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  Siamo nel 1055 a Lubbock

di Dionysius Redington

Orthochristian.com, 26 giugno 2019

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foto: greekcitytimes.com

L'assegnazione (si può chiamare "elezione" solo nel senso etimologico più ristretto) del metropolita Elpidophoros (Lambriniadis) come arcivescovo dell'Arcidiocesi greco-ortodossa d'America sarà senza dubbio ricordata come una svolta significativa nella storia della Chiesa del XXI secolo. Qualunque speranza potesse esserci stata che lo scisma tra Costantinopoli e Mosca sull'Ucraina fosse solo un evento temporaneo, senza importanza, è stata sicuramente estinta.

L'arcivescovo Elpidophoros è un teologo distinto e colto. Come cittadino turco, un giorno sarà un candidato evidente e ovvio alla successione a sua Santità Bartolomeo sul Trono ecumenico. Nelle principali controversie sotto il regno di Bartolomeo (il Concilio di Creta e lo scisma ucraino) ha difeso con coerenza e fermezza le posizioni e l'autorità del patriarca. Sebbene non vi sia motivo di dubitare della sincerità con cui ha assunto queste posizioni, è evidente che ha un interesse acquisito nel rafforzare una giurisdizione oggi debole, che è probabile che egli possa un giorno comandare.

Così la sua nomina al secondo posto più potente nel Patriarcato ecumenico ha un duplice significato.

Da un lato, trasmette il messaggio che è improbabile che il Fanar possa fare retromarcia quando il patriarca Bartolomeo lascerà la scena. Dall'altro, solleva una questione teologica, perché l'arcivescovo Elpidophoros non considera il caso ucraino una banale questione di riaffermazione del controllo costantinopolitano su una provincia ribelle illegalmente dominata per alcuni secoli da Mosca.

Al contrario, egli usa il più serio termine d'obbrobrio in tutta l'Ortodossia per descrivere i suoi avversari, uno di quei termini che il Fanar generalmente si fa in quattro per evitare di impiegare. Dice che sono eretici.

Nel 2009, l'archimandrita Elpidophoros ha tenuto un memorabile discorso alla Holy Cross School of Theology, che può ancora essere trovato online, per esempio qui. In questo discorso fa le seguenti interessanti affermazioni, che altrove ha esteso nella sua ben nota tesi che il patriarca ecumenico è "primus sine paribus":

"Lasciatemi aggiungere che il rifiuto di riconoscere il primato all'interno della Chiesa ortodossa, un primato che necessariamente non può non essere incarnato da un primus (cioè da un vescovo che ha la prerogativa di essere il primo tra i suoi compagni vescovi) costituisce nientemeno che un'eresia. Non si può accettare, come spesso si dice, che l'unità tra le Chiese ortodosse sia salvaguardata da una norma comune di fede e culto o dal Concilio ecumenico come istituzione. Entrambi questi fattori sono impersonali mentre nella nostra teologia ortodossa il principio di unità è sempre una persona. Infatti, al livello della Santa Trinità il principio di unità non è l'essenza divina ma la Persona del Padre (o "monarchia" del Padre), al livello ecclesiologico della Chiesa locale, il principio di unità non è il presbiterio o il culto comune dei cristiani ma la persona del vescovo, quindi a livello pan-ortodosso il principio di unità non può essere un'idea né un'istituzione ma dev'essere, se vogliamo essere coerenti con la nostra teologia, una persona... Nella Chiesa ortodossa abbiamo un primus, ed è il patriarca di Costantinopoli".

Notate per prima la frase "costituisce nientemeno che un'eresia".

Notate in secondo luogo il teologumeno che la persona che agisce come principio di unità per la Chiesa universale non è Cristo stesso, ma piuttosto un vescovo.

