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  Domenica 9 dicembre 2001 (27a dopo Pentecoste) La guarigione in giorno di sabato della donna inferma da 18 anni (Luca 13:10-17)
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Nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito.

Nel Vangelo di oggi leggiamo della guarigione di una donna da un'infermità che la tormentava da diciotto anni, e questa guarigione avviene in giorno di sabato. Come al solito, nei passi del Vangelo ci sono un senso esteriore e uno interiore. Il senso esteriore è abbastanza ovvio da vedere, nelle parole di Gesù Cristo che rimprovera il capo della sinagoga: il senso è che non esiste un periodo prefissato per la misericordia di Dio: ogni momento è adatto per una manifestazione di misericordia, a cui non dovremmo anteporre alcuna prescrizione legale. Il senso interiore si comprende invece dall'infermità della donna, che è ripiegata su se stessa e non riesce a rizzarsi in piedi. C'è un grande significato racchiuso in questa malattia, e nella sua guarigione in un giorno di sabato.

Il Signore insegnava di sabato in una sinagoga ebraica, come da sua abitudine. È un'abitudine molto ebraica di stare tutto il giorno di sabato in sinagoga a parlare delle cose di Dio. E noi cristiani cerchiamo di emularla in modo povero, purtroppo non come facevano gli apostoli e i primi cristiani, tanto ricchi di zelo. Ma serviamo la Grande Veglia e la Divina Liturgia, e in questi momenti abbiamo anche l'occasione di sentire, nella predicazione, una spiegazione e un commento della Parola di Dio. E, credetemi, ne abbiamo bisogno: dovremmo alimentarci continuamente alla sorgente della santità, perché siamo immersi in un ambiente soporifero di preoccupazioni, piaceri e illusioni mondane. Dobbiamo fare qualcosa perché queste distrazioni non prendano il sopravvento: di certo, qualche ora a contatto con cose sante non ci rende subito santi, ma ancor più non possiamo pensare di diventare santi se non passiamo del tempo a lasciare che la santità tocchi e trasformi la nostra vita. Lo scopo delle nostre riunioni di culto al sabato e alla domenica è di lasciare che Dio operi in noi qualcosa con la partecipazione ai suoi Misteri, che sono la medicina dell'immortalità. Ma ci riuniamo anche per gustare la dolcezza dell'insegnamento teologico della Chiesa. Si tratta di parole ispirate da Dio, che respirano con il respiro stesso dello Spirito Santo. E se ascoltiamo e preghiamo, possiamo percepirlo noi stessi: possiamo sentire Dio che parla nelle funzioni della Chiesa!

Sabato e domenica sono consacrati al nostro ricordo di Dio. E anche se tendiamo a distrarci e a cadere nel peccato, facciamo anche un certo sforzo in questi giorni per mantenere vivo in noi il ricordo di Dio. E tale sforzo è proprio l'elemento che ci fa percepire Dio. Non lamentiamoci, pertanto, perché le funzioni della Chiesa sono così lunghe e complesse: più è alto lo sforzo che noi facciamo a partecipare, più è alto il nostro livello di comprensione di Dio: e questo è un tesoro di enorme valore, che dà senso a tutta la nostra vita, e che portiamo con noi anche quando usciamo dalle chiese.

Continuiamo a sforzarci, e il Signore ci aiuterà, così come ha fatto con la donna di cui abbiamo letto nel Vangelo di oggi.

Il Dio-uomo può dire semplicemente "Sei libera", per guarire la donna da un'infermità di dolore e tristezza durata diciotto anni. Si tratta di un tempo ben lungo, e i Padri ci fanno notare che anche la menzione della durata ha un significato: è per mostrarci che si tratta di un'opera di Dio, che siamo nel territorio di Dio, per così dire. E si tratta di un miracolo semplice, senza molta fanfara. Non ci sono eventi che si snodano lentamente fino alla conclusione miracolosa, come nel caso della figlia di Giairo, il cui episodio abbiamo letto da poco. La stessa semplicità e schiettezza del miracolo, il breve comando che libera la donna, sono la prova che Colui che ci ha creati può liberarci dal male con una sola parola. E nessun uomo può fare tanto. Anche la sapienza dell'Antico Testamento, fissandosi sulla vanità delle cose umane, ricorda come "ciò che è piegato non può essere raddrizzato" (Qoelet 1:14). Dicendo alla donna "sei libera", il Signore le dice "tu non puoi aiutarti da sola, ma io posso. Sono giunto ad aiutarti, e lo farò, liberandoti dai tuoi peccati e dalle tue passioni". Essere ripiegati su se stessi è una metafora per il peccato e l'egoismo, che ci fa perdere nella vanità del mondo. E il Signore non solo ci guarisce, ma vuole che possiamo vederlo come guaritore.

