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  In memoria dei 50 milioni di vittime dell’olocausto cristiano ortodosso

Testo compilato a cura dell’Archimandrita Nektarios (Serfes), Boise, Idaho, USA

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STORIA DELL’ASIA MINORE: 1894-1923

Tra il 1894 e il 1923 l’Impero Ottomano condusse una politica di genocidio della popolazione cristiana che viveva nei propri estesi territori. Il Sultano Abdul Hamid fu il primo a proporre una politica governativa ufficiale di genocidio contro gli armeni dell’Impero Ottomano nel 1894.

Massacri sistematici ebbero luogo nel 1894-1896 quando Abdul fece selvaggiamente uccidere 300.000 armeni nelle province dell’impero. I massacri non cessarono, e nel 1909 le truppe del governo uccisero, nella sola città di Adana, oltre 20.000 cristiani armeni.

Quando scoppiò la prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano cadde sotto il dominio della dittatura dei “Giovani turchi”, che si alleò con la Germania. Il governo turco decise di eliminare tutte le popolazioni cristiane di greci, armeni, siriani e nestoriani. Lo slogan del governo, “La Turchia ai turchi”, servì a incoraggiare i civili turchi a una politica di pulizia etnica.

Il passo successivo del genocidio armeno ebbe inizio il 24 aprile 1915 con l’arresto di massa, e alla fine l’omicidio, di capi religiosi, politici e intellettuali a Costantinopoli e altrove nell’impero. Quindi, in ogni comunità armena, si sviluppò un genocidio accuratamente programmato: arresto del clero e di altre persone prominenti, disarmo della popolazione e dei soldati armeni che servivano nell’esercito ottomano, segregazione ed esecuzione pubblica dei capi e degli uomini adulti, e deportazione in zone desertiche del resto degli armeni, donne, bambini e anziani. Il noto storico Arnold Toynbee scrisse che “il crimine fu programmato in modo molto sistematico, visto che si ha prova di una identica procedura in oltre cinquanta località.”

Il genocidio iniziò dai distretti di frontiera e dalle zone costiere, e si sviluppò nell’entroterra fino alle frazioni più remote. Più di un milione e mezzo di cristiani armeni, inclusi oltre 4.000 tra vescovi e preti, furono uccisi in questa fase del genocidio.

I cristiani greci, che avevano sofferto persecuzioni e omicidi da parte turca per tutto questo tempo (in particolare nell’area del Mar Nero nota come Ponto), videro i turchi scagliarsi contro di loro ancor più ferocemente alla fine della prima guerra mondiale. Le potenze alleate, a una conferenza di pace a Parigi nel 1919, ricompensarono la Grecia per il suo sostegno invitando il Primo Ministro Venizelos a occupare la città di Smirne con il suo ricco hinterland, e posero la provincia sotto controllo greco. Questa azione esasperò i turchi. L’occupazione greca fu pacifica, ma provocò reazioni immediate dalle forze turche nelle aree circostanti. Quando l’esercito greco scese in campagna proteggere il proprio popolo, scoppiò una guerra vera e propria (la guerra greco-turca).

Il Trattato di Sevres, firmato nel 1920 per porre termine alla prima guerra mondiale, e che prevedeva un’Armenia indipendente, non fu mai ratificato. I termini del trattato cambiarono non molto tempo dopo che l’inchiostro del trattato si fu asciugato, mentre Inghilterra, Francia e Italia iniziarono ciascuna a contrattare con Mustafa Kemel (Ataturk) per ottenere il diritto di sfruttare i campi petroliferi di Mosul (oggi in Irak). Tradito dalle potenze alleate, il fronte militare greco crollò dopo 40 lunghi mesi di guerra, e con il suo ritiro i turchi ripresero a occupare l’Asia Minore.

Il settembre del 1922 vide la fine della presenza greca e armena nella città di Smirne. Il 9 Settembre 1922, i turchi entrarono a Smirne; e dopo avere sistematicamente ucciso gli armeni nelle loro case, le forze di Ataturk si rivolsero contro i greci, il cui numero era aumentato con l’arrivo di profughi dai villaggi nell’interno della Turchia, fino a oltre 400.000 uomini, donne e bambini.

I conquistatori turchi andarono di casa in casa, saccheggiando, violentando e massacrando la popolazione. Alla fine, quando il vento aveva cambiato direzione verso il mare, per non mettere in pericolo il piccolo quartiere turco sul retro della città, le forze turche, guidate dai loro ufficiali, gettarono cherosene sugli edifici dei settori greco e armeno, e li misero a fuoco. Così, ogni superstite della città fu scacciato e intrappolato tra un muro di fuoco e il mare. Il molo di Smirne divenne una scena di disperazione finale, mentre le fiamme forzavano molte migliaia di persone a saltare verso la morte nell’acqua o a essere consumate dal fuoco.

