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  Analogie tra la Jugoslavia e l'Ucraina

di Stephen Karganovic

dal blog The Vineyard of the Saker

10 settembre 2014

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Esperti russi hanno attentamente analizzato le similitudini nel modo in cui la coalizione occidentale sta gestendo la crisi ucraina, da essa generata e condotta al punto di un conflitto selvaggio, e le strategie che gli stessi attori hanno perseguito negli anni '90 per gettare le basi di una brutale guerra civile e per ottenere la conseguente distruzione della ex Jugoslavia. I motivi per avere tutta quest'attenzione abbondano. Per prima cosa, ogni volta che il tuo avversario privo di fantasia (o eccessivamente arrogante) agisce ripetutamente seguendo una matrice prefissata, questo ti dà un notevole vantaggio strategico. Ciò consente, entro ampi limiti, di anticipare le sue mosse e di mettere a punto contromisure efficaci.

Mentre l'arroganza degli strateghi occidentali rende senza dubbio più facile il compito di contrastare i loro schemi, è comunque importante, non importa quanto forti possano essere le analogie, delineare con attenzione le principali similitudini e differenze tra le situazioni a confronto, in modo da non cadere nella trappola di combattere l'ultima guerra, invece di quella attuale.

1. Frammentazione etnica e religiosa. Identificazione delle tensioni sociali sfruttabili e loro aggravamento sistematico per servire da detonatori della crisi prevista. Ciò significa allontanamento delle comunità costitutive l'una dall'altra, con l'enfasi su ciò che le separa mentre si sminuisce ciò che hanno in comune.

In Jugoslavia, questo processo ha iniziato a essere attuato molto prima dello scoppio visibile della crisi, progettando nuove identità etniche (musulmani, montenegrini, macedoni) e incoraggiando le aspirazioni separatiste all'interno di quelle esistenti (croati, sloveni). Anche l'identità ucraina è una costruzione artificiale, definita non in termini positivi, ma soprattutto militanti, in contrasto con quella russa. In Ucraina, come in Jugoslavia, le divisioni religiose tra cattolici e ortodossi sono sfruttate con zelo per esacerbare le animosità esistenti.

2. Fabbricazione di incentivi materiali illusori per promuovere i comportamenti politicamente desiderati.

Nell'ex Jugoslavia, che alla fine degli anni '80 aveva un tenore di vita dignitoso, la prospettiva di una vita ancora più prospera che sarebbe presumibilmente seguita alla dissoluzione dello stato socialista è stata utilizzata come esca per motivare le tendenze separatiste. All'Occidente cattolico è stata promessa maggiore prosperità per separarsi e fare una "scelta di civiltà" (quasi lo stesso slogan che più tardi è stato lanciato in Ucraina), a favore dell'unione a i vicini paesi del blocco occidentale. Ai musulmani in Bosnia e in Kosovo sono stati promessi benefici attraverso l'allineamento con i paesi islamici ricchi. In Ucraina, è stata evocata l'illusione di un'incorporazione rapida nell'Unione europea. Per la maggior parte, le persone in Ucraina occidentale e centrale che hanno risposto positivamente a questa falsa prospettiva erano abbastanza inconsapevoli delle reali condizioni economiche e sociali e, ancora più importante, delle tendenze nell'Unione europea e hanno agito su ipotesi infondate.

3. Controllo del flusso di informazioni nei paesi bersaglio, al fine di plasmare le percezioni e le condotte delle masse.

Nell'ex Jugoslavia, la penetrazione dello spazio mediatico per opera di interessi affiliati all'Occidente, e guidati da Soros, ha cominciato appena lo ha reso possibile la liberalizzazione politica alla fine degli anni '80. All'inizio degli anni '90, mentre il conflitto veniva alimentato attivamente dall'estero, ampi segmenti dei media locali in tutte le repubbliche jugoslave erano già sotto il dominio dei proprietari occidentali. Un simile processo di ammorbidimento nella sfera dei media ha continuato in Ucraina nel corso degli ultimi due decenni, con tutti i principali media sotto il fermo controllo di oligarchi sostenuti dall'Occidente. Questi hanno diffuso una narrazione quasi uniforme e di fatto falsa circa i benefici che sarebbero derivati dall'allineamento politico con la NATO e l'UE e con l'allontanamento dalla Russia.

