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  Intervista sul rinnovamento liturgico

Iulia Patrakova intervista l'igumeno Petru (Pruteanu)

Teologie.net, 4 agosto 2016

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La Chiesa ortodossa russa ha bisogno di un rinnovamento liturgico? Quanto è attuale questo tema, discusso al Grande Sinodo russo del 1917-18? Qual è la differenza tra il rinnovamento naturale della vita della Chiesa e il "rinnovazionismo" (obnovlenchestvo)?

Prima di rispondere a queste domande, voglio far conoscere una notizia liturgica importante. A partire dall'avvento di questo anno (27 novembre 2016), i preti cattolici romani sono chiamati a tornare alla loro precedente posizione nel servizio della liturgia, ovvero non di fronte al popolo, come è stato dal Concilio Vaticano II finora, ma "ad Orientem", cioè verso l'oriente, così come hanno pregato chierici e laici di ogni tempo e luogo. Propongo che questa notizia sia considerata una sorta di "motto" di quest'intervista. E ora passo alle sue domande.

Il Grande Sinodo del 1917-1918, anche se era un evento locale e non poté essere terminato a causa di condizioni storiche, tuttavia, è stato ben più serio rispetto al recente Sinodo di Creta, che non ha deciso e non ha detto nulla. Le proposte discusse 100 anni fa a Mosca, se fossero riuscite a essere ufficialmente approvate e implementate nella Chiesa russa, avrebbero costotuito un'autentica spinta di "rinnovamento liturgico" per l'intera Ortodossia. Le proposte di quel Sinodo non avevano alcun collegamento con il "rinnovazionismo" dei gruppi pseudo-ortodossi degli anni '20, che hanno distorto l'idea di un autentico rinnovamento, promuovendo idee straniere nei riti canonici ortodossi. E se alcuni (intenzionalmente o per ignoranza) confondono o identificano ancora le innovazioni proposte dal Sinodo del 1917-1918 con i fenomeni pseudo-ortodossi sovietici degli anni '20, questo non dovrebbe impedire una sana discussione sul "rinnovamento liturgico", deve essere intesa come un fenomeno naturale e necessario nella vita della Chiesa, ma, a mio parere, questo può avvenire solo a determinate condizioni. Prima di parlare di queste condizioni, vorrei ancora tener conto di una realtà che non può essere ignorata o modificata troppo facilmente...

Anche se le Chiese ortodosse locali sono autocefale e non si possono riunire nemmeno per una "foto di famiglia", non credo che si possa parlare di un "rinnovamento liturgico" che coinvolga solo la Chiesa ortodossa russa. In teoria, ogni vescovo può comporre una propria liturgia e un proprio tipico per la sua diocesi, ma le realtà concrete in cui vivie la Chiesa sono altre, e solo gli ingenui sognano cambiamenti da un giorno all'altro. Per esempio, degli oltre 350 vescovi della Chiesa ortodossa russa non ne conosco uno che nella sua eparchia abbia ordinato la celebrazione obbligatoria del Mattutino al mattino o della Liturgia dei Presantificati alla sera, per non parlare della rimozione del tropario dell'Ora Terza dall'epiclesi o di altre correzioni. In queste circostanze, tutti i discorsi sul canto da parte di tutta la congregazione, sul "bacio della pace" tra i fedeli, sulle porte sante aperte e altre idee come questa rimangono senza prospettive. Ci sono molte comunità isolate, tra cui la comunità in cui servo io, in cui queste "innovazioni" vengono accettate senza alcuna riserva, ma quando viene il vescovo, il lettore non leggerà l'Apostolo di fronte ai fedeli e le preghiere della Liturgia ritorneranno a essere segrete. Alcuni laici possono chiedersi se il prete, che serve in modo diverso dal suo vescovo, non sa celebrare "correttamente" o magari se fa parte di una setta. In realtà, i sacerdoti (anche se hanno diritti limitati) sono più coraggiosi dei loro vescovi (che hanno diritti quasi illimitati), e il paradosso di questa situazione è difficile da capire, se pensiamo che ogni vescovo è stato una volta un semplice prete...

E ora esporrò le condizioni in cui, a mio parere, può aver luogo un "rinnovamento liturgico".

