono un impero, mantennero un attivo commercio con la Cina, e avevano la loro capitale a Karabalghasun con i suoi dodici cancelli di ferro e un grande palazzo reale.

Il popolo uiguro crollò nel mezzo del IX secolo, ma il manicheismo sopravvisse: nel X secolo vi era ancora un monastero manicheo a Samarcanda, e la fede sembra essere sopravvissuta nel XIII secolo in alcuni dei piccoli stati turchi.

Sulle élite occidentali, che astutamente si oppongono a noi gente comune occidentale al fine di manipolarci, trasformandoci nelle prime vittime 'dell'Occidente'

Dalle pagine 158-159:

Ai 'filistei' (termine con il quale gli studenti tedeschi descrivevano le persona non universitarie) non doveva essere consentito l'accesso alla 'grande' arte. Gli artisti alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo scrivevano, dipingevano, e componevano per minoranze colte.

In seguito, i loro agenti e rivenditori scoprirono che l'avanguardia avrebbe ricavato buoni guadagni da ingenui borghesi. Si descrivevano come 'Poètes maudits', si pensavano al di sopra della moralità delle masse, e si rifugiavano in culti esoterici riservati a iniziati selezionati.

Gli 'intellettuali' disprezzavano le masse e allo stesso tempo le temevano. Come Niebuhr, pensavano che se un giorno le masse si fossero svegliate dall'inganno su cui si basava la loro sottomissione, si sarebbero ribellate e avrebbero distrutto il mondo degli intellettuali. Anche se non tutti si sentivano, come Nietzsche, in grado di fare pubblicamente 'una dichiarazione di guerra contro le masse', c'erano molti che avevano in abominio quella democrazia che poneva le decisioni politiche nelle mani della maggioranza delle persone meno adatte. 'Il grande duello' - disse Ernst Juenger - 'è quello combattuto tra i popoli con i loro plebisciti e ciò che rimane dell'aristocrazia'.

Ciò ha portato gli intellettuali a sognare nuovi Cesari, e alcuni hanno pensato di averli trovati in Mussolini e Hitler, che avevano molti più estimatori nell'intellighenzia europea di quanto spesso si creda, dal momento che pochi rimasero coerenti nelle loro opinioni dopo la sconfitta. La maggior parte di loro è riuscito a far dimenticare la loro adesione, come Juenger (che in ogni caso riteneva Hitler troppo plebeo), o come Heidegger, che aveva richiesto che la ricerca e l'insegnamento fossero dedicati al servizio della rivoluzione nazionalsocialista (ma i nazisti lo trovavano troppo 'metafisico').

Questa lotta contro le masse plebee non è mai guerra aperta. I nemici da combattere sarebbero troppo numerosi, e in ogni caso devono essere mantenuti in vita e ingannati in modo che vadano a lavorare per provvedere ai bisogni costosi degli "scommettitori".

I nemici interni sono inventati al fine di segregare certi gruppi umani come inferiori o addirittura come nemici: gli ebrei, i barboni, gli scioperanti e gli immigrati stranieri (quando hanno cessato di essere necessari).

In questo modo si raggiunge un duplice obiettivo: rafforzare l'illusione che esistano interessi comuni tra le masse non-segregate - i buoni cittadini - e i loro governanti, e di avere qualcuno che può essere incolpato dei problemi.

Sul furto della storia da parte dell'élite, specialmente della nostra storia occidentale

Da pagina 159:

Non è sufficiente attaccare questi fatti a causa della loro ingiustizia, chiedendo la parità di trattamento per gli esclusi. Sarebbe un'impresa inutile, a meno che allo stesso tempo non si possa smantellare il quadro di idee che giustifica l'esclusione. In questo quadro una componente essenziale è la visione della storia che legittima la superiorità degli europei a causa del loro ruolo nel fomentare il progresso universale, e che cerca di convertire tutti noi in complici di tutti i loro abusi, nascondendoci il fatto che il progresso è stato raggiunto a discapito della maggior parte di quegli stessi europei. Infatti il punto non è che questa visione eurocentrica privi i non europei della loro storia (anche se lo fa). Il suo obiettivo più importante è sicuramente quello di privare della propria storia gran parte dei popoli europei stessi, tacendo loro il fatto che hanno un passato diverso da quello che è stato canonizzato come storia ufficiale. Nasconde loro anche il fatto che in questo passato essi possono trovare una vasta gamma di speranze e possibilità non realizzate, e che molto di ciò che è stato loro presentato come progresso è solo una maschera per coprire varie forme di appropriazione economica e controllo sociale. Quando togliamo alle classi inferiori la loro storia e la loro coscienza, le riduciamo al ruolo di selvaggi nei loro paesi.

Questo è accaduto in passato per i contadini che hanno cercato il progresso nell'ambito della loro agricoltura di base comunitaria, e agli artigiani che volevano macchine messe al servizio del genere umano.

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