4. Sia in Ucraina sia nell'ex Jugoslavia una parte fondamentale della popolazione ha insistito nell'attenersi alla propria visione. Hanno rifiutato radicalmente le false percezioni che venivano incoraggiate come preludio ad accettare la ricomposizione politica organizzata dall'Occidente. In Ucraina è stato l'Oriente di lingua russa, in Jugoslavia i serbi.

Il rifiuto da parte di questi gruppi di accettare pacificamente la perdita della loro identità culturale e autonomia politica ha portato al conflitto in entrambi i casi. La domanda che richiede una risposta chiara è se i conflitti armati (pur essendo fondamentalmente prevedibili) erano anche una conseguenza voluta dei processi che sono stati messi in moto. Nel caso dell'Ucraina, questo è piuttosto dubbio, perché, chiaramente, l'intenzione degli istigatori di cambiamento di regime era l'inequivocabile riallineamento filo-occidentale di tutto il paese all'interno del blocco NATO / UE, sotto il comando di un'autorità centrale servile a Kiev, piuttosto che la frammentazione politica vera e propria. Nel caso della Jugoslavia, è possibile sostenere che un conflitto che termina con la sconfitta militare dei serbi sicuramente faceva parte del piano, ma può essere che fosse stata originariamente immaginata una campagna molto più veloce e di maggior successo. Come si è scoperto, dando libero sfogo ai loro protetti croati e musulmani, gli istigatori della crisi jugoslava può avere inavvertitamente creato una chiara minaccia esistenziale ai serbi, dispersi in tutta la ex Jugoslavia, cosa che ha irrigidito notevolmente la loro resistenza e ha prolungato il conflitto al di là di ciò che era originariamente previsto. Inoltre, questo potrebbe aver portato un'altra conseguenza non voluta: mettere in grave discussione, in Russia, l'alleanza di Eltsin (anche se come partner minore) con l'Occidente. Questa discussione è venuta al dunque intorno al periodo della guerra del Kosovo, con la conseguente ascesa di Putin e della sua visione politica in reazione a tale guerra.

In Ucraina, qualunque possa essere stato il disegno originale (probabilmente solo una spinta alla frammentazione culturale, preservando l'integrità politica generale del paese, anche se con l'elemento occidentale più affidabile messo a soggiogare l'inaffidabile est del paese) sembra essere crollato non appena la forza sfrenata è stata applicata nel processo di sottomissione. Come hanno fatto notare analisti ben informati, i compromessi tra Kiev di condivisione di potere e l'Oriente di lingua russa, che erano ancora possibili due o tre mesi fa, non lo sono più dopo il caos e la distruzione operata dalle forze della giunta. Si sta rapidamente sviluppando una situazione in cui le regioni con identificazione culturale prevalentemente russa sono sempre più irremovibili nel loro rifiuto di avere a che fare con Kiev, quali che siano i dettagli del concordato proposto. In questo senso, una forte analogia allo spirito di resistenza inflessibile che ha mosso i serbi di Bosnia e di Croazia nel conflitto jugoslavo si preannuncia ora in Ucraina. È concepibile che in entrambi i casi un approccio iniziale più sottile e più flessibile delle parti in causa sostenute dall'Occidente verso le popolazioni serba e russa che si volevano assoggettare, sarebbe stato più efficace nel contrastare la radicalizzazione della resistenza. E avrebbe potuto effettivamente avere successo, perché in entrambi i casi almeno inizialmente le resistenze chiaramente non avevano alcuna intenzione di ricorrere alla forza.

5. L'Occidente non ha remore a utilizzare i più sgradevoli elementi disponibili come strumenti per eseguire i suoi disegni. In Bosnia è stato ampiamente documentato il patto col diavolo dell'Occidente con l'Iran (ricordi di Iran-Contra) e altri islamici più o meno fondamentalisti, al fine di rafforzare le forze musulmane locali rispondenti agli interessi NATO / UE e in lotta per il controllo di tutto il paese. In una certa misura, è stata anche tollerata la partecipazione di elementi europei di estrema destra nello sforzo guerra a fianco del regime di destra di Tudjman in Croazia. Un modello simile può essere visto in Medio Oriente, con le fazioni islamiste radicali strumentalizzate per minare i regimi laici considerati ostili all'Occidente.

