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  Il rito occidentale e i suoi problemi pratici

Come fare attenzione a non costruire una casa sulla sabbia

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Negli ultimi 60 anni, all'incirca, ci sono stati in Italia diversi tentativi di proporre un'Ortodossia di rito occidentale, che hanno avuto alterne vicende, e che si sono tutti estinti nel tempo.

Paradossalmente, il numero di italiani coinvolti nei primi di quei tentativi (parliamo di alcune migliaia di persone) è superiore a quello degli italiani entrati nella Chiesa ortodossa attraverso le sue parrocchie di "rito bizantino" in tutti questi anni.

Questo strano contrasto è dovuto più che altro a un fattore sociologico: intorno agli anni '60, le comunità parrocchiali erano molto più ampie e compatte, e quando una di queste comunità lasciava il cattolicesimo romano per aderire al rito occidentale della Chiesa ortodossa (rito e chiesa di cui magari – sia detto senza cattiveria – capiva ben poco), riusciva ancora a coinvolgere centinaia di persone. Oggi un fenomeno simile (se mai accadesse), dovrebbe essere di grande portata per interessare più di qualche decina di persone, e forse anche di meno.

Questa è una ragione per cui chiunque vuole iniziare una comunità ortodossa di rito occidentale in Italia deve considerare a mente molto fredda se avrà abbastanza risorse umane e materiali da non trovarsi a costruire una casa sulla sabbia. Non parliamo di liceità di un'Ortodossia di rito occidentale, perché il fatto che ci siano Chiese ortodosse che ammettono un rito occidentale (oggi in particolare il patriarcato di Antiochia e la ROCOR) è un dato incontrovertibile. Ci soffermiamo piuttosto sugli aspetti pratici: le difficoltà di avviare una comunità, di darle gli strumenti giusti, di fornirle una continuità nel tempo, e soprattutto di non farla soffrire di un complesso di marginalizzazione nello stesso mondo ortodosso.

Statue e icone

Qui non vogliamo riprendere il problema teologico delle statue rispetto alle icone nella tradizione ortodossa, ma solo riflettere sul fatto che le statue compaiono per davvero nelle chiese ortodosse di rito occidentale, e quindi possono essere richieste anche in Italia. In alcuni ambienti di rito occidentale si sente dire che per la verità le statue non sono ammesse, ma le vediamo comunque (basta fare una semplice ricerca per immagini in rete), e ci sembra che questa posizione contraria all'uso delle statue sia più che altro un pio desiderio di una minoranza.

Ora, il costo delle statue è un fattore da tenere in considerazione quando si vuole allestire un locale di culto di rito occidentale. Mentre una chiesa di rito orientale ai suoi inizi, con costi contenuti, può essere riempita di riproduzioni di icone (anche di grandi dimensioni) senza che si noti una stridente differenza con le icone dipinte, l'unico modo di arredare una chiesa con statue di basso costo è usare riproduzioni in plastica, la cui differenza con le statue di marmo, pietra, legno o metallo si nota immediatamente. Se si vogliono statue di una certa qualità, il fattore dei costi si farà subito sentire in una comunità piccola o in fase iniziale.

Richiamiamo inoltre l'attenzione su questo diagramma di chiesa ortodossa occidentale:

La prima reazione possibile è notare che in Italia (tranne in certi posti isolati sulle Alpi) le chiese di questa forma NON sono comuni, ma quand'anche si possa costruire ex novo una semplice chiesa "a capannone" con il tetto spiovente, la principale parte affrescata di questa chiesa dovrebbe essere il soffitto. In altre parole, per avere una chiesa che realmente renda tutto lo splendore iconografico del rito occidentale, la si dovrebbe costruire da zero e affrescarla sulla parte meno accessibile e più estesa. I costi sono tali da mettere paura, soprattutto in presenza di congregazioni non numerose (per le quali si legga più avanti).

Una molteplicità di riti

Qualcuno presenta il "rito occidentale" come se si trattasse di un'alternativa univoca al cosiddetto "rito bizantino", ma in realtà ce ne sono in uso una mezza dozzina, piuttosto distanti l'uno dall'altro. Rito gallicano, Messale di Sarum, Liturgia di San Gregorio, Liturgia di San Pietro, Liturgia di San Tikhon... solo per citare i riti che sono stati impiegati in un momento o in un altro da alcune delle principali giurisdizioni ortodosse nel corso dell'ultimo secolo. Per giunta, si nota spesso negli ambienti ortodossi di rito occidentale un interesse attivo per i riti occidentali marginali (come il rito ambrosiano o il rito mozarabico) ancora esistenti nel cattolicesimo romano. Un simile caos di proposte alternative è poco incoraggiante per una comunità agli inizi. Certo, in una determinata giurisdizione la scelta potrebbe essere limitata a uno (o tutt'al più a due) di questi schemi liturgici, ma la comunità che nasce non sarà certo incoraggiata dal sapere che il suo modo di celebrare non sarà neppure lo stesso degli altri centri dell'Ortodossia di rito occidentale nel mondo.