Si noti infine che il vescovo in questione non è (come una lettura ingenuamente letterale dei santi canoni sembrerebbe indicare) il vescovo di Roma, ma quello di Nuova Roma. (Quest'ultimo punto è molto trascurato nella presente controversia: qualunque sia il ruolo del Primus nell'Ortodossia, vale a dire se egli sia "primus inter pares" o "primus sine paribus", non vi è dubbio che per secoli il primus storico è stato il papa romano. L'unica ragione per respingere il primato romano oggi è che la Chiesa romana ha abbandonato l'insegnamento ortodosso, eppure Costantinopoli, che ha sollevato gli anatemi contro tale Chiesa, più di ogni altro patriarcato ortodosso sembra implicare che non esista alcuna apostasia. In che modo il Fanar può affermare di essere essenziale per la Chiesa, quando il Vaticano dovrebbe avere una rivendicazione più forte? Se il movimento ecumenico dovesse avere successo e ristabilire la piena comunione con Roma, Costantinopoli cederebbe volentieri il suo primato? E in che modo l'esistenza, anche se solo storica, della Roma ortodossa concorda con l'affermazione del Fanar che la Chiesa "non può esistere" senza il patriarca di Costantinopoli?)

Forse le sue parole sono soggette a fraintendimenti, ma l'arcivescovo Elpidophoros sembra credere che il patriarca ecumenico sia una specie di papa, il vicario non di Cristo, a quanto pare, ma di Dio Padre! Sembra anche credere che coloro che non sono d'accordo con questo punto di vista sono eretici.

Questa è un'affermazione molto più seria rispetto a: "Sapete, ora che l'URSS è scomparsa, dovrebbe esserci una Chiesa ortodossa autocefala ucraina libera da Mosca".

In che modo l'Ortodossia mondiale può mantenere la comunione con un patriarcato che promuove un'ecclesiologia aliena e si riferisce a quelli che obiettano come a "eretici" (un termine che esso non applica ai cattolici e ai protestanti)?

C'è un altro aspetto dell'elevazione di Elpidophoros che illumina anche il discorso del 2009. Sebbene il Fanar sia stato storicamente molto contrario all'etnofletismo (in parte per fermare le incursioni della Chiesa bulgara e di altri nel suo territorio canonico), è una questione storica che il Patriarcato si è sempre visto come il baluardo del nazionalismo greco. (Il patriarca Bartolomeo stesso probabilmente non lo negherebbe, né vedrebbe in questo alcun problema, come risulta dalle sue osservazioni del 2018 sulla "predecenza" del "nostro popolo").

Nel suo discorso, pronunciato nell'unico seminario greco d'America, Elpidophoros è in gran parte interessato a questo esatto problema. Dice che "l'ecumenismo è il cuore dell'ellenismo e per definizione è estraneo a qualsiasi forma di nazionalismo o sciovinismo culturale". Aggiunge che "la diaspora" non si riferisce a persone che vivono temporaneamente in terre al di fuori dell'Impero Romano, ma a coloro che ci vivono in modo permanente. Tuttavia, in apparente contraddizione, la sua visione di queste persone è limitata agli immigrati provenienti da paesi tradizionalmente ortodossi e alla loro progenie. La sua preoccupazione principale è il mantenimento della cultura e della tradizione (in questo caso greche) senza assimilazione, e ha questo da dire sui "convertiti":

"Un altro gran numero di candidati al sacerdozio proviene dai convertiti, che possiedono poca o nessuna familiarità con l'esperienza ortodossa e sono solitamente caratterizzati dal loro comportamento e mentalità eccessivamente zelanti. È interessante che i convertiti che sono ordinati sacerdoti rappresentino una percentuale sproporzionata rispetto ai convertiti tra i fedeli. Il risultato di questa rappresentazione disanalogica è che, il più delle volte, i sacerdoti convertiti sono pastori di greggi che sono portatori di qualche tradizione culturale, ma poiché i loro pastori mancano della necessaria familiarità con quella tradizione o addirittura vi si oppongono consapevolmente, riescono a svalutare e gradualmente a sradicare quegli elementi culturali che sono stati l'espressione delle parrocchie da loro servite".

Mentre questa è una preoccupazione legittima, è da notare che Elpidophoros non parla da nessuna parte di un mandato evangelico per portare gli americani nel loro complesso all'Ortodossia, né discute su parrocchie che non siano espressione di una sola (o di nessuna) etnia. Nel contesto di un discorso in un seminario (dove il preside in quel momento si chiamava Fitzgerald) il discorso sembrava avere un chiaro messaggio riassunto nel soprannome sarcastico che gli davano alcune persone: il discorso dei "troppi xenoi".

