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  Aleksej Osipov: Lezioni sulla vita spirituale

Tratto da: Алексей Ильич  Осипов, Путь разума в поисках истины (Aleksei Ilic Osipov, Il sentiero della ragione nella ricerca della verità)

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Capitolo VII

La vita spirituale

Il tema della vita spirituale è il più importante per qualsiasi persona, perché esso, in ultima analisi, determina la natura, la direzione e la ragionevolezza di ogni sua azione. Lo stato spirituale di una persona è una sorta di “acqua madre” che produce i “cristalli” di tutte quelle idee, sentimenti, desideri, ansietà e stati d'animo con i quali la persona convive – ogni suo rapporto con la gente, la natura, gli affari, le cose, ecc., perché lo spirito crea forme di se stesso (In chimica l'acqua madre è una soluzione sovrasatura in cui le sostanze in essa disciolte precipitano e iniziano a cristallizzarsi, non però nella loro composizione originaria, cioè quella che avevano prima di essere disciolte nell'acqua, ma avendo sottratto ad essa gli ioni presenti: si tratta dunque di cristalli che sono stati “modificati” con le caratteristiche dell'acqua nella quale sono stati disciolti N.d.T.). Una vita spirituale corretta porta con sé una vita sana sotto ogni aspetto; è la fonte di quel benessere a cui ciascuna persona e l'intera società naturalmente aspirano. D'altro canto, trasgredire le leggi spirituali conduce irrevocabilmente alla distruzione dell'intera struttura della vita a tutti i suoi livelli, personale, famigliare, sociale.

Il concetto di spiritualità, di regola, è inseparabilmente legato ad un altro concetto, non meno vasto, quello di santità. Questi concetti hanno diverse caratteristiche nelle varie culture e religioni. Qui prenderemo in considerazione il loro significato cristiano ortodosso.

§ 1. I rudimenti della vita spirituale

(secondo gli scritti di sant'Ignazio Brianchaninov)

L'essenza di ogni religione è contenuta nella vita spirituale, che è il suo lato più sacro. Qualsiasi ingresso in essa richiede non soltanto zelo, ma anche conoscenza delle leggi che la regolano. Lo zelo che non si accordi con la conoscenza è, come sappiamo, di scarso aiuto. Concetti vaghi e indistinti di questo aspetto centrale della vita religiosa conducono il Cristiano, e specialmente l'asceta, ad atroci conseguenze; nel migliore dei casi ad aver compiuto sforzi inutili, ma più spesso alla vanagloria e alla malattia spirituale, morale e psicologica. L'errore più diffuso nella vita religiosa è la sostituzione del suo lato spirituale (rispetto dei comandamenti evangelici, pentimento,  lotta contro le passioni, amore per il prossimo) con un lato esteriore, il rispetto per le usanze e i riti della Chiesa. Di regola un simile approccio alla religione rende una persona giusta all'esterno, ma all'interno pari ad un orgoglioso Fariseo, ipocrita e rigettato da Dio, un “santo di satana”. Per questo è necessario conoscere i principi basilari della vita spirituale secondo l'Ortodossia.

Di grande aiuto in questo è una guida esperta, che veda l'animo umano. Tuttavia simili guide erano molto rare anche nei tempi antichi, come testimoniano i Padri; a maggior ragione è difficile trovarne oggi. I santi Padri previdero che negli ultimi tempi ci sarebbe stata una carestia della parola di Dio (sebbene invece i Vangeli siano ora stampati in abbondanza!) e istruirono in anticipo i cercatori sinceri a condurre le loro vite spirituali per mezzo della “guida degli scritti patristici, con il consiglio dei fratelli, loro contemporanei, che progrediscono in essa con successo”.

Queste parole sono di uno dei più autorevoli istruttori e scrittori spirituali russi del diciannovesimo secolo, sant'Ignazio Brianchaninov (1807-1867). I suoi scritti sono una sorta di enciclopedia ascetica che presenta proprio quegli “scritti patristici”, ma sono anche di particolare valore per il Cristiano dei tempi moderni.

Questo deriva dal fatto che essi si basano sui suoi scrupolosi studi patristici, provati nella fornace dell'esperienza ascetica personale, e provvedono un'esposizione chiara di tutti i temi più importanti della vita spirituale, inclusi i pericoli che si possono incontrare sul cammino. Essi espongono l'esperienza patristica della conoscenza di Dio in forma comprensibile alla psicologia ed alla forza delle persone che vivevano in un'epoca più vicina a noi, sia sul piano cronologico che dal punto di vista della secolarizzazione.

Qui potremo presentare solo poche delle più importanti massime del suo insegnamento sul tema di una corretta vita spirituale.

1. Corretti pensieri

“Solitamente le persone considerano i pensieri come qualcosa di scarsa importanza e per questo sono del tutto prive di discernimento nell'accettarli. Tuttavia qualsiasi azione buona proviene dall'accettazione di pensieri corretti, mentre qualsiasi azione malvagia proviene dall'accettazione di pensieri ingannevoli. Il pensiero è come il timone di una nave: una piccola ruota e un'asse insignificante che si trascina dietro una grande nave e ne decide la direzione e, più spesso che mai, il destino” (4, 509; si tratta del riferimento all'edizione russa del 1905 degli scritti di sant'Ignazio: il primo numero corrisponde al volume, il secondo alla pagina; N.d.T.). Questo scriveva sant'Ignazio, enfatizzando l'eccezionale significato che i nostri pensieri, i nostri modi di vedere e in generale la conoscenza teorica hanno per la vita spirituale. Non solo una corretta fede dal punto di vista dogmatico e la sequela dei principi etici del Vangelo, ma anche la conoscenza e la corretta osservanza delle leggi spirituali determinano il successo nel complesso procedimento per una vera rinascita dell'uomo vecchio (Ef. 4, 22), pieno di passioni e “carnale” (Rm. 8, 5) in uomo nuovo (Ef. 4, 24).

Tuttavia una comprensione teorica di questo tema non è così semplice come sembra a prima vista. I molteplici “percorsi spirituali”, come vengono chiamati, che oggi vengono offerti all'uomo da ogni parte sono un'illustrazione della complessità di questo problema.

