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  (In)definizioni liturgiche: l'incensazione all'Inno cherubico

dello ieromonaco Petru (Pruteanu)

Teologie.net, 23 ottobre 2019

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Inizio una sezione con domande e risposte liturgiche, il cui titolo è stato ispirato dal libro del prof. padre Alexandru Mihăilă, „(Ne)Lămuriri din Vechiul Testament”. Qui proverò a formulare risposte elaborate dalle domande liturgiche che mi arrivano via e-mail e la cui risposta penso sia di interesse pubblico.

Domanda: ho notato che tra i greci e i romeni l'incensazione all'Inno cherubico è eseguita dal protos (il primo celebrante), mentre tra i russi è eseguita dal diacono. Quale pratica è più antica e più giusta?

Risposta: la domanda sembra abbastanza semplice, ma in realtà il problema è piuttosto complesso. Sebbene non sia così difficile scoprire quale pratica è più antica e quale è più recente, ciò non significherà automaticamente una risposta chiara sulla "correttezza" dell'una o dell'altra, poiché la maggior parte degli argomenti di questo tipo si analizza e si considera in un modo abbastanza soggettivo, a seconda dell'usanza e della comodità di ognuno.

Vediamo che cosa prevede e che cosa implica ciascuna delle due tradizioni:

a) Tra greci, romeni, arabi e in altre tradizioni liturgiche simili, il protos legge prima la preghiera "Nessuno tra i legati...", quindi recita tre volte l'inno "Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini..." e, infine, accompagnato da 2-3 diaconi con i ceri (all'Athos - con crocifissi), incensa l'altare, la solea e il centro della chiesa. Inoltre, ci sono altre varianti:

- se si tratta di una funzione archieratica, le porte sante rimangono aperte per tutta la Liturgia, mentre nelle funzioni sacerdotali si aprono solo dopo la recita dell'inno "Noi, che misticamente raffiguriamo i cherubini...", per incensare. È vero che, ultimamente, la maggior parte dei sacerdoti greci, e non solo, lascia aperte le porte sante durante la Liturgia, il che non sarebbe un errore;

- alcuni passano la seconda e la terza recitazione dell'inno "Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini..." ai primi due sacerdoti dopo il protos, e altri riservano questo diritto solo al protos. C'è anche l'usanza che, durante le Liturgie quotidiane, quando serve un solo prete (di solito, senza diacono), questo inno si pronuncia una sola volta, soprattutto perché il canto del coro è più veloce. L'abitudine di alzare le mani quando si recita quest'inno non è generale e sempre più persone la trovano inappropriata per questo momento;

- L'abitudine di incensare l'intera chiesa (e non solo l'altare, la solea e il centro della chiesa) è un'innovazione populista, che non fa altro che spostare ancor di più l'accento su cose secondarie.

b) Tra i russi, l'incensazione è eseguita dal diacono mentre il protos legge la preghiera "Nessuno tra i legati", dopo di che segue l'espressione pronunciata dell'Inno cherubico. Se non c'è un diacono, il prete legge prima la preghiera, poi recupera l'incensazione che il diacono avrebbe dovuto fare e solo allora ritorna a recitare l'Inno cherubico. E qui s'impongono alcune precisazioni:

- se non c'è una Liturgia archieratica, in cui le porte sante debbano essere aperte in modo permanente, queste si apriranno proprio all'inizio dell'Inno cherubico, prima di "Nessuno tra i legati...";

- per non disturbare il protos e gli altri chierici durante la preghiera "Nessuno tra i legati...", se ci sono più diaconi, il più giovane recita le ectenie prima dell'Inno cherubico, e l'altro inizierà l'incensazione dell'altare, proseguendo a incensare la solea dopo che il protos sarà andato andrà al proscomidiario per estrarre le ultime particole. l'incensazione non si estende mai al centro della chiesa o della navata;

- l'Inno cherubico è pronunciato dal protos, che alza le mani (come all'epiclesi) e raramente viene passato ai sacerdoti concelebranti;

- all'incensazione dell'iconostasi, il diacono indosserà sulla spalla sinistra il velo grande ("il santo aer"), che non ha stringhe da legare alla nuca per appenderlo sulla schiena, come tra greci e romeni. (In passato, questo velo era indossato sul capo di uno dei diaconi, dopo di che i russi iniziarono a metterlo sulla spalla e i greci sulla schiena. Attualmente i russi mantengono la vecchia usanza del velo sul capo solo per il diacono che sta per essere ordinato sacerdote).