In Ucraina il patto col diavolo è stato apparentemente fatto con alcuni dei più odiosi elementi fascisti locali, letteralmente reliquie collaborazioniste del periodo della seconda guerra mondiale. Il loro compito era di fornire il pugno di ferro con cui gli oligarchi e i politici sostenuti dall'occidente a Kiev avrebbero demolito gli avversari e consolidato il loro dominio. Il calcolo in entrambe le situazioni jugoslava e ucraina sembra essere stato "noi li usiamo per sbarazzarci dell'avversario principale ora, e provvederemo a fare i conti con loro più tardi". La possibilità che avrebbero creato dei mostri di Frankenstein non disposti a dissolversi una volta che la loro utilità fosse finita, non sembra neppure aver attraversato le menti dei creatori. Il radicamento dell'Islam radicale nel dopoguerra in Bosnia, dove in precedenza non era mai esistito, e il consolidamento di una forte e crescente sottocorrente fascista in Croazia sono prove sufficienti. Per quanto riguarda i movimenti e le milizie di ispirazione nazista in Ucraina, non sembra esserci alcun piano chiaro su come soggiogarli una volta che il conflitto è finito e che presumibilmente hanno servito al loro scopo.

Sia nell'ex Iugoslavia sia nell'Ucraina, gli strumenti che l'Occidente ha impiegato in modo amorale per raggiungere i suoi obiettivi limitati hanno piantato semi di instabilità a lungo termine e non sembrano voler di rimanere asserviti a lungo ai loro creatori. Per la Russia questo presenta una seria sfida in Ucraina, perché la zizzania piantata dall'ingerenza opportunista dell'Occidente porta frutti amari. Senza dubbio ostacolerà l'eventuale piena integrazione dell'Ucraina entro i limiti del concetto anche più genericamente definito di "mondo russo", come previsto dall'attuale politica della Russia.

6. Supporto clandestino ai favoriti dell'Occidente, mentre pubblicamente si proclama una politica del 'giù le mani' che in pratica si applica solo agli altri. Un'altra somiglianza significativa è che in entrambe le crisi l'Occidente ha avviato un embargo sulle armi e sui rifornimenti logistici alle parti in guerra, ma li elude regolarmente a favore dei propri clienti locali. Prove voluminose assemblate dopo gli anni novanta non lasciano alcun dubbio sul fatto che le forze musulmane e croate in Jugoslavia erano destinatarie di generose quantità di armi e di formazione, e in seguito di preziosa assistenza logistica, mentre Belgrado veniva criticata regolarmente per qualsiasi supporto esteso ai suoi compatrioti in Bosnia o Croazia.

Allo stesso modo, la Russia è l'obiettivo di un processo di demonizzazione non solo per l'assistenza militare, ma anche per gli aiuti umanitari, alle regioni di lingua russa dell'Ucraina. Gli sponsor occidentali insistono su un diritto quasi illimitato di sostenere i loro clienti, mentre hanno negato a Belgrado negli anni novanta e a Mosca ora una prerogativa simile. La loro insistenza su un "level playing field" (una frase spesso usata nel conflitto bosniaco) è stata denunciata per quello che è veramente: pura ipocrisia.

7. Una differenza importante: Mosca ha obiettivi politici chiaramente definiti. Si può sostenere che una delle ragioni principali del fallimento della resistenza serba in Croazia e di un successo solo parziale in Bosnia è stata l'assenza di un concetto politico chiaro sia nelle proprie fila si a a Belgrado, che li stava sostenendo. Probabilmente, l'analisi russa di quella esperienza è stata importante per assicurare che Mosca e i suoi alleati ucraini orientali non rimangano bloccati in un conflitto senza una chiara definizione dei loro obiettivi e dei mezzi per raggiungerli. Il presidente Putin senza dubbio non vuole emulare Slobodan Milošević, che ha pronunciato un brillante discorso televisivo con profonde intuizioni sulle macchinazioni dei suoi avversari occidentali, ma con un tempismo che non avrebbe potuto essere più sfortunato – pochi giorni prima di essere rovesciato.

Sembra che gli eventi nei Balcani hanno avuto un effetto di riflessione sulla politica russa per due motivi. In primo luogo, negli anni novanta la guerra del Kosovo e il bombardamento della Jugoslavia hanno fatto chiaramente suonare un enorme allarme, e questo ha contribuito al cambiamento di leadership che ha portato alla ribalta Vladimir Putin e la sua visione. Ma gli effetti negativi della politica altalenante che Milošević aveva perseguito a sostegno dei suoi protetti in Bosnia e Croazia hanno insegnato ai russi un'altra lezione estremamente importante. E la lezione è questa: se non si ha un'ampia visione strategica e la capacità di realizzarla in pratica, è meglio evitare del tutto i coinvolgimenti rischiosi e complessi.

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