Le navi militari alleati e le pattuglie costiere della marina francese, britannica e americana furono testimoni oculati dell’evento. George Horton, il console americano a Smirne, paragonò la fine di Smirne alla distruzione romana di Cartagine. In Smyrna (1922, scritto da Marjorie Dobkin) è citata questa sua frase: “E tuttavia a Cartagine non c’era una flotta di navi militari cristiane costrette a osservare una situazione della quale i loro governi erano responsabili.” Questo orribile atto diede l’avvio all’ultima fase del genocidio contro i cristiani dell’Asia Minore turca.

Il 75° anniversario dell’Olocausto dei cristiani (primo Olocausto del ventesimo secolo) è stato ricordato in una serie di funzioni e memoriali il 9 settembre 1997, data della distruzione della città di Smirne nel 1922. Tali funzioni onorano la memoria del martirio del Metropolita Crisostomo di Smirne e degli oltre 3 milioni e mezzo di cristiani assassinati dalle persecuzioni turche dal 1894 al 1923. Ma tali eventi non sono incidenti isolati: le atrocità commesse dalle forze turche contro la popolazione civile non sono cessate. I memoriali cercano di esporre al pubblico la continuità delle campagne turche di persecuzione, deportazione e omicidio destinate a ripulire l’Asia Minore dalla sua popolazione cristiana.

GRECI

1914 400.000 coscritti morti in brigate di lavori forzati

1922 100.000 massacrati o bruciati vivi a Smirne

1916-1922 350.000 abitanti del Ponto massacrati o uccisi nel corso di deportazioni forzate

1914-1922 900.000 morti di maltrattamenti, fame e massacri in tutte le altre aree dell’Asia Minore

TOTALE: 1.750.000 cristiani greci martirizzati tra il 1914 e il 1922

ARMENI

1894-1896 300.000 massacrati

1915-1916 1.500.000 morti in massacri e deportazioni forzate (con recrudescenze fino al 1923)

1922 30.000 massacrati o bruciati vivi a Smirne

TOTALE: 1.800.000 cristiani armeni martirizzati tra il 1894 e il 1923

SIRIANI E NESTORIANI

1915-1917 100.000 cristiani massacrati

La popolazione nativa dell’Asia Minore fa risalire le sue radici cristiane ai primi tempi del cristianesimo. Gli armeni, un popolo antico, risalgono a oltre 2500 anni fa. Nel 301 dopo Cristo il re armeno Dftad dichiarò il cristianesimo religione ufficiale del regno, facendo del’Armenia il primo stato politico cristiano del mondo. La migrazione di tribù greche in Asia Minore ebbe inizio poco prima del 2.000 avanti Cristo, e i greci costruirono dozzine di città come Smirne, Focea, Pergamo, Efeso e Bisanzio (Costantinopoli). Gli abitanti nativi dell’Asia Minore, tra i primi ad accettare il messaggio del cristianesimo, sarebbero stati in seguito perseguitati e sradicati dalle loro terre a causa di quella stessa fede. Le tribù turche infestarono la regione. In seguito un’altra tribù turca, quella degli Oyuz, che abbracciò l’islam e alla fine produsse i turchi ottomani, conquistò la Persia, il Califfato di Bagdad, e quindi tutta l’area oggi occupata da Siria, Irak e Palestina.

Sotto l’Impero Ottomano i cristiani soffrirono un graduale declino. Conversioni forzate all’islam, sottrazioni di bambini da arruolare nei fanatici corpi dei giannizzeri, persecuzione e oppressioni ridussero la popolazione cristiana. L’oppressione si intensificò, sfociando nel genocidio. Il clero cristiano era un costante bersaglio delle persecuzioni turche, in particolare dopo che la politica del genocidio armeno fu dichiarata nel 1894 dal sultano Abdul Hamid.

Vittime di orribili torture, molti membri del clero ortodosso furono martirizzati per la loro fede. Tra i primi vi fu il Metropolita Crisostomo, martirizzato non solo per uccidere un uomo, ma per insultare la sacralità di una religione e un popolo antico e onorevole. Crisostomo fu intronizzato come Metropolita di Smirne il 10 Maggio 1910. Il Metropolita Crisostomo si oppose con coraggio alla furia anti-cristiana dei turchi e cercò si sollevare pressioni internazionali contro la persecuzione dei cristiani turchi. Scrisse molte lettere a capi europei e alla stampa occidentale in uno sforzo di rivelare le politiche di genocidio dei turchi. Nel 1922, nella Smirne priva di protezione, Crisostomo disse a quanti lo supplicavano di fuggire: “È tradizione della Chiesa greca e dovere del prete rimanere con la propria congregazione.”