Io sono uno xenos. Per quanto ne so, l'interazione dei miei antenati post-scismatici con i cristiani ortodossi si è limitata a combatterli sul fronte orientale. Mia moglie ed io ci siamo convertiti all'Ortodossia nel 1988 alla cattedrale dell'OCA a Boston. Siamo stati i fondatori e gli editori dell'ormai scomparsa Biblioteca di san Pacomio, uno dei primi siti web di patristica ortodossa, nel 1994. Abbiamo insegnato storia della Chiesa online, e io sono stato coinvolto per un certo numero di anni nell'evangelizzazione ortodossa della setta dei rastafariani. Nel 1997 ci siamo trasferiti da Boston a Lubbock, in Texas, dove sono stato ordinato lettore nell'Arcidiocesi greca d'America e ho servito come cantore alla Chiesa greco-ortodossa di sant'Andrea fino allo scorso ottobre.

Lubbock è una città universitaria con circa un quarto di milione d'abitanti. Si trova nel centro del Llano Estacado, un vasto altopiano scarsamente popolato a cavallo del confine tra il Texas e il New Mexico. I primi ortodossi a Lubbock furono probabilmente mercanti libanesi arrivati ​​intorno al 1900, ma non è esistita una parrocchia fino a quando alcuni greci non hanno deciso di fondarne una negli anni '70. Ci sono riusciti, dopo una grande lotta e molte difficoltà: Lubbock, anche se è abbastanza grande, è invisibile alla maggior parte degli americani a causa del suo isolamento. Sant'Andrea non ha avuto un prete fino al 1996; prima di allora, i fedeli guidavano per oltre 100 miglia fino ad Amarillo per partecipare alla Liturgia.

Quando io e mia moglie siamo arrivati, non eravamo sicuri di cosa aspettarci. Abbiamo trovato una parrocchia che faceva parte dell'Arcidiocesi greca, ma anche molto multietnica e accogliente. Le rubriche liturgiche e la musica erano bizantine, ma le funzioni erano interamente in inglese, e si faceva ogni sforzo per accogliere persone di diversa provenienza: naturalmente greci e convertiti, e arabi, ucraini, russi, serbi, romeni, bulgari... e probabilmente membri di altre nazionalità che sto dimenticando. I "greci" nella parrocchia erano essi stessi una miscela di immigrati e famiglie recenti che erano negli Stati Uniti da diverse generazioni. Entrambi i sacerdoti che hanno servito nei miei 21 anni nella parrocchia di Sant'Andrea erano diplomati al Seminario di San Vladimir (OCA).

La parrocchia non era un'utopia, ma ha avuto i suoi successi. Due dei giovani della parrocchia (entrambi convertiti, come avrebbe potuto prevedere l'arcivescovo Elpidophoros) sono diventati sacerdoti dell'Arcidiocesi greca, un record notevole per una parrocchia così piccola e giovane per gli standard greci. Sono entrambi notevoli, e potrei persino aggiungere santi, sacerdoti. Uno di loro, che ammiro particolarmente, è apparso sulla pagina web nazionale dell'Arcidiocesi greca a marzo. Nessuno dei due risponde alla caricatura tracciata dall'arcivescovo Elpidophoros del prete convertito come fanatico ignorante della cultura greca (anzi, entrambi hanno mogli greche!)

Mia moglie ed io siamo rimasti molto colpiti dalla generosità dei parrocchiani greci di Sant'Andrea, dal loro impegno per l'educazione religiosa dei loro figli, e soprattutto dalla loro assoluta perseveranza nel mantenere viva una parrocchia in una città fondamentalista protestante poco comprensiva, ignorata dal resto del paese, sempre ai margini del collasso finanziario. Almeno due volte, è sembrato che la parrocchia dovesse chiudere; una volta è stata salvata da una donazione "anonima", in realtà dal vescovo diocesano, un uomo molto buono e santo.

Poi, nel 2018, è accaduto l'attuale scisma. Mia moglie e io eravamo da tempo insoddisfatti della direzione dell'Arcidiocesi greca (io ero stato presidente del consiglio parrocchiale durante il Concilio di Creta) ma ero sempre riuscito a convincermi a rimanere, se non altro perché non c'era nessun altro da cui andare: La parrocchia di Amarillo, a 100 miglia di distanza, era la più vicina e anche quella era greca. Inoltre, non volevamo causare una divisione nella comunità locale già divisa da ostilità; abbiamo rispettato il nostro metropolita; e (come ricordo di aver detto in più di un'occasione) "Se questa fosse veramente un'eresia, e non solo retorica, sicuramente almeno una delle altre Chiese ortodosse avrebbe interrotto la comunione per questo motivo".

