Rubrica

 

Informazioni sulla chiesa in altre lingue

Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=205  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=602  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=646  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=647  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=4898 
Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=2779  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=204  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=206  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=207  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=208 
Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=3944  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=7999  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=8801  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=9731  Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=9782 
Mirrors.php?locale=it&cat_id=28&id=11631         
 

Calendario ortodosso

   

Scuola domenicale della parrocchia

   

Ricerca

 

In evidenza

04/10/2023  Scoperte, innovazioni e invenzioni russe  
14/03/2020  I consigli di un monaco per chi è bloccato in casa  
11/11/2018  Cronologia della crisi ucraina (aggiornamento: 3 febbraio 2021)  
30/01/2016  I vescovi ortodossi con giurisdizione sull'Italia (aggiornamento: 21 dicembre 2022)  
02/07/2015  Come imparare a distinguere le icone eterodosse  
19/04/2015  Viaggio tra le iconostasi ortodosse in Italia  
17/03/2013  UNA GUIDA ALL'USO DEL SITO (aggiornamento: aprile 2015)  
21/02/2013  Funerali e commemorazioni dei defunti  
10/11/2012  I padrini di battesimo e il loro ruolo nella vita del figlioccio  
31/08/2012  I nostri iconografi: Iurie Braşoveanu  
31/08/2012  I nostri iconografi: Ovidiu Boc  
07/06/2012  I nomi di battesimo nella Chiesa ortodossa  
01/06/2012  Indicazioni per una Veglia di Tutta la Notte  
31/05/2012  La Veglia di Tutta la Notte  
28/05/2012  La preparazione al Matrimonio nella Chiesa ortodossa  
08/05/2012  La Divina Liturgia con note di servizio  
29/04/2012  La preparazione al Battesimo nella Chiesa ortodossa  
11/04/2012  CHIESE ORTODOSSE E ORIENTALI A TORINO  
 



Inizio  >  Documenti  >  Sezione 4
  "I fondamenti della concezione sociale" - XII. Problemi di bioetica
Clicca per SCARICARE il documento come PDF file  
Condividi:

La preoccupazione della Chiesa

XII.1. Il rapido sviluppo delle tecnologie biomediche, che invadono la vita dell'uomo contemporaneo dalla nascita alla morte, e l'impossibilità di dare una risposta ai conseguenti problemi morali nel contesto dell'etica medica tradizionale, suscitano una seria preoccupazione nella società. I tentativi degli esseri umani di mettersi al posto di Dio, modificando e «migliorando» a proprio piacimento la sua creazione, potranno portare all'umanità nuove pene e sofferenze. Lo sviluppo delle tecnologie biomediche supera di gran lunga la coscienza delle possibili conseguenze spirituali, morali e sociali di una loro applicazione incontrollata, e questo non può che suscitare nella Chiesa una profonda preoccupazione pastorale. Nell'esprimere il proprio atteggiamento verso i problemi della bioetica così ampiamente dibattuti nel mondo contemporaneo, in primo luogo quelli che hanno un impatto diretto sull'essere umano, la Chiesa si richiama alla concezione della vita come incommensurabile dono di Dio, fondata sulla divina Rivelazione. Nella Scrittura vengono affermate la libertà inalienabile e la dignità della persona, che fa dell'uomo una creatura simile al suo Creatore, chiamata «al premio che lassù riceveremo da Dio, in Cristo Gesù» (Fil 3,14), a raggiungere la perfezione del Padre celeste (Mt 5,48) e alla divinizzazione, cioè a partecipare della natura divina (2Pt 1,4).

 

