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  Il peccato del divorzio

di padre Lawrence Farley

Orthochristian.com, 8 luglio 2019

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Nell'assalto LGBTQ contro la tradizionale condanna dell'attività omosessuale da parte della Chiesa, è un punto fermo l'accusa che con questa condanna la Chiesa sta trattando gli omosessuali in modo discriminatorio. In particolare, si sottolinea che Cristo condanna il divorzio in termini inequivocabili e tuttavia la Chiesa permette facilmente il divorzio e accetta i divorziati alla comunione, quindi perché non dovrebbe accettare anche chi pratica l'omosessualità? Così dice il protodiacono Feldman nel suo recente articolo su Orthodoxy in Dialogue: "Sentiamo invitare le persone LGBTQ+ a restare celibi, per paura che persistano consapevolmente nel peccato. Gli omosessuali "praticanti", ci viene detto, "vivono nel peccato". Ma le coppie che hanno divorziato e si sono risposate, secondo l'insegnamento di Cristo, vivono allo stesso modo nel peccato... Viviamo tutti nel peccato. Questo è fondamentale per la nostra fede".

Il punto del protodiacono qui, come il suo articolo nel suo complesso, difetta di coerenza, e sembra inconsapevole che sia richiesto a tutti il pentimento prima di avvicinarsi al calice eucaristico. Ma fa un buona argomentazione sul divorzio: Cristo proibisce il divorzio tanto chiaramente quanto la legge (e anche san Paolo) proibisce la pratica omosessuale, quindi perché la Chiesa non vieta ai divorziati la comunione ma la vieta a chi pratica l'omosessualità? È importante quindi che esaminiamo l'insegnamento scritturale sul divorzio e la pratica pastorale contemporanea della Chiesa riguardo alle persone divorziate. Rileviamo che se siamo d'accordo con l'obiezione del protodiacono non significa che dovremmo ammettere gli omosessuali alla comunione, ma non dovremmo ammettere persone divorziate non pentite. Si intuisce che il protodiacono non è tanto preoccupato che la Chiesa sia coerente quanto è preoccupato che la Chiesa che accetti lo stile di vita omosessuale.

Iniziamo a esaminare l'insegnamento di Cristo. In Matteo 19:3-12 e Marco 10:2-12 i farisei si avvicinano a Gesù con una domanda riguardante una differenza nell'interpretazione rabbinica della legge. Deuteronomio 24:1-4 presuppone la legittimità del divorzio, e tenta di elevare lo status delle donne proibendo che una moglie divorziata che si è risposata e poi ha di nuovo divorziato sia accettata nuovamente dal primo marito come se fosse una semplice proprietà intellettuale. Riferendosi al primo divorzio, Deuteronomio 24:1 dice che è stato causato dal fatto che il marito ha trovato "una certa indecenza in lei" – letteralmente, "una cosa indecente in lei", in ebraico "erwat dabar". Cosa significava questa frase? Che cosa riteneva la legge come causa sufficiente per il divorzio?

C'erano due principali scuole di pensiero rabbiniche: la scuola di Hillel insisteva sul fatto che la frase significava che il marito poteva divorziare dalla moglie per qualunque cosa che gli dispiacesse; la scuola più severa di Shammai insisteva sul fatto che la frase limitasse la ragione del divorzio a una cattiva condotta sessuale di qualche tipo. I farisei si avvicinarono a Gesù chiedendogli: "È permesso a un uomo di divorziare da sua moglie per qualsiasi motivo?" – cioè: ti schieri dalla parte della visione popolare della scuola di Hillel? È improbabile che la domanda sia stata motivata da una semplice curiosità, poiché san Matteo ha detto che hanno posto questa domanda "mettendolo alla prova" (Matteo 19:3). I farisei probabilmente avevano in mente il divorzio di Erode Antipa che si rivelò così letale per Giovanni il Battista (Matteo 14:1-12) e speravano di intrappolare Gesù nella stessa trappola.

In risposta, Cristo ritornò ai primi principi e si riferì all'istituzione del matrimonio come si trova nei primi capitoli della Genesi. Disse che nel matrimonio era Dio che trasformava l'uomo e la donna in una sola carne, creando un unico organismo dove prima ce n'erano due, e così il divorzio scioglieva l'opera di Dio. Pertanto, conclude Cristo, ogni divorzio era proibito. Quando gli chiesero perché la Legge lo permetteva, continuò dicendo che il divorzio era stato concesso temporaneamente, per la durezza del cuore dell'uomo, ma che andava comunque contro la volontà di Dio: "Chiunque ripudia sua moglie e sposa un'altra donna commette adulterio contro di lei, e se lei stessa divorzia da suo marito e sposa un altro uomo, commette adulterio" (Marco 10:11-12). Nella versione di Matteo di questa citazione troviamo le parole aggiuntive: "chiunque divorzia da sua moglie eccetto che per πορνεια/porneia/fornicazione e ne sposa un'altra commette adulterio". È probabile che il riferimento in Matteo 19:9 a πορνεια si riferisca all'infedeltà durante il periodo del fidanzamento prima della cerimonia di matrimonio vera e propria. Se questo era il significato dell'eccezione, allora il divieto contro il divorzio dopo la cerimonia di matrimonio vera e propria era totale sia in Matteo che in Marco.