Il 9 settembre la folla si accalcava nella cattedrale cercando rifugio quando Crisostomo, pallido per il digiuno e la mancanza di sonno, condusse la sua ultima preghiera. La Divina Liturgia terminò quando la polizia turca entrò in chiesa portando via Crisostomo. Il generale turco Nouredin Pasha, noto come il “macellaio della Ionia”, prima sputò sul Metropolita e quindi lo informò che un tribunale in Angora (ora Ankara) lo aveva già condannato a morte. Una folla si gettò su Crisostomo e gli strappò gli occhi. Sanguinante a profusione, fu trascinato per la barba attraverso le strade. Fu battuto e preso a calci, e gli furono tagliate membra del corpo. Per tutto il tempo Crisostomo, con il volto coperto di sangue, pregava: “Padre Santo, perdonali, perché non sanno quello che fanno.” Di tanto in tanto, quando ne aveva la forza, sollevava la mano per benedire i suoi persecutori; un turco, resosi conto di ciò che faceva il Metropolita, gli tagliò la mano con la spada. Il Metropolita Crisostomo fu quindi fatto a pezzi dalla folla adirata.

Tra le centinaia di membri del clero armeno che furono perseguitati e uccisi vi erano il Vescovo Khosrov Behrigian e il Rev.mo Padre Mgrdich’ Chghladian.

Il Vescovo Behrigian (1869-1915) era nato a Zara, ed era divenuto primate della Diocesi di Cesarea/Kayseri nel 1915. Fu arrestato dalla polizia turca al suo ritorno da Etchmiadzin, dove era stato appena consacrato vescovo. Informato del proprio fato, il vescovo chiese un proiettile nel capo. Ignorando deliberatamente la sua richiesta, la polizia lo legò a uno “yataghan” per la macellazione delle pecore, e quindi procedette a fare a pezzi il suo corpo mentre era ancora vivo.

Padre Chghladian era nato a Tatvan. Nel Maggio 1915, come parte della campagna di arresti di massa, deportazioni e omicidi, il prete fu torturato ed esposto in una processione, guidata da sceicchi e dervisci e accompagnata da tamburi, per le vie di Dikranagerd. Quando la processione rientrò alla moschea, in presenza degli ufficiali del governo, gli sceicchi versarono petrolio sul prete e lo bruciarono vivo.

Quattro dei vescovi martirizzati tra il 1921 e il 1922 sono oggi elevati al rango di santi nella Chiesa Ortodossa Greca: Essi sono, oltre al Metropolita Crisostomo, I Vescovi Eutimio, Gregorio e Ambrogio.

Il Vescovo Eutimio di Amasia fu catturato dalla polizia turca e torturato quotidianamente per 41 giorni. Negli ultimi giorni della sua vita cantò il proprio ufficio funebre prima di morire nella sua cella il 29 Maggio 1921. Tre giorni dopo arrivò un ordine scritto per la sua esecuzione da parte di Mustafa Kemal (Ataturk).

Il Metropolita Gregorio di Kydonion rimase con la propria chiesa fino alla fine, aiutando 20.000 dei suoi 35.000 parrocchiani a fuggire a Mitilene e in altre parti libere della Grecia. Il 3 Ottobre 1922, i restanti 15.000 cristiani ortodossi furono uccisi; il Metropolita fu risparmiato per essere sepolto vivo.

Il Metropolita Ambrogio di Moshonesion fu spedito dalle forze turche in una marcia forzata di deportazione verso il centro dell’Asia Minore, assieme a 12 preti e 6.000 cristiani. Tutti perirono sul cammino, alcuni uccisi da miliziani irregolari e civili turchi, il resto lasciato a morire di fame. Il Vescovo Ambrogio morì il 15 Settembre 1922 quando la polizia turca inchiodò ferri di cavallo ai suoi piedi e quindi fece a pezzi il suo corpo.

