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  San Simeone di Dajababe

Un asceta contemporaneo del Montenegro

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Il nostro venerabile Padre Simeone di Dajbabe, al secolo Sava Popovic, è nato nel 1854 a Cetinje, l’antica capitale del Montenegro. Laureato al Seminario di Kiev, si è interessato a studi di filosofia e di cristianesimo occidentale, che ha compiuto a Parigi e in una scuola protestante in Svizzera. Tonsurato come monaco a Kiev e rientrato in Montenegro, è vissuto al monastero di Ostrog, dove ha lavorato come insegnante alla scuola monastica, e ha pubblicato i suoi primi scritti (insegnamenti spirituali per monaci e preti).

Nel 1895 si è trasferito a Dajbabe, accanto a Podgorica (attuale capitrale del Montenegro), in seguito all’apparizione a un giovane pastore locale del santo Ilarion, primo vescovo di Zeta e Primorje. Le reliquie del Vescovo Ilarion erano scomparse, forse rubate dai turchi, o forse sepolte nei paraggi. Anzi, si sospetta tuttora l’esistenza di un’antica chiesa sotterranea nelle vicinanze, a causa dei libri ecclesiastici che testimoni oculari riferivano di aver visto in mano al pastore nel periodo dell’apparizione.

San Simeone ha ricostruito l’antica grotta monastica di Dajbabe, dove si è ritirato a vita di preghiera e di lavoro. Non avendo altre obbedienze monastiche da compiere, ed essendo egli stesso pittore, ha affrescato le pareti e il soffitto della grotta.

Come poeta e drammaturgo, ha messo alcuni dei suoi insegnamenti spirituali sotto forma di versi, e anche di un’opera teatrale, intitolata Il regno dei demoni e i nostri peccatori.

Un dono di chiaroveggenza lo ha portato a prevedere i frutti della perdita della salute (al suo tempo le donne iniziavano a fumare – cosa prima di allora impensabile nella società patriarcale montenegrina – e dopo molti appelli inascoltati egli diceva “una donna che fuma è come una gallina che canta, e finisce sempre in pentola”); parlava inoltre in temini terribili di guerre fratricide tra i serbi, e pregava di non vedere quei tempi. È stato esaudito: San Simeone si è addormentato nel Signore il 1 aprile del 1941, cinque giorni prima del bombardamento tedesco su Belgrado.

È stato il confessore dell’Archimandrita Iustin Popovic (che diceva di lui: “se volete vedere un santo vivente, andate a Dajbabe”); è stato dietro suo consiglio che Padre Iustin non ha accettato la carica di Vescovo della Cecoslovacchia (sede allora dipendente dalla Chiesa Ortodossa Serba), ma è rimasto in Serbia, ed è divenuto un autore spirituale di grande levatura.

La chiesa serba (assieme a quella russa, romena, bulgara e greca) lo venera come santo a livello informale, dato che la sua canonizzazione ufficiale non ha ancora avuto luogo: dopo alcuni fatti miracolosi avvenuti a Dajbabe (il primo è stato la guarigione di una ragazza sordomuta), la sua canonizzazione è solo questione di tempo, e la si aspetta probabilmente accanto a quella del Padre Iustin Popovic, come i due più grandi santi monaci dell’Ortodossia serba del XX secolo.

Le sue reliquie sono state aperte ed esposte alla venerazione dal Metropolita Amfilohije del Montenegro nel 1996, ma già da prima avvenivano guarigioni sulla sua tomba, che erano attribuite all’icona della Madre di Dio di Gerusalemme tuttora venerata presso le reliquie.

La sua icona è stata dipinta da Mirko Toljic, rettore dell’Accademia delle Arti di Trebinje.

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