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  Domenica 4 novembre 2001 (22a dopo Pentecoste) Il ricco e Lazzaro (Luca 16:19-31)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Alla ventiduesima domenica dopo la Pentecoste è assegnata la lettura della parabola del ricco e di Lazzaro, che è riportata solo nel Vangelo di San Luca. Questo fatto non ci deve stupire come se fosse una curiosità, ma dovrebbe piuttosto farci apprezzare l'umanità degli evangelisti, che aveva prospettive leggermente diverse nel narrare gli stessi gesti e racconti del Signore Gesù Cristo. Il fatto che ogni vangelo abbia le sue particolarità dovrebbe anzi spingerci a leggerli tutti con interesse.

Tutte le parabole del Signore, come già abbiamo visto in molti casi, hanno un significato letterale e uno più profondo, che possono scoprire quanti desiderano fare uno sforzo per comprendere, e per raggiungere la salvezza. Questa parabola, in particolare, è ricca di MOLTI significati. Parla degli ebrei e dei pagani, rappresentati rispettivamente dal ricco e da Lazzaro. Fondamentalmente, dice che i pagani sono sulla soglia della salvezza, così come Lazzaro stava alle porte del ricco. Impariamo anche qualcosa sui giusti e sugli ingiusti, su come dobbiamo e su come non dobbiamo comportarci. Vediamo i frutti della sopportazione, e quelli dell'avarizia e della mancanza di compassione. Impariamo come agire quando siamo ricchi, e come agire quando siamo poveri. Inoltre, impariamo molte cose sulla vita futura, soprattutto sulla condizione dei dannati.

Questa parabola racconta molte cose sulla vita dopo la morte, e ci è di aiuto a rispondere a molte eresie sorte nel corso degli ultimi secoli. Una di queste è la dottrina (ripresa circa 150 anni fa dal movimento avventista) detta del "sonno dell'anima", che porta alle logiche (per quanto sbagliate) conseguenze il rifiuto protestante delle preghiere per i defunti: secondo queste idee, l'anima dei defunti entra in un periodo di incoscienza subito dopo la morte, per "risvegliarsi" solo all'ultimo giudizio. Proprio questa parabola ci mostra quanto questa dottrina sia in contrasto con l'insegnamento di Cristo, così come quelle dottrine che insegnano che l'inferno altro non è che un annientamento totale dell'anima e della coscienza. Inoltre, questo racconto dissipa le dottrine che tendono a rimuovere dall'uomo la responsabilità delle proprie azioni (responsabilità che il Signore sottolinea in ogni sua parola). Infine, alla fine della parabola, impariamo come bisogna ascoltare la Parola di Dio, e come non esista una seria alternativa a questa obbedienza: se non ascoltiamo la Parola di Dio, non ci sono altri mezzo che ci possono convincere, neppure se qualcuno risorge dai morti.

La parabola inizia così: "c'era un uomo ricco". Un uomo ricco - non ha neppure un nome. Ma perché? Le Scritture contengono numerosi riferimenti agli uomini ricchi di beni terreni, ma poveri di virtù, di cui si dimentica il nome (ovvero la memoria); pensiamo per esempio a quanto dice il profeta Giobbe (18:17): "Il suo ricordo sparirà dalla terra e il suo nome più non si udrà per la contrada." Così il ricco della parabola è un uomo senza nome: Dio si è scordato di lui, e ha tolto il suo nome dal Libro della vita.

Era "vestito di porpora e bisso (un tipo di lino molto fine), e banchettava tutti i giorni lautamente". Qui abbiamo due significati: gli ebrei erano "rivestiti" dalla legge, e la grazia di Dio era abbondante in loro, e certo non è un peccato essere ricchi dei doni di Dio, e neppure di saperli apprezzare. È però un peccato, un grande peccato, non sapere condividere. E il ricco aveva molto da condividere con Lazzaro, che era una persona da lui conosciuta, come vediamo alla fine della parabola. Anche nell'inferno si ricordava del suo nome, mentre possiamo essere sicuri che non si fosse mai preoccupato durante la vita di dirgli una sola parola, o di dargli uno sguardo compassionevole.

E c'era "un mendicante, di nome Lazzaro": ecco, quest'uomo HA un nome. Dio lo conosce, e lo conosce BENE. Lazzaro rappresenta i pagani, che a quel tempo erano davvero mendicanti, ancora alle soglie del Regno che ancora non era stato loro rivelato. "La loro memoria sia di generazione in generazione", così diciamo dei giusti che hanno trovato riposo nel Signore. Ecco perché l'identità di Lazzaro - tanto anonimo nella vita terrena - è ricordata, mentre il ricco resta privo di nome e di volto nella vita futura.