“Avevo cinque o sei anni nel 1922, e ancora ricordo i canti di Akrita e il lamento delle donne greche che portavano ceste piene di teste tagliate giù dalle montagne. Non dimenticherò mai la donna che si rese conto all’improvviso che una delle teste nella cesta che trasportava era quella del proprio figlio.” - Costantino Koukides, profugo del Ponto

“Ho dato ordini alle mie Unità della Morte di sterminare senza misericordia o pietà, uomini, donne e bambini di razza polacca. È solo in questo modo che possiamo acquisire il territorio vitale che ci serve. Dopo tutto, chi si ricorda dello sterminio degli armeni?” - Adolf Hitler, 22 Agosto 1939

L’OLOCAUSTO UCRAINO DEL 1932-33

Negli anni Trenta, tra i sette e i dodici milioni di ucraini furono sistematicamente e deliberatamente spinti alla morte di fame in Ucraina, il “Granaio d’Europa”.

Molto prima che esistesse una Russia, la Rus’ di Kyiv (Ucraina) era una nazione libera e fieramente indipendente. Di fatto, fu in Ucraina che il cristianesimo fu portato in origine da Sant’Andrea, il Primo Chiamato tra gli Apostoli, e solo molto più tardi dall’Ucraina alla Russia.

Nel XIII secolo la Rus’ di Kyiv fu decimata dalle invasioni dall’Asia; e al tempo in cui gli invasori erano stati respinti, la base del potere si era spostata a Nord, nella Moscovia. Per i secoli successivi, l’Ucraina fu soggetta alla Russia imperiale. Quindi nel 1918, in seguito all’assassinio dello Zar e della sua famiglia da parte dei comunisti, gli ucraini dichiararono l’Ucraina paese libero e indipendente, così com’era secoli prima che vi fosse perfino una Russia.

Le forze comuniste alla fine ripresero il paese e ancora una volta, come al tempo degli Zar, l’Ucraina divenne poco più di una parte in un insieme più grande. Ma come mai prima nella loro lunga storia, gli ucraini furono forzati a pagare un prezzo terribilmente alto per la loro sopravvivenza come popolo. Probabilmente più di ogni altro bolscevico, Stalin aveva un’opinione estremamente bassa dei contadini, che considerava come incurabilmente conservatori, e una delle maggiori minacce al cambiamento rivoluzionario. E dato che gli ucraini erano un popolo a gran maggioranza di contadini, con un innato nazionalismo emergente, essi erano doppiamente vulnerabili alle sue macchinazioni. L’Ucraina continuava a essere una terra di innumerevoli villaggi di contadini che lavoravano la terra, con la Chiesa Ortodossa e i valori tradizionali che dominavano le loro vite. Forse ancor più irritante per i rivoluzionari bolscevichi era il fatto che i contadini mostravano ben poca inclinazione a condividere i loro sogni di utopia comunista.

I piani di Stalin per l’espansione industriale erano basati sull’acquisto dai contadini da parte dello stato di grano a buon prezzo, che sarebbe stato rivenduto all’estero per un profitto da reinvestire per finanziare l’industrializzazione della nazione. Ma i prezzi offerti dallo stato, spesso un ottavo del prezzo di mercato, erano tanto bassi che i contadini si rifiutavano di vendere il proprio grano. Infuriato da quello che definiva “sabotaggio”, Stalin ordinò una spinta alla collettivizzazione totale. Ogni terra e proprietà - inclusi gli animali da cortile - doveva essere sottratta alla proprietà dei privati e passata allo stato. Le piccole fattorie dovevano essere incorporate in grandi fattorie collettive. Il piano fu adempiuto con tale brutalità e orrore da poter essere descritto soltanto nei termini di una guerra mossa dal regime ai contadini. Fu uno degli eventi più traumatici della storia dell’Ucraina.

Chi resisteva ostinatamente veniva fucilato. Altri furono deportati in campi di lavoro forzato nell’Artico e in Siberia. Il resto fu provato di ogni proprietà - incluse le case e gli oggetti personali - escluso dalle fattorie collettive, e lasciato a sopravvivere come poteva. Nell’inverno del 1929-1930 centinaia di migliaia di contadini e le loro famiglie furono strappati alle proprie case, stipati su treni per merci, e inviati a centinaia di miglia al nord, dove venivano scaricati in mezzo alle distese artiche, spesso senza cibo o riparo. In tal modo una gran parte dei contadini più industriosi ed efficienti dell’Ucraina cessò di esistere.