Per questo motivo ci si pone davanti un obbiettivo della massima importanza: trovare le indicazioni e qualità più essenziali della vera spiritualità, che permettano di distinguerla da tutte le possibili forme di falsa spiritualità, misticismo e prelest (illusione o inganno spirituale, N.d.T.). Tutto ciò è stato sufficientemente spiegato nei 2000 anni di esperienza della Chiesa nelle persone dei suoi santi; ma l'uomo moderno, cresciuto in una civiltà materialista e priva di spiritualità, incontra non poche difficoltà nell'assimilarne gli insegnamenti.

Gli insegnamenti patristici si sono sempre adeguati al livello di coloro a cui erano diretti. I Padri della Chiesa non scrissero mai “tanto per fare” o “per erudizione”. Molti dei loro consigli, diretti ad asceti dall'elevata vita contemplativa, ma anche ai cosiddetti principianti, non corrispondono più, nemmeno lontanamente, alla forza spirituale del Cristiano moderno. Per di più la varietà, ambiguità e ad un tempo anche la contraddittorietà di questi consigli, conseguenza naturale del diverso livello spirituale di coloro che li ricercarono, può disorientare gli inesperti. È molto difficile evitare questi pericoli quando si studiano i santi Padri senza conoscere almeno i principi più importanti della vita spirituale. D'altro canto, una vita spirituale corretta è impensabile senza una guida patristica. Di fronte a questa impasse che sembra insormontabile, possiamo vedere la pienezza di significato dell'eredità spirituale di quei Padri, molti dei quali sono più vicini a noi nel tempo, che “riproposero” questa precedente esperienza patristica della vita spirituale in un linguaggio più accessibile all'uomo moderno, poco famigliare ad essa e che di solito non ha né una guida capace, né la forza sufficiente.

Le opere di sant'Ignazio Brianchaninov sono fra le migliori di queste “riproposizioni”, in quanto provvedono un'impeccabile ed affidabile “chiave” per comprendere gli insegnamenti dei grandi operai nella scienza delle scienze, gli asceti.

2. Qual è il significato della fede nel Cristo?

Ecco ciò che sant'Ignazio scrive a questo proposito: “L'inizio della conversione a Cristo consiste nel giungere alla consapevolezza del proprio stato decaduto di peccatore. Questo permette alla persona di riconoscere il suo bisogno di un Redentore e di avvicinarsi a Cristo con umiltà, fede e pentimento (4, 277). Chiunque non riconosca il proprio stato decaduto di peccatore ed il grave rischio che questo comporta non può accettare Cristo o credere in Lui; non può essere un Cristiano. Che bisogno ha infatti di Cristo la persona che da sé è saggia e virtuosa, che è compiaciuta di se stessa e si considera degna di ogni premio terrestre e celeste? (4, 378)”.

Da queste parole il pensiero viene involontariamente portato a riflettere sul fatto che la conoscenza della propria peccaminosità ed il pentimento che ne deriva sono le prime condizioni necessarie per ricevere Cristo; la fede nella Sua venuta, passione e resurrezione è infatti solo l'inizio della conversione a Cristo, perché “anche i demòni credono e tremano” (Gm. 2, 19), mentre solo dalla conoscenza della propria peccaminosità deriva la vera fede in Lui.

Il pensiero del santo ierarca indica il primo e principale gradino della vita spirituale, che così spesso sfugge all'attenzione del fedele, e mostra la vera profondità della sua comprensione ortodossa. Il Cristiano non è per niente, come spesso accade, colui che crede rispettando la tradizione o che è convinto dell'esistenza di Dio grazie a qualche sorta di indizio e, naturalmente, non è nemmeno colui che va in chiesa e sente, per ciò stesso, di essere “migliore di tutti i peccatori, gli atei e i non Cristiani”. No, il Cristiano è colui che vede la propria impurità spirituale e morale, la propria peccaminosità, vede di stare morendo, soffre per questo e perciò è intimamente libero di ricevere il Salvatore e la vera fede in Cristo. Ecco perché, ad esempio, san Giustino il Filosofo scrisse “Egli è il Verbo nel quale partecipa l'intera razza umana. Coloro che vivono secondo il Verbo sono Cristiani in essenza, sebbene si considerino senza dio: tali erano Socrate, Eraclito e altri fra i Greci... Allo stesso modo coloro che vissero prima di noi opponendosi al Verbo furono disonorevoli antagonisti di Cristo... mentre tutti coloro che vissero e ancora vivono secondo i Suoi insegnamenti sono Cristiani in essenza” (Apologia, 1, 46). Questo è il motivo per cui così tanti pagani accettarono prontamente il Cristianesimo.

Per contro, chiunque veda se stesso come giusto e saggio e veda le sue buone opere, non può essere un Cristiano e non lo è infatti, non importa dove si collochi nella struttura amministrativa e gerarchica della Chiesa. Sant'Ignazio cita il fatto eloquente, tratto dalla vita terrena del Salvatore, che Egli fu accolto con lacrime di pentimento dai semplici Giudei, che ammisero i loro peccati, ma fu rigettato con odio e condannato ad una terribile morte dall' “intelligente”, “virtuosa” e rispettabile élite giudea, i grandi sacerdoti, i Farisei (gli zelanti osservatori delle consuetudini, delle regole, ecc. della Chiesa) e gli scribi (i teologi).

“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt. 9, 12), dice il Signore. Solo coloro che vedono la peccaminosità della propria anima e sanno che non può essere curata dai loro propri sforzi si incamminano sulla via della cura e della salvezza, perché sono in grado di rivolgersi al vero Dottore, che soffrì per loro, il Cristo. Al di fuori di questo stato, che è chiamato dai Padri “conoscere se stessi”, la normale vita spirituale è impossibile. “L'intero edificio della salvezza è costruito sulla conoscenza e sulla coscienza della nostra infermità”, scrive sant'Ignazio (1, 532). Egli cita ripetutamente le rimarchevoli parole di san Pietro Damasceno: “L'inizio dell'illuminazione dell'anima e il segno della sua salute è quando l'intelletto inizia a vedere i propri peccati, numerosi come la sabbia del mare” (2, 410).

Perciò sant'Ignazio esclama più e più volte: “L'umiltà ed il pentimento che provengono da questo sono le sole condizioni alle quali si può ricevere Cristo! L'umiltà ed il pentimento sono il solo prezzo con il quale la conoscenza di Cristo può essere acquistata! L'umiltà ed il pentimento sintetizzano la sola condizione morale nella quale ci si può avvicinare a Cristo ed essere accolti da Lui! L'umiltà ed il pentimento sono l'unico sacrificio che Dio chiede e che accetta dall'uomo caduto (cfr. Sal. 50, 18-19). Il Signore rigetta coloro che sono infettati dall'orgoglio, con un'opinione erronea su se stessi, che considerano superfluo per loro il pentimento, che si escludono dalla lista dei peccatori. Essi non possono essere Cristiani (4, 182-183)”.