L’aborto

XII.2.  Sin dai tempi più antichi la Chiesa considera peccato grave l'interruzione volontaria della gravidanza (aborto). Il diritto canonico equipara l'aborto procurato all'omicidio. Alla base di questo giudizio sta la convinzione che il concepimento di un essere umano è un dono di Dio: pertanto, dal momento del concepimento, ogni attentato alla vita di un futuro essere umano è un atto delittuoso.
Il salmista descrive lo sviluppo del feto nel grembo materno come un atto creativo di Dio: «Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre... Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi» (Sal 139,13.15-16). Della stessa esperienza rende testimonianza Giobbe nelle parole rivolte a Dio. «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte... Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu mi hai concesso, e la tua premura ha custodito il mio spirito... Perché tu mi hai tratto dal seno materno?» (Gb 10,8-12.18). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5), dice il Signore al profeta Geremia.
«Non commettere infanticidio, non procurare aborto»: questo precetto è collocato tra i più importanti comandamenti di Dio nell'Insegnamento dei dodici apostoli, uno dei testi più antichi della letteratura cristiana. «Donna, procurare l'aborto è un omicidio, e di questo dovrai render conto davanti a Dio. Infatti... un feto nel grembo materno è un essere vivente sul quale Dio ha posto il suo sigillo», scriveva Atenagora, apologista del II secolo. «Uno che sarà un uomo è già un uomo», asseriva Tertulliano tra il II e il III secolo. «Colei che di proposito distrugge il feto concepito nel grembo subirà la condanna dell'omicida... Coloro che danno medicamenti per procurare l'aborto di un feto nel grembo materno sono omicidi, così come coloro che assumono veleni che uccidono il feto», è detto nella 2a e 3a regola di s. Basilio Magno, incluse nel libro degli Statuti della Chiesa ortodossa e confermate dal 91° canone del VI Concilio ecumenico. Nello stesso tempo s. Basilio precisa che la gravità della colpa non dipende dal periodo di gestazione: «Noi non facciamo alcuna distinzione tra il feto già formato e quello non ancora formato». San Giovanni Crisostomo definiva coloro che praticano l'aborto «peggiori degli assassini».
La Chiesa considera l'ampia diffusione e giustificazione degli aborti nella società contemporanea una minaccia al futuro dell'umanità e un segno evidente del suo degrado morale. La fedeltà all'insegnamento biblico e patristico sulla santità e la preziosità inestimabile della vita umana sin dai suoi inizi è incompatibile con il riconoscimento della «libera scelta» della donna nel disporre del destino del feto. Inoltre, l'aborto rappresenta una grave minaccia per la salute fisica e spirituale della madre. La Chiesa ha sempre considerato suo dovere proteggere gli esseri umani più vulnerabili e dipendenti, quali sono i bambini non nati. La Chiesa ortodossa in nessuna circostanza può benedire l'aborto. Pur senza respingere le donne che hanno commesso un aborto, la Chiesa le invita a pentirsi e a superare le conseguenze rovinose del peccato attraverso la preghiera e la penitenza sacramentale, seguita dalla partecipazione ai sacramenti della salvezza. Nei casi in cui il proseguimento della gravidanza comporterebbe un pericolo immediato per la vita della madre, specialmente se ha altri figli, nella prassi pastorale si raccomanda di mostrare indulgenza. La donna che ha interrotto una gravidanza in queste circostanze non sarà esclusa dalla comunione eucaristica con la Chiesa, a condizione che ella abbia compiuto quanto prescritto dal canone penitenziale secondo le indicazioni del sacerdote che ha raccolto la sua confessione. La lotta contro l'aborto, cui le donne talvolta sono costrette a ricorrere per motivi di estrema indigenza economica e per incapacità e debolezza, richiede che la Chiesa e la società elaborino misure efficaci a protezione della maternità, e creino le condizioni per l'adozione dei bambini, che le madri per qualche ragione non siano in grado di allevare da sole.
La responsabilità per il peccato dell'uccisione di un bambino non nato deve ricadere, oltre che sulla madre, anche sul padre, nel caso in cui egli abbia dato il suo assenso all'esecuzione dell'aborto. Se l'aborto viene compiuto dalla donna senza il consenso del marito, ciò può essere considerato una ragione valida per lo scioglimento del matrimonio (v. X.3). Il peccato ricade anche sul medico che ha eseguito l'aborto. La Chiesa invita lo stato a riconoscere il diritto degli operatori sanitari di rifiutarsi di praticare un aborto per motivi di coscienza. Non si può considerare «normale» la condizione in cui la responsabilità giuridica del medico per la morte della madre sia considerata incomparabilmente più elevata della responsabilità per la distruzione del feto: questo induce i medici, e attraverso di essi le pazienti, a compiere aborti. Il medico deve assumersi la massima responsabilità nello stabilire la diagnosi che può indurre una donna a interrompere la gravidanza; per questo, un medico credente deve raffrontare con attenzione le indicazioni cliniche con quanto gli impone la sua coscienza cristiana.  