- Dopo l'incensazione dell'iconostasi, il diacono entra nell'altare per incensare il clero e solo allora ritorna alla solea per incensare il popolo, rispettando così un ordine gerarchico molto chiaro di quelli che incensa.

Vediamo cosa dicono le fonti liturgiche su tutti questi elementi.

1. Innanzitutto, osserviamo che nessun commento patristico sulla Santa Liturgia ("Da Dionigi l'Areopagita a Simeone di Tessalonica"; si veda anche il libro dallo stesso titolo – Ed. Deisis, 2012) menziona questi elementi, perché sono relativamente nuovi. È molto antica la menzione che il vescovo compie l'incensazione dell'altare dopo il piccolo ingresso, ma a proposito dell'inno cherubico non si fa alcuna menzione: solo al grande ingresso si menziona sporadicamente l'accompagnamento dell'incenso. Già dai secoli XIV-XV lo Ieratico menziona regolarmente l'incensazione dell'altare, che doveva essere fatta dal diacono, ma dal secolo XIX, prima tra i greci, poi anche tra i romeni, tale incensazione è attribuita al protos. Lo Ieratico di Dosoftei (Iaşi, 1679) menziona: "E se incensano..." – essendo questo ancora un gesto opzionale, che si faceva al tempo della preghiera "Nessuno tra i legati..." e la triplice recitazione dell'Inno cherubico, mentre lo Ieratico di Antim Ivirean (Târgovişte, 1713) attribuisce l'incensazione interamente al diacono, ma già dopo la triplice recitazione dell'Inno cherubico (quando i russi fanno la seconda parte dell'incensazione). Ho anche studiato gli Eucologi più recenti di Costantinopoli: 1759, 1775, 1803 e 1839 – tutti con la stessa disposizione, che il diacono eseguisse l'incensazione dell'altare. È solo a partire dall'Eucologio del 1850 che questa prerogativa viene assegnata al sacerdote, sebbene un altro Eucologio del 1851 l'attribuisca nuovamente al diacono. A partire dagli Eucologi greci del 1862 e 1865, il protos eseguirè in modo stabile l'incensazione all'Inno cherubico, anche quando concelebrano altri sacerdoti e diaconi. Naturalmente, una tale innovazione non ebbe modo di penetrare nel culto russo, che aveva fatto l'ultima seria concordanza con i libri greci due secoli prima.

Come osserva anche padre Trempelas nello studio: "Le tre Liturgie secondo i codici ateniesi" (Atene, 1935, p. 78), la maggior parte dei vecchi manoscritti menziona l'incensazione da parte del diacono e solo la recitazione del salmo 50 da parte del protos. Dobbiamo sottolineare, tuttavia, che il salmo non era legato all'incensazione, ma al lavaggio delle mani di tutti i sacerdoti all'interno delle porte sante (e questo era uno dei motivi per cui l'Inno cherubico doveva essere cantato più a lungo), ma in seguito questo lavaggio fu lasciato solo nelle Liturgie archieratiche, e solo per il primo dei vescovi. Quindi la semplice menzione della recitazione del Salmo 50 da parte del sacerdote non significava necessariamente che l'incensazione fosse eseguita da lui, proprio come avviene ancora oggi. Lo Ieratico di Dosoftei menziona ancora il lavaggio delle mani del sacerdote prima di andare al proscomidiario, senza un altro lavaggio prima della comunione.

