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  Convertire o non convertire?

Saggio di Padre Leonidas dell’Arcidiocesi Greco-Ortodossa d’Australia

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Questo saggio, apparso sul sito Internet dell’Arcidiocesi Greco-Ortodossa d’Australia, è stato scritto da uno dei preti dell’Arcidiocesi, Padre Leonidas. Questa versione in italiano è leggermente modificata, per adattarla da un contesto prettamente greco-australiano a una situazione più estesa, possibile in vari contesti culturali, e con un occhio alla situazione italiana. Tuttavia, il punto di vista dell’autore (che alcuni commentatori hanno considerato molto conservatore) non è stato alterato.

Ringraziamo il curatore del sito australiano, John Grapsas, per il cortese permesso di diffusione di questo testo.

Non vi è alcun atto sacerdotale con conseguenze di maggiore portata di una conversione all'Ortodossia. Esso determina in modo cruciale per tutto il resto della vita lo stato personale del convertito, i suoi diritti e restrizioni di coniuge, e al tempo stesso la sua appartenenza religiosa. Se una promessa di lealtà incondizionata alla Chiesa Ortodossa viene in seguito tradita, il risultato è disastroso per tutti , non meno che per il prete responsabile, qualora sia stato colpevole di errore di giudizio nell'autorizzare la conversione con prove di sincerità insufficienti. In tal caso, sarà costretto a provare un senso di responsabilità personale per ogni violazione del diritto canonico che sia commessa dal convertito. Infatti solo attraverso il suo atto di accettazione di un non ortodosso nella Chiesa Ortodossa le azioni come la mancata partecipazione ai Sacramenti o la mancata osservanza dei digiuni diventano gravi violazioni dei Canoni. C'è poco da meravigliarsi che molti preti coscienziosi, sotto il peso di questa schiacciante responsabilità, contemplino le conversioni con estrema, e talora persino eccessiva, esitazione.

Le condizioni per diventare un cristiano ortodosso sono per definizione abbastanza semplici. Un catechista opportunamente qualificato, dopo aver istruito il candidato, deve garantire che il candidato sia genuinamente desideroso e capace di accettare senza riserve la disciplina religiosa della Chiesa Ortodossa: a questo punto si può procedere con l'atto formale di conversione, sia per mezzo del Santo Battesimo laddove il candidato non è stato precedentemente battezzato nel Nome della Santissima Trinità, o per mezzo del Sacramento della Santa Cresima, e la firma di un attestato in cui il candidato da una parte rinuncia alla sua fede precedente e dall'altro confessa la sua fede ortodossa. 

La conversione a queste condizioni è aperta a ogni persona, quale che sia la sua razza, colore, o quale che sia stato il suo credo precedente. Una persona così convertita ha a questo punto tutti i diritti e gli obblighi di qualsiasi cristiano ortodosso. In senso stretto, l'effettiva conversione da una fede (o da nessuna) all'Ortodossia è naturalmente compiuta dal convertito stesso. Il desiderio di diventare un cristiano ortodosso è portato da cambiamenti radicali nel cuore di una persona, che determinano ogni sua lealtà futura, il suo pensiero, i sentimenti e le azioni, la forma della sua stessa personalità.

Una conversione è la più delicata operazione cardiaca a cui una persona possa mai sottomettersi, e al candidato spetta l'onere della prova di essere adeguatamente preparato a sottoporsi a una tale operazione. Alcuni possono completare la preparazione richiesta con uno studio intensivo e un'esperienza di ambientazione in pochi mesi; altri, che mancano di determinazione o di opportunità, possono non essere mai pronti anche dopo anni di sforzi infruttuosi.

La durata di questo processo è determinata dal candidato, non dal prete. La prova ultima non è certo l'amore di un candidato per una persona ortodossa con cui desidera sposarsi. Al contrario, tale ulteriore motivo sarà un ostacolo all'accettazione della sua domanda.

Il criterio è l'amore per l'Ortodossia, generato da tanta completa familiarità e fascino per la vita ortodossa da superare tutti i sacrifici e gli ostacoli. Solo se questo amore e questa fede nell'Ortodossia, in teoria e in pratica, trascendono ogni altro amore e lealtà, si compiono realmente le condizioni per l'ammissione. Ma perché queste condizioni sono così rigide ed esigenti?

Quasi ogni candidato (e più di un ortodosso) dubita della giustizia di un simile rigore con il seguente argomento, apparentemente plausibile: perché ci si dovrebbe aspettare da un convertito tanto di più di quello che la maggior parte degli ortodossi è pronta a fare per la propria fede? Perché i convertiti dovrebbero essere più puntigliosi nella loro osservanza religiosa di quanto lo sia la maggioranza degli ortodossi?

Per incominciare, noi non abbiamo alcun interesse speciale nel gonfiare il nostro numero attraverso conversioni. Come cristiani ortodossi abbiamo un compito e un dovere spirituale da compiere, rispetto al quale i numeri sono relativamente irrilevanti per il successo della nostra missione sulla terra. I veri convertiti sono i benvenuti, ma i convertiti di dubbia lealtà attenuano, piuttosto che consolidare, la nostra forza.