3. Conosci te stesso

Com'è possibile ottenere questa salvifica conoscenza di se stessi, del proprio “uomo vecchio”, che dischiude la totale, infinita importanza del sacrificio di Cristo? Ecco come sant'Ignazio risponde alla domanda: “Io non sono in grado di vedere i miei peccati perché ancora lavoro per il peccato. Chiunque tragga piacere dal peccato e permetta a se stesso di gustarlo, anche se solo nei suoi pensieri o nella simpatia del cuore, non può vedere i propri peccati. Lo può fare soltanto colui che rinunci a qualsiasi amicizia con esso; chi è uscito al di fuori delle porte della propria casa per sorvegliarle con la spada snudata, la parola di Dio; che con la sua spada deflette e taglia via il peccato, in qualsiasi forma esso possa approcciarsi. Dio garantirà un grande dono a coloro che eseguono questo grande compito di stabilire inimicizia con il peccato, che con violenza strappano via da esso intelletto, cuore e corpo. Questo dono è la visione dei propri peccati (2, 122)”.

In altri brani egli dà il seguente consiglio pratico: “Se ci rifiutiamo di giudicare il nostro prossimo, i nostri pensieri inizieranno naturalmente a vedere i nostri peccati e le debolezze che non vedevamo, quando eravamo occupati con il giudizio del prossimo (5, 351)”. Sant'Ignazio esprime il suo pensiero fondamentale sulla conoscenza di sé con le seguenti rimarchevoli parole di san Simeone il Nuovo Teologo: “L'adempimento scrupoloso dei comandamenti di Cristo insegna all'uomo la sua infermità” (4, 9); cioè, gli rivela il triste quadro di ciò che veramente si trova nella sua anima e di ciò che realmente accade là.

Il tema di come ottenere la visione dei propri peccati o la conoscenza di sé, del proprio “uomo vecchio”, è al centro della vita spirituale. Sant'Ignazio illustra splendidamente la sua logica: solo chi vede se stesso morente ha bisogno di un Salvatore; all'opposto, il “sano” (cfr. Mt. 9, 12) non ha bisogno di Cristo. Perciò, se qualcuno vuole credere in Cristo in modo ortodosso, questa visione deve diventare lo scopo principale del suo sforzo ascetico e, allo stesso tempo, il principale criterio di autenticità di tale sforzo.

4. Buone opere

Al contrario, gli sforzi ascetici, o podvig, e qualsiasi altra virtù, i quali non conducano verso tale risultato, sono di fatto falsi podvig e la vita diventa senza significato. L'apostolo Paolo parla di questo nella sua lettera a Timoteo, quando dice “Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole” (2 Tm. 2, 5). Sant'Isacco il Siro ne tratta in modo ancora più specifico: “La ricompensa non è per la virtù, né per il duro lavoro relativo all'acquisizione della virtù, ma per l'umiltà che è derivata da entrambi. Se manca l'umiltà, allora essi sono vani” (sermone 34).

Quest'affermazione apre ancora un'altra importante pagina nella comprensione della vita spirituale e delle sue leggi: né i podvig, né l'ascesi compiuti all'interno ed all'esterno di noi stessi ci possono portare alle benedizioni del Regno di Dio, che è in mezzo a noi (Lc. 17, 21), ma solo l'umiltà che ne deriva. Se non si acquista l'umiltà, tutti gli sforzi ascetici e le virtù sono senza significato. Tuttavia, solo lo sforzo di adempiere ai comandamenti di Cristo insegna all'uomo l'umiltà. Ecco come si spiega il complesso problema teologico della relazione fra la fede e le buone opere nell'ambito della salvezza.

Sant'Ignazio dedica grande attenzione a questo tema; egli vede in esso due aspetti: il primo, nel senso di comprendere la necessità del sacrificio di Cristo; e il secondo in relazione alla perfezione cristiana. Le sue conclusioni, che procedono dall'esperienza patristica, non sono oggetto ordinario per una classe di teologia.

Egli scrive: “Se le buone azioni compiute secondo i sentimenti del cuore conducessero alla salvezza, allora la venuta di Cristo sarebbe stata superflua” (1, 513). “Sfortunato è colui che è soddisfatto della propria umana giustizia, perché non ha bisogno di Cristo” (4, 24). “La qualità naturale di ogni ascesi corporale e delle buone azioni visibili è di tal natura. Se pensiamo che compierle sia il nostro sacrificio a Dio e non soltanto il ripagare il nostro incommensurabile debito, allora le nostre buone azioni e ascesi diventano in noi i generatori dell'orgoglio, distruttore dell'anima” (4, 20).

Sant'Ignazio scrive anche: “Colui che agisce in base alla giustizia umana è pieno di boria, nobiltà di ideali e illusione... egli ripaga con odio e vendetta chiunque osi aprire bocca per pronunciare la critica più fondata e ben intenzionata alla sua giustizia. Egli considera se stesso degno, degnissimo delle ricompense sia terrestri che celesti (4, 47)”.

Da questo possiamo comprendere l'invito del santo, che è: “Non cercate la perfezione cristiana nelle virtù umane. Non è là; è preservata misticamente nella Croce di Cristo (4, 477-478)”.

Questo pensiero contraddice direttamente la diffusa credenza che le cosiddette “buone azioni” siano sempre buone e ci aiutino nella nostra salvezza, indipendentemente dal motivo per cui vengono fatte. In realtà, giustizia e virtù dell'uomo vecchio e dell'uomo nuovo non sono di mutuo supporto, ma al contrario si escludono a vicenda. La ragione è sufficientemente ovvia: le buone azioni non sono un fine, ma un mezzo per adempiere al supremo comandamento dell'amore. Ma possono anche essere frutto di calcolo, ipocrisia o derivare da ambizione e orgoglio: ad esempio quando una persona vede il bisognoso, ma invece di aiutarlo fa dorare le cupole delle chiese o costruisce una chiesa dove non ce n'è realmente bisogno, è chiaro che non sta servendo Dio, ma la sua propria vanità. Le opere non fatte in adempimento ai comandamenti rendono cieca una persona circa il loro valore, la gonfiano d'orgoglio, la rendono grande ai propri occhi, esaltano il suo ego e così la separano da Cristo. Invece l'adempiere al comandamento di amare il prossimo porta la persona a vedere le proprie passioni, come il desiderio di piacere agli altri, la superbia, l'ipocrisia e così via. Gli rivela che non può compiere buone azioni senza peccare. Questo umilia la persona e la conduce a Cristo. San Giovanni il Profeta disse: “La vera ascesi non può essere priva di umiltà, perché essa in sé e per sé è vana e non porta profitto”.