Si dice che Lazzaro "giaceva alla porta, coperto di piaghe." Anche qui ci sono due significati. Questa porta alla quale aspettano i pagani, è la soglia stessa della salvezza. Mentre le prostitute e i pubblicani entrano nel Regno, i farisei e sadducei non se ne rendono conto, perché sono troppo arroganti per vedere. Pensano che la loro porpora e il loro bisso durino per sempre, e di fatto non è così.

Abbiamo qui anche un altro significato a cui pensare. Chi giace alla nostra porta? Abbiamo qualche mendicante, che chiede vestiti, denaro, salvezza, tranquillità, consolazione? C'è qualcuno che facciamo finta di non conoscere? Il ricco non aveva scuse, perché conosceva Lazzaro. Lo vedeva ogni giorno (visto che si parla dei suoi banchetti quotidiani, e del desiderio di Lazzaro di sfamarsi alla sua mensa), e tuttavia lo ignorava.

E che cosa sono queste piaghe? Sono i  peccati. Lazzaro era benedetto dal Signore, eppure era anch'egli un peccatore, come tutti noi. Eppure, le ferite dei suoi peccati erano sulla superficie della pelle. I cani stessi, leccandolo, erano in grado di portargli sollievo. Le ferite del ricco erano interiori. Non potevano essere viste e purificate, e così il ricco morì nei peccati. Quando confessiamo i nostri peccati, li portiamo alla superficie, così la nostra anima non rischia di andare in cancrena, ritrovandoci a dover confessare i nostri peccati in un momento in cui non c'è più perdono.

L'immagine delle piaghe di Lazzaro leccate dai cani ci parla anche della sua solitudine. È un uomo privo di conforto. Solo i cani vengono da lui. E la solitudine che deve sopportare, il freddo, la nudità, la fame, la paralisi, il disprezzo, assieme al calore e al lusso dei cibi che vede sulla tavola del ricco, costituiscono tutti una prova che gli dona grandezza d'animo. Il testo non fa parola di un singolo suo lamento.

"Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo." La morte del povero, per questo mondo, è un evento del tutto trascurabile. Non si parla della sua sepoltura. Probabilmente, come accadeva per tanti mendicanti, qualcuno ne prese il corpo e lo gettò in qualche fossa comune. Nessuno venne a pregare per lui. Nessuno se ne occupò. Il ricco potrà avere notato la sua assenza qualche giorno dopo la morte. "Oh, non c'è più quel fastidioso mendicante. Meno male...". La sua morte non creò conseguenze nella società umana di quel tempo.

Ma non morì da solo: la sua morte fu causa di grande gioia nei cieli, e gli angeli lo scortarono nel seno di Abramo. Così capita alla morte dei giusti: il mondo non ne vede che un'immagine deformata.

Che cos'è il seno di Abramo? Naturalmente, è la salvezza. Il riferimento ad Abramo è importante per mostrare agli ebrei la loro stoltezza. E la lezione fu capita. Questa divenne una delle ragioni per cui gli ebrei odiavano tanto Gesù: l'immagine dei pagani che ereditano la salvezza promessa ai discendenti della stirpe di Abramo.

Vediamo invece come è descritta la morte del ricco: "Morì anche il ricco e fu sepolto." Punto. Il Signore parla di una sepoltura, ma senza menzionare nessuno. Il ricco muore da solo! Certamente, la sepoltura di un ricco era un evento notevole, con molto sfarzo, con persone (pagate) che facevano lamenti funebri, processioni, e così via. Dovevano esserci molti familiari (normale, per un uomo che lasciava cinque fratelli ancora in vita), servitori e altri conoscenti. Ma questi non compaiono nel racconto del funerale. Perché? Perché probabilmente non lo amavano affatto, e non avevano per lui nemmeno quell'affetto mostrato dai cani che leccavano le piaghe di Lazzaro. C'erano probabilmente debitori lieti della sua morte che li liberava da obblighi di pagamento, e tanti familiari che erano ansiosi di ereditare da lui, e di mettere le mani sui suoi beni.