Per tutta l'era cristiana la Chiesa Ortodossa è stata esposta a costanti oppressioni e a frequenti massacri. Eppure, nessun cristiano ortodosso si è mai preoccupato della sopravvivenza della Chiesa Ortodossa. Tale sopravvivenza non dipende dai numeri, ma solo dall'intensità del nostro impegno ortodosso.

Per di più, una conversione è una naturalizzazione religiosa. Anche per una naturalizzazione civile - che ha un effetto infinitamente meno significativo sulla fede più intima, la personalità e la vita quotidiana del richiedente - sono universalmente accettati certi rigidi requisiti.

Per concedere una cittadinanza, un paese richiede di solito un periodo di almeno due anni, la conoscenza della propria lingua, e certamente una pronta sottomissione a tutte le leggi del paese. A qualsiasi straniero che dichiari la sua disponibilità a osservare tutte le leggi del paese meno una, verrebbe rifiutata la naturalizzazione, e non gli servirebbe obiettare che ci sono molti cittadini nativi che pure talvolta trasgrediscono una regola o l'altra. In tali casi è questione di tutto o nulla.

Eppure, quando agli aspiranti convertiti si dice che potrebbero volerci due o più anni per acquisire la necessaria conoscenza e ambientazione religiosa (e che anche quegli ortodossi battezzati da piccoli devono coltivare attraverso anni di educazione religiosa, vivendo fin dalla nascita in un ambiente ortodosso), che ci si aspetta da loro una certa familiarità con una lingua ortodossa storica, e che devono impegnarsi a osservare i Canoni della Chiesa Ortodossa, essi chiedono perché dovrebbero rispondere a requisiti di cui molti ortodossi mancano…

Servirebbe poco a un candidato alla cittadinanza italiana fare simili obiezioni. La risposta incontestabile sarebbe che chiunque sia nato da genitori italiani - buoni, cattivi o indifferenti, che sappiano o meno l'italiano, o che rispettino o meno la legge - è italiano. Anche la cittadinanza di un criminale non può essere rinnegata. Ma se uno straniero desidera diventare italiano, allora può e deve essere fatto ogni sforzo per assicurarsi che provi di essere un cittadino rispettoso delle leggi, e non un peso per la società.

Allo stesso modo i genitori devono accettare un figlio naturale, sano o malato, retto o delinquente. Ma nell'adottare un figlio, sono liberi di scegliere, e hanno diritto di prendere ogni ragionevole precauzione per assicurarsi che il figlio sia per loro una fonte di orgoglio e di gioia. Di sicuro ci sono altrettante ragioni per favorire una simile cautela nell'ammettere persone nella fede ortodossa e tra il popolo ortodosso.

Entro questi principi generali, c'è naturalmente molta varietà. Poiché la valutazione della sincerità di un candidato e dell'adeguatezza della sua preparazione è soggetta a una stima umana, ci sarà per forza un fattore soggettivo in ogni giudizio di questo genere. Un prete può essere troppo ingenuo, un altro troppo sospettoso nell'accettare una dichiarazione di sottomissione all'Ortodossia. Anche condizioni locali diverse possono avere un ruolo importante nella decisione di ammettere convertiti.

In Grecia, per esempio, dove tutti i convertiti vivranno certamente in un paese ortodosso, impareranno il greco, manderanno i figli in scuole con insegnamento religioso, e osserveranno il calendario ortodosso - almeno in larga misura - e dove c'è poca opportunità di integrarsi in una società non ortodossa, è ovviamente molto più facile accettare convertiti, rispetto ai paesi in cui non vi sono queste condizioni.

Naturalmente, verranno invariabilmente prese in considerazione le motivazioni per una conversione. Quanti desiderano diventare cristiani ortodossi per sposarsi, cambiando la propria religione quasi come un passaporto, troveranno molta minor solidarietà rispetto ai genitori che chiedono la conversione di un figlio adottivo non ortodosso perché non hanno trovato un figlio ortodosso da far crescere. Si mostra anche enorme compassione nei casi di figli non ortodossi di matrimoni misti. Ma queste sono chiaramente eccezioni. Come regola, si vedrà che chiunque sia facilmente predisposto a cambiare religione non ha una profonda fedeltà religiosa né prima né dopo il cambiamento. Coloro che possono essere ammessi, e vengono ammessi, nella Chiesa Ortodossa, invero finiscono per essere persone piuttosto eccezionali.

I veri convertiti hanno un modello espresso in modo molto conciso dalla più famosa tra loro, Rut la Moabita, che promise: "Dove tu andrai, andrò anch'io; e dove ti fermerai per la notte, mi fermerò anch'io" - condividendo la vita del popolo a cui si convertì; "il tuo popolo sarà il mio popolo" - entrando a far parte appieno del popolo a cui si convertì; "e il tuo Dio sarà il mio Dio" - come testimonianza di impegno religioso; "dove morirai, morirò anch'io, e là sarò sepolta" (Rut 1:16-17) - difendendo la fede e le pratiche fino alla tomba.

Chiunque sia preparato a seguire l'esempio di totale lealtà di Rut sarà accettato nella Fede ortodossa a braccia aperte. Ma in assenza di tali candidati, dovremmo occuparci della sfida di convertire all'Ortodossia gli ortodossi che dovrebbero già esserlo, piuttosto che quelli che potrebbero diventare tali.

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