Quando anche queste severe misure non riuscirono a produrre gli effetti desiderati, il governo spedì migliaia di lavoratori urbani a sostenere le proprie politiche nei villaggi. I loro sforzi produssero un pandemonio di protesta; spesso gli ufficiali venivano picchiati o uccisi. La forma di protesta più comune, tuttavia, era la strage di animali da fattoria. Determinati a non lasciare che il governo si prendesse i loro animali, i contadini preferivano ucciderli con le proprie mani. Tra il 1928 e il 1932 l’Ucraina perse circa il 50% dei propri animali da allevamento. A causa della povertà dei mezzi di trasporto, molto del grano prodotto si guastò o fu mangiato dai ratti. Ancor più seria fu la mancanza di animali da tiro, molti dei quali erano stati uccisi in precedenza. Gli ufficiali del governo erano fiduciosi, tuttavia, di poter fornire un numero sufficiente di nuovi trattori per rimpiazzare i cavalli e i buoi mancanti. Ma la produzione di trattori ritardò di molto sui programmi, e una percentuale molto alta di quelli che furono consegnati si guastò quasi immediatamente. Come risultato, nel 1931 quasi un terzo del grano prodotto fu perso durante il raccolto. A peggiorare le cose, giunse una siccità che colpì l’Ucraina meridionale nel 1931.

L’Ucraina continuò a resistere e a sognare una nazione libera e indipendente; e dato che Stalin non poteva uccidere quel sogno, decise dapprima di deportare tutti gli ucraini in altre parti dell’Unione Sovietica. Scoprendo che ce n’erano troppi da spostare, Stalin decise invece di uccidere i sognatori; e l’arma di sua scelta fu una fame artificiale designata a eliminare i soggetti disturbatori e a forzare i sopravvissuti in una totale e completa sottomissione. La fame del 1932-33 fu per gli ucraini ciò che il successivo Olocausto fu per gli ebrei, e ciò che i massacri del 1915 furono per gli armeni. Fu una tragedia di proporzioni insondabili, che traumatizzò la nazione, lasciandole profonde cicatrici sociali, psicologiche, politiche e demografiche che porta tuttora. Il fatto centrale della fame fu che non avrebbe dovuto avere luogo. Il cibo era disponibile; ma lo stato ne confiscò la maggior parte per il proprio uso. Tutti i raccolti furono requisiti dal governo sovietico e inviati altrove. Questa confisca del cibo incluse anche le sementi per la primavera successiva. Qualsiasi uomo donna o bambino trovato a prendere anche una manciata di grano da un silo del governo poteva essere, e spesso era, ucciso sul posto. A Mosca entrò in vigore una legge che stipulava che non si poteva dare grano ai contadini finché la piena quota fissata dal governo era stata raggiunta. Bande di attivisti del partito condussero brutali perquisizioni di casa in casa, strappando i pavimenti e scavando nei pozzi in cerca di tutto il grano rimasto. Di fatto, se una persona non appariva denutrita, era sospettata di nascondere cibo.

La fame, che si era diffusa nel 1932, giunse al culmine nel 1933. Privi di pane, i contadini mangiarono animali domestici, ratti, cortecce, foglie, e la spazzatura delle ben fornite cucine dei membri del Partito comunista. Interi villaggi furono sterminati, mentre la gente moriva a decine di migliaia. Si ebbero casi di cannibalismo. Dapprima i cannibali venivano uccisi sul posto, ma in seguito furono gettati in campi di concentramento. Le scene più terrificanti erano i bambini piccoli con arti scheletrici che pendevano da addomi gonfi come palloni. Cordoni di militari impedivano ai contadini di entrare nelle città; quelli che riuscivano a forzare i blocchi vagavano fino a cadere per le strade. Quindi erano caricati su carri assieme ai cadaveri, e gettati in fosse fuori delle città.

Con il crescente tasso di morte durante la fame, la pubblicazione di statistiche di mortalità fu proibita dal governo sovietico. Quando le morti per fame presero proporzioni di maggioranza in Ucraina nel 1932-33, ai medici era proibito di segnare la denutrizione come causa nei certificati di morte. La parola “holod” (fame) fu decretata come contro-rivoluzionaria, e nessuno che tenesse alla propria vita e a quella dei propri parenti osava pronunciarla in pubblico. Quando i risultati del censimento del 1937, per esempio, rivelarono tassi di mortalità spaventosamente alti, Stalin fece fucilare i direttori del censimento.

Altrove non vi fu alcuna fame - la maggior parte della Russia non ne ebbe quasi esperienza - ma i confini dell’Ucraina erano stati sigillati dalla polizia segreta; non c’era via di fuga. Gli ucraini erano stati condannati a morte. E così, fu sistematicamente portato a termine il più grande genocidio della storia. Un aspetto degno di nota fu il tentativo di cancellare la fame dalla coscienza pubblica; la posizione sovietica fu di negare che questa avesse mai avuto luogo. Per ingraziarsi i favori di Stalin, per esempio, Walter Duranty - corrispondente da Mosca del New York Times, negò ripetutamente l’esistenza della fame nei suoi articoli (mentre le sue stime private erano di circa dieci milioni di persone affamate a morte). Per la “profondità, imparzialità, sano giudizio ed eccezionale chiarezza” dei suoi dispacci dall’URSS, Duranty ricevette il Premio Pulitzer nel 1932.