 

La contraccezione

XII.3. Una valutazione religioso-morale richiede anche il problema della contraccezione. Alcuni mezzi contraccettivi hanno di fatto un effetto abortivo, in quanto interrompono artificialmente la vita dell'embrione nelle sue fasi più precoci. Al loro uso si applica perciò lo stesso criterio di giudizio che si adotta per l'aborto. Altri mezzi che non implicano l'interruzione di una vita già concepita non possono invece essere equiparati in nessun modo all'aborto. Nel definire il proprio atteggiamento verso i mezzi di contraccezione non abortivi, i coniugi cristiani devono ricordare che la continuazione del genere umano è uno degli scopi fondamentali dell'unione matrimoniale voluta da Dio (v. X.4). Il rifiuto deliberato di generare figli per motivi egoistici avvilisce il matrimonio ed è senza dubbio un peccato.
Nello stesso tempo, i coniugi sono responsabili davanti a Dio per l’educazione completa dei figli. Uno dei modi per attuare una maternità e paternità responsabili è l'astinenza dai rapporti sessuali per un determinato periodo di tempo. Tuttavia, è necessario ricordare le parole che l'apostolo Paolo rivolge agli sposi cristiani: «Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione» (1Cor 7,5). È chiaro che i coniugi devono assumere decisioni in questo campo di comune accordo, ricorrendo al consiglio di un padre spirituale. Quest'ultimo, d'altra parte, deve tener conto, con prudenza pastorale, delle concrete condizioni di vita della coppia, della loro età e salute, del grado di maturità spirituale e di molte altre circostanze, distinguendo coloro che possono «accogliere» impegnative richieste di continenza da coloro ai quali questo «non è stato concesso» (Mt 19,11), e preoccupandosi prima di tutto della salvaguardia e del consolidamento della famiglia.
Il santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nella sua deliberazione del 28 dicembre 1998 ha istruito i sacerdoti che esercitano il ministero di guide spirituali affermando che «è inammissibile obbligare o indurre i fedeli, contro la loro volontà, a... rinunciare ai rapporti coniugali nel matrimonio», e ha anche ricordato ai pastori la necessità «di osservare una particolare castità e una speciale prudenza pastorale nel trattare con i fedeli questioni inerenti ai vari aspetti della loro vita familiare». 

 

La riproduzione assistita

XII.4. L'uso dei nuovi metodi biomedici in molti casi rende possibile la risoluzione dei problemi di infertilità. Nello stesso tempo, la crescente ingerenza tecnologica nel processo della generazione della vita umana presenta una minaccia per l'integrità spirituale e la salute fisica della persona. Appaiono minacciate anche le relazioni interpersonali che sin dai tempi più antichi stanno alla base della società. Con lo sviluppo delle summenzionate tecnologie è connessa anche la diffusione dell'ideologia dei cosiddetti diritti riproduttivi, oggi ampiamente propagandata a livello sia nazionale che internazionale. Questo sistema ideologico sostiene la priorità dell'autorealizzazione sessuale e sociale dell'individuo rispetto alla cura del futuro bambino, alla salute spirituale e fisica della società e alla sua stabilità morale. Nel mondo si sta diffondendo sempre più una concezione della vita umana intesa come un prodotto che può essere scelto secondo le proprie inclinazioni e di cui si può disporre alla stregua di un bene materiale.
Nelle preghiere del rito del matrimonio, la Chiesa ortodossa esprime la speranza che la procreazione, benché frutto auspicabile del matrimonio legittimo, non ne sia l'unica finalità. Accanto al «frutto del ventre», la Chiesa per gli sposi chiede anche i doni dell'amore reciproco perpetuo, della castità e dell'"armonia delle anime e dei corpi». Pertanto, le vie alla procreazione non conformi con il progetto del Creatore della vita non possono essere considerate moralmente giustificate dalla Chiesa. Se il marito o la moglie è sterile e i metodi terapeutici e chirurgici di cura dell'infertilità non aiutano gli sposi, è opportuno che essi accettino con umiltà la mancanza di figli come una speciale vocazione. In casi simili i padri spirituali devono considerare la possibilità di adottare un figlio per decisione comune dei coniugi. Tra i mezzi ammissibili di assistenza medica può essere annoverata l'inseminazione artificiale con cellule seminali del marito, dal momento che questa metodica non viola l'integrità dell'unione coniugale, non si differenzia sostanzialmente dal concepimento naturale e avviene nel contesto dei rapporti coniugali.
Invece, le manipolazioni connesse con la donazione di cellule sessuali violano senz’altro l'integrità della persona e l'esclusività dei rapporti coniugali, permettendo a una terza parte di interferire nella vita della coppia. Inoltre, questa pratica incoraggia la paternità e la maternità irresponsabili, indubbiamente libere da ogni obbligo verso colui che è «carne della carne» di donatori anonimi. L'uso di materiale donato mina le fondamenta dei rapporti familiari, dal momento che presuppone che il bambino abbia, oltre ai genitori «sociali», anche i cosiddetti genitori «biologici». La «maternità surrogata», cioè l'impianto di un ovulo fecondato nel grembo di una donna che, dopo il parto restituisce il bambino ai «committenti», è innaturale e moralmente inammissibile, anche nei casi in cui la donna non chieda alcun compenso. Questa metodica comporta la violazione della profonda intimità emozionale e spirituale che si stabilisce tra madre e figlio già durante la gestazione. La «maternità surrogata» traumatizza sia la madre gestante, i cui sentimenti materni vengono calpestati, sia il bambino, che in seguito potrebbe attraversare una crisi di identità. Moralmente inammissibili dal punto di vista ortodosso sono anche tutti i vari tipi di fecondazione extracorporea, che comportano la produzione, la conservazione e la distruzione deliberata degli embrioni «eccedenti». È proprio sul riconoscimento della dignità umana anche nell'embrione che si fonda il giudizio morale di condanna dell'aborto da parte della Chiesa (v. XII.2).
L'inseminazione di donne non sposate con l'impiego di cellule seminali provenienti da un donatore, o l'esercizio dei «diritti riproduttivi» di uomini non sposati e di persone che presentano i cosiddetti orientamenti sessuali «non-standard», priva il futuro bambino del diritto di avere una madre e un padre. L'uso di metodi riproduttivi al di fuori del contesto della famiglia benedetta da Dio diventa una forma di «teomachia» condotta con il pretesto della tutela dell'autonomia dell'individuo e di una libertà individuale erroneamente intesa.