1. In primo luogo abbiamo bisogno di definire le cause e gli obiettivi di ogni cambiamento. Senza cause e obiettivi concreti, giustificati da un punto di vista pastorale e missionario, il "rinnovamento liturgico" sarà percepito come una semplice preferenza o simpatia di ordine storico-liturgico. A uno piace di più l'era apostolica, anche se non abbiamo informazioni molto specifiche sul culto di quel periodo, e le ricostruzioni possono essere solo soggettive; a un altro piace il periodo pre-iconoclasta, anche se sicuramente non sarà d'accordo con tutto quel che si faceva allora; e a un altro piace il periodo post-iconoclasta, che è stato il più fastoso, nel corso della quale è stata cristianizzata la Russia. Ma basti dire che durante tale periodo non si estraevano particole alla Poscomidia e non si leggevano inni acatisti ai santi, e quelli che hanno amato così tanto questo periodo passeranno già a un altro. Ci sono alcuni che amano il periodo posteriore all'invenzione della stampa, quando in tutto il mondo si sono generalizzate formulazioni uniformi di culto, anche se tali formulazioni non sono state stampate a partire dai migliori manoscritti e hanno inibito la naturale evoluzione del culto ortodosso. Quindi dobbiamo deciderci: fin dove vogliamo tornare indietro quali sarebbero i motivi particolari per tornarvi? Quali sono i pro e i contro? Cosa ci manca ora e cosa potremmo perdere se ci rivolgiamo altrove? Quali sono i principi di selezione? Ciò che vogliamo riportare nel nostro lavoro era anticamente un elemento principale o secondario? Lo Spirito Santo ha operato in questo processo di evoluzione delle funzioni (con tutte le aggiunte e le riduzioni che sono state fatte nel corso del tempo), o si tratta solo del risultato di incidenti storici e di preferenze umane? Desidererei molto una discussione di questi temi, a cui occorre avvicinarsi con grande rigore scientifico.

2. Un'altra condizione importante legata al "rinnovamento liturgico" si riferisce all'impatto missionario e spirituale del culto sull'uomo. Da questo punto di vista si vede che un certo riavvicinamento tra clero e laici provoca esaltazione psicologica e anche un certo desiderio di conoscenza, ma raramente conduce a un reale progresso spirituale, che avvicini l'uomo a Cristo e al Regno dei Cieli. Al contrario, vediamo soprattutto nei monasteri del Monte Santo, dove le funzioni hanno strati molto spessi di polvere bizantina, che i monaci percepiscono un'elevazione spirituale dovuta allo spirito esicasta impresso nella musica e nella pittura bizantina, nell'architettura della chiesa o nella quantità di luce che entra in chiesa. In una magnifica chiesa con musica corale e pittura realistica, che non può trasmettere lo spirito di Giovanni Damasceno o di Teodoro Studita, il sacerdote deve cercare nuove vie di interiorizzazione dell'animo umano, soprattutto perché le funzioni si fanno di solito in pieno giorno, sotto la luce proveniente da alte finestre, e dove è quasi impossibile il raccoglimento interiore personale. Queste enormi carenze non possono essere recuperate rimuovendo l'iconostasi oppure organizzando agapi dopo la funzione, perché non è questo il problema, ma piuttosto il fatto che abbiamo perso lo spirito; è come se vi dessi un frutto esotico di cui non avete mai sentito parlare, e non sapendo come mangiarlo, lo gettaste nella spazzatura senza neppure assaggiarlo, dicendo che le mele nei nostri giardini sono meglio... Con questo non voglio lodare il fasto bizantino a detrimento di quello russo, ma voglio dire che il rinnovamento liturgico deve concentrarsi soprattutto su elementi che ti aiutano o ti impediscono di sperimentare Dio nel culto, e non solo sugli aspetti che ci sembrano più interessanti o curiosi nelle funzioni che si tenevano da qualche parte e qualche tempo fa. È bene chiederci perché tali aspetti "belli" e "interessanti" a volte sono scomparsi in modo tanto rapido e facile, e perché prima di "Schmemann & Co." nessuno ha proposto di ripristinarli nel culto della Chiesa? È una domanda a cui neppure io ho mai risposto, anche se vorrei farlo da tempo...

3. La terza condizione, che considero la più importante, riguarda l'autorità spirituale di chi propone o realizza un "rinnovamento liturgico". Perché sia chiaro a cosa mi riferisco, le darò due esempi, entrambi del XX secolo, che possono costituire modelli impeccabili di rinnovamento liturgico, anche se le riforme a cui mi riferisco possono essere considerate piuttosto radicali per il tempo e il luogo in cui si sono verificate.