In altre parole l'esercizio delle virtù e degli sforzi ascetici può essere anche molto pericoloso, se non è fondato sulla conoscenza del peccato nascosto nell'anima e non conduce ad una percezione di esso ancora più profonda. Sant'Ignazio ci istruisce: “Bisogna prima vedere il proprio peccato, poi purificarsi con il pentimento ed ottenere un cuore puro, senza il quale è impossibile compiere una singola buona azione in totale purezza (4, 490). L'asceta” egli scrive “ha appena iniziato a compiere buone opere, quando si rende conto che lo fa in modo insufficiente e impuro... Il suo crescente agire secondo i Vangeli gli mostra ancora più chiaramente l'inadeguatezza delle sue virtù, la moltitudine delle sue deviazioni e dei motivi che lo spingono, lo stato sfortunato della sua natura decaduta... Egli riconosce come il suo adempiere ai comandamenti sia soltanto un distorcerli e un profanarli (1, 308-309)”. Perciò, egli continua, i santi “purificano le loro virtù con fiumi di lacrime, come se fossero peccati (2, 403)”.

5. Il distacco prematuro dalle passioni è pericoloso!

Spostiamo ora la nostra attenzione su un'altra importante norma della vita spirituale. Essa consiste nell' “interrelazione fra virtù e vizi” o, per metterla in altro modo, nella stretta consequenzialità e nel reciproco condizionamento fra l'acquisizione delle virtù e l'azione delle passioni. Sant'Ignazio scrive: “A causa di questa relazione, la sottomissione volontaria ad un pensiero buono guida alla sottomissione naturale ad un altro pensiero buono; l'acquisizione di una virtù conduce nell'anima un'altra virtù che procede nella stessa direzione della prima ed è inseparabile da essa. Vero è anche il contrario: la sottomissione volontaria ad un pensiero peccaminoso porta l'involontaria sottomissione ad un altro; l'acquisizione di una passione peccaminosa conduce nell'anima un'altra passione ad essa connessa; il commettere volontariamente un peccato conduce all'inevitabile cadere in un altro peccato, nato dal primo. Il male, come dicono i Padri, non può sopportare di abitare nel cuore senza sposo” (5, 351).

Si tratta di un serio avvertimento! Quanto spesso i Cristiani, che non conoscono questa norma, guardano noncuranti i cosiddetti peccati “minori”, commettendoli volontariamente, cioè senza esservi forzati da una passione. E poi sono perplessi quando dolorosamente e disperatamente, come schiavi, involontariamente cadono in seri peccati che li portano a gravi sofferenze e tragedie nella vita.

Quanto sia necessario, nella vita spirituale, seguire strettamente la via della consequenzialità è indicato dalle seguenti parole di uno dei più esperti istruttori nella vita spirituale, sant'Isacco il Siro (omelia 72), citato da sant'Ignazio: “È giusta volontà del santissimo Signore che mietiamo il nostro pane spirituale con il sudore della nostra fronte. Egli ha stabilito questa norma non per dispetto, ma piuttosto perché non soffriamo a causa di un'indigestione fino a morirne. Ogni virtù è madre di un'altra che la segue. Se tu abbandoni la madre che ha partorito la virtù e ne cerchi la figlia, senza aver prima acquisito la madre, allora queste virtù diventano come vipere nell'anima. Se non volterai loro le spalle morirai presto” (2, 57-58). Sant'Ignazio mette severamente in guardia in relazione a questo: “Il distacco prematuro dalle passioni è pericoloso! È pericoloso sperimentare la Grazia divina prima del tempo! I doni soprannaturali possono distruggere l'asceta che non ha conosciuto la propria infermità” (1, 532).

Queste sono parole notevoli! Per chi sia spiritualmente inesperto, il solo pensiero che una virtù possa essere prematura, addirittura mortale per l'anima, “come una vipera”, sembrerà strano e assai blasfemo. Ma questa è proprio la realtà della vita spirituale, è una delle sue norme più rigide che fu rivelata dalla vasta esperienza dei santi. Nel quinto volume delle sue Opere, che sant'Ignazio ha intitolato Un'offerta al monachesimo contemporaneo, nel capitolo decimo, intitolato Sulla cautela nel leggere libri sulla vita monastica, egli statuisce apertamente: “L'angelo caduto lotta per ingannare i monaci e condurli verso la distruzione, offrendo loro non solo il peccato nelle sue varie forme, ma anche nobili virtù che non sono loro connaturate” (5, 54).

6. La corretta preghiera

Queste riflessioni sono in diretta relazione con la comprensione di un'attività molto importante per il Cristiano: la preghiera. Affermando, come fanno tutti i santi, che “la preghiera è la madre delle virtù e la porta per tutti i doni spirituali” (2, 228), sant'Ignazio sottolinea enfaticamente le condizioni che devono essere rispettate per rendere la preghiera madre delle virtù; violarle la rende, nel migliore dei casi, senza frutto, ma più spesso ne fa lo strumento della precipitosa caduta dell'asceta. Alcune di queste condizioni sono ben note: chiunque non perdoni agli altri non riceverà egli stesso il perdono. “Chiunque preghi con le labbra, ma non si curi del proprio cuore, prega all'aria e non a Dio; egli lavora invano, perché Dio ascolta la mente e il cuore, non la verbosità delle parole”, dice lo ieromonaco Doroteo, un asceta russo per cui sant'Ignazio aveva grande rispetto (2, 266).

