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  "Se essere 'buoni' è la misura della nostra salvezza, allora siamo perduti"

del sacerdote Robert Miclean

da Pravmir

6 luglio 2014

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E così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore. (Romani 6:18-23)

Apostolo della IV domenica dopo la Pentecoste

San Paolo, nell'Epistola di oggi, ci attanaglia con queste parole forti: "Il salario del peccato è la morte". Il peccato è uno dei concetti più fraintesi nel cristianesimo. Tutta una serie di complessi psicologici emana dalla sua incomprensione. Tra i cattolici e i protestanti, il peccato è spesso identificato con la trasgressione del diritto e il senso di colpa. La salvezza è intesa come di qualcosa di derivato dalla giustificazione e dall'espiazione, o addirittura, dalla pacificazione dell'ira di Dio.

Infatti, la dottrina del 'peccato originale' nell'Occidente post-scisma afferma che alla concezione siamo tutti colpevoli del peccato di Adamo. Secondo questa prospettiva, la salvezza è diventare individualmente 'giustificati', giusti, davanti a Dio. La morte di Cristo, in questa luce, è vista come il "pagamento del prezzo" per la nostra colpa, del nostro peccato, per raddrizzare la bilancia della giustizia.

Ora contrastate questa dottrina occidentale con la nostra fede ortodossa: il peccato non è partecipare a una colpa collettiva, ma piuttosto, 'mancare il bersaglio,' non riuscire a vivere la nostra vocazione data da Dio e il nostro scopo nella vita, a vivere per la gloria di Dio, anzi, a essere glorificati come suoi figli adottivi, coeredi con Cristo. Non siamo creati come oggetti d'ira, ma come oggetti d'amore invitati a una comunione, alla partecipazione, alla vita di Dio stesso come santissima Trinità.

Il peccato è altresì descritto nella fede ortodossa come malattia, per la ragione che san Paolo afferma nell'Epistola di oggi: "il peccato conduce alla morte". Perché sarebbe così, se non a causa della giusta punizione di Dio? A causa della libertà che Dio ha piantato in noi, di essere capaci di amore, di restituire e dare amore, dobbiamo essere liberi di scegliere o rifiutare l'amore, di sperimentare quell'amore, che è la vita con Dio. Il rifiuto di quella vita, di quella chiamata, il peccato, ci porta lontano dal rapporto, dalla comunione con colui che è la vita, che ha creato tutta la vita, che sostiene tutta la vita: Gesù Cristo. In questo senso, la vita senza Dio e senza la sua volontà e la sua comunione vivificante è davvero una morte 'vivente'.

Il concetto occidentale di peccato conduce a un vicolo cieco senza via d'uscita in cui l'obiettivo diventa "una paura egocentrica della trasgressione", e/o "la tendenza a sorvolare sul peccato o a raggiungere un accordo con esso", come giustamente sostiene il teologo ortodosso Christos Yannaras. È come se stessimo dicendo, "Oh, non ha importanza, sono davvero una 'brava persona', o si è trattato solo di una pia menzogna, una cosa piccola, oppure "lo fanno tutti..." Lo abbiamo sentito dire tutti prima d'ora o forse addirittura lo abbiamo detto noi stessi.

Questo genere di fraintendimento del peccato porta le persone a minimizzare il peccato e la sua triste influisce sulla nostra vita, la nostra personalità, il nostro essere con Cristo. Quando ci focalizziamo su di noi, e dobbiamo lottare da soli per essere giustificati, mentre siamo giudicati dai nostri peccati, dopo aver sconvolto la bilancia della giustizia, allora stiamo ancora perduti, non abbiamo alcuna via d'uscita, ma fingiamo di essere fondamentalmente persone "buone".

Se essere 'buoni' è la misura della nostra salvezza, allora siamo perduti. Cristo proclama: "Nessuno è buono, tranne uno, Dio". (Matteo 19:17). Quella che sembra una vanteria per "sentirsi bene", per ignorare il peccato e le sue conseguenze nella nostra vita, in realtà ci rende e ci mantiene spiritualmente ammalati; ignora il nostro bisogno di Dio, il nostro bisogno di un vero cambiamento che porta alla nostra lotta con le nostre passioni e alla salvezza.

Invece, è il nostro reale riconoscimento del peccato e il desiderio di un cambiamento del cuore, seguito dalla nostra confessione di quel peccato, che è la chiave per la nostra liberazione dalla schiavitù, dalla sua presa su di noi, e dalla conseguente separazione da Dio e dal nostro prossimo. Noi chiamiamo questo riconoscimento del peccato e la nostra conversione dalla fiducia in noi stessi alla fiducia in Dio 'pentimento', metanoia nel greco originale.

