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  La liturgia eucaristica e il suo legame con le agapi o mense fraterne

dello ieromonaco Petru (Pruteanu)

Teologie.net, 11 dicembre 2020

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Padre Petru, nella nostra parrocchia c'è l'usanza di tenere dopo la Liturgia domenicale un'agape fraterna, a cui partecipa la maggior parte dei presenti. Ora, a causa della pandemia, quest'agape è stata sospesa a tempo indeterminato. Secondo lei è importante trovare un sostituto dell'agape, seguire l'antica tradizione apostolica o non è opportuno legarsi a questo elemento, considerato dai più obsoleto e poco importante?

1. Per la verità, nell'epoca apostolica la Liturgia era legata a una "mensa fraterna d'amore", da cui il nome "agape". Ne ho parlato brevemente nel mio libro "Liturghia Ortodoxă: istorie şi actualitate", 2013, pp. 25-27. In effetti, le agapi non sono affatto un'invenzione cristiana, ma sono una conseguenza dei pasti fraterni dei giudei (birkat ha-mazon) che, soprattutto nelle comunità di Qumran, avevano una speciale connotazione mistica. Allo stesso tempo, era ben noto e diffuso il cosiddetto "simposio" greco-romano (συμπόσιον, da συμπίνειν = bere insieme), che era una specie di "banchetto di club" dove si riunivano persone con determinati interessi comuni e dove, dopo aver mangiato, si discuteva e si beveva secondo un certo protocollo. Il colmo è che questo simposio greco-romano influenzò anche i pasti ebraici - inclusa l'Ultima Cena - dove erano serviti quattro bicchieri di vino (mescolati con acqua), ma in un certo ordine protocollare e con certi auguri che tra i pagani avevano la forma di preghiere agli dei, e che gli ebrei adattarono alla teologia monoteistica ebraica. Molto spesso, l'ultimo calice aveva il ruolo di libagione, cosa che avvenne anche durante l'Ultima Cena, dove solo il calice "dopo la cena" (I Cor 11:25) fu santificato e offerto come sangue di Cristo.

2. Nelle prime comunità cristiane, fu mantenuta l'essenza di questi pasti fraterni, ma molte delle sue forme furono adattate all'insegnamento e alla pratica cristiana.

a) Prima di tutto, solo i battezzati potevano parteciparvi, indipendentemente dalla classe sociale o culturale, e l'obiettivo ("interesse del club") era per loro "celebrare la morte e la risurrezione del Signore fino al suo ritorno" (cfr. I Cor 11:26);

b) Secondo la tradizione del tempo (con radici precristiane) l'agape, che di solito era una cena (perché solo allora le persone potevano radunarsi in numero maggiore) precedeva l'eucaristia. In altre parole, le persone stavano già festeggiando e preferivano piuttosto non mangiare nulla dopo la comunione, per dimostrare che dopo aver ricevuto Cristo non avevano bisogno di nient'altro;

c) Cibo e bevande erano portati da ciascuno secondo le proprie possibilità, ma alla fine tutti dovevano mangiare allo stesso modo. Il principio non era sempre rispettato, e alcuni che portavano il cibo non volevano condividerlo con chi non portava nulla, e altri che avevano più fame mangiavano insaziabilmente e non si curavano che qualcosa arrivasse agli altri o no. Questa situazione iniziò a creare problemi anche nelle comunità apostoliche (si veda I Cor 11:17-22) e, in generale, notiamo che per la maggior parte le menzioni dell'agape, a cominciare da quelle bibliche e finendo con quelle patristiche e sinodali del IV secolo, parlano dell'agape solo in termini negativi!

3. Già a metà del II secolo, come si vede dalle testimonianze di san Giustino Martire e Filosofo (Apologia I, capitoli 65 e 67), ma probabilmente anche prima, quando scoppiarono le prime persecuzioni di massa (sotto Domiziano, negli anni 81-96), la sinassi eucaristica ha cominciato a essere celebrata al mattino, prima dell'agape, e il pasto fraterno era considerato una fase secondaria, che spesso non poteva essere organizzata, e si limitava alla distribuzione di aiuti da parte dei diaconi (anche nelle case di coloro che non potevano partecipare). Il contesto delle persecuzioni, ma anche la disciplina che aveva portato questa rottura dell'agape eucaristica, fecero sì che la Chiesa adottasse questa situazione come norma. Da un lato era proibito tenere un'agape nella chiesa (Canone 28 di Laodicea, anno 364), il che mostra una chiara rottura dell'agape dall'eucaristia, e d'altra parte fu istituita la regola del digiuno pre-eucaristico (sinodi di Ippona, 393, e di Cartagine, 419).

4. Le agapi in sé non furono mai vietate e per i monaci eremiti erano gli unici pasti comuni organizzati in occasione delle liturgie domenicali e festive. Ancora oggi il tipico collega la liturgia eucaristica alla mensa, e nei monasteri chiesa e refettorio sono collegati tra loro (e spesso si trovano faccia a faccia). Ecco perché,

a) quando la regola del digiuno impone un unico pasto - alla sera, si celebra una Liturgia serale, immediatamente prima della cena, perché la stessa comunione mattutina significherebbe una violazione del digiuno;

b) quando la regola del digiuno vieta qualsiasi pasto, quel giorno diventa automaticamente un "giorno aliturgico";

c) se la Liturgia si celebra al mattino (cioè non è unita al Vespro), significa che il tipico consente due pasti al giorno: uno dopo la Liturgia e uno dopo il Vespro, anche se in alcune comunità monastiche uno di questi pasti può essere considerato opzionale.

5. In conclusione, organizzare un pasto dopo la Liturgia non è solo lecito e buono, ma anche naturale; solo che questa naturalezza di un tempo non è possibile ovunque e in qualsiasi momento, ed è rimasta visibile solo nei monasteri. E se simili pasti possono essere organizzati nelle parrocchie, devono seguire lo stesso spirito dei monasteri, preparati con buon ordine, con temperanza, e - necessariamente - accompagnati da una "parola utile" (letta o parlata).

6. Se in un periodo di pandemia (e non solo) l'organizzazione di un'agape è impossibile, questo non ci allontana dallo spirito apostolico della Liturgia, che comunque non enfatizzava questi pasti e non dava loro un ruolo sacramentale; come prova, i pasti non erano serviti dai vescovi o dai preti, ma dai diaconi (e dalle diaconesse). Quindi, nella società contemporanea, dove non ci sono le necessità e le ritualità sociali del mondo antico e nemmeno quelle dei monasteri di oggi, non credo che sia necessario inventare qualcosa per sostituire un pasto dopo la Liturgia. Alla fine, il pasto deve essere visto solo come un'opportunità di comunicazione, ma tenendo conto che è più importante la comunione eucaristica. E se ci sono altri modi (anche virtuali) per comunicare con i credenti per ascoltarli e condividere con loro una parola spirituale, questo potrebbe anche portare a un migliore ordine nella parrocchia ed escluderà ogni possibilità che qualcuno venga in chiesa più per un cibo transitorio dopo la funzione che per il "pane della vita" dato nell'eucaristia.

7. Se ci sono famiglie bisognose, il sacerdote può visitarle a casa: può pregare con loro, può portare loro la comunione (se non possono venire in chiesa), può sedersi con loro a tavola e discutere con loro di tutto quello è necessario. Alla fine, questa sarà una manifestazione più grande dell'amore (in greco agape) del sacerdote e di quelli che lo aiutano in questo ministero filantropico e pastorale.

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