Tuttavia sant'Ignazio pone particolare attenzione alle condizioni per la preghiera di Gesù. Alla luce del suo grande significato per ogni Cristiano, presentiamo un breve estratto dal notevole articolo di sant'Ignazio Sulla preghiera di Gesù: dialogo con un discepolo:

“Nell'esercizio della preghiera di Gesù vi è un inizio, una progressione graduale e una fine infinita. È necessario incominciare l'esercizio dall'inizio, e non da metà o dalla fine... Coloro che iniziano dalla metà sono i novizi che hanno letto le istruzioni... date dai Padri esicasti... e accettano quest'istruzione come guida delle loro attività, senza rifletterci abbastanza. Iniziano dalla metà coloro che, senza alcun tipo di preparazione, provano a forzare le proprie menti nel tempio del cuore e inviare preghiere da laggiù. Iniziano dalla fine coloro che cercano di rivelare rapidamente in se stessi la dolcezza ricolma di Grazia della preghiera e le sue altre azioni ricolme di Grazia. Bisogna iniziare dall'inizio; cioè, pregare con attenzione e timore, avendo come scopo il pentimento e curando solo che queste tre qualità siano costantemente presenti nella preghiera... In particolare, cura scrupolosissima deve essere adottata nello stabilire principi morali in accordo agli insegnamenti del Vangelo. Il tempio immateriale della preghiera accetta a Dio può essere costruito solo sulla morale che è stata portata ad essere in buon accordo con i comandamenti evangelici. Una casa costruita sulla sabbia è fatica sprecata – la sabbia è la facile moralità che può essere scossa” (1, 225-226).

Da questa citazione si può vedere quanto si debba essere accorti e timorosamente premurosi rispetto alla preghiera di Gesù. Non va recitata come che sia, ma correttamente. Altrimenti, la sua pratica non solo cesserà di essere preghiera, ma potrà addirittura distruggere chi la pone in essere. In una delle sue lettere sant'Ignazio parla di come l'anima debba disporsi durante la preghiera: “Oggi ho letto quel detto di san Sisoe il Grande che ho sempre particolarmente amato; un detto che è sempre stato in accordo con i sentimenti del mio cuore. Un monaco gli disse: 'Vivo nell'incessante ricordo di Dio'. San Sisoe gli replicò: 'Ciò non è gran cosa; lo sarà quando ti considererai peggiore di ogni altra creatura'. L'incessante ricordo di Dio è una gran cosa” continua sant'Ignazio, “ma è un altezza assai pericolosa quando la scala che vi conduce non è fondata sulla solida roccia dell'umiltà” (4, 497). In connessione a questo va notato che “il segno dell'incessante e spontanea preghiera di Gesù non è in nessun modo segno della Grazia, perché tali qualità non garantiscono... quei frutti che sempre invece ne sono un segno. L'ascesi spirituale, il risultato e lo scopo della quale è l'acquisizione dell'UMILTA'... è, in questo caso, sostituita da uno scopo temporaneo: l'acquisizione dell'incessante e spontanea preghiera di Gesù, che... non è lo scopo finale, ma solo uno dei mezzi per raggiungere lo scopo” (Monaco Mercurio, Nelle montagne del Caucaso, Mosca 1996, pp. 7-8)

7. Prelest

Queste parole di sant'Ignazio sottolineano ancora un altro aspetto, estremamente serio, della vita spirituale, il pericolo mortale che minaccia l'asceta inesperto che non ha né un vero istruttore, né la corretta conoscenza spirituale teorica, la possibilità di cadere nel prelest, o inganno. Questo termine, che era spesso utilizzato dai Padri, è notevole perché rivela precisamente la vera essenza della malattia spirituale che qualifica. In russo la radice di questa parola, lest, significa “adulazione” e il prefisso pre- indica un'azione riflessiva. Così essa significa auto-adulazione, auto-inganno, il perdersi in sogni o un'opinione elevata del proprio essere degni e della propria perfezione, orgoglio.

Sant'Ignazio, che definiva l'orgoglio come la fonte principale di questa seria malattia, cita le seguenti parole di san Gregorio il Sinaita (XIV sec.): “Il prelest, dicono, si manifesta, o piuttosto si rinviene, in due forme..., nelle forme della fantasia e dell'effetto, sebbene abbia la sua fonte e causa solo nell'orgoglio... Il primo tipo di prelest è quello che deriva dalla fantasia; il secondo tipo... ha la sua fonte nella... lascivia, che deriva dalla lussuria naturale. In questo stato, la persona in prelest comincia a profetizzare, dà false predizioni... Il demonio dell'oscenità oscura la sua mente con il suo fuoco lascivo e la conduce alla pazzia, apparendogli in sogno con le sembianze di determinati santi, portandolo a credere di aver udito le loro parole o visto i loro volti” (Sui comandamenti e sui dogmi, dalla Filocalia).

Qual è la medicina principale per tale malattia? “Come l'orgoglio è la causa generale del prelest, così l'umiltà... serve come reale impedimento e prevenzione contro il prelest... Possano le nostre preghiere essere penetrate da sentimenti di pentimento, possano essere unite alle lacrime e allora il prelest non potrà agire contro di noi” (1, 228).

Sant'Ignazio scrive anche riguardo ad un'altra fra le più diffuse cause di caduta nel prelest: “Ci sono ragioni per credere che lo stato emotivo di certi monaci sia quello del prelest, perché essi hanno rinunciato alla pratica della preghiera di Gesù e in generale alla preghiera mentale, soddisfatti unicamente della preghiera esteriore, cioè dell'incessante partecipazione ai riti della Chiesa e dell'incessante adempimento alla loro regola di preghiera in cella, che consiste esclusivamente nella salmodia e in preghiere verbali, udibili... Essi non possono sfuggire all'auto-adulazione. La preghiera verbale e udibile porta frutto solo quando è combinata con l'attenzione, cosa che accade molto raramente, perché noi impariamo ad essere attenti principalmente attraverso la pratica della preghiera di Gesù” (1, 257-258).

Naturalmente queste considerazioni non riguardano solo i monaci, ma tutti i Cristiani. Perciò, quando sant'Ignazio parla del prelest, ci ricorda che “chiunque pensi di non avere passioni non sarà mai purificato dalle passioni; chiunque pensi di essere ricolmo della Grazia non la riceverà mai; chiunque pensi di essere un santo non raggiungerà mai la santità. Per dirla più semplicemente: chiunque ascriva a se stesso l'attività spirituale, le virtù, l'essere degno e i doni della Grazia, adulandosi e consolandosi con un'elevata opinione di sé, impedisce l'ingresso dell'attività spirituale, delle virtù cristiane e della Grazia divina con quest'opinione e spalanca la porta all'infezione peccaminosa e ai demoni. Costoro, infettati da un'alta opinione di sé, sono completamente incapaci di progressi spirituali” (1, 243).

