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  I rasofori nella Chiesa ortodossa russa. Osservazioni personali sui gradi monastici

ieromonaco Petru (Pruteanu)

Teologie.net

4 febbraio 2015

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Il 2 e il 3 febbraio 2015, nella sala delle riunioni della cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca ha avuto luogo la riunione consultiva dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, in cui si sono incontrati 259 vescovi di tutto il patriarcato di Mosca.

Tra le discussioni si è parlato del tema di un nuovo regolamento dei monasteri, che già da due anni è discusso a vari livelli (sinodale, diocesano, di monastero e pubblico/su internet).

Uno dei punti più delicati sui quali sono stati consultati i vescovi era lo statuto del rasoforo (cioè il portatore di rjassa, o raso monastico). Dando una valutazione del rango di rasoforo (al punto 8 del comunicato finale) il comitato autorizzato sarà in grado di completare il lavoro sul progetto del regolamento dei monasteri, che deve essere approvato dal grande Sinodo episcopale che si terrà, molto probabilmente, nel febbraio 2016.

Ecco ciò che è stato deciso su questo argomento:

"I partecipanti dell'assemblea consultiva dei vescovi, analizzando attentamente i dibattiti dei comitati inter-conciliari sullo statuto dei rasofori nel Regolamento dei monasteri e dei monaci", hanno formulato un parere comune che la rasoforia è una tappa preparatoria per ricevere il monachesimo. "Il servizio per la vestizione con rjassa e kamilavka" comprende il taglio dei capelli, la vestizione del tonsurato con raso, cintura e kamilavka [1] (e anche con il velo [2] nelle donne). Il portatore di raso e kamilavka si prepara per i voti monastici e per l'adesione alla "schiera dei monaci".

Chi è tonsurato come rasoforo può essere ordinato al rango del diaconato o del presbiterato, se vi è una decisione unanime del consiglio spirituale del monastero. In questo caso, all'ordinato è attribuito il nome di "ierodiacono" o "ieromonaco [3]".

L'intenzione di rimanere nel monastero e quindi di ricevere il rasoforato comporta obblighi morali. Coloro che li violano, lasciando il monastero e andandosene nel mondo, cadono sotto epitimia canonica.

Nel caso che l'uscita dal monastero sia fatta in segreto, senza l'approvazione dell'igumeno o del vescovo, o per menzogna, intervengono impedimenti canonici legati al divieto di ricevere l'ordinazione. Il problema della possibilità dell'ordinazione di una tale persona, a condizione che sia rispettato il celibato, è deciso dal vescovo, in base ai risultati di un procedimento giudiziario ecclesiastico. Un ex rasoforo che si è sposato non può essere ordinato.

Osservazioni personali:

1. La decisione è benvenuta, ma è troppo ambigua e non risponde a tutte le domande. Non parla tanto dello stato di rasoforo ma, piuttosto, della possibilità e delle condizioni della loro ordinazione. Non è chiaro se un ex rasoforo che si sposa può sposarsi in Chiesa oppure no: secondo la tradizione, in questo caso, si compie il rito del "secondo matrimonio", ma era meglio indicarlo in modo esplicito. Inoltre non dice nulla sul cambiamento del nome nella rasoforia.

2. Questa decisione mantiene l'ordine divenuto tradizionale nella Chiesa russa (e più tardi anche nella Chiesa romena), dove il rasoforo viene tonsurato e riceve non solo raso e copricapo ma anche il velo, cioè il panno che si mette sopra al copricapo e forma ciò che i russi chiamano "klobuk" e i romeni "camilafcă" [4]. Tuttavia, il rasoforo non è considerato un monaco, ma solo un candidato che si sta preparando per la professione dei voti monastici e la ricezione del (piccolo)schema (o abito) monastico. La rasoforia ha all'incirca lo stesso significato nella Chiesa ortodossa romena.

3. Presso i greci, e in particolare sul Monte Athos, le cose sono viste in modo un po' diverso: non tonsurano i rasofori e non danno loro velo, ma solo il raso e il copricapo, e in compenso li considerano monaci, anche se non hanno pronunciato i voti, ma sono state lette su di loro solo alcune preghiere (in occasione delle quali l'abate può dare loro un altro nome). La differenza tra rasofori e monaci sull'Athos è piuttosto che il rasoforo, in casi particolari (!), può cambiare monastero, mentre il monaco è costretto a rimanere nel monastero di obbedienza fino alla morte, a meno che non sia inviato dall'igumeno o richiesto dal vescovo per un particolare servizio ecclesiastico. Sull'Athos inoltre non ritengono che il rasoforo possa avere anche il "secondo matrimonio", se si sposa, ma deve invece cercare un altro monastero, che sia più adatto al suo carattere e alle sue aspirazioni. (Così si dice sul Monte Santo: il novizio [dokimos] può lasciare il monastero o essere mandato via, poiché tra lui e il monastero non ci sono ancora obblighi reciproci; il rasoforo può andarsene se proprio lo vuole, ma non può essere espulso dal monastero; e il monaco non può andarsene e non può essere espulso dal monastero, a cui è legato per la vita!)