Costi e disponibilità degli arredi

Alcuni decenni or sono, per arredare una chiesa di rito occidentale in Italia, c'era a portata di mano una fonte insperata: con il rinnovamento liturgico in seguito al Concilio Vaticano II, talvolta intere sacrestie erano letteralmente regalate a chi era disposto a svuotarle. Oggi questi anni di abbondanza sono praticamente finiti, e gli oggetti liturgici tipici dei riti occidentali sono tornati a essere rari e costosi. Di converso, la disponibilità di forniture liturgiche "bizantine" in Italia non è mai stata tanto ampia e a buon prezzo come oggi.

Pratiche di digiuno

Anche se non sono seguite ovunque con lo stesso rigore, le pratiche del digiuno ortodosso sono conosciute e radicate a livello popolare. Tra gli ortodossi di rito occidentale, c'è talvolta un riferimento ideale ai digiuni dell'Occidente cristiano, come codificati in tempi medioevali. Mentre è vero che tali digiuni non erano sostanzialmente diversi da quelli ancora in uso tra gli ortodossi, è altresì vero che non esiste più una continuità di pratica (neppure nel cattolicesimo romano, che ne ha mantenuto una parte minimale), e oggi un ortodosso di rito occidentale non ha altra scelta che adottare sic et simpliciter le pratiche di digiuno dei suoi fratelli "orientali", se non vuole imbarcarsi in una serie di sperimentazioni selvagge e del tutto ipotetiche.

Cosa è Ortodossia latina e cosa non lo è

Quando si pretende di far rivivere l'antico Occidente ortodosso, si deve essere MOLTO sicuri di quel che si fa. La nostra conoscenza dell'Ortodossia latina pre-scismatica è, al meglio, frammentaria, e spesso questi frammenti non riescono a riunirsi assieme in un quadro coerente, se non dopo gli sforzi di studio di tutta una vita.

In attesa di un quadro davvero coerente, certe prese di posizione su ciò che è davvero ortodosso latino suonano molto ridicole. Una pagina che pretende di dare istruzioni su come allestire una "chiesa latina ortodossa" offre un esempio molto chiaro in tal senso:

Sull'altare ci siano solamente due candele, di altezza uguale e di cera, e non sei. Quest'usanza dei sei ceri è una tradizione cattolico-tridentina.

Qualche povero e ingenuo fedele che si è votato alla restaurazione dell'antica Ortodossia occidentale, leggendo simili istruzioni, penserà che le chiese dell'Occidente ortodosso avessero rigorosamente due candele sulla tavola dell'altare, ai fianchi di un crocifisso, e che l'usanza di mettere sei candele (tre per lato) sia una di quelle degenerazioni barocche che hanno allontanato l'Occidente dall'Ortodossia. Purtroppo, non è così. Fin dall'era sub-apostolica, ispirandosi ai sette spiriti davanti al trono di Apocalisse 1:4 (e con un evidente rimando simbolico alla menorah dell'Antico Testamento), i cristiani hanno acceso dove possibile sette luci dietro la tavola dell'altare. Questo costume si è sviluppato in Oriente nell'uso di un candelabro a sette lumi (diffuso oggi nell'Ortodossia russa), e nell'Occidente latino in sette candele, delle quali quella centrale era posta dietro al crocifisso (con un interessante effetto visivo di una luce che sembrava emanare dalla croce centrale). Poi, forse per ragioni pratiche (era difficile posizionare e accendere ceri dietro ai crocifissi degli altari maggiori delle chiese cattolico-romane), i ceri sono rimasti sei, quelli laterali, e talvolta si è usata la giustificazione simbolica che la settima "luce" è la croce stessa. Questo uso è stato fissato come normativo dal Concilio di Trento, con il risultato che, per reazione, i protestanti hanno ripreso un'usanza minimale (diffusa ancora oggi nell'Ortodossia greca) di due sole candele. Quale dei due usi è "ortodosso"? Entrambi. Quale è "ortodosso latino"? Entrambi, o nessuno... certamente, vedere i difensori dell'antica Ortodossia "latina" che impongono di servirsi degli usi moderni della Liturgia greca (...e protestante!) farebbe piuttosto ridere, se non fosse profondamente deprimente.

Un sostenitore del rito occidentale deve essere consapevole che ogni sua scelta di determinazione di una usanza di Ortodossia latina, pur accettata con ingenuità e innocenza, rischia di fargli fare la figura dell'ignorante presuntuoso.

Scarsi numeri

Chi si occupava di una chiesa ortodossa di rito occidentale in Italia mezzo secolo fa, aveva a che fare con centinaia di fedeli. Oggi, chi vuole avviare una comunità simile deve essere mentalmente preparato a gestire un gruppo di meno di una decina di persone. Non è un'esagerazione per drammatizzare; prendiamo esempio da due paesi che, seppure agli antipodi, sono considerati parte del mondo occidentale e in cui la partecipazione alla vita delle chiese non è certamente più in crisi che in Italia: la Nuova Zelanda e l'Australia.