Eppure, ancora oggi, vi sono persone che negano o minimizzano l’Olocausto ucraino a tal punto da farlo definire “l’olocausto nascosto del ventesimo secolo”. Nel 1984, per esempio, un film documentario intitolato HARVEST OF DESPAIR (Raccolto di disperazione) è stato proiettato alla televisione canadese. Questo film ha vinto numerosi premi a festival cinematografici nel mondo, e una nomination all’Academy Award del 1986; eppure tutti e tre i principali network commerciali in America si sono rifiutati di proiettarlo. Ancora nel 1994, i legislatori dello stato del New Jersey sono stati soggetti a pressioni per escludere l’olocausto ucraino dalla Risoluzione A-589 (The Holocaust Education Bill). La copertura dei media è stata altrettanto unilaterale riguardo agli olocausti greco, armeno, siriano e nestoriano del 1984-1923 e, più recentemente, l’olocausto serbo. Le atrocità contro i cristiani - specialmente i cristiani ortodossi - continuano ancora oggi!

PERSECUZIONI ODIERNE DI ORTODOSSI

Di tutte le confessioni cristiane, è stata la Chiesa ortodossa a soffrire di più per le persecuzioni nel XX secolo. Nei primi due decenni, vi furono i massacri di ortodossi greci, slavi e armeni nell’Impero Ottomano, che culminarono nel genocidio degli armeni del 1915 in Anatolia e nella quasi totale distruzione dell’antica comunità assira in Iraq. Nel 1923, l’intera popolazione cristiana ortodossa dell’Asia Minore fu forzata a lasciare le proprie case, portando a termine una presenza cristiana di 2000 anni.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, due gruppi di cristiani ortodossi divennero bersaglio speciale di genocidio da parte dei nazisti e dei loro alleati - gli zingari e i serbi ortodossi di Bosnia e Croazia, mentre le popolazioni di Grecia, Serbia, Russia europea e Ucraina erano destinate dai nazisti a servire come schiavitù di forza-lavoro per il Terzo Reich. Per ordine speciale di Heinrich Himmler (21 Aprile 1942), i membri del clero dell’Est (a differenza delle loro controparti dall’Europa occidentale) dovevano essere inviati ai lavori pesanti.

Allo stesso tempo gli ortodossi patirono in proporzioni maggiori di ogni altro gruppo cristiano per mano dei comunisti, che cercavano di eliminare completamente la religione.

Dapprima in Russia e Ucraina, poi in Europa orientale, in Grecia durante la sua guerra civile (1945-1949), e in Etiopia, la Chiesa ortodossa è stato il principale obiettivo da attaccare, sovvertire o distruggere.

Infine, gli ortodossi del Medio Oriente si sono trovati sotto il fuoco incrociato dei conflitti tra musulmani ed ebrei in Israele e in Cisgiordania, e la guerra civile tra maroniti, musulmani e palestinesi in Libano.

Tra le vittime delle prigioni, dei campi di concentramento, delle marce forzate e dell’esilio, di guerre, carestie e brutali occupazioni militari, è ragionevole concludere che fino a 50 milioni di cristiani ortodossi siano morti nei primi otto decenni del XX secolo.

Anche negli Stati Uniti, dove così tanti ortodossi hanno trovato rifugio, i nativi americani ortodossi delle isole Aleutine sono stati forzatamente internati durante la seconda guerra mondiale e molte delle loro chiese sono state deliberatamente distrutte dall’esercito degli Stati Uniti.

Purtroppo, la profondità e la portata della sofferenza degli ortodossi in tutto il mondo in questo secolo rimane in gran parte sconosciuta e misconosciuta in Occidente.

1987 - 1997

Le molestie alla Chiesa ortodossa nella ex Unione Sovietica sono continuate attraverso tutta l’era di Gorbaciov. Molte delle chiese ufficialmente restituite agli ortodossi tra il 1988 e il 1990 erano in Ucraina occidentale. Questo faceva parte di un tentativo da parte del KGB per seminare discordia aperta tra ortodossi e cattolici – solo 100 chiese erano state restituite in Russia. Il KGB ha continuato a bersagliare sacerdoti ortodossi impegnati nella lotta per la libertà religiosa e la democratizzazione; nel 1990 diversi sacerdoti di spicco, tra cui padre Alexander Men, sono stati assassinati. È solo sotto la presidenza di Boris Eltsin che è stata ripristinata la piena libertà agli ortodossi e alle altre confessioni in Russia. In altre parti dell’ex Unione Sovietica, in particolare in Uzbekistan e Tagikistan, i governi hanno continuato a limitare i diritti delle minoranze etniche e religiose.

