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  Le icone non si "scrivono"

dal sito Orthodox History, 8 giugno 2010

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Nota del redattore: Oggi siamo lieti di presentare un articolo del dr. John Yiannias, professore emerito di storia dell'arte presso l'Università della Virginia. Il dr. Yiannias ha conseguito un dottorato in arte paleocristiana e bizantina presso l'Università di Pittsburgh, ed è uno tra i principali esperti di iconografia ortodossa. Alla conferenza della Società Teologica Ortodossa d'America nel 2008, il dr. Yiannias ha tenuto una conferenza sull’iconografia, e alla fine del suo discorso, ha offerto le seguenti considerazioni. Ci ha gentilmente concesso il permesso di pubblicarle su OrthodoxHistory.org. Mentre la questione in sé può apparire solo marginalmente rilevante per la storia ortodossa americana, in realtà è piuttosto rilevante, in quanto "scrittura di icone" è un termine peculiare dell’Ortodossia american (o, almeno, di lingua inglese), e potrebbe molto probabilmente aver avuto origine qui in Nord America.

[Avviso dell'autore: Non posso affermare con certezza che l'argomento trattato qui di seguito sia originale. Qualche anno fa ho visto un riferimento a un articolo che sembrava sostenere questa stessa tesi, ma ho perso il riferimento e non ho mai realmente visto l'articolo. Apprezzerei di essere messo a conoscenza dei suoi contenuti e del suo luogo di pubblicazione da chiunque possa averlo letto.]

Abbiamo tutti sentito, e molti di noi hanno usato, la frase oggi popolare "scrittura delle icone". Chi ha inventato questa espressione deve aver notato che nella parola greca eikonographia e nella sua traduzione slavonica ikonopisanie i suffissi (graphí e pisánie) molto spesso significano "scrittura". Il nostro inventore deve avere allora pensato che fosse una buona idea parlare di "scrittura delle icone", probabilmente immaginando che la mera stranezza della frase avrebbe attirato più attenzione rispetto al più prosaico "pittura delle icone" e avrebbe anche trasmesso un maggiore senso della sacralità dell’atto del produrre un'icona. Da allora, questa traduzione torturata si è attaccata alle labbra di quasi tutti i cristiani ortodossi di lingua inglese che parlano di icone.

Tuttavia, i suffissi graphí e pisánie significano sia rappresentazione, sia scrittura. Il primo, qui rilevante rispetto al termine slavo, che si è formato sulla base di quello greco - è legato al verbo gráphein / grápho e intende qualsiasi delineazione di rappresentazione - come quando si scrivono le lettere di un alfabeto, ma anche quando si disegna, diciamo, un ritratto. La traduzione precisa dipende dalle circostanze. Per esempio, "geografia " non significa "scrittura della terra", ma descrizione della terra, sia essa verbale o pittorica. "Scenografia ", dalla parola skiní, che significa rifugio, implicitamente una tenda, e più precisamente una tela, vuol dire pittura o altra illustrazione di uno sfondo, su tela o materiale simile, per una produzione teatrale (da cui le nostre parole "scena" e " scenico"); non significa "scrittura di scene". Sia che la delineazione di cui si parla sia verbale o pittorica, graphí implica una circoscrizione, come quando la Chiesa afferma che Dio Padre è aperigraptos. Ciò non significa, ovviamente, che Dio Padre non è "scrivibile". Significa che non è circoscrivibile, limitato, raffigurabile, comprensibile, suscettibile a un contenimento entro i limiti che dobbiamo imporre su qualcosa prima di poter comprenderlo o parlarne.

Si dovrebbe pertanto eliminare l'abitudine di parlare di "scrittura" delle icone. Non solo l'espressione è una violenza alla lingua inglese e suona semplicemente stupida, ma può introdurre nozioni prive di fondamento nei testi greci - come per esempio, che l' icona è essenzialmente una rappresentazione di parole, al contrario di una rappresentazione delle cose che le parole rappresentano.

Il fatto teologicamente importante che le icone, che sono pittoriche, e la Scrittura, che è verbale, sono quasi equivalenti, può essere espresso in altri modi senza torturare la lingua inglese. Vale la pena notare che negli Atti del Settimo Concilio Ecumenico, la parola greca usata per un pittore di icone è semplicemente zográphos (in slavonico, zhivopísets), che significa semplicemente un pittore dal vivo, o di forme prese dalla vita: che i soggetti raffigurati fossero religiosi era più o meno implicito. Sembra che quando gli artisti secolari finalmente acquisirono uno status sociale più elevato rispetto al precedente, e zográphos si poteva applicare a loro così come ai produttori di rappresentazioni sacre, il termine sia stato sostituito in greco dai termini più specifici agiográphos o eikonográphos (in lingua slava, ikonopísets).

Un'icona si dipinge, in modo puro e semplice, o si produce con qualche altra tecnica, se è fatta di smalto o d’avorio o di qualsiasi altra cosa. Ma non si scrive, e mai nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, non importa quale sia il linguaggio utilizzato, la Chiesa ha detto o ha sottinteso che un'icona è scritta. Speriamo che non sia troppo tardi per cancellare quest'espressione.

[Questo articolo è stato scritto dal dr. John Yiannias. Originariamente fornito come un’aggiunta a un discorso tenuto all’incontro della Società Teologica Ortodossa in America a Chicago, IL, il 13 giugno 2008].

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