Il nostro confratello irlandese, lo ieromonaco Ambrose (Mooney), serve da 35 le comunità ortodosse in Nuova Zelanda, e ha osservato in tutti questi anni il progresso del rito occidentale in Nuova Zelanda e in Australia. Ecco i dati che ci ha comunicato nel 2009:

- Parrocchia missionaria dell'isola meridionale della Nuova Zelanda a Christchurch: dopo aver operato per oltre 30 anni con un prete molto entusiasta e competente, contava 2 parrocchiani.

- Parrocchia missionaria dell'isola settentrionale della Nuova Zelanda a Wellington: dopo aver operato per 7 anni con un prete e dal 2008 con un diacono, contava 4 parrocchiani.

- Monastero di San Petroc a Cascades in Tasmania (Australia): dopo 17 anni di attività contava 2 monaci (è stato poi chiuso definitivamente nel 2012, prima di raggiungere i 20 anni di attività).

- Missione a Launceston (la seconda città della Tasmania): iniziata dal monastero di san Petroc, aveva raggiunto il numero di 9 membri, prima di essere chiusa.

- Missione a Hobart (la capitale della Tasmania): iniziata dal monastero di san Petroc, contava 5 membri.

Ovviamente, non si può valutare il livello di vita spirituale dal numero dei fedeli, ma chi si vuole dedicare completamente al rito occidentale deve non solo essere consapevole che non si troverà di fronte una reale probabilità di crescita, ma dovrà anche saper trasmettere dati realistici ai fedeli, senza ingannarli con miti di sviluppo missionario.

Un ambiente alieno… a metà

La giustificazione che il rito occidentale è "più vicino alla mentalità dei cristiani in Occidente" regge solo fino a un certo punto. Di fatto, può essere più facile (e mentalmente più liberatorio) entrare a far parte di un ambiente in cui si deve adottare tutta una nuova serie di comportamenti e di modi di pietà, piuttosto che rimanere in una "terra di mezzo" in cui alcune cose vanno bene, altre assolutamente no, e una gran quantità di cose sono lasciate al capriccio della singola comunità locale. Può essere estremamente frustrante sentirsi dire di avere il "diritto" di celebrare una forma arcaica di rito occidentale, ma di dovere al tempo stesso cambiare il modo di farsi il segno della croce o di ricevere la comunione, di avere il diritto alla Benedizione eucaristica ma non alla Via Crucis, di poter avere le vetrate istoriate ma non i banchi su cui sedersi, e magari, a seconda della chiesa frequentata, di scoprire che queste regole non sono le stesse in tutte le chiese di rito occidentale.

I vescovi, questi sconosciuti

Un vescovo che non conosce la prassi liturgica di una delle sue parrocchie potrà essere certamente più tollerante di qualche particolarità locale, e magari anche di qualche stranezza. D’altra parte, sarà certamente deficitario nel suo compito di sorveglianza (dal greco, "epi-scopìa") rispetto a un vescovo cresciuto nel proprio rito, che si muove con familiarità nelle sue parrocchie, come un vero pastore in mezzo al gregge. Ovviamente, sarà sempre possibile che un giorno ci sia un vescovo formato per tutta la vita al rito occidentale, ma la scarsità dei numeri dei fedeli (v. sopra) rende questa eventualità piuttosto improbabile.

La prigionia di questioni politiche

L'idea che gli ortodossi di rito "orientale" siano più schiavi delle logiche politiche, mentre i loro confratelli di rito "occidentale" ne sarebbero più liberi, è una mera illusione. Di fatto, le chiese di rito occidentale si propongono come punto di approdo dei praticanti delle Chiese occidentali maggioritarie, ai quali vogliono offrire una versione più autentica del loro stesso culto (se la proposta fosse fatta a cristiani non praticanti o alle persone lontane da ogni chiesa, allora non ci sarebbe bisogno di proporre il rito occidentale fin dall’inizio). Non ci si deve pertanto stupire che le Chiese non ortodosse vedano nel rito occidentale un metodo di competizione particolarmente sleale (o quanto meno, volto a creare confusione tra gli stessi fedeli, non diversamente da ciò che fa l'uniatismo nei paesi dell'Est), e magari applicheranno nei confronti del rito occidentale pressioni politiche che invece non faranno mai alle chiese di rito orientale.

Conclusione

Se siamo stati scoraggianti nei confronti della creazione e sviluppo di chiese ortodosse di rito occidentale in Italia, non presentiamo alcuna scusa, perché questo è precisamente il nostro scopo. Meglio fermarsi a causa di sani e forti dubbi, piuttosto che proseguire su un cammino disastroso per ignoranza delle sue implicazioni. Se a dispetto di tutto quanto abbiamo detto, qualcuno vorrà comunque correre il rischio di fondare comunità di rito occidentale nel nostro paese, avrà tutta la nostra ammirazione, perché almeno affronterà i relativi pericoli con cognizione di causa.

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