 

La medicina genetica

XII.5. Le malattie ereditarie rappresentano una parte considerevole delle patologie. Lo sviluppo di metodiche di medicina genetica per la diagnosi e la terapia può contribuire a prevenire queste malattie e alleviare le sofferenze di molte persone. Tuttavia è importante ricordare che le patologie genetiche spesso sono la conseguenza della mancata osservanza dei principi morali e di uno stile di vita vizioso, che causano sofferenze nei discendenti. La corruzione della natura umana causata dal peccato è contrastata dallo sforzo spirituale; se però il dominio del vizio cresce sempre più nella vita dei discendenti di generazione in generazione, si realizzano le parole della Sacra Scrittura: «di una stirpe iniqua è terribile il destino» (Sap 3,19). E viceversa: «Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta» (Sal 112,1-2). In tal modo, la ricerca genetica non fa che confermare le leggi spirituali, rivelate molti secoli fa all'umanità nella parola di Dio.
Attirando l'attenzione delle persone sulle cause morali delle malattie, la Chiesa nello stesso tempo approva gli sforzi dei medici tesi a curare le malattie ereditarie. Tuttavia, lo scopo dell'interferenza genetica non deve essere quello di «perfezionare» artificialmente il genere umano o di intromettersi nel progetto di Dio sull'uomo. Pertanto, le metodiche di ingegneria genetica possono essere messe in atto solo con il consenso del paziente o dei suoi legittimi rappresentanti ed esclusivamente sulla base di indicazioni mediche. La terapia genetica delle cellule seminali è estremamente pericolosa, perché implica il mutamento di un genoma (corredo dei caratteri genetici) nella linea delle generazioni, cosa che può provocare conseguenze imprevedibili sotto forma di nuove mutazioni e può arrivare a destabilizzare l'equilibrio tra la comunità umana e l'ambiente.
I successi raggiunti nella decifrazione del codice genetico hanno creato reali presupposti per un testing genetico totale allo scopo di ottenere informazioni sull’unicità naturale di ciascun essere umano e sulla sua predisposizione a determinate malattie. La creazione di un «passaporto genetico» potrebbe aiutare a correggere tempestivamente lo sviluppo di malattie alle quali un particolare individuo è esposto, a condizione che le informazioni ottenute vengano utilizzate in modo ragionevole. Tuttavia sussiste il reale rischio che il cattivo uso delle informazioni genetiche possa servire a diverse forme di discriminazione. Inoltre, il possesso di informazioni sulla predisposizione genetica a gravi patologie può diventare un fardello psicologico insostenibile. Per questo le informazioni genetiche e il testing genetico sono possibili solo sulla base del rispetto della libertà della persona.
Carattere ambivalente hanno anche i metodi di diagnostica prenatale, che permettono di identificare una malattia genetica nelle fasi più precoci di sviluppo intrauterino. Alcuni di questi metodi possono costituire una minaccia per la vita e l'integrità dell'embrione o del feto sottoposto al test. L'individuazione di una malattia genetica inguaribile o gravissima spesso induce i genitori a interrompere la vita concepita; sono noti alcuni casi in cui sui genitori è stata esercitata pressione a questo scopo. La diagnostica prenatale può essere considerata moralmente giustificata, se è finalizzata alla cura di una malattia individuata nella fase più precoce possibile e se può contribuire a preparare i genitori a prendersi particolare cura del bambino malato. Ogni persona ha diritto alla vita, all'amore e alla sollecitudine, indipendentemente dalle malattie da cui possa essere affetta. Secondo la Sacra Scrittura, Dio stesso è «il Dio degli umili» (Gdt 9,11). L'apostolo Paolo insegna a «soccorrere i deboli» (At 20,35; 1Ts 5,14); paragonando la Chiesa al corpo umano, egli spiega che «quelle membra... che sembrano più deboli sono più necessarie, e quelle meno perfette hanno bisogno di «maggior onore» (1Cor 12,22.24). È assolutamente inammissibile il ricorso ai metodi di diagnostica prenatale allo scopo di scegliere il sesso del nascituro più desiderabile per i genitori.