La questione dell'Ucraina, tuttavia, ha reso impossibile da ignorare la pretesa più che papale del patriarca Bartolomeo di essere "primus sine paribus". Abbiamo deciso di lasciare la parrocchia e di tenere i servizi da lettori in privato. Tuttavia non abbiamo detto a nessuno cosa stavamo facendo tranne al parroco. Non volevamo essere visti come seminatori di dissenso, e speravamo ancora che l'affare si sarebbe risolto in poche settimane. Poi abbiamo scoperto che altre persone avevano notato la nostra assenza e alla fine abbiamo deciso di annunciare pubblicamente che stavamo avviando una nuova parrocchia, sotto la protezione di santa Caterina d'Alessandria.

All'inizio non avevamo un posto dove incontrarci, quindi ci incontravamo all'aperto, su una panchina del campus universitario, con la volta del cielo sopra le nostre teste, e stormi di piccioni (e un occasionale falco) che volteggiavano sopra di noi. Alcuni jogger ci guardavano con stupore, ma per la maggior parte siamo stati ignorati. Per tre mesi, questa è stata la nostra chiesa.

Avevo immaginato che, una volta annunciata la nostra esistenza, molti dei nostri parrocchiani di Sant'Andrea volessero aderire; dopotutto, le questioni teologiche sembravano abbastanza chiare. Questo non è successo. Invece, la vecchia parrocchia si è divisa in linee ordinatamente etniche. Quasi tutti i parrocchiani che provenivano dall'ex Unione Sovietica si sono uniti al nostro gruppo; quasi nessun altro lo ha fatto. (Potrebbe interessare l'arcivescovo Elpidophoros il fatto che i convertiti sono rimasti finora con l'Arcidiocesi greca).

Questa è la tragedia di ciò che sta accadendo: una parrocchia multietnica che già esisteva a mala pena si è divisa in due. La nostra parrocchia è, ne sono fiducioso, quella ortodossa, e l'altra è in scisma. Ma questa non è colpa dei parrocchiani rimasti a Sant'Andrea. Pochi di loro (se mai ce ne sono) si preoccupano dell'egemonia costantinopolitana, tanto meno dell'autocefalia ucraina. Per loro, la parrocchia di Sant'Andrea è la chiesa ortodossa, la chiesa che i loro genitori hanno costruito dal nulla con il sudore e il sacrificio, la chiesa dove sono stati battezzati o si sono sposati o dove si aspettano che siano serviti i loro funerali. È dove hanno incontrato il Signore ogni domenica nell'Eucaristia. Forse è impossibile per loro lasciare l'Arcidiocesi greca, così come per i contadini francesi nel XII secolo era impossibile ripudiare il papismo; per loro, sarebbe stato "lasciare la Chiesa".

Ma con l'elevazione dell'arcivescovo Elpidophoros, sicuramente questo è il punto verso cui di stanno dirigendo le cose.

Nella parrocchia missionaria di santa Caterina, abbiamo fatto rapidi progressi. Siamo stati accettati quasi immediatamente nella Chiesa ortodossa russa fuori dalla Russia. Il ben noto decano del Texas, padre John Whiteford, è stato nominato nostro Rettore temporaneo; sebbene la distanza gli abbia impedito di visitarci di persona, abbiamo avuto due Liturgie servite dallo ieromonaco Aidan (Keller) di Austin.

Non dobbiamo più riunirci a pregare su una panchina del parco; una parrocchia anglicana ci ha permesso l'uso di una loro cappella abbandonata usata come scuola domenicale, completa di divertenti vetrate raffiguranti bambini felici degli anni '30 da tutto il mondo. Un parrocchiano (Alexey Ageev, che merita di essere menzionato per nome) ha costruito un altare tradizionale in legno e ha donato centinaia di riproduzioni di icone. A Dio piacendo, attraverso le preghiere di santa Caterina la Grande Martire (e di sant'Andrea il Primo Chiamato!), saremo forse, nonostante i nostri peccati e le nostre debolezze, in grado di assicurare una testimonianza per Cristo sul Llano Estacado.

Ma che dire dell'altra parrocchia? Che dire della "diaspora" greca? Come staranno sotto l'arcivescovo Elpidophoros?

Oggi siamo nel 1055.

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