Tutti i santi considerano se stessi indegni di Dio. Con questo essi dimostrano la loro dignità, che consiste nell'umiltà. Tutti gli auto-delusi considerano se stessi degni di Dio e con questo mostrano l'orgoglio e il prelest demoniaco che ha preso possesso delle loro anime. Alcuni ricevettero i demoni che apparvero loro in forma di angeli e li seguirono... Altri stimolarono la propria immaginazione, accesero il proprio sangue, produssero movimenti nel proprio sistema nervoso, accettando poi tutto come dolcezza ricolma della Grazia. Essi caddero nell'auto-illusione, nella completa insania e si annoverarono, per l'azione del loro stesso spirito, nell'insieme degli spiriti caduti” (2, 126).

8. L'istruttore

Sfortunatamente qualunque fedele può cadere in un simile deprecabile stato, così come può farlo un asceta, se vive secondo il suo autonomo ragionamento, senza un vero istruttore spirituale o la guida degli scritti patristici.

Ma se comprendere i Padri non è sempre un obbiettivo così semplice, è ancora più difficile, ai giorni nostri, trovare un vero istruttore. Un errore a questo riguardo può dimostrarsi fatale. I Padri parlano significativamente della

  1. necessità di una grande cautela nella scelta di una guida e dell'enorme pericolo di accettare un “anziano” non spirituale come istruttore spirituale;
  2. corretta relazione con l'istruttore spirituale: una vita percorsa nell'obbedienza o secondo i consigli dati;
  3. scarsità, negli ultimi tempi, di istruttori pneumatofori che vedano le anime delle persone (sant'Ignazio dice: “Noi non abbiamo istruttori divinamente ispirati!” 1, 274).

 

Dobbiamo citare i pensieri dei Santi Padri in merito a questi temi.

 

  1. Sulla scelta di un istruttore spirituale

 

San Giovanni Cassiano il Romano (V sec.): “È utile rivelare i propri pensieri ai padri, ma non a chiunque; piuttosto ad anziani spirituali che abbiano discernimento, anziani non secondo la loro età fisica e i loro capelli grigi. Molti che furono impressionati da un'apparenza esteriore di età e rivelarono i propri pensieri ricevettero danno invece che cura” (1, 491).

 

San Giovanni Climaco (VI sec.): “Quando desideriamo affidare ad un altro la nostra salvezza, allora, prima di imbarcarci su questa via, se abbiamo anche solo una piccola intuizione o discernimento, dovremmo esaminare, testare e, per così dire, provare questo timone, in modo da non scambiare un semplice remo per un timone, un uomo malato per un dottore, un uomo appassionato per uno privo di passione o una tempesta per un porto; e in questo modo evitare l'immediata distruzione” (La scala, 4, 6).

 

San Simeone il Nuovo Teologo (X sec.): “Prega Dio con lacrime di inviarti una guida santa e priva di passioni. Anche, cerca tu stesso nelle Divine Scritture, specialmente nelle opere pratiche dei Santi Padri, in modo che comparando con esse quanto il tuo maestro ed intercessore insegna a te, tu possa vedere questi insegnamenti come in uno specchio. Mettili uno a fianco all'altro, accordali alle Scritture Divine e meditali nei tuoi pensieri; se vi trovi qualcosa di falso o estraneo, eliminalo, per non cadere nell'illusione. Sappi che ci sono molti imbroglioni e falsi maestri ai nostri giorni” (Filocalia, 5, 33).

 

San Macario il Grande (IV-V sec.) disse “che... noi incontriamo anime che sono state rese partecipi della Grazia divina... ma a causa della loro mancanza di un'attiva esperienza si trovano ancora nell'infanzia e in uno stato davvero insoddisfacente... che manca di vero ascetismo (1, 284). Nei monasteri c'è un detto, circa simili anziani, cioè che sono 'santi, ma non testati' e si adotta una certa cautela nel consigliarsi da loro... che le loro istruzioni non siano considerate affidabili troppo affrettatamente o con leggerezza” (1, 285). Sant'Isacco il Siro addirittura chiamava simili anziani “indegni di essere definiti santi” (1, 286).

 

San Teofane il Recluso (Govorov): “Nello scegliere istruttori spirituali si dovrebbe usare grande cautela e rigoroso discernimento, in modo da non trarne danno invece che beneficio e distruzione invece di qualcosa di costruttivo”.

 

  1. Sulla relazione fra l'istruttore spirituale e il suo gregge

 

“Ogni istruttore spirituale dovrebbe portare le anime verso Cristo e non verso se stesso... Lasciate che l'istruttore, come il grande e umile Battista, stia da parte, considerandosi come un nulla, gioite del suo sbiadire davanti ai discepoli, perché è un segno del loro progresso spirituale... Guardati dall'attaccamento passionale agli istruttori spirituali. Molti non sono stati cauti e sono caduti, insieme ai loro istruttori, nei lacci del demonio. L'attaccamento passionale rende le persone idoli; Dio si allontana con ira dai sacrifici portati a questo idolo... Allora la vita è persa invano e le buone opere periscono. E tu, istruttore, guardati da un inizio peccaminoso! Non metterti al posto di Dio per le anime che hanno fatto ricorso a te. Segui l'esempio di san Giovanni il Precursore” (4, 519).