Subito dopo la sepoltura, vediamo il ricco tra i tormenti dell'inferno, a elevare gli occhi e a vedere da lontano Lazzaro nel seno di Abramo. Questi tormenti, che ben giustamente sono paragonati a un'arsura inestinguibile, sono tutti i rimorsi, gli "avrei dovuto", gli "avrei voluto" e gli "avrei potuto" della vita, a cui non si può più rimediare. È importante anche il particolare della lontananza: Abramo è lontano, perché è il ricco ad aver deciso di essere lontano dalla luce. Il ricco vede Lazzaro, ma Lazzaro non vede il ricco. Lazzaro è nella beatitudine, e non è gravato dal peso della conoscenza della situazione del ricco. Anche in questo mondo, chi è nella luce ha problemi a vedere chi sta nel buio, ma chi sta nel buio può vedere facilmente quanti stanno in piena luce.

Ora, non lasciamo che il diavolo ci inganni, facendoci temere per la sorte dei nostri cari, chiedendoci come mai potremmo essere felici sapendo che anche una sola persona a noi cara non è in cielo. Ma questa non è una preoccupazione giusta e doverosa: l'unica nostra vera preoccupazione è quella di giungere noi stessi alla salvezza, perché se non salviamo la nostra anima, come possiamo mai aiutare qualcun altro a salvare la propria? Preghiamo il Signore per la nostra salvezza, e preghiamo per tutti quanti ci sono cari.

Una preghiera sincera può essere di aiuto, così ci insegna a credere la Chiesa, anche per lenire i tormenti di chi soffre nell'inferno. Per questo il ricco chiede ad Abramo di mandare Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua. Ma a colui che negò a Lazzaro una singola briciola non può ricevere neppure il beneficio di una goccia sulla lingua.

Ricordiamo che il ricco era un ebreo, che probabilmente andava in sinagoga, diceva qualche preghiera in cui non credeva, e faceva qualche elemosina solo per farsi notare. E sono queste cose a bruciare in lui con il fuoco della disperazione: la lingua brucia per l'ipocrisia di cose dette e non messe in pratica, per una fede professata ma non creduta veramente.

Abramo ha compassione di lui, e lo chiama figlio, ma questo non è in grado di fargli del bene, ora. Gli dice "hai ricevuto i tuoi beni durante la vita". In alcune lingue, quali lo slavonico e il greco, questo termine "ricevere" ha il significato di "ottenere il frutto di ciò che si è fatto". Ora il ricco semina ciò che ha raccolto, e dato che non ha seminato, non resta nulla da raccogliere. Ha deciso nella sua vita, come Esaù, di scambiare la propria primogenitura con un piatto di lenticchie. Ha fatto la sua scelta, e ha deciso ciò che voleva. Anche noi possiamo fare questa scelta: quando vogliamo i nostri beni? Tutti e subito, o nel Regno dei Cieli? Non avremo nulla nel Regno, se cerchiamo ora solo la felicità mondana.

L'abisso intransitabile di cui parla Abramo è scavato dalle mani stesse del ricco,  che vi è saltato dentro di propria iniziativa. Nonostante non possa varcarlo, il ricco si pente, e vuol fare ammenda. Non è un uomo del tutto privo di buoni sentimenti. Anche la sua memoria è conservata, al punto che invita Abramo a intercedere presso i suoi fratelli. I sensi e la comprensione nella vita futura, in cui saremo privi del fardello della carne, saranno più forti e più fini di quelli attuali,. Anche i tormenti si fanno più forti, e i desideri di piacere e di ricchezza resteranno per l'eternità: "il loro verme non muore e il loro fuoco non si estingue".

Alla richiesta di inviare Lazzaro ai fratelli, Abramo risponde "hanno Mosè e i profeti (ovvero, la parola di Dio); ascoltino loro". Il ricco sa che ciò non sarà abbastanza (non lo è stato per lui...), e prega Abramo di operare un miracolo di risurrezione: nella risposta di Abramo, "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi", si compendia la risposta degli ebrei alla risurrezione di Cristo stesso (l'ascolto di questa parabola deve avere accresciuto ancor più l'odio di quanti già cercavano di mettere a morte il Signore).

Perché alcuni non vengono "persuasi", né dalla Parola di Dio né da ovvi miracoli? Perché molti che si dicono cristiani hanno difficoltà a "persuadersi" a vivere come tali. Il ricco, come tanti, diceva di credere, ma non cambiava. Lazzaro, attraverso la pazienza e la perseveranza, è stato salvato. Che il Signore ci aiuti a sopportare tutte le sofferenze, a cambiare per essere simile a lui, a essere pazienti, e alla fine a vederlo in paradiso.

Amen.

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