 

La clonazione

XII.6. La clonazione (riproduzione di copie genetiche) di animali, realizzata dagli scienziati, pone il problema dell’ammissibilità e delle possibili conseguenze della clonazione dell'essere umano. La realizzazione di questa idea, che ha incontrato le proteste della maggior parte delle persone in tutto il mondo, può diventare rovinosa per la società. La clonazione apre la possibilità di manipolare il patrimonio genetico della persona a un grado ancora maggiore rispetto alle altre tecnologie riproduttive e contribuisce al suo ulteriore svilimento. L'uomo non ha il diritto di rivendicare un ruolo di creatore di esseri suoi simili o di scegliere i loro prototipi genetici, determinando a sua discrezione le loro caratteristiche personali. L'idea della clonazione è un'indubbia sfida alla natura stessa dell'uomo e all'immagine di Dio che è in lui, parte integrante della quale sono la libertà e l'unicità della persona. La «riproduzione» degli esseri umani con parametri prestabiliti può apparire desiderabile solo ai fautori di ideologie totalitarie.
La clonazione dell'essere umano può corrompere le naturali fondamenta della procreazione, della consanguineità, della maternità e della paternità. Un bambino può diventare fratello del proprio padre, una bambina sorella della propria madre, o figli del proprio nonno. Estremamente pericolose sono anche le conseguenze psicologiche della clonazione. Un essere umano che viene alla luce in seguito a questa procedura può sentirsi non una persona indipendente, ma solo una «copia» di qualcuno che è ancora vivo o che è vissuto prima di lui. È necessario anche considerare che gli esperimenti di clonazione umana creerebbero, come «sottoprodotti», un gran numero di vite incompiute e, molto probabilmente, l'emergere di una numerosa posterità priva di vitalità. D'altra parte, la clonazione di singole cellule e di tessuti isolati dell'organismo non rappresenta un attentato alla dignità della persona e in molti casi si è dimostrata utile nella pratica biologica e medica.

 