Perché era oppressa, questa donna? A causa dei suoi peccati che l'avevano messa in balia di satana, come è evidente dalle parole stesse di Gesù al capo della sinagoga. La sofferenza resta sempre un mistero. Talvolta si soffre a causa dei propri peccati, altre volte no. Ma questa è una cosa che non ci è dato di sapere. Alcuni prosperano da malvagi, altri soffrono da giovani e virtuosi. Alcuni hanno grandi difficoltà e ad altri sembra andare tutto bene. Dio conosce ciò che è meglio per noi, e per la nostra salvezza. Nel caso della donna, c'era una sofferenza a causa di peccati, ma questa sofferenza era sopportata con coraggio. E la donna andava al tempio, mantenendo nel proprio cuore la speranza di essere curata.

Ricordiamo un altro miracolo di Cristo, quello in cui un paralitico riacquista l'uso delle gambe nello stesso momento in cui il Signore perdona i suoi peccati. Anche nel caso della donna c'è un rapporto tra peccato e infermità, e nel liberarla dalle infermità, Cristo la libera dai peccati. In tal modo, rialzandosi, la donna può vedere in faccia il Figlio di Dio, e iniziare a vivere una vita cristiana.

Il Signore, per la verità, è venuto a raddrizzare le storture di tutti noi. Lo annuncia anche il Battista, parlando di "raddrizzare le Sue vie". Solo Dio può raddrizzare ciò che è storto.

E cosa accade quando la donna è libera? Si mette a lodare Dio, e ci si può immaginare che tutti ringrazino il Signore con un senso di timore riverenziale. Ma che capita? Il capo stesso della sinagoga, indignato, rimprovera questo atto di guarigione, poiché è avvenuto di sabato. Dietro l'impressionante stupidità di queste parole, si avvertono gelosia e ire, che offuscano la mente e fanno dire sciocchezze. Chi può paragonare la misericordia di Dio al lavoro ordinario nei campi? E del resto il sabato è un giorno di riposo, ma Cristo, liberando una donna tormentata da diciotto anni, non sta proprio portando il sabato al suo compimento? Nel giorno del riposo, le dona il riposo! Bisogna essere ben stupidi e pieni di arroganza, per non vederlo.

Notate come si esprime il capo della sinagoga. Non si rivolge direttamente a Cristo, come se non avesse il coraggio di farlo. Ma cerca l'approvazione degli altri, per farseli complici. E il Signore invece si rivolge proprio a lui, e gli risponde in modo semplice e diretto. La misericordia di Dio è adatta al sabato, perché è adatta a ogni istante della vita. E chi lo mette in dubbio non è un credente genuino, è un ipocrita. La donna (così come Zaccheo, in un'altro episodio) è detta "figlia di Abramo" ossia vivente nella fede del popolo di Dio, ma il capo della sinagoga, che probabilmente avrebbe protestato di avere anch'egli Abramo per Padre, non merita questo appellativo: "se fosse figlio di Abramo, farebbe le opere di Abramo" (cfr. Gv 8:39). Essere chiamati figli di Abramo significa credere e agire secondo la propria fede. Anche se abbiamo peccati che ci piegano a terra, Dio ci libererà a seconda della nostra fede e del nostro impegno, e ci metterà in grado di vivere virtuosamente.

Sradichiamo pertanto dalla nostra vita l'ipocrisia. Se c'è qualcosa che ci fa credere di essere superiori, che ci fa cercare gli onori e l'approvazione degli uomini, chiediamo a Dio di illuminarci, e di perdonarci. Facciamo uno sforzo per vivere noi stessi secondo i comandamenti di Dio, senza invidiare la misericordia che Egli vuole elargire a quanti stanno intorno a noi. Verrà allora anche per noi il tempo in cui, liberandoci dal peso dei nostri peccati, ci permetterà di raddrizzarci e di guardarlo faccia a faccia.

Amen. 

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