 

Sull'obbedienza

 

“Quegli anziani che assumono il ruolo di anziano (useremo questo termine spiacevole)... sono in essenza nient'altro che attori che distruggono anime in una commedia tragica. Molti di questi anziani che si assumono il ruolo degli antichi anziani senza possederne i doni spirituali sanno che le loro esatte intenzioni, i loro esatti pensieri e la loro esatta comprensione di questo grande lavoro monastico, cioè l'obbedienza, sono falsi; che proprio il loro modo di pensare, i loro ragionamenti e la loro conoscenza sono auto-illusioni e prelest demoniaco (5, 72). Qualcuno potrebbe obbiettare che la fede del novizio può compensare l'inadeguatezza dell'anziano. Questo non è vero, la fede nella verità salva, ma la fede in una menzogna e nel prelest demoniaco distrugge, secondo l'insegnamento dell'Apostolo (2 Cor. 2, 10-12) (5, 73). Se una guida inizia a richiedere obbedienza verso se stesso e non verso Dio, non è degna di essere tale per il suo prossimo! Non è un servitore di Dio! È un servitore del demonio, suo strumento e suo laccio! Non siate servi di uomini (1 Cor. 7, 23), comanda l'Apostolo. L'ambizione e la falsa opinione di sé amano insegnare e istruire. Non si curano della dignità dei propri consigli! Non pensano di poter infliggere una ferita incurabile  al prossimo, con il loro consiglio insensato, che il principiante senza esperienza accetta con irrazionale credulità, con il fervore della carne e del sangue! Essi vogliono il successo, non importano la sua qualità e la sua origine! Essi hanno bisogno di impressionare il principiante e di sottometterlo moralmente a sé! Essi hanno bisogno della lode degli uomini! Essi hanno bisogno che si pensi a loro come ad anziani ed insegnanti santi, saggi e chiaroveggenti! Essi hanno bisogno di nutrire la loro insaziabile ambizione, il loro orgoglio!” (Sul vivere secondo il consiglio, 5, 77).

Perciò è necessario separarsi da una guida spirituale “cieca”, secondo il comando del Salvatore: Lasciateli stare: sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti i due cadranno in un fosso (Mt. 15, 14). “San Pimen il Grande (V sec.) istruì a separarsi da un anziano senza por tempo in mezzo, se diventava dannoso per l'anima vivere con lui” (5, 74).

 

Sulla vita secondo i consigli

 

“San Nilo di Sora (XV sec.) non dava mai istruzione o consiglio spontaneamente, ma se richiesto, offriva gli insegnamenti tratti dalle Scritture o dai Padri. Quando... non era in grado di ritrovare un'opinione illuminata su un determinato soggetto, lasciava in sospeso la risposta finché non avesse trovato una qualche istruzione nelle Scritture. Questo metodo è presente negli scritti del santo ieromartire Pietro Damasceno, di san Gregorio il Sinaita, dei santi di Xanthopoulis e di altri Padri, specialmente dei più recenti. Anche gli ieromonaci dell'eremo di Optina, Leonida e Macario, seguivano questo metodo... Non davano mai consigli da sé... Questo dava forza ai loro suggerimenti (1, 489).

Secondo gli insegnamenti dei Padri, l'unica vita... che sia appropriata ai nostri tempi è una vita sotto la guida degli scritti patristici, con il consiglio di fratelli nostri contemporanei che stanno progredendo nella vita spirituale; questo consiglio dovrebbe a sua volta essere testato sugli scritti dei Padri (1, 563). La modesta relazione di un consigliere con colui che egli istruisce dovrebbe essere qualcosa di completamente differente da quella di un anziano con un novizio che obbedisce senza riserve... Il consiglio non comprende la condizione della sua necessaria esecuzione; può essere seguito oppure no (5, 80). Non essere obbediente al demonio, anche quando dovrai sopportare alcuni dolori dovuti al tuo rifiuto di piacere agli uomini ed alla tua fermezza. Consigliati con padri e fratelli virtuosi; ma assimila i loro suggerimenti con la massima cautela. Non farti intrappolare in consigli sulla base del loro primo effetto su di te! (Sulla vita secondo i consigli, 5, 77).

 

San Teofane il Recluso (Govorov): “Ecco il migliore, il più affidabile metodo di guida o educazione  nella vita cristiana oggi! Una vita dedicata ad adempiere la volontà di Dio in accordo con le divine Scritture e gli scritti patristici, con consigli e domande a coloro che sono con te in unità d'intento”.

 

  1. Sulla mancanza di istruttori pneumatofori

 

Già nel decimo secolo san Simeone il Nuovo Teologo disse che era difficile trovare una guida priva di passioni e santa, “in questi giorni ci sono molti imbroglioni e falsi insegnanti”. San Nilo di Sora (1423-1508), nella sua prefazione al libro Un'eredità al mio discepolo, scrisse “Questo dicono i santi Padri: se in quei tempi era con fatica possibile trovare un insegnante che non deludesse con i suoi discorsi, ora, nei nostri tempi del tutto impoveriti, bisogna cercare con diligenza”. San Gregorio il Sinaita “finì per dire che nei suoi tempi (il XIV secolo) non c'erano uomini colmi di Grazia, tanto scarsi erano diventati... Ancor più nei nostri tempi colui che prega deve osservare suprema cautela. Non ci sono istruttori ispirati da Dio fra di noi! (1, 274).

I Padri che erano distanti dai giorni di Cristo un migliaio di anni, ripetendo il consiglio dei loro predecessori, già si lamentavano della scarsità di istruttori divinamente ispirati e dell'apparizione di molti falsi insegnanti e offrivano le Sacre Scritture e gli scritti patristici come una guida. I Padri più vicini ancora ai nostri tempi chiamano eredità dei tempi antichi le guide divinamente ispirate e con ancora più decisione ci lasciano alla guida delle Sacre Scritture sante, testando per mezzo loro e accettando con estrema cautela il consiglio dei fratelli a noi contemporanei (1, 563).

Ora, a causa della totale scarsezza di istruttori pneumatofori, la preghiera ascetica è forzatamente guidata in via esclusiva dalle Sacre Scritture e dagli scritti dei Padri (san Nilo di Sora)” (1, 229).

Così dunque parla la voce della sacra tradizione della Chiesa su uno dei temi più dolorosi della moderna vita spirituale.

9. Cattolicesimo

Sarebbe un grande errore credere che il prelest sia qualcosa che sorga specificamente sul suolo ortodosso. Nel suo articolo Sul prelest, sant'Ignazio afferma apertamente che “il prelest è uno stato comune a tutti, senza eccezioni, causato dalla caduta dei nostri progenitori. Siamo tutti nel prelest. Riconoscerlo è la più grande protezione contro di esso, mentre considerarsene privi è il più grande prelest. Siamo tutti ingannati, siamo tutti fuorviati, siamo tutti in uno stato di falsità e necessitiamo di esserne liberati dalla verità. La Verità è il nostro Signore Gesù Cristo” (1, 230).