L'insegnamento del Signore quindi è chiaro: nel matrimonio l'uomo e la donna diventano una sola carne, un singolo organismo, e questa unità continua ad unirsi a loro anche dopo che la donna è stata ripudiata, così che la sua unione con un altro uomo è adultera. Pertanto, il Signore dichiara, il divorzio è sempre sbagliato.

Leggendo questo scambio tra Cristo e i farisei suoi avversari, è importante capire che Cristo non sta legiferando né sta creando nuove leggi. Cristo parlava spesso in una sorta di intensità iperbolica volta a scuotere i suoi ascoltatori e smantellare i loro presupposti di vecchia data. Così, per esempio, egli consigliò che coloro il cui occhio li faceva cadere nel peccato (forse il peccato di invidia, cupidigia o concupiscenza) di cavarsi l'occhio che offende e di gettarlo via, poiché era meglio entrare nella vita con un occhio che essere gettato nel fuoco della Geenna con due occhi (Matteo 18:9). Qui vediamo che Cristo in realtà non stava consigliando l'automutilazione, ma piuttosto l'inesorabilità nella guerra interiore contro il peccato. Allo stesso modo parlava con severità simile nelle sue parole sul divorzio, dichiarando che il matrimonio non era un contratto che poteva essere sciolto dal capriccio o dalla volontà, ma una vera unione di due anime.

Ma i cristiani hanno bisogno di consigli concreti per situazioni specifiche, ed è questo consiglio che forniscono le Epistole. Come qualcuno ha detto una volta, se l'iperbole del Vangelo sembrava un indovinello, è stato nelle Epistole che i cristiani vi hanno trovato la risposta. Così san Paolo dà istruzioni per situazioni di vita reale. In 1 Corinzi 7:10, per esempio, ripete l'insegnamento del suo Signore che i coniugi cristiani non possono ripudiarsi l'un l'altro. Ma che dire dei matrimoni misti, in cui un cristiano è sposato con un non credente? Paolo ammette che la Chiesa non ha ricevuto alcuna parola specifica da parte di Cristo su cosa fare in tali situazioni, e quindi offre i propri consigli. In questo scenario, il coniuge cristiano dovrebbe stare con il partner non credente se quel partner lo consente. Ma se il partner non credente se ne va ed è intento a sciogliere il matrimonio, il partner cristiano dovrebbe acconsentire: "il fratello o la sorella non sono schiavi in ​​questi casi, ma Dio ci ha chiamati alla pace" (1 Corinzi 7:15). Cioè, in questo caso al coniuge cristiano è concesso il divorzio e, con esso, la possibilità di un nuovo matrimonio.

Che dire allora della parola di Cristo che un tale nuovo matrimonio era adultero perché rimaneva il legame originario di unità della coppia? Non c'è contraddizione tra san Paolo e il suo maestro. Questo nuovo matrimonio comporta una sorta di adulterio. Ma la colpa per l'adulterio sta nella persona che insiste sul divorzio, non in chi accetta a malincuore.

Permettere il nuovo matrimonio è stata la pratica della Chiesa ortodossa nel corso dei secoli. La Chiesa ha sempre riconosciuto che il matrimonio crea una nuova realtà in cui marito e moglie diventano una sola carne e in cui il divorzio è quindi peccaminoso. Ha anche riconosciuto che la vita è spesso rovinata dal peccato e che il perdono è disponibile dopo il pentimento. Come il defunto padre John Meyendorff ha scritto nel suo libro Marriage: an Orthodox Perspective, "l'impero cristiano ha continuato ad ammettere il divorzio e il nuovo matrimonio come un'istituzione sociale regolare" nelle sue leggi, e che "nessun padre della Chiesa ha mai denunciato queste leggi imperiali come contrarie al cristianesimo". Questo non ha comportato la demolizione dello standard del Signore, perché era necessario il pentimento di coloro che si risposano dopo un divorzio. Così, per esempio, nel Canone 87 del concilio Quinisesto tali persone risposate sono condannate con un'assenza di sette anni dalla santa comunione (sebbene naturalmente si possa esercitare un'economia pastorale).

Inutile dire, tuttavia, che oggi siamo lontani dalla mentalità dei Padri su come affrontiamo il divorzio. Il divorzio era considerato una volta una tragedia e una sconfitta; ora è stato normalizzato in modo da avere una cultura del divorzio. Non sto suggerendo di escludere per colpa speciale il divorziato tra noi. La vita è complicata e a volte ci sono buone ragioni per separare le persone sposate, specialmente quando ci sono di mezzo violenze e abusi. Ma sto suggerendo che nella nostra cura pastorale di coloro che soffrono di una crisi di matrimonio, li aiutiamo a riconoscere la profonda tragedia della rottura, e che ciò dovrebbe comportare un periodo di penitenza eucaristica.

Il protodiacono Feldman ci offre un servizio (forse non intenzionale) richiamando la nostra attenzione sul nostro lassismo nel permettere al divorzio di normalizzarsi e ignorarlo pastoralmente. Nessuno dovrebbe essere ammesso alla comunione mentre persiste nel peccato e rifiuta di pentirsi. Questo include gli omosessuali che continuano in uno stile di vita omosessuale. Include anche i divorziati, che devono anch'essi pentirsi e affrontare l'enormità delle loro scelte passate. Alcune forme di penitenza per coloro che non sono in grado di riconciliarsi dovrebbero formare una parte della cura pastorale continua, garbata e compassionevole del sacerdote.

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