Il trionfo della democrazia in Polonia non ha portato alla piena libertà religiosa per i membri della sua minoranza ortodossa, forte di un milione di persone. Anche se il picco dell’attività anti-ortodossa sembra essere stato nel 1991, dopo che diverse chiese ortodosse e uno storico monastero sono stati vandalizzati, gli ortodossi continuano ad essere considerati come cittadini di seconda classe in Polonia, dove sono descritti in un rapporto segreto del ministero degli Esteri come un “corpo estraneo nell’organismo statale della Polonia”. Le leggi sulla formazione religiosa nelle scuole hanno praticamente istituzionalizzato la Chiesa cattolica romana a detrimento sia degli ortodossi che dei luterani, e gli ortodossi continuano a lamentarsi di subire meschine molestie a livello locale.

In Slovacchia, il governo nel 1991 ha annunciato la sua intenzione di rivedere la proprietà delle 125 parrocchie ortodosse del paese. Da allora, oltre 90 chiese sono state prese agli ortodossi e date ai cattolici, e agli ortodossi è stato impedito da parte di funzionari locali di costruire nuovi edifici, aprire scuole, o celebrare funzioni. Anche la politica ufficiale del Vaticano, annunciata il 16 luglio 1990, che consigliava ai cattolici slovacchi di condividere le proprietà contestate con gli ortodossi, è stata ignorata.

Le guerre nell’ex-Jugoslavia sono state disastrose per gli ortodossi. Il governo croato ha praticamente liquidato la Chiesa ortodossa sul suo territorio, iniziando a far saltare con la dinamite la residenza e la biblioteca del Metropolita ortodosso di Zagabria l’11 Aprile 1992. In seguito all’offensiva croata dell’autunno del 1995 e alla partenza di oltre 200.000 serbi ortodossi dalla diocesi di Krajina (che ha portato a un totale di oltre 800.000 profughi cristiani ortodossi), quattro diocesi della Chiesa ortodossa serba hanno cessato di esistere. Nel territorio controllato dai croati in Bosnia, il vescovo ortodosso di Mostar è stato scacciato dalla sua sede, e la maggior parte della popolazione ortodossa è stata espulsa. Si stima che oltre 154 chiese ortodosse nel territorio della Bosnia e della Croazia siano state deliberatamente distrutte. Il 25 marzo 1999 la NATO ha iniziato i bombardamenti del Kosovo in Serbia. È uno dei paradossi tragici della storia che le nazioni occidentali “cristiane” si siano unite per sradicare i serbi del Kosovo, accusati di “pulizia etnica”. La storia si ripete: il Kosovo è stato 500 anni fa il sito della resistenza cristiana ai Turchi.

In Turchia e nella parte di Cipro occupata dai turchi la posizione degli ortodossi continua a peggiorare. Nonostante le garanzie internazionali contenute nel Trattato di Losanna 1923, il governo turco continua a imporre la chiusura della famosa Accademia Teologica ortodossa di Halki a Istanbul. Le famiglie degli ortodossi illegalmente espulsi negli anni 1950 e 1960 non sono mai state autorizzate a tornare alle loro case, ancora una volta in violazione del trattato di 1923 che garantisce loro questo diritto. A Cipro, 450 chiese ortodosse sulla costa settentrionale dell’isola sono state profanate, alcuni sono diventate locali notturni, mentre altre sono state trasformate in gabinetti pubblici. Altre chiese e monumenti storici, alcune risalenti al V secolo, sono state saccheggiate e lasciate a marcire. C’è una campagna per eliminare completamente le ultime tracce della presenza di 2000 anni di presenza ortodossa nella parte occupata di Cipro.

In Egitto, gli ortodossi continuano a soffrire per le numerose restrizioni poste sulla loro capacità di partecipare alla vita economica e politica del paese. Ci sono molte regole che ostacolano la loro possibilità di costruire e riparare le chiese, e stanno diventando sempre di più obiettivi di attacchi armati da parte di estremisti islamici. Negli ultimi due anni, gli abitanti ortodossi nei villaggi dell’Alto Egitto sono stati uccisi a dozzine da armati islamici.

In India i cristiani ortodossi segnalano un aumento di molestie da parte di estremisti indù e musulmani, con attacchi isolati e una veemente retorica che chiede la loro rimozione dal paesaggio indiano.