I trapianti di organi e tessuti

XII.7. La trapiantologia moderna (la teoria e la pratica del trapianto di organi e tessuti) permette di offrire un aiuto efficace a molti malati che prima sarebbero stati condannati a morte inevitabile o ad una grave disabilità. Nello stesso tempo lo sviluppo di questo campo della medicina, accrescendo il fabbisogno dei necessari organi, genera determinati problemi etici e può presentare una minaccia per la società. Così, la propaganda spregiudicata della donazione di organi e la commercializzazione della pratica dei trapianti creano i presupposti per la nascita di un mercato di parti del corpo umano, minacciando la vita e la salute delle persone. La Chiesa ritiene che gli organi umani non possano essere considerati oggetto di compravendita. Il trapianto di organi da vivente può essere fondato solo su un volontario sacrificio di sé per salvare la vita di un'altra persona. In questo caso il consenso all'espianto di un organo diventa un'espressione di amore e di compassione. Tuttavia, un potenziale donatore deve essere del tutto informato sulle possibili conseguenze dell'espianto dell'organo per la sua salute. L'espianto che presenta un rischio immediato per la vita del donatore è moralmente inammissibile. Molto diffusa è la pratica del prelievo di organi da persone appena decedute. In questi casi deve essere esclusa qualsiasi incertezza relativa al momento della morte. E' inammissibile abbreviare la vita di una persona, anche rifiutandole le terapie necessarie alla sopravvivenza, allo scopo di prolungare la vita di un altro.
Sulla base della divina Rivelazione, la Chiesa professa la fede nella risurrezione della carne dei morti (Is 26,19; Rm 8,11; 1 Cor 15,42-44.52-54; Fil 3,21). Nel rito funebre cristiano, la Chiesa esprime il rispetto dovuto al corpo di un defunto. Tuttavia, la donazione post-mortem di organi e tessuti può diventare un'espressione di amore che si estende anche oltre la morte. Tale genere di donazione o l'espressione della sua volontà testamentaria non può essere considerato un dovere per la persona. Per questo il consenso volontario di un donatore, manifestato in vita, è la condizione alla quale l'espianto può essere considerato legittimo e moralmente ammissibile. Nel caso in cui i medici non conoscano la volontà di un potenziale donatore, essi devono appurare la volontà del morente o del defunto, rivolgendosi se necessario ai suoi parenti. La cosiddetta presunzione di assenso di un potenziale donatore all'espianto di organi e tessuti dal proprio corpo, introdotta nella legislazione di alcuni paesi, è considerata dalla Chiesa una violazione inammissibile della libertà dell'uomo.
Organi e tessuti donati diventano parte della persona che li riceve (ricettore), entrando nella sfera della sua integrità personale fisico-spirituale. Per questo in nessuna circostanza può essere moralmente giustificato il trapianto che può comportare un rischio per l'identità del ricettore, andando a toccare la sua unicità come persona e come rappresentante di una specie. E' particolarmente importante ricordare questa condizione quando si tratta di risolvere problemi connessi con il trapianto di organi e tessuti animali.
La Chiesa ritiene assolutamente inammissibile l'impiego dei metodi della cosiddetta terapia fetale, alla cui base sta l'espianto e l'utilizzazione di tessuti e di organi di feti umani, abortiti a diversi stadi di sviluppo, per tentare di curare varie malattie e di «ringiovanire» un organismo. Condannando l'aborto come peccato morale, la Chiesa non può trovare per esso alcuna giustificazione, anche nel caso in cui qualcuno potesse trarre beneficio dalla distruzione di una vita umana concepita. Contribuendo inevitabilmente alla diffusione e alla commercializzazione ancor più ampia degli aborti, tale prassi (anche se la sua efficacia, attualmente ipotetica, dovesse dimostrarsi scientificamente valida) è un esempio di immoralità scandalosa ed è criminale.

 