2. In passato, l'indicazione di "incensare l'altare" significava qualcosa di diverso da quello che significa oggi, a causa dell'evoluzione piuttosto confusa del termine "altare" tra gli ortodossi dell'Oriente. Per quanto ne sappiamo, la prima Liturgia slavonica servita dai santi Cirillo e Metodio in Moravia (IX secolo) non fu quella bizantina, ma quella romana. Pertanto, la lingua slavonica iniziò a usare per il greco "θυσιαστήριον" il termine latino "altare", in seguito modificato in "oltar". Pertanto, "l'altare", sia in latino che in slavonico, significava solo la santa mensa, e lo spazio in cui si trova l'altare era chiamato in greco "ιερό" (o βήμα), in latino "sanctuarium", e tra gli slavi fu tradotto come "святилище". Questo è il motivo per cui le prime traduzioni in slavo e romeno usavano l'espressione "sull'altare" (vedi anche Salmo 50: 21b – "offriranno vitelli sul tuo altare"), ma non "nell'altare", perché il termine era riservato solo alla santa mensa, non allo spazio in cui si trova. (Teoricamente, il greco "θυσιαστήριον" dovrebbe essere tradotto come "offertorio", ma a causa dei successivi riti della Proscomidia, questo termine è stato assegnato dagli slavi al tavolo della Proscomidia, e la santa mensa è spesso chiamata "престол", che di fatto significa "trono"; l'uso da parte dei romeni della parola "jertfelnic" per la santa mensa è molto più corretto).

Pertanto, "incensare l'altare" significava in passato incensare la santa mensa, non lo spazio, le pareti e tutti i chierici che si trovano in quello spazio. Come possiamo vedere dalle fonti liturgiche antiche, l'incensazione della santa mensa non era un rito che aveva valore in sé, ma era un gesto di devozione che preparava una certa processione. Per esempio, prima della lettura del Vangelo, mentre si cantava "Alleluia", era previsto che "il diacono avrebbe dovuto incensare l'altare", il che significava un'incensazione per tre volte davanti alla santa mensa o, al massimo, attorno ad essa. Ma da quando "l'altare" iniziò a significare il santuario, a cui si aggiunse anche l'iconostasi che separa il santuario dal naos, la durata del canto dei versetti dell'Alleluia divenne insufficiente per un'incensazione così complessa e, quindi, i diaconi iniziarono a fare l'incensazione anche durante la lettura dell'Apostolo, impedendo il suo attento ascolto. La stessa logica valeva per l'incensazione all'Inno cherubico: mentre il vescovo e i preti si lavavano le mani, i diaconi stendevano l'iliton (*) e favevano una breve incensazione preparatoria all'ingresso e alla deposizione dei santi doni. Solo dopo essere stati messi sulla santa messa, i doni erano incensati dal protos per tre volte, ponendo fine al rituale del grande ingresso.

(*) In passato, se la santa mensa era santificata dal vescovo, non vi si poneva anche l'antimensio, ma solo prima del grande ingresso i diaconi stendevano un iliton per evitare la dispersione delle particole. Anche più tardi, quando l'iliton veniva conservato sulla santa mensa, sotto il santo Vangelo, le ordinanze liturgiche prevedevano la sua apertura, ma quella dell'antimensio, che, se c'era, era tenuto aperto al di sotto del velo della santa mensa).

3. Al momento abbiamo due riti abbastanza diversi per quanto riguarda l'incensazione all'Inno cherubico. In modo evidente, la tradizione russa è più antica e consente un servizio più ritmato della Liturgia, anche se a volte, a causa dell'estrazione delle particole in questo momento, il canto dell'Inno cherubico tende piuttosto ad allungarsi. Solo alla Liturgia dei doni presantificati i russi mantengono l'antico rituale, limitando l'incensazione solo allo spazio dell'altare, senza uscire sulla solea.

Il rito che si trova tra i greci e i romeni sembra più chiaro, perché, indipendentemente dal fatto che ci sia un diacono, l'incensazione viene eseguita dal protos e, ogni volta, nello stesso momento. Tuttavia, è importante sapere che questo non rappresenta il rituale antico della Chiesa e non sarebbe giusto generalizzarlo solo perché "così fanno i greci".

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