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  Domenica 5 agosto 2001 (9a dopo Pentecoste) Il Signore cammina sulle acque (Matteo 14:22-34)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Nel Vangelo della nona domenica dopo la Pentecoste la Chiesa ci presenta l'episodio del Signore che cammina sulle acque. Il capitolo è il 14° di Matteo, subito dopo il brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci (che abbiamo letto la settimana scorsa). Il popolo desidera acclamare Gesù come re, ed egli invece si ritira su una montagna a pregare. La prima lezione di questo brano del Vangelo è che abbiamo bisogno di cercare anche noi la stessa quiete e solitudine, anche se per grazia di Dio abbiamo potuto davvero essere per gli altri fedeli un veicolo di nutrimento spirituale. Troppe sono le tentazioni che vengono anche da un uso smodato del bene, e solo la preghiera ci rende capaci di camminare sulle acque della vita.

Già in un altro brano (nel capitolo 8° di Matteo) gli Apostoli sono colti in barca da una tempesta; il Signore è in mezzo a loro, ma dorme, e sono gli Apostoli stessi a svegliarlo supplicandolo di salvarli. Vale la pena ricordare che quest'altro evento era accaduto all'inizio del ministero di Gesù, quando i suoi discepoli erano ancora deboli nella loro fede. La loro paura, pure con il Signore tra di loro, si spiega con la debolezza della loro fede agli inizi. Nel brano che abbiamo ascoltato oggi, invece, la fede degli Apostoli si è irrobustita crescendo accanto a Gesù (la stessa cosa che accade anche a noi...), e il Signore può permettere che essi attendano una notte intera nella tempesta, senza di lui. Ricordiamoci di questo punto, quando con il passare del tempo ci sembra di essere sempre più abbandonati da Dio. In realtà Egli è più vicino che mai, ma aspetta che noi stessi impariamo a camminare da soli al Suo servizio.

È solo alla fine della notte (letteralmente, "alla quarta veglia", cioè dalle 3 alle 6 del mattino) che il Signore si presenta, indicando che il suo intervento non è una "riparazione veloce" (come siamo giunti ad aspettarci sempre più frequentemente nella nostra società), ma il frutto di una lunga lotta contro le tentazioni, vissuta con pazienza e fede. E sempre, quando si avvicina, il Signore si fa conoscere con le parole alle quali i nostri cuori si aprono in risposta: "Coraggio, sono io, non abbiate paura".

La barca in cui si trovano i discepoli è una stupenda immagine della Chiesa, nella quale siamo al sicuro anche se colpiti dalle onde della nostra vita (il mare in tempesta). I fianchi della barca, contro i quali si frangono le onde, sono le regole e i comandamenti della Chiesa. Il Signore può permettersi di camminare sopra le onde delle passioni e delle tentazioni, ma per noi l'impresa può risultare più difficile, come Pietro scopre, per così dire, sulla propria stessa pelle.

Riconoscendo il Signore, Pietro, DI SUA VOLONTA' chiede di lasciare la barca per avvicinarsi a Cristo, che glie lo concede. Il risultato per noi è molto istruttivo: dobbiamo cercare di fare le cose non di nostra volontà, per quanto nobili siano le nostre intenzioni, ma invece cercare sempre la volontà di Dio. Il pericolo è la perdita della nostra fede, come accade a Pietro quando il vento lo riempie di paura (la cosa deve essere ritornata in mente a Pietro, quando dopo avere confidato sulla forza della propria fede, finì per rinnegare Cristo). Ricordiamoci anche della barca come immagine della Chiesa. "Stare nella barca" è ben di più che seguire una serie di regole; è vita, è funzionare come membra del corpo di Cristo. Tutte le volte che scegliamo di seguire il nostro sentiero, invece di quello che ci indica la Chiesa, ci avventuriamo senza protezione tra le onde della vita. Per quanta possa essere la forza della tempesta, la Chiesa è pur sempre LA barca, l'unica che porta gli Apostoli, e alla quale arriva il Signore.

Amen.

 

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