L’ATTUALE ATTEGGIAMENTO DEL GOVERNO AMERICANO

Il governo degli Stati Uniti è orgoglioso del suo impegno nel difendere la libertà religiosa. In Medio Oriente e in Europa orientale, tuttavia, gli Stati Uniti sono visti come sostenitori solo di quelle chiese che possiedono sufficiente “influenza” a Washington, mentre ignorano le difficoltà degli ortodossi. Gli eventi nel corso degli ultimi dieci anni tendono a confermare tale valutazione.

Durante gli anni ‘80, il Servizio Immigrazione e Naturalizzazione ha concesso lo status di profugo politico a ogni cittadino sovietico che lo richiedeva per motivi religiosi – tranne che per i membri della Chiesa ortodossa. La chiesa che aveva sofferto di più sotto il regime sovietico, le cui chiese continuavano a essere chiuse e il suo clero arrestato fino al 1988, non era considerata una chiesa “perseguitata” da parte del governo americano.

Dopo il 1989, i cristiani ortodossi sia in Polonia e in Slovacchia hanno avvertito il governo degli Stati Uniti che erano “a rischio”, come minoranze religiose. Nel 1991 il Congresso dei russi americani ha preparato due relazioni per la Commissione della sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE: luglio e settembre 1991) per avvertire dei pericoli e chiedere garanzie per i diritti degli ortodossi in quelle nazioni. Nessuna azione è stata intrapresa, e in questo momento non vi è alcuna indicazione che gli Stati Uniti abbiano fatto pressioni per garantire i diritti di queste minoranze sia in Polonia che in Slovacchia. Non vi è inoltre alcuna indicazione che gli Stati Uniti abbiano collegato l’assistenza economica ai due paesi e il loro ingresso nell’alleanza della NATO con il miglioramento della situazione delle loro minoranze religiose.

Nonostante la grande quantità di assistenza economica e militare ricevuta dalla Turchia, non vi è alcuna indicazione che gli Stati Uniti si siano mai preparati a utilizzare questa leva per garantire i diritti della minoranza ortodossa, anche se la Turchia è vincolata dalla propria Costituzione e dagli obblighi internazionali a consentire agli ortodossi di mantenere scuole e altre istituzioni. Al contrario, i senatori degli Stati Uniti hanno spesso pubblicamente e ad alta voce chiesto che l’assistenza americana in Russia sia subordinata all’accettazione della Russia di missionari protestanti americani.

La persecuzione e molestie degli ortodossi continuano a causa di una convinzione che gli Stati Uniti non sono interessati al loro destino, e che l’America non si assumerà alcun impegno (se non qualche parola occasionale) per garantire la libertà religiosa per gli ortodossi. A loro volta, i leader ortodossi di tutto il mondo stanno guardando da vicino per vedere se le future iniziative in materia di libertà religiosa che provengono dagli Stati Uniti siano veramente basate su questioni di principio, o se la politica americana sarà selettiva in termini di chi è criticato e chi è esonerato.

La Chiesa ortodossa, una, santa, cattolica e apostolica ha sofferto molto in questo secolo, e continua ad essere una chiesa martire in molte parti del mondo. Se gli Stati Uniti scelgono di ignorare questo fatto per guadagno politico, allora la causa della libertà religiosa - per tutti - sarà gravemente compromessa.

Informazioni raccolte da:

Biblioteca della Chiesa Ortodossa Ucraina degli Stati Uniti d’America – Ukraine, a History

Lega ortodossa ucraina degli Stati Uniti – Commissione per gli affari ucraini

Istituto canadese di Studi Ucraini – Università di Toronto

Bollettino della Lega Ortodossa Ucraina – Ottobre 1998

Diocesi greco-ortodossa di Denver, Notizie Diocesane: Dr. Nicholas Gvosdev – Agosto 1998

Federazione delle Società elleniche della regione di Baltimora e Washington: Heritage Publications – 1997

Nota del curatore: Non possiamo nemmeno immaginarlo, ma “50 milioni di vittime dell’olocausto cristiano ortodosso” non è il numero corretto, perché abbiamo appreso da Alexander Solzhenitsyn che più di 66,5 milioni di cristiani ortodossi sono stati uccisi a partire dal 1917 in poi, durante i tempi di l’Unione Sovietica. In secondo luogo i nuovi martiri della Serbia sono in aumento, l’uccisione di persone innocenti, la distruzione di chiese, monasteri, cimiteri e case, oltre a uccisioni di massa di cristiani ortodossi serbi, e innumerevoli dispersi.

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