I pensieri di sant'Ignazio sui santi occidentali, cattolici, sono perfettamente adeguati ai nostri tempi. In completo accordo con tutti gli altri santi della Chiesa ortodossa egli afferma che “molti degli 'asceti' o dei 'grandi santi' della Chiesa occidentale, che sorsero dopo la sua separazione dalla Chiesa orientale e l'abbandono del Santo Spirito pregarono, ebbero visioni, presumibilmente false, attraverso il metodo che ho evidenziato prima... Ignazio di Loyola, fondatore dell'Ordine dei Gesuiti, era in un simile stato (di prelest N.d.T.). La sua immaginazione era così accesa e complessa che, come disse egli stesso, aveva solo da desiderare e da compiere alcuni sforzi e inferno o paradiso sarebbero apparsi davanti ai suoi occhi... Noi sappiamo che le visioni sono concesse ad un vero santo di Dio solo per grazia di Dio e per mezzo di un atto divino e non in accordo con i desideri o gli sforzi della volontà umana. Esse sono concesse improvvisamente e del tutto raramente... L'aumento di sforzo ascetico di coloro che sono nel prelest normalmente va di pari passo con l'estrema licenziosità. Essa serve a valutare la fiamma che consuma colui che è in tale condizione” (1, 244).

Il vescovo Ignazio mostra anche altre cause degli stati ingannevoli che sono nascoste all'osservazione superficiale. Egli scrive: “Il sangue e i nervi sono eccitati da molte passioni: dalla rabbia, dall'amore per il denaro, dalla lascivia e dall'ambizione. Le due ultime passioni accendono estremamente il sangue degli asceti che stanno faticando in modo illecito e li rendono fanatici deliranti. L'ambizione desidera intempestivamente stati spirituali per i quali la persona non è ancora pronta a causa della sua impurità; costui escogita fantasie, al posto della verità che non ha raggiunto. La lascivia, unendo la sua azione a quella dell'ambizione, produce false consolazioni illusorie, piaceri e intossicazioni del cuore. Questo è uno stato di auto-illusione. Tutti coloro che si affaticano illecitamente nelle ascesi sono in questo stato. Si sviluppa in loro in un grado maggiore o minore, che dipende da quanto sforzo mettono nel loro lavoro ascetico. Sono stati scritti molti libri da scrittori occidentali che erano in questo stato” (4, 499).

È interessante notare che il vescovo Ignazio Brianchaninov (che studiò la letteratura ascetica cattolica non in traduzione, ma nell'originale latino) mostra le concrete coordinate temporali dell'estraniarsi degli asceti cattolici dall'esperienza dei santi dell'unica Chiesa universale. Egli scrive: “San Benedetto (+544) e san Gregorio il Dialogo, papa di Roma (+604) sono ancora in accordo con gli istruttori ascetici orientali. Ma Bernardo di Chiaravalle (XII sec.) già differisce bruscamente da essi; gli scrittori più tardi differiscono ancora di più. Essi afferrano immediatamente i loro lettori e li spingono ad altezze che non sono accessibili ai principianti; sollevano se stessi e gli altri. Infuocati... la fantasia rimpiazza in loro ogni spiritualità, della quale non hanno la minima comprensione. Essi considerano grazia queste fantasie sognanti” (4, 498).

10. Esiste una sola Verità

Il prelest, come vediamo, colpisce coloro che vivono non secondo i precetti patristici, ma secondo i loro propri pensieri, i loro desideri e la loro propria comprensione delle cose e ricercano da Dio non la salvezza dal peccato, ma piaceri ricolmi di Grazia, visioni e doni. L'asceta mirabile normalmente “riceve” questi doni abbondantemente nella sua accesa immaginazione e per l'azione delle potenze oscure. Il prelest perciò non è una delle possibili e soprattutto non una delle fra loro equiparabili variazioni spirituali; non è la propria particolare strada verso Dio (come dicono gli apologeti del misticismo cattolico), ma una seria malattia, che erode l'asceta dal di dentro se questi non lo comprende e non lo valuta in modo corretto.

Inoltre questa terribile malattia si impegna a distruggere non solo individui fra loro separati, ma la stessa Cristianità, come vediamo. Se una qualche comunità cristiana o una giurisdizione ecclesiastica si allontana dai principi della vita spirituale che sono stati rivelati e santificati dalla vasta esperienza della Chiesa, ciò inevitabilmente conduce ad una perdita di comprensione della vera santità e alla glorificazione delle sue aperte distorsioni. Allo stesso modo ogni allontanamento dal “sentiero regale” della vita spirituale, aperto dai passi ascetici dei santi, conduce a simili conseguenze distruttive per ciascun credente individualmente.

Spesso l'essere trasportati alle “altezze” è osservabile nei neo-convertiti e nei giovani asceti, che non sono ancora giunti a conoscere il loro uomo vecchio, né sono stati liberati dalle passioni, ma già cercano stati che sono naturali per l'uomo nuovo, perfetto. Non invano i Padri dicono “se vedi uno più giovane che si sta arrampicando verso i cieli con la sua sola volontà, prendilo per i piedi e trascinalo giù, perché questo gli farà bene”.

La ragione per simili errori è ovvia: mancanza di conoscenza delle leggi della vita spirituale o di se stessi. Sant'Ignazio cita le seguenti notevoli parole di sant'Isacco il Siro, a questo proposito: “Se alcuni dei Padri scrissero che esiste la purezza dell'anima, che esiste la salute dell'anima, l'assenza di passioni e la visione, essi scrissero questo non perché noi cercassimo queste cose prima del tempo e attendessimo di riceverle. Sta scritto nelle Scritture Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione (Lc. 17, 20). Coloro che hanno aspettative ne ricavano solo orgoglio e fallimento. Cercare con l'aspettativa di nobili doni divini è qualcosa che la Chiesa di Dio denuncia. Quest'aspettativa non è segno di amore per Dio, ma piuttosto una malattia dell'anima”.

Sant'Ignazio conclude questo pensiero con le seguenti parole: “Quando i santi Padri della Chiesa orientale, specialmente gli eremiti, raggiunsero le altezze delle pratiche spirituali, tutte queste pratiche vennero amalgamate in loro grazie al solo pentimento. Questo abbracciò la loro intera vita e tutte le loro attività. Era il risultato dell'aver visto i loro peccati” (2, 125-126).

In questa visione dei propri peccati, che dà alla luce la vera umiltà e il pentimento del quale non occorre pentirsi (2 Cor. 7, 10) sta la sola vera speranza e il fondamento irremovibile di una corretta vita spirituale.

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