4. Mi auguro che per la versione finale del Regolamento dei monasteri tali valutazioni siano completate e migliorate. Io preferirei che nella versione finale rimanesse la versione greca del servizio della rasoforia (senza tonsura e senza velo), ma che il significato fosse quello attuale: quello di asceta, che non ha ancora professato i voti monastici e che sente il bisogno (o ne è richiesto da qualsiasi circostanza) di mantenere una sorta di libertà dall'igumeno e dal monastero, mantenendo in particolare solo il voto di castità. Per esempio, san Basilio il Grande, considerato uno dei fondatori del monachesimo, non usa mai il termine "monaco", ma solo "asceta" che può avere una maggiore apertura al mondo, come ha avuto san Basilio stesso.

5. D'altra parte, credo che sia un bene che un/a fratello/sorella che vuole entrare nel monastero, ma vuole continuare alcuni studi, tra cui quelli di teologia, sia fatto/a al massimo rasoforo/a, e che i voti monastici gli/le siano dati solo dopo la laurea e il ritiro definitivo nel monastero. Non è logico dare a un candidato lo schema monastico, e il giorno dopo dargli del denaro e un telefono cellulare, e mandarlo a studiare. (A proposito, nella Chiesa ortodossa romena esiste la pratica della vestizione con il raso per mezzo di una semplice benedizione, senza alcuna funzione concreta e senza tonsura, al fine di non creare conseguenze canoniche e spirituali per chi potrebbe lasciare il raso e rientrare nel mondo. Sarebbe bene che il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa romena chiarisca lo stato di questo tipo di "rasofori").

6. Il ritardo nella professione dei voti monastici non comporta anche il ritardo dell'ordinazione, se il monastero ha una vera necessità di un diacono o di un prete. Un rasoforo ordinato sacerdote può accedere all'episcopato anche senza avere professato i voti monastici. In alcune Chiese locali questa pratica è diffusa, dato il fatto che "l'episcopato" e "il monachesimo" non sono completamente compatibili (in particolare a causa del "voto di sottomissione/obbedienza").

7. Credo che il cambio del nome alla rasoforia dovrebbe essere fatto solo se il candidato non ha un nome di un santo, come è tradizione nella Chiesa ortodossa. L'abitudine di cambiare nomi alla rasoforia, e alla tonsura al piccolo schema, e alla tonsura al grande schema (a volte i greci lo cambiando anche all'ordinazione) porta solo confusione e anche traumi psicologici, perdendo il vecchio senso del cambiamento del nome. Quante volte nella vita qualcuno può dire: "Ho abbandonato l'uomo vecchio, perfino con il suo nome, e sono diventato un uomo nuovo, con un nuovo nome"?

8. Allo stesso modo, sono d'accordo con san Teodoro Studita e con la tradizione monastica athonita che dopo la rasoforia sia dato direttamente il grande schema (che, al momento, russi e romeni danno solo in tarda età). Sarebbe giusto che esista un solo abito monastico, che dovrebbe essere dato solo dopo che è chiaro ciò che l'uomo vuole e ciò che può, e coloro che non sono ancora decisi possono rimanere più a lungo rasofori, e prima di ricevere la rasoforia si passi non solo attraverso un periodo di prova (come dicono da noi), ma di formazione, perché nessuno può essere messo alla prova se prima non è  stato informato e quindi ben formato!

9. I monaci che compiono determinati ministeri della chiesa nel mondo, devono essere legati canonicamente e spiritualmente a un particolare monastero, dove poter ritirarsi dopo aver compiuto i compiti affidati. Tale legame non deve essere solo formale, ma reale e sentito tanto dalla fraternità che prega per il monaco che compie il ministero nel mondo, quanto in particolare dal monaco che ha bisogno di ritiri sistematici nel monastero al fine di non perdere la mente monastica.

Note:

[1] In russo "klobuk". Qui ho usato il termine mandila usato nella Chiesa ortodossa romena e nella sua teologia. Vedi i dettagli nella sezione 2 delle "Osservazioni".

[2] In russo "apostolnik", che è simile alla mandila (velo) delle monache in Grecia, solo che copre un po' di meno la fronte. Nella Chiesa ortodossa romena le monache portano un'uniforme specifica, sconosciuta negli altri paesi ortodossi. L'attributo principale del copricapo delle monache romene si chiama "scufie/scofie", mentre tra i russi "skufia" significa "berretto monastico". È molto difficile tradurre tutti questi termini d'abbigliamento, sapendo che differiscono non solo le parole ma anche il loro significato.

[3] In russo: "sviashchennoinok". Dal momento che ho tradotto in romeno la frase "lik inokuiushchikh" con "ceata călugărilor", l'unica variante di traduzione per "sviashchennoinok" sarebbe "sfinţit-călugăr" (termine che, tuttavia, può anche fare riferimento ai diaconi) o "preot-călugăr". Come lo slavonico "inok", il romeno "călugăr" ha un senso più generale di "monaco" (termine che rimane invariato in greco, russo e romeno).

[4] A proposito, i russi chiamano "kamilavka" solo il copricapo colorato, indossato soprattutto dai sacerdoti sposati.

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