Il primo è l'esempio dell'anziano Iosif l'Esicasta. Nonostante i tentativi di Nicodemo e di altri intellettuali dei "kollyvades" dei secoli XVII-XVIII, i monaci dell'Athos continuavano a comunicarsi molto di rado. Per una comunione più frequente si imponevano digiuni lunghi e aspri, che erano considerati obbligatori. Arrivò l'anziano Iosif con la sua comunità di discepoli, e iniziarono a comunicarsi alcune volte alla settimana, ma nessuno li incolpava di nulla, perché digiunavano quasi continuamente. Dopo un po', quando i monaci del Monte Santo si sono abituati all'idea di comunicarsi più frequentemente, e l'hanno anche messa in pratica in tutti i monasteri, le regole del digiuno si sono allentate e sono tornate alla normalità. Ma questo rinnovamento lo poteva fare solo un anziano (che non era nemmeno un prete), che aveva uno spirito ascetico molto forte e un'autorità spirituale impeccabile. Se l'anziano Iosif fosse giunto solo con argomenti teorici e avesse cercato di compiacere gli altri, tutto questo rinnovamento eucaristico non sarebbe riuscito.

Un altro esempio, forse ancor più eloquente, è quello dell'anziano Sofronio dell'Essex. Costui ha fatto forse la più radicale riforma liturgica del XX secolo. Nel suo monastero in Inghilterra, dove abitano monaci e monache di varie nazionalità, ha sostituito l'officio del Vespro, del Mattutino e delle Ore con la "preghiera di Gesù" che si recita per circa 2ore al mattino e altre 2 ore alla sera. Anche se in un primo momento tutta questa "rivoluzione" era sembrata strana e anche scandalosa, in breve tempo le critiche si sono temperate, e dopo un po' anche altri hanno importato quest'idea nelle loro comunità. L'autorità spirituale di padre Sofronio, che aveva il sigillo della grazia dello Spirito Santo, ha fatto sì che queste riforme liturgiche fossero recepite senza problemi da altri. Ed è possibile che alcuni che non sono mai stati nell'Essex, o non hanno mai provato a fare un tale Vespro o Mattutino atipico, continuino a criticare padre Sofronio. Ma se ne faranno esperienza, lo spirito dell'anziano li convincerà che aveva ragione e che non ha mai fatto nulla senza prima avere fiducia da parte di Dio.

In conclusione, voglio dire che io non sono contro il "rinnovamento liturgico", al contrario, lo ritengo normale e necessario, dato che l'uomo contemporaneo non può comprendere troppo facilmente le forme e i processi della poesia bizantina o greca (e pure in traduzione). Nel frattempo, oltre alle circostanze concrete in cui vive la Chiesa e che non possono essere facilmente modificate, si deve anche tener conto degli obiettivi che ci proponiamo, del contesto spirituale in cui si fa un cambiamento e dell'autorità spirituale di chi lo fa. Senza questi presupposti, a mio parere, parlare di "rinnovamento liturgico" rimarrà una mera speculazione psico-religiosa. E se facciamo cambiamenti solo perché eravamo stanchi delle vecchie forme di culto, potrebbe darsi che tra 50 anni giungeremo alla situazione dei cattolici romani, che di nuovo tornano alle forme precedenti di culto precedenti...

Fino a che punto la prassi liturgica attuale corrisponde alla tradizione ortodossa? Lei ammette la creatività nel culto? E questa, come può essere espressa?

La pratica liturgica attuale corrisponde pienamente alla lettera della tradizione (dinamica compresa), ma corrisponde in scarsa misura al suo spirito, perché il rispetto per la tradizione dal punto di vista spirituale non richiede esperti di tipico, ma persone spirituali. Per esempio, Il Tipico dice di leggere a ogni Mattutino due o tre catismi del Salterio. Dividendo il Salterio su tutta la settimana, al Mattutino della domenica abbiamo sempre i catismi 2 e 3 (e a volte il 17, che i russi sostituiscono in modo permanente con il Polieleo, anch'esso ridotto ai primi e ultimi versi dei salmi 134 e 135). Poiché nella maggior parte delle parrocchie vi è la necessità di accorciare i catismi, molti leggono solo alcuni versi da ogni stasi ("Gloria..."), imitando la struttura formale del catisma, ma senza leggerlo completamente. Ma perché non mettiamo un solo catisma da leggere completamente e assegniamo a questo tutti i 20 catismi, uno per volta? Non è chiaro che i catismi 2 e 3 del Mattutino della domenica si leggono solo quando si serve tutti i giorni e si rispetta il tipico monastico? Perché le parrocchie dovrebbero osservare formalmente questa regola del tipico, senza arrivare a leggere magari 2 o 3 volte l'anno tutto il Salterio? Ecco quindi un esempio di rispetto della lettera della tradizione, a scapito dello spirito. E di esempi come questo ne abbiamo centinaia e migliaia ...