L’eutanasia

XII. 8. La pratica dell'espianto di organi umani, utilizzabili per il trapianto, e lo sviluppo della terapia intensiva hanno posto il problema della corretta constatazione del momento della morte. Prima il criterio per il suo accertamento era considerato l'arresto irreversibile del respiro e della circolazione sanguigna. Tuttavia, grazie al miglioramento delle tecnologie di rianimazione, queste importanti funzioni vitali possono essere mantenute artificialmente per lungo tempo. L'evento della morte in tal modo si trasforma in un processo del morire che dipende dalla decisione del medico ed impone alla medicina contemporanea una responsabilità qualitativamente nuova.
Nella sacra Scrittura la morte rappresenta la separazione dell'anima dal corpo (Sal 146,4; Lc 12,20). In tal modo, si può parlare di una continuazione della vita fino a quando l'organismo funziona in tutta la sua integralità. Il prolungamento della vita con mezzi artificiali, dove di fatto solo singoli organi continuano a funzionare, non può essere considerato un compito vincolante della medicina e in nessun caso auspicabile. I tentativi di allontanare il momento della morte talora non fanno che prolungare le sofferenze del malato, privando la persona del diritto a una morte dignitosa, «non avvilente e in pace», che i cristiani ortodossi chiedono al Signore durante la liturgia. Quando la terapia intensiva diventa impossibile, dovrebbe subentrare un aiuto palliativo (anestetici, assistenza infermieristica, sostegno sociale e psicologico) e la cura pastorale. Tutto questo per assicurare una fine dell'esistenza terrena veramente umana, riscaldata dalla misericordia e dall'amore.
La concezione ortodossa di una morte dignitosa comprende la preparazione al momento terminale della vita, considerato una tappa spiritualmente importante nell'esistenza di una persona. Negli ultimi giorni della sua vita terrena un ammalato circondato dalla sollecitudine cristiana può sperimentare in sé un cambiamento operato dalla grazia di Dio, in una comprensione nuova del senso del suo viaggio ormai compiuto e nell'anticipazione penitente dell'eternità. Per i parenti di un morente e per gli operatori sanitari la paziente assistenza al malato diventa un'opportunità di servire il Signore stesso, secondo le parole del Salvatore: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il tentativo di nascondere al paziente la verità sulla gravità delle sue condizioni con il pretesto di preservare la sua tranquillità spirituale e psicologica spesso priva il morente della possibilità di prepararsi consapevolmente alla morte e di trovare una consolazione spirituale nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, e getta un'ombra di sfiducia sui suoi rapporti con i parenti e con i medici.
Le sofferenze fisiche che precedono la morte non sempre possono essere alleviate efficacemente con l'impiego di anestetici. Consapevole di questo, la Chiesa in tali casi rivolge a Dio la preghiera: «Libera il tuo servo da queste intollerabili sofferenze e dalle sue amare infermità e donagli conforto, o anima dei giusti» (Messale, orazione per coloro che soffrono di lunghe malattie). Solo il Signore è padrone della vita e della morte (1Sam 2,6). «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana» (Gb 12,10). Per questa ragione la Chiesa, rimanendo fedele al comandamento di Dio «non uccidere» (Es 20,13), non può riconoscere come moralmente ammissibili i tentativi, ora ampiamente diffusi nella società laica, di legalizzare la cosiddetta eutanasia, cioè la deliberata uccisione di malati che non hanno alcuna speranza di guarire (anche per loro stessa volontà). La richiesta da parte di un malato di accelerare la morte è talora condizionata da uno stato di depressione, che gli impedisce di valutare in maniera corretta la propria condizione. Il riconoscimento legale dell'eutanasia porterebbe allo svilimento della dignità del medico, chiamato a preservare la vita piuttosto che a sopprimerla, e a una deviazione rispetto alla deontologia professionale. Il «diritto alla morte» può facilmente diventare una minaccia alla vita di pazienti la cura dei quali richiederebbe grandi mezzi economici.
In tal modo, l'eutanasia è una forma di assassinio o di suicidio, a seconda che il paziente vi prenda parte attiva o no. Qualora il paziente partecipi all'eutanasia, andranno applicate quelle norme canoniche secondo le quali il suicidio volontario, così come l'aiuto dato per compierlo, sono giudicati peccato grave. Ad un suicida consapevole, che «lo abbia commesso tale atto spinto da rancore umano o per qualche altro motivo dettato da pusillanimità», non sarà concessa la sepoltura cristiana e la commemorazione liturgica (Timoteo Aless., can. 14). Se un suicidio è avvenuto durante un raptus di follia, quando la persona non era nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, la preghiera della Chiesa per il suicida è permessa dopo che il vescovo competente abbia condotto un'indagine sul caso. Nello stesso tempo è necessario ricordare che spesso la colpa del suicida ricade anche sulle persone che lo circondavano e che si sono rivelate incapaci di efficace compassione e di misericordia. Con l'apostolo Paolo la Chiesa esorta: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).

 

I rapporti omosessuali

XII.9. La sacra Scrittura e l'insegnamento della Chiesa deplorano inequivocabilmente i rapporti omosessuali, vedendo in essi un vizioso stravolgimento della natura umana creata da Dio.

«Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio» (Lv 20,13). La Bibbia narra del terribile castigo che Dio inflisse agli abitanti di Sodoma (Gn 19,1-19), secondo l'interpretazione dei santi padri, proprio per il peccato di sodomia. L'apostolo Paolo, nel descrivere la condizione morale del mondo pagano, colloca i rapporti omosessuali tra le «passioni più infami» e le «impurità» che disonorano il corpo umano: «Le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento» (Rm 1,26-27). «Non illudetevi... né effeminati, né sodomiti... erediteranno il regno di Dio», scrive l'Apostolo agli abitanti della corrotta Corinto (1 Cor 6,9-10). La tradizione patristica in maniera altrettanto chiara e determinata condanna ogni manifestazione di omosessualità. La «Didachè», le opere di s. Basilio Magno, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, s. Agostino, i canoni di Giovanni il Digiunatore esprimono tutti l'immutato insegnamento della Chiesa secondo il quale i rapporti omosessuali sono peccaminosi e vanno condannati. Coloro che li praticano non hanno il diritto di far parte del clero (Basilio Magno, can. 7; Gregorio Nis., can. 4; Giovanni il Digiunatore, can. 30). Rivolgendosi a coloro che si erano macchiati del peccato di sodomia, il beato Massimo il Greco fece questo appello: «Guardatevi, dannati, a quale piacere perverso vi siete abbandonati!... Cercate di abbandonare immediatamente questo vostro obbrobrioso e fetidissimo piacere, cercate di detestarlo, e chi affermasse che è un piacere innocente, su costui pronunciate un anatema eterno, in quanto è nemico del vangelo di Cristo Salvatore e corruttore del suo insegnamento. Purificatevi con un pentimento sincero, lacrime ardenti e la massima carità e la preghiera pura... Detestate con tutta l'anima questo peccato perché non vi capiti di essere figli della dannazione e della morte eterna».
I dibattiti sulla condizione delle cosiddette minoranze sessuali nella società contemporanea tendono a riconoscere l'omosessualità non come una perversione sessuale, ma solo come uno degli «orientamenti sessuali», che hanno eguale diritto alla manifestazione pubblica e al rispetto. Si sostiene inoltre che la tendenza omosessuale è determinata da una predisposizione naturale individuale. La Chiesa ortodossa muove dalla ferma ed immutata convinzione che l'unione coniugale dell'uomo e della donna stabilita da Dio non può essere paragonata alle manifestazioni pervertite della sessualità. Essa considera l'omosessualità uno stravolgimento peccaminoso della natura umana, il quale può essere superato da uno sforzo spirituale che porta alla guarigione e alla crescita personale dell'individuo. I desideri omosessuali, come pure le altre passioni che tormentano l'uomo decaduto, vengono guariti dai sacramenti, dalla preghiera, dal digiuno, dal pentimento, dalla lettura della Sacra Scrittura e delle opere patristiche, oltre che dalla comunione cristiana con persone credenti disposte ad offrire un sostegno spirituale.
Pur trattando le persone che hanno inclinazioni omosessuali con responsabilità pastorale, la Chiesa nello stesso tempo è risolutamente contraria ai tentativi di presentare questa tendenza peccaminosa come «normale» e addirittura come motivo d'orgoglio ed esempio da emulare. Questo è il motivo per cui la Chiesa condanna qualsiasi propaganda dell'omosessualità. Pur senza negare a nessuno i fondamentali diritti alla vita, al rispetto della dignità personale e alla partecipazione agli affari pubblici, la Chiesa tuttavia ritiene che coloro che propagandano uno stile di vita omosessuale non devono essere ammessi all'insegnamento, ad un'attività educativa o di altro tipo a contatto con bambini o con giovani, come pure ad occupare posti direttivi nell'esercito e negli istituti di rieducazione.
Talvolta le perversioni della sessualità umana si manifestano come un sentimento doloroso di appartenere al sesso opposto, che sfocia nel tentativo di cambiare il proprio sesso (transessualità). Il desiderio di rifiutare di appartenere al sesso che le è stato assegnato dal Creatore non può avere che conseguenze rovinose per l'ulteriore sviluppo della persona. Il «cambio di sesso» mediante terapia ormonale e chirurgica in molti casi non porta alla soluzione dei problemi psicologici, ma al loro aggravamento, provocando una profonda crisi interiore. La Chiesa non può approvare un simile genere di «ribellione contro il Creatore» e riconoscere come reale un’identità sessuale cambiata artificialmente. Se un «cambio di sesso» è avvenuto in una persona prima del battesimo, la persona può essere ammessa al sacramento, come qualsiasi altro peccatore, ma la Chiesa la battezzerà come appartenente al sesso nel quale era nata. L'ordinazione sacerdotale di una tale persona e il suo matrimonio religioso sono inammissibili.
La transessualità deve essere distinta dall’errata identificazione del sesso di una persona nella sua prima infanzia, dovuta a un errore del medico in presenza di uno sviluppo patologico dei caratteri sessuali. La correzione chirurgica in questo caso non ha il carattere di un cambiamento di sesso.

Condividi:
Inizio  >  Documenti  >  Sezione 4