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  Una storia di insipienza pastorale: la chiesa di South Stony Island Avenue a Chicago
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Fin troppo spesso, la vanità umana ci fa pensare che stiamo facendo qualcosa di buono – senza chiedere aiuto a Dio e al prossimo – usando i nostri talenti e le nostre ricchezze per iniziare una parrocchia o per costruire una chiesa. Ma in questo modo raramente produciamo qualcosa di utile, e anche le costruzioni che ne risultano servono spesso come dimostrazioni di uno sforzo sprecato.

Un esempio di questa attitudine è il grande edificio di culto che si erge al numero 7351 di South Stony Island Avenue, nel sobborgo meridionale di South Shore a Chicago.

George DeMet, ovvero Georgios Demetropoulos, un greco americano che aveva fatto fortuna nell’industria dolciaria e nei ristoranti, decise di donare una gran parte delle sue ricchezze per far costruire una magnifica chiesa greco-ortodossa, progettata sul modello di Santa Sofia a Costantinopoli, e dedicata ai santi Costantino ed Elena.

il progetto iniziale

Non è chiaro se fosse stata chiesta e ricevuta una benedizione episcopale per il progetto, o se fosse stato consultato il clero ortodosso locale, oppure se la scelta della località fosse stata finalizzata a operare un cambiamento demografico al quartiere: pare comunque che tutti tranne il donatore sembrassero convinti che si trattava di un’impresa destinata al fallimento.

La chiesa fu inaugurata e le fu assegnato un prete, ma quasi nessuno veniva alle funzioni, poiché la chiesa era in un “quartiere in cambiamento” (espressione eufemistica per indicare il degrado delle zone urbane in fase di spopolamento). Forse George DeMet aveva sperato che la creazione della parrocchia avrebbe ribaltato la tendenza al degrado, ma così non avvenne.

Dopo una vita sorprendentemente breve come chiesa parrocchiale, il locale fu venduto nel 1972 ai ‘musulmani neri’ di Elijah Muhammad. Il successore di Elijah Muhammad, Louis Farrakhan, lo riaprì nel 1988 come moschea: ancora oggi è nota con il nome di “Mosque Maryam” o “Temple #2”.

La croce sulla cupola dorata è stata rimpiazzata da una mezzaluna con stella, e la navata è divenuta una sala di preghiera, piuttosto insolita per una moschea a causa della presenza di banchi (e in seguito di file di sedie).

Anche l’iconostasi in marmo è stata trasformata in un elemento di un elaborato minbar (pulpito).

La morale di questa storia è che le nostre ambizioni personali sono spesso delle vie che portano a delusioni. Anche quando crediamo di avere generosamente offerto il meglio di noi stessi, dobbiamo cercare di “sottomettere ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo” (2 Cor 10:5), e permettere che i nostri progetti siano guidato dalla tradizione della Chiesa e dal buon senso invece che dai nostri meri sentimenti.

Soprattutto in un paese relativamente povero di parrocchie ortodosse come l’Italia, dobbiamo ricordare che probabilmente non siamo i primi ad aver notato l’assenza o la scarsità di luoghi di culto ortodossi. E se la cosa è stata notata anche da altri, forse ci sono delle ragioni per cui i progetti di chiese che a noi stanno a cuore non si sono realizzati. Non dimentichiamoci mai di chiedere il parere del vescovo, di consultare il clero ortodosso che già opera sul luogo o nelle vicinanze, e di studiare la popolazione che dovrebbe frequentare le chiese che abbiamo in progetto nella nostra mente.

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