Penso che la creatività nel culto sia necessaria e naturale, ma anche un po' pericolosa. Credo che anche qui siano valide le stesse tre condizioni che abbiamo stabilite nella precedente domanda sul "rinnovamento liturgico" a cui vorrei aggiungere una quarta condizione, una buona preparazione in campo liturgico, biblico, dogmatico e patristico perché le nostre funzioni esprimono la teologia generale della Chiesa e non creazioni sono strettamente liturgiche. Per esempio, ritengo importante che siano modificate le preghiere attuali dell'Eucologio che vengono lette subito dopo il parto. Nessuna di loro esprime riconoscenza per la nascita di un bambino, e invece tutte esprimono ripetutamente la paura del diavolo e varie superstizioni, sottolineando in particolare l'idea vetero-testamentaria dell'impurità. Dal punto di vista missionario e pastorale, queste preghiere sono molto stupide e sbagliate, e non aiutano la famiglia ad avvicinarsi a Dio e alla Chiesa. Di conseguenza, la maggior parte dei sacerdoti non le legge neppure, ma se avessimo altre preghiere, queste potrebbero essere utilizzate come una buona opportunità missionaria.

Una qualche forma di creatività la notiamo quando alcuni sacerdoti leggono a voce alta le preghiere dei Vespri, del Mattutino e della Liturgia. Non è sempre chiaro quando e come tali preghiere dovrebbero essere lette. Ho visto in una parrocchia come il prete e il diacono dicevano ad alta voce anche i dialoghi tra di loro, che sono apparsi nella funzione molto tempo dopo che era stata generalizzata la lettura in segreto di tutte le preghiere. Anche il Salmo 50 durante l'incensazione era detto ad alta voce, anche se non ha nulla a che fare con la liturgia e ne rovina la continuità molto più di quando le preghiere sono lette in segreto. Quindi è molto importante distinguere, anche rispetto alla prospettiva storica, quali sono gli elementi importanti della funzione e quali sono secondari, per avere dei principi sani di creatività. Non è necessario che tutti i preti e i vescovi celebrino allo stesso modo, ma i limiti di queste differenze non possono essere stabiliti o estesi arbitrariamente.

Esiste una componente missionaria nel nostro culto? Come rendere le funzioni "attraenti" per l'uomo contemporaneo? Possono esistere forme diverse di funzioni, per bambini, esegetiche, di tipico (archeologiche), ecc?

Tutte le funzioni religiose hanno una componente pastorale e missionaria, solo che, il più delle volte, tengono come riferimento l'ambiente monastico e non quello parrocchiale. Da questo punto di vista, la pratica parrocchiale dovrebbe essere adattata alle proprie esigenze missionarie e pastorali, e non semplicemente accorciandola, ma adattandone gli elementi catechetici. Per esempio, il tipico monastico prevede che durante la Quaresima, al Mattutino, si legga la Scala di san Giovanni del Sinai, e alla fine del Mattutino, le catechesi di Teodoro lo Studita. Ritroviamo disposizioni analoghe in altri periodi dell'anno, soprattutto nelle grandi feste, poiché gli autori del Tipico erano ben consapevoli che le poesie liturgiche non possono nutrire spiritualmente senza la catechesi. Alcuni hanno ritenuto che quelle catechesi liturgiche siano state inserite perché i monaci non avevano quei libri nelle loro celle o perché non sapevano leggere. Ma il ruolo di tali letture era spirituale e pastorale e tornare a queste letture liturgiche, anche a costo di ridurre i canoni o le ore, merita almeno di essere discusso. Naturalmente, nelle parrocchie, le letture devono essere diverse da quelle dei monasteri e almeno una di queste letture dovrebbe essere destinata ai bambini...

Purtroppo, al momento non abbiamo un simile lezionario, e la sua composizione non è affatto facile, visti i principi pedagogici e spirituali secondo i quali dovrebbe essere organizzato. Tuttavia, credo che proprio le brevi catechesi, fatte in certi momenti delle funzioni e per diverse categorie di persone, sarebbero la migliore variante di "opera missionaria". Le restanti varianti di "funzioni missionarie" le considero inopportune e anche pericolose, e finora i risultati degli esperimenti confermano in gran parte le mie riserve.

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