È solo nel riconoscere la verità su noi stessi e il nostro bisogno di Dio, il fatto che non possiamo diventare giusti o 'abbastanza buoni' per conto nostro per ereditare la vita con Dio iniziata da questo cambiamento. È nel riconoscere che abbiamo "sbagliato la mira", che non siamo riusciti a essere quello che siamo chiamati tutti a essere, che abbiamo qualcuno a cui rivolgerci, il Dio-uomo, il nostro Salvatore, Gesù Cristo. Egli ci guarisce del nostro peccato-malattia, ci cresce a Sua somiglianza, ci salva dal peggio di noi stessi in modo che possiamo diventare il meglio di quello che voi e io siamo stati creati per essere.

Possedendo e radicando la nostra identità, la nostra autostima, ciò che siamo in Cristo Dio, chiamati ad essere concittadini ed eredi di tutti i santi, partecipando nel Corpo di Cristo ai sacramenti, diventiamo passo dopo passo attraverso il pentimento, quei coeredi di Cristo che siamo chiamati ad essere.

Esistere come individui autonomi, anche 'buoni', non ci salva dal peccato e dalla morte. Ma rifugiarci nella Chiesa, partecipare alla vita sacramentale, mostrare il nostro pentimento attraverso la confessione, essere in comunione con Dio, ci libera dal peccato e ci fa crescere come uomini e donne di Dio, lottando passo dopo passo; e questa lotta, questo spirito penitente, porta frutto per la salvezza. Per questo motivo, confessiamo i nostri peccati regolarmente, non per liberare noi stessi dalla colpa, ma per essere liberati dal loro effetto debilitante, per essere guariti dalla diffusione della loro malattia, per ricongiungerci a Cristo Dio, per essere liberati e crescere nella nostra comunione con lui.

Cristo dice: "Chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato (Mt 23:12, Lc 14:11). Vediamo questa umiltà esemplificata nei santi. Pensiamo a san Giovanni Battista, che dice, "Egli (Cristo) deve crescere e io invece diminuire" (Gv 3). E vediamo questa umiltà nel centurione di oggi, Cornelio, un grande capo di 100 uomini agli occhi dello Stato, che dice a Cristo: "Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì solo una parola, e il mio servo sarà guarito".

Quando ci pentiamo, stiamo umiliando noi stessi davanti a Dio, ci stiamo affidando a Dio perché ci liberi dal peso del peccato, sollevi la sua presa su di noi, e ci orienti di nuovo alla vita con Dio, alla comunione con lui; siamo abilitati ed equipaggiati per vivere più intensamente, più abbondantemente per Dio, partecipando anche ora al Regno attraverso la vita sacramentale e nel nostro culto.

Non possiamo servire due padroni: o siamo schiavi del peccato e dell'auto-giustificazione, e in questo caso siamo bloccati, immobili, o diventiamo 'schiavi' di Dio, cioè, moriamo a noi stessi, al nostro focalizzarci su noi stessi, il nostro ego, il nostro orgoglio, il nostro desiderio di giustificarci, e invece permettiamo a Dio di cambiarci e di elevarci da schiavi ad amati figli e figlie dell'Altissimo. Questa è la direzione in cui ci porta il nostro cammino di deificazione.

E così, ci rifugiamo nella Chiesa, dove è dato significato e scopo alla nostra vita, un'identità non fondata su questo mondo passeggero, transitorio, ma un nome, un'identità, uno scopo che ci radichi in Dio, il solo eterno e immutabile. San Giovanni Crisostomo si chiede a questo proposito, "Avete peccato? Venite in chiesa e purificatevi. Per quanto spesso cadiate nel vostro cammino, per quante volte questo accada, risollevatevi; allo stesso modo, tutte le volte che peccate, pentitevi altrettanto spesso. Non perdete la speranza e non siate pigri, per non perdere la speranza nei beni celesti preparati per noi... Qui c'è l'ospedale; non il tribunale. Qui è dato il perdono... Venite e vedrete: il pentimento vi salverà ".

Queste sono le parole di verità che riceviamo in questa giornata. Il Signore disse al centurione a proposito del suo servo: "Io verrò e lo curerò". Con il nostro "sì" all'opera di Dio nella nostra vita, Gesù verrà e guarirà anche la nostra anima, "perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore". Nessuna anima aperta al cambiamento e alla trasformazione in Cristo, è al di là della portata di guarigione di colui che è il grande medico delle nostre anime e dei nostri corpi.

Padre Robert Miclean, americano di origini romene, è parroco della chiesa ortodossa dei santi Arcangeli ad Annapolis, nel Maryland. Serve anche come cappellano al St. John’s College e all'Accademia navale americana.

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