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  L'eucaristia fuori dalla Liturgia nella Chiesa antica

del lettore Ioann Malov

The Catalogue of Good Deeds, 16 febbraio 2022

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Nella pratica moderna della Chiesa, la comunione viene solitamente data solo in chiesa e solo dal sacerdote. In caso di grave necessità, per esempio durante una malattia, un sacerdote può dare la santa comunione a un malato al di fuori della Liturgia. Tuttavia, la pratica di ricevere la comunione a casa esisteva nella Chiesa primitiva, di cui ci sono molte prove.

Troviamo le prime menzioni della comunione domestica nella prima Apologia di Giustino martire (II secolo). San Giustino, descrivendo l'ordine della celebrazione dell'eucaristia, dice quanto segue: “Allora ci alziamo tutti insieme e preghiamo, e […] quando la nostra preghiera è terminata, vengono portati il pane, il vino e l'acqua, e il celebrante […] offre le preghiere e ringraziamenti […] e il popolo acconsente, dicendo Amen; e vi è una distribuzione a ciascuno, e una partecipazione di ciò per cui si è reso grazie, e una parte viene inviata agli assenti per mezzo dei diaconi”.

L'atto di portare i santi doni nelle case è descritto qui come una pratica comune, ma rimangono alcune riserve. Con ogni probabilità, i diaconi portavano i doni solo a coloro che erano assenti per malattia o altri validi motivi, il che è più in linea con la pratica moderna e difficilmente oggetto di molte speculazioni sulla regolare comunione domestica. Tuttavia, quest'ultimo può essere vero. Non è noto se i diaconi dessero la comunione ai parrocchiani subito dopo aver portato i doni nelle loro case, o se li lasciassero perché fossero conservati e consumati successivamente. Le prove che forniamo di seguito suggeriscono quest'ultima ipotesi.

Tertulliano (II secolo) parla della comunione in casa non solo come pratica ordinaria ma anche quotidiana. In una lettera alla moglie (Ad uxorem), la supplicava, in caso di sua morte, di non contrarre seconde nozze, soprattutto con un pagano. Tra le altre argomentazioni, presenta la seguente: “Tuo marito non saprà che cosa mangi segretamente prima di (prendere) del cibo? E se sa che è pane, allora cosa penserà di te nella sua arroganza?” È interessante notare che qui viene menzionato il corpo di Cristo, ma non il sangue. C'è però una spiegazione anche per questo.

Clemente Alessandrino, oltre a ricordare che alcuni vescovi permettevano ai fedeli di portare a casa una parte del corpo di Cristo, scrive anche che i credenti mettevano il corpo nel vino in casa, santificandolo e trasformando il vino in sangue (Stromata, II secolo). Una visione simile dell'eucaristia divenne successivamente caratteristica della Chiesa occidentale, e in seguito della Chiesa cattolica romana, dove la comunione al solo corpo di Cristo divenne possibile dopo il XII secolo.

Con la fine delle persecuzioni contro i cristiani, la storia della comunione domestica divenne più difficile da tracciare. È opinione diffusa che questa pratica fosse rilevante solo durante il suddetto periodo di difficoltà, ma non è così.

Secondo san Basilio il Grande (IV secolo), la comunione fuori dalla Liturgia si conservava solo tra i monaci del deserto, ad Alessandria e in Egitto. Tuttavia Nikiphoros Kallistos Xanthopoulos scrive nella sua Storia Ecclesiastica che san Giovanni Crisostomo (IV secolo), allora patriarca di Costantinopoli, proibì la pratica della comunione domestica quando incontrò personalmente atteggiamenti inappropriati nei confronti dei santi doni. Descrive un incidente con una donna nobile che aveva preso una parte del corpo di Cristo nelle sue mani durante la Liturgia, l'aveva portata a casa e poi l'aveva usata per una sorta di pozione di stregoneria. Quando san Giovanni lo venne a sapere, ordinò di dare la comunione su un cucchiaio e proibì ai laici di prendere in mano i santi doni.

Ciò suggerisce che la pratica della comunione domestica fosse più diffusa di quanto indicato da san Basilio il Grande. Inoltre, dalla vita di san Basilio apprendiamo che dopo aver celebrato la prima eucaristia con le preghiere da lui composte, prese la comunione con una parte del corpo, ne pose una parte dentro la colomba eucaristica, e portò con sé la terza per ricevere la comunione prima della sua morte. Chiaramente, il fatto che san Basilio abbia preso la comunione privatamente non può essere visto come un argomento inequivocabile a favore della diffusione della comunione domestica a Cesarea.

Eppure, nonostante il comando di san Giovanni Crisostomo, la comunione domestica non è scomparsa per sempre dalla vita della Chiesa. Il Canone 101 del Cconcilio Quinisesto (691-692) proibisce di dare e ricevere il purissimo corpo nei reliquiari. Interpretare questo come un divieto di Comunione in casa può di fatto essere sbagliato.

Probabilmente si riferiva alla ben nota antica tradizione di deporre con riverenza oggetti sacri, come la prosfora o i santi doni, all'interno di piccole arche decorate, chiamate enkolpia. Theodoros Balsamon, interpretando questo canone, dice che durante quel periodo i ricchi indossavano enkolpia per vanità e li sfoggiavano davanti ai poveri che prendevano la comunione nelle loro mani. Forse ai laici era stato nuovamente affidato il corpo di Cristo?

Ciò è confermato da un episodio descritto nella vita della venerabile Teoctista di Paros (IX secolo). Vivendo una vita ascetica nel deserto, costei un giorno incontrò un cacciatore. La santa gli chiese di portarle i santi doni e, un anno dopo, questi le consegnò il corpo e il sangue di Cristo in un vaso. Questo episodio mostra che la comunione domestica era ancora possibile alla fine del primo millennio.

È impossibile dire con certezza perché e quando la Chiesa abbia abbandonato la pratica della comunione domestica. Probabilmente, la possibilità di continuare questa pratica era determinata dal “livello di coscienza” della vita eucaristica.

Nei primi secoli l'eucaristia era veramente il centro della vita cristiana, da qui le numerose testimonianze della comunione familiare. Nei tempi in cui la pietà e la purezza della fede declinarono, questa pratica cessò, rimanendo solo tra i chierici, tra i monaci, o con qualche riserva (come si può vedere dal divieto di san Giovanni Crisostomo e dal canone del Concilio Quinisesto).

Il ritorno di questa pratica alla vita della Chiesa non è impossibile. Ciò è evidenziato dall'esperienza della Chiesa russa nel XX secolo, quando in tempi di crudele persecuzione, ai laici era permesso di conservare e condividere i doni a casa. È improbabile che una tale pratica ritorni permanentemente nella vita della Chiesa, poiché oggi è relativamente facile venire in chiesa anche dal villaggio più remoto. Tuttavia, in casi straordinari, come il recente lockdown del Covid-19, ciò è rilevante e possibile.

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